Situazione di invalidità del negozio giuridico, determinata da un vizio che rende il negozio stesso inidoneo a produrre i suoi effetti e quindi inefficace (art. 1418-24 c.c.). I vizi dai quali è determinata la n. sono: a) la contrarietà a norme imperative; b) la mancanza di uno dei requisiti essenziali (accordo delle parti, causa, oggetto, forma quando è prescritta); c) la illiceità della causa; d) la mancanza nell’oggetto dei requisiti di possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità. Il negozio è altresì nullo in tutti quei casi in cui la n. sia stabilita direttamente dalla legge: si parla, in questi casi, di n. testuali; laddove, invece, la n. non sia espressamente prevista, ma sia ricavabile dall’interprete, si parla di n. virtuali. La n. è in genere assoluta, per cui è insanabile, può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice. Si parla invece di n. relativa se può essere fatta valere solo da alcuni soggetti (per es., nel caso previsto dall’art. 134 del Codice del consumo). La n. può colpire tutto il negozio ovvero soltanto una parte di esso: si parla in questo caso di n. parziale, che provoca la n. dell’intero negozio solo se risulta che le parti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto. La n. di singole clausole non importa la n. del negozio quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative; inoltre, nel negozio con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, la n. che colpisce il vincolo di una delle parti non importa n. del negozio, salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale. Il negozio nullo non può produrre i suoi effetti, ma, a differenza del negozio inesistente, può comunque essere rilevante per il diritto: per es., può essere soggetto a conversione (art. 1424 c.c.) o a conferma (art. 590 e 799 c.c.). L’azione per far dichiarare la n. è imprescrittibile, salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione.
La n. costituisce il tipico regime di invalidità degli atti del processo civile. L’atto processuale, però, pur se affetto da un vizio di n., produce comunque i suoi effetti sino a quando il giudice non dichiari la n. dell’atto stesso.
La n. processuale, quindi, sotto questo profilo, appare radicalmente diversa dalla n. sostanziale. Il giudice civile deve dichiarare la n. quando l’atto manca dei requisiti formali richiesti dalla legge a pena di n., o quando un certo requisito formale mancante risulta indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto. Tuttavia, la n. non può essere pronunciata se l’atto, pur mancante del requisito richiesto, ha in concreto raggiunto lo scopo a cui è destinato (art. 156, c.p.c.). Per regola generale spetta alla parte nel cui interesse la n. è stabilita rilevarla nella prima istanza, o difesa, successiva all’atto o alla notizia di esso, sempre che non vi abbia dato causa o non vi abbia rinunciato anche tacitamente (n. relative; art. 157 c.p.c.). Nei casi espressamente previsti dalla legge la n. può essere rilevata anche d’ufficio da parte del giudice (n. assolute). Stando alla lettera della legge, danno luogo a n. rilevabili d’ufficio i vizi relativi alla costituzione del giudice o all’intervento del pubblico ministero (art. 158 c.p.c.). Se la n. colpisce solo una parte dell’atto, questa non si estende alle parti che ne siano indipendenti; inoltre, se il vizio impedisce un determinato effetto, l’atto può tuttavia produrre gli altri effetti a cui è idoneo. Particolarmente rilevante è poi il principio secondo cui la n. di un atto non si estende agli atti anteriori, ma si estende agli atti successivi e dipendenti, sicché la sentenza stessa, contenente la decisione finale, potrà essere dichiarata nulla in ragione della n. degli atti anteriori da cui dipende (art. 159, 1° co., c.p.c.). La n. della sentenza soggetta ad appello o a ricorso in cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole di tali mezzi di impugnazione (cosiddetto principio di assorbimento o di conversione dei vizi di nullità in motivi di gravame; art. 161, 1° co., c.p.c.). Se ciò non avviene la n. viene sanata. L’unica eccezione a questo principio si realizza quando la sentenza manchi della sottoscrizione del giudice, ovvero sia inesistente (art. 161, 2° co., c.p.c.). Nell’ipotesi in cui il giudice dichiari la n., questi deve, per quanto possibile, disporre la rinnovazione dell’atto viziato e degli atti a cui la n. si estende (art. 162 c.p.c.).
Prevista e disciplinata dagli art. 177-86 c.p.p., la n. è un vizio che colpisce l’atto del procedimento che sia stato compiuto senza l’osservanza di determinate disposizioni stabilite espressamente dalla legge appunto a pena di nullità. L’art. 177 c.p.p. prevede espressamente il principio di tassatività in base al quale «l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di n. soltanto nei casi previsti dalla legge». Da ciò deriva che non è possibile applicare la n. in via analogica. Sulla base delle modalità di previsione, le n. si differenziano in primo luogo tra speciali e generali. Le prime sono quelle previste per una determinata inosservanza precisata da una norma specifica (per es., l’inosservanza relativa alla lingua degli atti del procedimento ex art. 109, co. 3, c.p.p.); le seconde, invece si riferiscono ad ampie categorie di inosservanza e sono indicate nell’art. 178 c.p.p.
Per quanto riguarda il regime giuridico, le n. si distinguono invece in tre tipi: assolute, intermedie e relative. Sono colpite da n. assoluta le inosservanze più gravi che sono previste dall’art. 179 e riguardano i soggetti necessari del procedimento penale. Tali n. sono rilevabili sia d’ufficio sia su istanza di parte in ogni stato e grado del procedimento e, inoltre, sono insanabili, salvo l’irrevocabilità della sentenza. Rientrano in questa categoria, per es., le violazioni delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice o il numero di giudici necessario per costituire i collegi. Sono invece colpite da n. intermedia le inosservanze di media gravità che sono disciplinate nell’art. 180 c.p.p. e che riguardano una sfera più ampia di soggetti. Esse sono rilevabili sia d’ufficio sia su domanda di parte, ma entro determinati limiti di tempo e sono sanabili. Queste concernono, a titolo esemplificativo, l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altri parti private o la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante. Nel concetto di intervento è ricompresa la difesa personale: pertanto dà luogo a n. intermedia l’aver omesso l’informazione di garanzia (art. 369 c.p.p.) nei confronti dell’indagato. Le n. relative sono infine residuali rispetto alle due categorie precedenti. Sono dichiarate solo su eccezione di parte ed entro brevi limiti di tempo; anche queste sono sanabili. Un esempio paradigmatico è l’omessa notifica alla persona offesa e al suo difensore.
I termini per rilevare o eccepire le n. sono stabiliti a pena di decadenza. Il codice prevede il cosiddetto limite di deducibilità consistente in un difetto di legittimazione della parte. In particolare, le n. intermedie e quelle relative non possono essere eccepite da colui che vi ha concorso a darvi causa o da chi non ha interesse all’osservanza della disposizione violata (art. 18, comma 1, c.p.p.). Inoltre, quando la parte assiste a un atto, la n. dello stesso deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se non è possibile, immediatamente dopo. Il giudice dichiara la n. di un atto quando, nel caso concreto, non vi sono limiti di deducibilità, né si sono verificate sanatorie. Ai sensi dell’art. 185 c.p.p. la n. di un atto rende invalidi anche gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo. L’estensione della n. tocca pertanto soltanto gli atti che, oltre a essere temporalmente successivi, siano anche dipendenti in senso logico-giuridico, dall’atto viziato. Sempre in base all’art. 185, il giudice che dichiara la n. di un atto, ne dispone la rinnovazione, qualora sia necessaria e possibile, ponendo le spese a carico di chi ha dato causa alla n. stessa per dolo o colpa grave.
Nel Cod. iur. can., can. 124-27, si stabiliscono con precisione le condizioni perché un atto giuridico sia valido: che sia posto da una persona giuridicamente capace e che in esso ci sia ciò che costituisce essenzialmente l’atto stesso, come pure le formalità e i requisiti imposti dal diritto. Se manca uno di questi elementi l’atto è nullo. Sono previste perciò cause per la dichiarazione di n. del matrimonio, come pure per la dichiarazione di n. della sacra ordinazione (Cod. iur. can., can. 1671-1712).
Grado di n. Nella teoria delle matrici, denominazione introdotta da J.J. Sylvester per indicare la differenza tra ordine e caratteristica di una matrice. Per es., una matrice quadrata di ordine n avente determinante non nullo ha grado di n. zero; al contrario, se essa ha tutti gli elementi nulli, cioè è la matrice nulla, il suo grado di n. è n. Se si considera poi il prodotto AB di due matrici quadrate A, B di ordine n, il teorema di n. di Sylvester asserisce che la n. di AB da un lato non supera la somma delle n. dei due fattori e dall’altro non è inferiore né alla n. di A, né a quella di B. La n. di una matrice quadrata A ha un interessante significato geometrico in relazione alle trasformazioni lineari tra spazi vettoriali. Precisamente, se A si pensa come matrice di una trasformazione lineare T tra uno spazio vettoriale V e uno spazio vettoriale W, l’uno e l’altro di dimensione n, la n. di A rappresenta la dimensione del sottospazio di V ai vettori del quale corrisponde il vettore nullo di W (in altre parole la n. di A dà la dimensione del sottospazio di W che viene ‘distrutto’ dalla trasformazione lineare T associata alla matrice A).
Lo status giuridico di consumatore: caratteristiche e singole accezioni di Emilio Graziuso
Vecchi e nuovi limiti all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro di Silvia Lucantoni
Il divieto di patti successori nella più recente giurisprudenza di merito di Dario Farace
La causa del contratto tra “funzione economico-sociale” e “sintesi degli interessi individuali delle parti” di Alessandro Galati
L’ultima pronuncia della Corte di Giustizia sul contratto a termine: la sentenza Angelidaki del 23 aprile 2009 (cause da C-378/07 a C-380/07) di Silvia Lucantoni