Il termine Costituzione viene ad assumere una pluralità di significati assai diversi tra loro, a seconda dei contesti storici, politici, sociali e culturali di riferimento. Generalmente, per costituzione si intende un documento scritto solenne, contenente la disciplina dell’organizzazione dei supremi organi statali e la proclamazione di una serie di diritti e di doveri dei consociati: tale posizione risente indubbiamente dell’influenza esercitata dall’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, secondo cui «ogni società dove non sia assicurata la garanzia dei diritti, né stabilita la separazione dei poteri, non ha una costituzione». Tuttavia, a una nozione formale e prescrittiva (la costituzione come documento scritto e caratterizzato da particolari contenuti) si affianca una nozione materiale e descrittiva, per cui si è detto che anche l’ordinamento britannico, l’antico regime o addirittura l’antica Atene hanno una costituzione. In questo senso, quindi, si può parlare di una nozione più larga di costituzione, come equivalente di forma di governo o di regime politico: tale vanno intesi, per esempio, i riferimenti alla costituzione contenuti nel De Republica di Cicerone. D’altra parte, sempre nell’ambito di una nozione più ampia di costituzione, ci sono studiosi che hanno finito con identificarla con il contratto sociale, in corrispondenza del recupero di questo concetto da parte di alcuni dei maggiori esponenti della filosofia politica nordamericana contemporanea (Rawls, Nozick).
Una parte importante della dottrina novecentesca ha preferito parlare di costituzione in senso sostanziale o materiale, riferendosi non al documento scritto, ma ai suoi contenuti necessari e tipici (la c.d. materia costituzionale), anche se poi l’individuazione di questi contenuti è controversa: per H. Kelsen, la costituzione non sarebbe altro che la «norma fondamentale» all’interno della sua concezione piramidale dell’ordinamento giuridico; per C. Schmitt, invece, la costituzione consisterebbe nella «decisione politica fondamentale» di un dato regime politico; per C. Mortati, infine, la costituzione in senso materiale si identificherebbe nella forza politica dominante in un assetto autoritario o nelle forze politiche che esercitano l’indirizzo politico di maggioranza in uno Stato democratico.
A queste nozioni devono essere aggiunte ulteriori concezioni che si rivelano particolarmente adatte ad illustrare i mutamenti strutturali che investono il diritto costituzionale odierno. In virtù del ruolo assunto dai principi costituzionali nella giurisprudenza delle corti costituzionali o supreme (Corte costituzionale), ad esempio, nell’adozione di tecniche interpretative come il bilanciamento costituzionale e il giudizio sulla ragionevolezza delle leggi – vi è anche chi, sulla scia di quanto affermato sin dalla prima metà del XIX secolo da Rossi e, prima ancora, da Pagano e G. Compagnoni, ha parlato della costituzione come dell’insieme dei principi generali dell’ordinamento giuridico, ovvero, sulla scia di quanto sostenuto da Betti sin dalla prima metà del XX secolo, come fondamento della convivenza civile. Un’ulteriore nozione di costituzione che si contrappone alla concezione formale è, infine, l’idea di «costituzione vivente», elaborata per la prima volta negli U.S.A. e proposta in Italia da Paladin, al fine di indicare l’insieme dei precetti costituzionali attualizzati e concretamente applicati ad opera della giurisprudenza costituzionale.
Costituzioni rigide e costituzioni flessibili. - Una distinzione fondamentale che investe la nozione di costituzione è quella tra costituzioni rigide e costituzioni flessibili. Tale distinzione è stata teorizzata per la prima volta da J. Bryce o, secondo taluni, da A.V. Dicey. Per costituzioni rigide si intendono tutte quelle costituzioni – tra cui quella italiana vigente e le carte statunitense, tedesca, austriaca, francese, spagnola, portoghese ecc. – che, ai fini della loro revisione, prevedono una procedura aggravata rispetto al procedimento legislativo ordinario (Revisione costituzionale), nonché, secondo la maggior parte della dottrina, anche un organo chiamato a sindacare l’eventuale violazione della costituzione stessa da parte del legislatore ordinario (Corte costituzionale). Per costituzioni flessibili, invece, si intendono tutte quelle che non prevedono procedimenti peculiari per la loro revisione – come nel caso delle Cost. Francia del 1814 e del 1830 e, secondo una parte della dottrina, dello Statuto albertino – e che, perciò, possono essere derogate o modificate da parte con una legge ordinaria.
In linea di massima, si può dire che le costituzioni flessibili sono il prodotto del costituzionalismo del XIX secolo, mentre quelle rigide sarebbero il prodotto di quello del Novecento, poiché la base sociale non omogenea di queste ultime richiede necessariamente un consenso ultramaggioritario sulle regole di base dell’ordinamento giuridico. Questa affermazione non va, tuttavia, assolutizzata, in quanto sussistono delle evidenti eccezioni al primo caso: così la Costituzione Belgio del 1831, la Costituzione Svizzera del 1874, le leggi costituzionali della III Repubblica francese (1875), che prevedevano tutte delle procedure aggravate per la loro revisione.
Una distinzione che caratterizzava gli ordinamenti costituzionali socialisti era, invece, quella tra costituzione-programma e costituzione-bilancio. In una prima fase, infatti, di cui è espressione la Costituzione dell’U.R.S.S. del 1936, la dottrina sovietica ha insistito sul carattere di bilancio della costituzione, costituendo quest’ultima un documento che riflette l’effettiva realtà socio-economica nelle diverse fasi storiche di sviluppo del socialismo. In un secondo periodo, in virtù della stabilizzazione di quegli ordinamenti, il ricorso a disposizioni di tipo programmatico non fu considerato più un’eccezione, ma divenne spesso una tecnica ordinaria di redazione delle Costituzioni (artt. 14, co. 3, 15, co. 2, 19, co. 2, 24, co. 2, 28, co. 2, e 30 Cost. U.R.S.S. 1977).