Autorità che ha la competenza di emettere giudizi su questioni particolari.
Organo dello Stato che impersona la funzione giurisdizionale di applicazione delle norme giuridiche ai casi concreti attraverso un provvedimento singolare e concreto. È un soggetto processuale che, all’interno della dinamica del processo riveste, rispetto agli altri soggetti, una posizione di terzietà e imparzialità, mentre, rispetto agli altri poteri dello Stato, si caratterizza per l’autonomia e l’indipendenza in quanto, come si evince dall’art. 101 della Costituzione, è sottoposto soltanto alla legge.
Si suole distinguere tra g. ordinari e g. speciali. Sono organi giudiziari ordinari quelli aventi una competenza generale a giudicare tutte le persone e composti dai magistrati ordinari, cioè che fanno parte dell’ordinamento giudiziario e che godono delle garanzie di inamovibilità tutelate dalla Costituzione (art. 108). Sono organi giudiziari speciali quelli competenti a giudicare soltanto determinate persone e che sono composti da magistrati speciali, non appartenenti cioè all’ordinamento giudiziario.
La Costituzione, al fine di porre il g. in una posizione di effettiva terzietà, ha eretto la magistratura in «ordine autonomo e indipendente» dagli altri poteri dello Stato (indipendenza esterna, art. 104). La libertà di giudizio del g. viene assicurata anche attraverso la sua indipendenza interna dagli altri magistrati che sono «inamovibili» e che si distinguono solo per «diversità di funzioni», non sussistendo tra loro un rapporto di tipo gerarchico (art. 107). L’indipendenza esterna della magistratura viene garantita dal Consiglio superiore della magistratura. Inoltre, secondo quanto stabilito dalla Costituzione, i g.: amministrano la giustizia «in nome del popolo» e sono «soggetti soltanto alla legge» (art. 101); hanno il monopolio della funzione giurisdizionale che può essere esercitata soltanto «da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario», essendo vietata l’istituzione di g. straordinari o speciali (art. 102). Ugualmente finalizzato a garantire la terzietà del g. è il principio della sua precostituzione e naturalità (art. 25), in base al quale l’individuazione del soggetto giudicante viene effettuata dalla legge secondo le regole di competenza e di giurisdizione, stabilite dalla legge antecedentemente all’insorgenza della lite.
Diretti a garantire la posizione di equidistanza del g. rispetto alle parti e l’imparzialità del giudizio sono gli istituti dell’astensione e della ricusazione (➔). Parimenti tendente a garantire l’imparzialità del g. è la disciplina della responsabilità dei g., di cui alla l. 117/1988, secondo la quale: ha diritto al risarcimento del danno il cittadino, che ha subito un danno ingiusto in conseguenza di un comportamento commesso con dolo o colpa grave del g., o per diniego di giustizia (rifiuto, omissione o ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio). L’azione relativa alla responsabilità del g. (esperibile solo dopo l’infruttuoso esaurimento dei mezzi ordinari di impugnazione dell’atto lesivo) è diretta contro lo Stato, il quale potrà successivamente esercitare un’azione di rivalsa contro il magistrato responsabile dell’illecito.
Soggetto pubblico chiamato a esercitare la funzione giurisdizionale civile, ossia quell’attività consistente generalmente nella tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi o status (art. 2907 c.c.). La giurisdizione civile è attività strumentale e sostitutiva, avendo per scopo l’attuazione dei diritti soggettivi quando questi ultimi non sono spontaneamente soddisfatti. La giurisdizione civile si distingue in: attività di cognizione, destinata a concludersi con un atto di accertamento (dotato dell’efficacia di giudicato) del diritto fatto valere; attività di esecuzione forzata, attraverso la quale si tende all’attuazione pratica e materiale dei diritti; attività cautelare, diretta a eliminare il pregiudizio derivante dalla durata del processo. L’attività giurisdizionale «si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge», ossia quel processo che «si svolge nel contraddittorio tra le parti, in posizione di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale» (art. 111 Cost.). L’essenza della funzione giurisdizionale risiede, pertanto, nella presenza di un g. che compie, in contraddittorio, un giudizio imparziale e indipendente da ogni condizionamento esterno.
Conseguentemente alla proposizione della domanda giudiziale e in presenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione, il g. ha il dovere di compiere tutti gli atti del processo e di emanare la sentenza di merito, con la quale egli decide la fondatezza della domanda di tutela del diritto dedotto. Secondo il principio della ‘corrispondenza tra chiesto e pronunciato’, il g. deve decidere su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e può rilevare d’ufficio solo alcune eccezioni (art. 112 c.p.c.), avendo le parti il monopolio dell’oggetto del processo e dei fatti da porre a fondamento della domanda proposta. Il g. è, invece, libero di individuare e applicare le norme di diritto relative alla controversia deferitagli (principio iura novit curia). Per pronunciare la decisione, il g. deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli abbia conferito il potere di decidere secondo equità (art. 113). Se la causa riguarda diritti disponibili, il g. di primo grado e di appello decide la lite secondo equità quando sussiste in tal senso la concorde richiesta delle parti (art. 114). In base al principio dispositivo (art. 115), il g. deve porre a fondamento della decisione solo le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, salvi i casi in cui la legge ammette che il g. stesso possa disporre d’ufficio l’ammissione dei mezzi di prova (come l’interrogatorio libero delle parti, l’ispezione di cose e persone o per le controversie di lavoro). Salvo che la legge disponga altrimenti, la valutazione delle prove viene compiuta dal g. secondo il suo prudente apprezzamento (art. 116). Secondo quanto prescritto dalla legge, il g. decide emanando una sentenza, un’ordinanza o un decreto (art. 131 seg.).
I soggetti che, secondo le regole di competenza, decidono le cause civili sono: il g. di pace (unipersonale), il tribunale (che secondo il tipo di lite decide in composizione monocratica o collegiale, art. 50 bis), la Corte d’appello e la Corte di Cassazione (che statuiscono sempre in formazione collegiale).
Il g. onorario è una funzione introdotta nel secondo dopoguerra dal ministro della Giustizia P. Togliatti che, considerando il notevole vuoto organico e per evitare le lungaggini di un concorso, reclutò i magistrati senza concorso tra i laureati in legge con il massimo dei voti e i vicepretori onorari. La Costituzione italiana ha codificato poi le cariche onorarie dei giudici, già previste negli ordinamenti giudiziari postunitari, stabilendo (art. 106, co. 2) che l’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite ai giudici singoli. Lo scopo è ammettere la partecipazione dei cittadini all’amministrazione della giustizia, ma anche ridurre il carico di lavoro incombente sui g. togati, mediante l’attribuzione di specifiche competenze ai g. onorari. Nel vigente ordinamento giudiziario godono della qualifica di g. onorario, oltre il g. di pace, il g. onorario di tribunale e il viceprocuratore.
Il g. di pace è una tipica figura di g. onorario, istituita definitivamente con la l. 274/2000. È dotato di competenza di primo grado, sia civile sia penale, in materie di minore valore economico o allarme sociale, con sede in tutti i capoluoghi dei vecchi mandamenti di pretura. In ragione di questa competenza ‘minore’ il procedimento davanti al g. di pace risulta semplificato rispetto a quello davanti al tribunale (per es., grazie alla limitata impugnabilità delle sentenze). Possono ricoprire il ruolo di g. di pace, con mandato temporaneo (4 anni), ma prorogabile, soggetti reclutati dal Consiglio superiore della magistratura e dotati dei requisiti previsti dalla legge istitutiva (per es., laurea in giurisprudenza ed età non inferiore a 30 e non superiore a 70 anni), tra cui quello generale della «capacità di assolvere degnamente, per indipendenza, equilibrio e prestigio acquisito e per esperienza giuridica e culturale, le funzioni di magistrato onorario» (art. 4 bis, l. 374/1991).
I viceprocuratori onorari rappresentano l’organico del pubblico ministero del g. di pace nella funzione penale e intervengono come pubblici ministeri di tribunale nei processi per direttissima.
Provvede, nei casi previsti dalla legge, sulle richieste del pubblico ministero e della persona offesa dal reato. Esemplificativi in tal senso sono il controllo della durata delle indagini preliminari, con decisione sull’eventuale richiesta di proroga; l’applicazione, la revoca, la modifica o la proroga, su istanza del pubblico ministero o dell’indagato, delle misure cautelari che incidono sulla libertà o sul patrimonio della persona indagata; la decisione sulla convalida degli arresti in flagranza o dei fermi operati dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero. Il GIP esplica pertanto una funzione di garanzia della libertà personale e di controllo della legittimità dell’attività dell’accusa. Se, infatti, il pubblico ministero è titolare esclusivo dell’azione penale e delle indagini preliminari che la sottendono, il legislatore ha previsto anche in tale fase la possibilità per ogni parte del processo di fare ricorso a un organo giurisdizionale terzo e imparziale.
Magistrato competente per la fase dell’udienza preliminare. Tale udienza ha la duplice funzione di assicurare che un g. controlli la legittimità e il merito della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero e di valutare la possibilità di accogliere la richiesta di giudizio abbreviato o di patteggiamento. Il GUP è tratto dall’unico ufficio dei giudici per le indagini preliminari. Con l’entrata in vigore della l. 234/1999, le due qualifiche di GIP e GUP non possono essere ricoperte dal medesimo magistrato nel medesimo processo.
Gran g. Denominazione (fr. grand juge) adoperata in Francia durante l’impero di Napoleone I (1804-14) per indicare il ministro della Giustizia.
Nella Sardegna medievale, il governatore (detto anche ‘re’) di un giudicato (detto anche ‘regno’). G. della monarchia sicula Magistratura creata da Filippo II di Spagna nel 1579 per esercitare i poteri derivanti dalla Legazia apostolica. Abolita nel 1715 da Clemente XI, fu ricosti
tuita, sotto il nome di Tribunale della regia monarchia e apostolica legazione, nel 1728 da Benedetto XIII e soppressa definitivamente nel 1864 da Pio IX.
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L’ultima pronuncia della Corte di Giustizia sul contratto a termine: la sentenza Angelidaki del 23 aprile 2009 (cause da C-378/07 a C-380/07) di Silvia Lucantoni