proprietà Diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.
La nozione di p., così come è stata elaborata dalla tradizione giuridica latina e occidentale, non è applicabile in maniera meccanica alla molteplicità e complessità dei rapporti che intercorrono tra uomini e beni nell’ambito della società oggetto di studi antropologici. È ormai assodata, per es., l’infondatezza dell’idea di un comunismo primitivo, in quanto in ogni società si danno forme di controllo dei beni tanto individuali quanto collettive. Estremamente variabili sono i modi di concepire i rapporti di p.: se ogni società garantisce ai gruppi che la compongono e ai suoi membri dei diritti sufficientemente stabili su mezzi di produzione e beni immateriali, molteplici possono essere i significati che esse attribuiscono all’idea di appropriazione. Spesso i titolari dei diritti di p. sono dei gruppi reclutati sulla base della parentela (lignaggi, clan) e i singoli individui hanno accesso a determinati beni in quanto membri di tali gruppi. Altre volte i diritti di possesso e di godimento di un bene posseduti da un individuo dipendono da una gerarchia di diritti più ampi: la p. del suolo, per es., è del sovrano o del capo supremo, in quanto rappresentante degli antenati; i diritti di p. del sovrano, però, per poter essere effettivamente goduti, devono essere concessi ad altri. Il capo li concederà, dunque, a un suo subordinato, e questi a sua volta a un gruppo di discendenze i cui membri siano alle sue dipendenze. Conseguenza di una simile gerarchizzazione dei diritti di p. è la proliferazione di più titoli su medesimi beni: un dato terreno, per es., può appartenere, nella sua dimensione religiosa e rituale, agli antenati e dunque ai loro discendenti; nella sua dimensione politica al sovrano; in quella amministrativa al capo, e poi essere attribuito a un certo lignaggio che, considerandolo un proprio bene economico, ne affida il concreto sfruttamento materiale ad alcuni suoi membri.
La p. è uno dei diritti costituzionali che ha conosciuto un’ampia trasformazione rispetto alla sua configurazione originaria. I primi documenti costituzionali (Dichiarazione di indipendenza U.S.A. 1776; artt. 2 e 17 Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese 1789; V Emendamento Cost. U.S.A. 1787), ispirati dal giusnaturalismo moderno (basti pensare alle dottrine giuridico-filosofiche di Grozio, Hobbes, Locke e dello stesso Kant), ne proclamavano il carattere prestatuale, sacro e inviolabile: lo Stato, cioè, non creava la p. privata, ma si doveva solo limitare a riconoscerla ed a garantirla. Con il tramonto del giusnaturalismo, la centralità della p. privata non è venuta meno, né sul piano filosofico – basti pensare all’importanza che essa ha avuto in pensatori come Bentham, Constant, Hegel, Guizot e Rosmini – né su quello dell’elaborazione giuridica (basti pensare all’ambito del sistema di diritti teorizzato da Savigny e dalla Pandettistica), né, infine, sul piano delle proclamazioni costituzionali (artt. 9 e 10 Cost. Francia 1814; artt. 8 e 9 Cost. Francia 1830; artt. 11 e 12 Cost. Belgio 1831; parr. III, IV e VIII Preambolo e artt. 11 e 12 Cost. Francia 1848; tit. VI, art. IX, parr. 164 ss., Cost. Francoforte 1849), tanto da essere considerata il diritto soggettivo per eccellenza e da essere identificata con la nozione stessa di libertà.
A partire dalla seconda metà del XIX secolo, tuttavia, è iniziato un ripensamento critico delle concezioni assolutistiche della p. privata (cioè di una sorta di super-diritto del quale si poteva abusare senza limiti, c.d. ius utendi et abutendi), ripensamento portato avanti non solo dagli esponenti del socialismo giuridico (ad esempio, Menger, Renner, Salvioli e Cimbali), ma anche da giuristi più tradizionali come Gierke e Duguit. In virtù di tale riflessione critica, si è preso coscienza, oltre che della dimensione individuale del diritto, anche di quella sociale, con la conseguenza che, a partire dalla Costituzione di Germania del 1919, nei testi costituzionali si è iniziato a parlare, direttamente o indirettamente, di una funzione sociale della p. (art. 153 Cost. Germania 1919; art. 44 Cost. Spagna 1931; art. 14 Legge fondamentale Germania 1949; art. 33 Cost. Spagna 1978). La clausola della funzione sociale, tuttavia, non ha niente in comune con la nozione di p. accolta dagli Stati socialisti, in cui veniva esplicitamente negata la p. privata dei mezzi di produzione e si ammetteva solo la p. privata dei beni di consumo (artt. 4 ss. Cost. U.R.S.S. 1936; artt. 22 ss. Cost. D.D.R. 1949; artt. 7 ss. Cost. Polonia 1952; artt. 10 ss. Cost. D.D.R. 1974; artt. 10 ss. Cost. U.R.S.S. 1977).
Per quanto riguarda l’Italia, l’evoluzione dello statuto costituzionale della p. emerge nettamente se si comparano i due testi di riferimento, lo Statuto albertino e la Costituzione repubblicana: mentre l’art. 29 dello Statuto, sulla scia delle Carte francesi della Restaurazione, parla di «inviolabilità» della p. privata, l’art. 42 Cost. disciplina ad un tempo la p. pubblica e la p. privata, non si riferisce a quest’ultima nei termini di un diritto e stabilisce che il riconoscimento e la garanzia della p. spetti alla legge, che ne determina anche i modi di acquisto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale. La giurisprudenza costituzionale ha interpretato l’art. 42 Cost. nel senso che tale ultima funzione può giustificare discipline legislative restrittive delle facoltà del proprietario, ma non giustifica lo svuotamento sostanziale del diritto di p., senza la corresponsione di un equo indennizzo che deve in ogni caso costituire un «serio ristoro» per l’espropriato.
In Italia, il legislatore del 1942, rispetto al codice del 1865, che recepiva la tradizionale definizione della p. facilmente oggetto degli equivoci dell’interpretazione individualistica e antisociale del sec. 19°, ha preferito anziché definire l’istituto, definire il contenuto del diritto del proprietario, mettendone indirettamente in risalto la finalizzazione e, direttamente, l’inquadramento giuridico. La enunciazione («Il proprietario ha il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico») è stata criticata dalla dottrina in quanto il diritto del proprietario può sussistere senza risolversi né in un atto di godimento (per es., p. gravata di usufrutto), né in un atto di disposizione (per es., p. gravata da vincoli dotali), essendo essenzialmente costituito da un titolo di appartenenza del bene. È da notare inoltre che la disciplina del codice, più di quello che non appaia dall’enunciazione, si fa esplicita nelle norme che dispongono le cosiddette limitazioni della p. (art. 833-839 c.c.; divieto degli atti di emulazione, espropriazione per pubblico interesse, ammassi e, in particolare, espropriazione per abbandono di conservazione, coltivazione ed esercizio di beni interessanti la produzione o il decoro della città o le ragioni dell’arte, della storia o della sanità pubblica); nonché nelle norme volte a dirimere i conflitti di p. (art. 934 s. c.c.) e in tutta la regolamentazione della p. fondiaria (art. 840 e seguenti c.c.: in specie riordinamento della p. rurale, bonifica integrale, vincoli idrogeologici e difese fluviali). Nella disciplina del codice la dottrina aveva già individuato l’intento del legislatore di indirizzare la p. al perseguimento della cosiddetta funzione sociale, mettendo in crisi il concetto di p. come pura espressione di diritto soggettivo.
Per quanto concerne i modi di acquisto della p., tradizionalmente si distingue tra modi di acquisto originari e derivativi: nei primi l’acquisto è giustificato da un rapporto diretto della persona con la cosa, indipendentemente da ogni rapporto con un precedente proprietario che può non esserci o, se c’è, perde la p. pur contro la sua volontà; nei secondi l’acquisto si opera per effetto del trasferimento della p. da un precedente a un successivo titolare che l’accetta quale era in testa al suo autore, con gli stessi oneri e con gli stessi limiti. Modi originari di acquisto della p. sono: l’occupazione, l’invenzione, l’accessione, la specificazione, l’unione o commistione, l’usucapione. Altre ipotesi di acquisto a titolo originario sono poi i cosiddetti incrementi fluviali (art. 941-947 c.c.), la disciplina dei quali ha subito in alcune fattispecie modificazioni a seguito della l. 37/1994. Derivativi sono invece i modi di acquisto della p. che si attuano attraverso il fenomeno della successione, che può essere: inter vivos, mediante i contratti cosiddetti a effetti reali (per es., compravendita, donazione, permuta); ovvero mortis causa, mediante testamento o per legge.
Le azioni a tutela della p. sono: l’azione di rivendicazione, l’azione negatoria, le azioni di denuncia, di nuova opera e di danno temuto, l’azione per apposizione di termini, l’azione per regolamento di confini.
Con le espressioni p. industriale e p. intellettuale ci si riferisce, rispettivamente, a istituti che attribuiscono esclusiva nei settori dell’immagine.