La Corte costituzionale (artt. 134 ss.Cost.) è il principale organo di garanzia costituzionale previsto nella Costituzione italiana vigente – non a caso, gli artt. 134 ss. Cost. fanno parte del titolo VI della parte II, che reca appunto la denominazione «garanzie costituzionali» – e rappresenta una significativa novità rispetto allo Statuto albertino, che non prevedeva affatto un simile organo. L’istituzione e la conseguente diffusione delle corti costituzionali è infatti una delle caratteristiche peculiari del costituzionalismo novecentesco e si riallaccia alle tesi espresse, in particolare, da H. Kelsen, nella sua polemica con C. Schmitt intorno al «custode della Costituzione».
Va detto, tuttavia, che l’idea di devolvere a uno specifico organo la difesa della Costituzione contro i possibili abusi da parte delle forze di indirizzo politico di maggioranza era già presente nel dibattito costituzionale della fine del XVIII secolo: basti pensare alle affermazioni – che costituirono poi il presupposto teorico per l’affermazione del controllo giudiziario di costituzionalità delle leggi negli U.S.A. da parte della Corte suprema – di A. Hamilton nei Federalist Papers, ove è stata esplicitamente teorizzata la necessità di mettere le neonate istituzioni statunitensi sotto tutela del potere giudiziario, in base alla considerazione che esso fosse «il ramo meno pericoloso» dell’ordinamento giuridico. Peraltro, anche la storia costituzionale francese conosce alcune significative esperienza di giustizia costituzionale, più teorizzate che applicate, come quella di una «giuria costituzionale» proposta nel 1795 da J.-E. Sieyès, allo scopo di giudicare sui reclami circa la violazione della Costituzione da parte dei decreti dell’Assemblea legislativa, e dei c.d. Senati conservatori delle costituzioni napoleoniche del Consolato e del Secondo Impero (artt. 15 ss. Cost. Francia 1799; artt. 19 ss. Cost. Francia 1852).
Con riferimento all’ordinamento repubblicano italiano, la legge costituzionale (a cui rinviava l’art. 137, co. 1, Cost.) sulle condizioni, le forme e i termini di proponibilità dei giudizi è stata approvata immediatamente dall’Assemblea costituente (l. cost. n. 1/1948), ma le disposizioni di legge ordinaria – previste all’art. 137, co. 2, Cost. – relative alla costituzione e al suo funzionamento sono state adottate solo nel 1953 (l. n. 87/1953). Ad aggravare ulteriormente il ritardo nell’entrata in funzione della Corte costituzionale hanno concorso anche alcuni contrasti politici circa i nominativi dei giudici di elezione parlamentare. Pertanto, la Corte costituzionale si è insediata ed è entrata in funzione solo nel 1956.
La composizione della Corte costituzionale. - La Corte costituzionale è composta da quindici giudici (art. 135, co. 1, Cost.), per un terzo nominati dal Presidente della Repubblica, per un altro terzo eletti dal Parlamento in seduta comune e per il rimanente terzo eletti dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative: più precisamente, secondo la l. n. 87/1953, tre sono eletti dalla Corte di cassazione, uno dal Consiglio di Stato e uno dalla Corte dei conti. Sono eleggibili alla Corte costituzionale i magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori (ordinaria e amministrativa), i professori universitari ordinari in materie giuridiche e gli avvocati con almeno venti anni di esercizio della professione forense (art. 135, co. 2, Cost.). I giudici della Corte costituzionale restano in carica per nove anni (l. cost. n. 2/1967; precedentemente, la durata era di dodici anni) e non sono rieleggibili. Sono previste altresì ulteriori garanzie a tutela della loro indipendenza: essi non possono essere né sindacati né perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni (l. cost. n. 1/1953), né possono essere sottoposti a procedimento penale o arrestati senza un’autorizzazione a procedere da parte della stessa Corte costituzionale (l. cost. n. 1/1948), né, infine, essere sospesi o rimossi dal loro ufficio, salvo quando la decisione sia presa dall’organo a maggioranza dei due terzi (l. cost. n. 1/1948; l. cost. n. 1/1953). Inoltre, essi non possono svolgere alcuna attività professionale o commerciale, né continuare ad esercitare il proprio ufficio o impiego precedente (l. n. 87/1953, che stabilisce anche il collocamento fuori ruolo di magistrati e professori universitari per il periodo in cui siano giudici costituzionali), né svolgere alcuna attività politica (l. n. 87/1953). Il giudizio sui titoli di ammissione e sulle cause di incompatibilità spetta alla Corte costituzionale medesima (l. cost. n. 2/1967), che gode, inoltre, anche di autonomia amministrativa, regolamentare e finanziaria (l. n. 87/1953).
Le competenze della Corte costituzionale. - La Corte costituzionale giudica, ai sensi, dell’art. 134, co. 1, Cost., della legittimità costituzionale delle leggi e degli atti avente forza di legge dello Stato e delle leggi delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e tra lo Stato e le Regioni o tra le Regioni (Conflitti di attribuzione. Diritto costituzionale); sui reati compiuti dal Presidente della Repubblica, ove messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune (art. 90, co. 2, Cost.; l. cost. n. 1/1953). A questo elenco occorre aggiungere anche il giudizio sull’ammissibilità dei referendum abrogativi (l. cost. n. 1/1953; l. n. 352/1970) e il giudizio sulla legittimità costituzionale degli statuti delle regioni ad autonomia ordinaria (Statuto regionale; art. 123, co. 2, Cost.). Invece, a seguito della l. cost. n. 1/1989, alla Corte costituzionale è stato sottratto il giudizio sui c.d. reati ministeriali (Autorizzazione a procedere. Diritto costituzionale). Inoltre, contrariamente a quanto si verifica in Spagna con il c.d. recurso de amparo (artt. 53 e 161-162 Cost. Spagna 1978) o in Germania con la c.d. Verfassungsbeschwerde (art. 93-94 Legge fondamentale Germania 1949), non è prevista la possibilità di un ricorso diretto al giudice costituzionale da parte dei cittadini per la lesione di un diritto costituzionalmente garantito (Diritti costituzionali).
La più importante funzione della Corte costituzionale rimane comunque il giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi: oggetto del suo sindacato non sono solo le leggi (statali e regionali; Legge), ma anche gli atti dello Stato aventi forza di legge e cioè, con qualche contrasto dottrinario, il decreto legislativo di cui all’art. 76 Cost. e il decreto-legge di cui all’art. 77 Cost. A tale elenco la giurisprudenza costituzionale ha aggiunto anche le leggi di revisione costituzionale e le «altre leggi costituzionali» ex art. 138 Cost.: in questo caso, però, il vizio che viene fatto valere non è la contrarietà alle disposizioni costituzionali, ma la contrarietà ai soli principi supremi dell’ordinamento costituzionale e diritti inviolabili della persona umana, che costituiscono limiti invalicabili per la stesso legislatore costituzionale. Sono invece esclusi i regolamenti governativi, in quanto fonti non primarie (Fonti del diritto), anche se una parte minoritaria della dottrina ritiene sindacabili alcune tipologie di essi (ad esempio, quelli espressione della c.d. delegificazione). Sono stati esclusi, infine, anche i regolamenti parlamentari, perché, pur avendo rango di fonte primaria, una loro sottoposizione al controllo della Corte costituzionale avrebbe finito con il ledere le garanzie di indipendenza da ogni altro potere dell’organo costituzionale Parlamento.
Le modalità di accesso alla Corte costituzionale. - Due sono le modalità di accesso alla Corte costituzionale: il giudizio in via incidentale e il giudizio in via principale o diretta. Il primo, non previsto direttamente nel testo costituzionale ma adottato con la l. cost. n. 1/1948, è il modo di accesso generale alla Corte costituzionale e presuppone – seppur con varie oscillazioni della stessa giurisprudenza costituzionale – lo svolgimento di un processo (c.d. requisito oggettivo) davanti a un qualsiasi giudice (c.d. requisito soggettivo). Se, nel corso di questo processo, le parti o il giudice stesso d’ufficio dubitano della legittimità costituzionale di una disposizione o di una norma (Disposizione e norma. Diritto costituzionale) di una delle fonti del diritto sopra elencate, il giudice c.d. a quo, verificato che la questione proposta sia rilevante (cioè necessaria ai fini della decisione, anche in questo caso con qualche oscillazione giurisprudenziale) e non manifestamente infondata (cioè dotata di un minimo di fondamento), sospende il processo e investe, con un’ordinanza motivata, la Corte costituzionale. Va poi detto che lo stesso giudice costituzionale, a partire dall’ultimo decennio del Novecento, richiede al giudice a quo l’ulteriore dimostrazione che non possa essere fornita un’interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione impugnata, in base all’assunto – oggetto di discussione da parte della dottrina – per cui dev’essere dichiarata costituzionalmente illegittima una norma o una disposizione non perché se ne può dare un’interpretazione incostituzionale, ma perché non se ne può dare un’interpretazione conforme alla Costituzione.
Per quanto riguarda il giudizio in via principale, esso può essere promosso quando il Governo ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione o quando una Regione ritenga che una legge o un atto aventi forza di legge dello Stato (o una legge di un’altra Regione) leda la sua sfera di competenza (art. 127 Cost.; l. cost. n. 1/1948; l. n. 87/1953). Quindi, i soggetti legittimati a promuovere un giudizio in via principale sono gli stessi soggetti legittimati a sollevare un conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni, avendo però ad oggetto un atto legislativo. Il «nuovo» art. 127 Cost. ha eliminato l’asimmetria procedimentale che caratterizzava il sistema precedente, per cui, prima della l. cost. n. 3/2001, vi era un sindacato preventivo sulle fonti regionali e uno successivo su quelle statali; attualmente, dunque, l’unica forma di controllo preventivo riguarda gli statuti regionali. Residua sempre, però, un’asimmetria sostanziale in ordine ai vizi che possono essere fatti valere, rispettivamente, dallo Stato nei confronti delle Regioni e dalle Regioni nei confronti dello Stato: le leggi regionali possono essere impugnate dallo Stato per ogni vizio di legittimità, mentre le leggi statali possono essere impugnate dalle Regioni solo se ledano la loro sfera di competenza.
Le decisioni della Corte costituzionale. - Per quanto riguarda le decisioni adottate dalla Corte costituzionale, esse possono avere la forma dell’ordinanza o della sentenza. La Corte costituzionale adotta una sentenza quando giudica in via definitiva, mentre utilizza un’ordinanza per tutti gli altri provvedimenti di sua competenza (l. n. 87/1953). Le sentenze possono essere, oltre che di inammissibilità, di accoglimento o di rigetto: in particolare, con quelle di accoglimento la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale della disposizione o della norma impugnata, mentre con quelle di rigetto dichiara infondate le questioni sottoposte. Le sentenze di accoglimento hanno efficacia erga omnes e producono effetti retroattivi assimilabili a quelli dell’annullamento, mentre le sentenze di rigetto, pur con qualche contrasto dottrinario, hanno efficacia soltanto inter partes, producendo effetti giuridici vincolanti soltanto per il giudizio a quo. Va segnalato che la Corte costituzionale, nel corso degli anni, ha sviluppato un’ampia serie di tipologie di sentenze (manipolative, additive, additive di principio, di incostituzionalità sopravvenuta, di indirizzo e monito ecc.), superando la tradizionale dicotomia tra sentenze di accoglimento e sentenze di rigetto: tra queste nuove tipologie spiccano per importanza le c.d. sentenze interpretative, siano esse di accoglimento o di rigetto, le quali presuppongono la distinzione teorica tra disposizione e norma.
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