Affare giudiziario su cui è stata pronunciata sentenza non più impugnabile nei modi ordinari.
Nel processo civile, la sentenza non più assoggettabile ai mezzi ordinari di impugnazione individuati dall’art. 324 c.p.c. (regolamento di competenza, appello, ricorso per cassazione e revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4 e 5) si intende passata in cosa giudicata formale. L’istituto disciplina la stabilità formale della sentenza ed esprime, in particolare, il più elevato grado di stabilità che l’ordinamento riconosce alla sentenza, sia pure senza giungere all’assoluta immutabilità dello stesso, come chiaramente si evince dalla possibilità, per le parti ovvero per taluni terzi, di esperire le impugnazioni straordinarie (➔ impugnazione; revocazione; opposizione di terzo). Il fenomeno del g. formale interessa tutte le sentenze del giudice, sia quelle che decidono la domanda nel merito, sia quelle di rito, con le quali il giudice decide sull’esistenza o meno di un vizio di natura processuale. Contestualmente alla formazione del g. formale, le sentenze che decidono il merito della controversia divengono idonee a produrre l’effetto di accertamento definitivo descritto dall’art. 2909 c.c., ossia fanno stato a ogni effetto tra le parti i loro eredi e aventi causa (➔ cosa).
Particolarmente controverso è se le sentenze della Corte di Cassazione passino in g. formale già al momento della pubblicazione ovvero solo a seguito della decorrenza del termine di impugnazione; in ogni caso, il problema sorge con esclusivo riferimento all’esegesi dell’art. 391 bis c.p.c. – relativo alla esperibilità del giudizio revocatorio per errore di fatto (art. 395, n. 4, c.p.c.) – laddove il successivo art. 391 ter c.p.c. non è rilevante in quanto relativo alle sole impugnazioni straordinarie.
Contenuto di una sentenza o di un decreto penale di condanna divenuto irrevocabile. Si distingue tra g. formale e g. sostanziale, indicando con la prima espressione le sentenze divenute irrevocabili perché sono stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione, con la seconda le sentenze irrevocabili contenenti un accertamento nel merito, ossia una decisione di innocenza o di colpevolezza. Esempi di quest’ultima ipotesi sono le sentenze dibattimentali di condanna o di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non l’ha commesso, o perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, o perché il reato è stato commesso da persona non imputabile o comunque non punibile per altro motivo.
Nel linguaggio comune si usa l’espressione passaggio in g. per indicare la definitività e la non modificabilità del provvedimento giudiziario per i motivi di cui sopra. A norma dell’art. 648 c.p.p. sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione. Se l’impugnazione è ammessa, la sentenza è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporla o quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile. Se vi è stato ricorso per cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso. Il decreto penale di condanna è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile.
Uno dei principali effetti del g. è il ne bis in idem, ossia il divieto di celebrare nuovamente un processo sul medesimo fatto, già oggetto di una decisione irrevocabile, nei confronti di un medesimo imputato già prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili. È considerato medesimo anche il fatto diversamente valutato per il titolo (nome del reato), per il grado (insieme di tutti quegli elementi che senza mutare il titolo del reato ne determinano una maggiore o minore gravità) o per le circostanze (elementi di fatto di carattere oggettivo o soggettivo incidenti sulla gravità del reato). Tale principio investe qualsiasi sentenza irrevocabile, anche quelle meramente processuali, quali le sentenze dibattimentali di non doversi procedere perché l’azione penale non avrebbe dovuto essere iniziata o proseguita; mentre è irrilevante rispetto alle sentenze di non luogo a procedere emesse in sede di udienza preliminare che non diventano irrevocabili, ma assumono forza esecutiva quando non sono più soggette a impugnazioni (art. 650 c.p.p.), e rispetto alle sentenze che possono essere revocate in presenza di determinati presupposti. L’art. 649 c.p.p. esclude altresì l’effetto preclusivo del ne bis in idem nelle ipotesi di sentenza irrevocabile di proscioglimento che abbia dichiarato erroneamente la morte dell’imputato e di sentenza irrevocabile di proscioglimento che abbia stabilito di non doversi procedere per mancanza di una condizione di procedibilità.
Il can. 1641 stabilisce che il passaggio in g. di una pronunzia si verifica: a) in presenza di una duplice sentenza conforme emessa fra le stesse parti e sulla base di un medesimo petitum e di una medesima causa petendi (can. 1504 e can. 1513); b) quando l’appello non risulta presentato nei termini; c) quando, pur risultando tempestivo, l’appello cade in perenzione o è fatto oggetto di una rinunzia; d) quando si tratti di sentenze definitive e per le quali non è ammesso appello, a norma del can. 1629. Il g. presenta in diritto canonico alcune peculiarità: in primo luogo il più ampio spazio concesso alle istanze di nullità (insanabile) e, per conseguenza, alla esclusione dell’autorità di cosa giudicata per le sentenze a esse soggette; in secondo luogo, l’esclusione del passaggio in cosa giudicata di una serie di sentenze, emesse nelle cause in materia di stato delle persone; in terzo luogo, la previsione di una ipotesi di ritrattazione, sia pure attraverso la procedura di restitutio in integrum, delle cause concluse con sentenza passata in cosa giudicata, quando consti della evidente ingiustizia di tale pronunzia per errata interpretazione (o applicazione) delle norme sostantive (nel caso concreto).
Approfondimento:
La sentenza “Olimpiclub” della Corte di Giustizia e la stabilità del giudicato di Francesco Fradeani