C. e qualifiche professionali Sistema di classificazione volto a identificare e raggruppare i vari profili professionali, in modo da delineare il regime giuridico ed economico cui è sottoposto il prestatore d’opera nell’ambito del rapporto di lavoro. È possibile distinguere le c. di fonte legale da quelle ‘convenzionali’ (cosiddette contrattuali). Le prime sono le quattro figure individuate dall’art. 2095 c.c.: dirigenti, quadri, impiegati e operai (lo stesso articolo rinvia alle leggi speciali e ai contratti collettivi per l’esatta determinazione dei requisiti di appartenenza alle c. stesse). Le seconde sono quelle introdotte dalla contrattazione collettiva e comprendono, in aggiunta alle c. legali, le figure dei funzionari (nei settori del credito e delle assicurazioni) e degli intermedi (per gli operai che raggiungono posizioni apicali della rispettiva c.).
Dalla contrattazione collettiva è inoltre scaturito un sistema di classificazione professionale non più fondato sulla rigida separazione tra operai e impiegati. Tale sistema, detto inquadramento unico, si fonda su una pluralità di livelli professionali, comuni alle c. degli impiegati e degli operai, ordinati su un’unica scala. L’appartenenza a un determinato livello professionale viene stabilita in base alle declaratorie, che definiscono l’attività prestata, e in base alle esemplificazioni dei diversi profili professionali specifici. Mediante la qualifica si individua invece lo status professionale del lavoratore, il tipo e il livello della figura professionale, al fine di determinarne il trattamento economico, previdenziale e normativo che gli spetta. Individuando la posizione che deve ricoprire il lavoratore nell’organizzazione aziendale, la qualifica precisa inoltre i diritti e i doveri inerenti al rapporto di lavoro.
La determinazione delle qualifiche del personale spetta al datore di lavoro. Le qualifiche devono essere distribuite per gradi, entro le varie c. di dipendenti, in modo che sia prestabilito il loro ordinamento gerarchico all’interno dell’impresa, anche ai fini del corretto rispetto da parte del lavoratore delle direttive a lui impartite nell’ambito della sua prestazione d’opera (art. 96 disp. att. c.c.).
Nel suo significato originario, con cui essa si presenta principalmente nella dottrina aristotelica, la c. è essenzialmente l’enunciazione di un certo predicato in relazione a un certo soggetto, e più propriamente il predicato stesso, considerato nella sua più generale funzione e nei principali aspetti che può assumere. Così la dottrina aristotelica delle c. diventa una dottrina dei sommi predicabili, cioè dei concetti più generali sotto cui è dato assumere ogni realtà. Certo è, comunque, che le c., in quanto esprimono tutti i modi in cui si può rispondere alla domanda socratico-platonica «che cosa è?», vengono a coincidere con la molteplicità dei significati della parola ‘essere’: dottrina di capitale importanza, con cui Aristotele perviene alla conclusiva dissoluzione della problematica dell’univoco essere della tradizione eleatica. In questo senso, la dottrina delle c. è dottrina tanto logica quanto metafisica.
Completamente diversa è invece la dottrina moderna delle c., che, svolta in primo luogo da I. Kant, passa ai pensatori dell’idealismo romantico e parzialmente sopravvive anche nel pensiero contemporaneo. Per Kant, la c. è la forma a priori dell’intelletto, che questo impone alla realtà pensandola e giudicandola: come categorie si presentano così, in Kant, le stesse forme in cui la logica classica distingueva i giudizi, ma interpretate come funzioni attive del pensiero, ordinatrici della realtà fenomenica. Alla concezione kantiana si riconnette E. Husserl, per il quale la c. designa il concetto con cui viene definita una regione dell’essere; a quella classica invece si rifanno l’esistenzialismo di M. Heidegger, per il quale le c. sono determinazioni dell’essere delle cose, e il realismo di N. Hartmann, per il quale le c. sono determinazioni dell’essere in sé.
C. sintattica Classe di segni di un certo linguaggio che possono essere interscambiati in una data espressione sintatticamente corretta (e quindi sensata), senza renderla sintatticamente scorretta, pur potendo alterarne il valore di verità. I nomi propri, per es., appartengono tutti a una stessa c. sintattica: se nell’enunciato «Carlo studia» si sostituisce il nome proprio «Carlo» con «Mario» si ottiene «Mario studia», che può essere falso, ma è sintatticamente corretto. Una prima distinzione tra le c. sintattiche è quella tra ‘funtori’ e ‘argomenti’. Tra i funtori si annoverano i connettivi e i quantificatori, tra gli argomenti i nomi propri e gli enunciati.
Sono detti categoriali i simboli che servono a rappresentare una determinata c. di elementi; i più comuni sono: SN = sintagma nominale, SV = sintagma verbale, N = nome, V = verbo, Art = articolo.
Nozione che unifica e generalizza situazioni che si presentano in algebra, topologia, teoria degli insiemi ecc. Una c. è data quando siano fissate due classi di enti matematici, la classe O e la classe M, soddisfacenti ai seguenti requisiti: 1) la classe O è arbitraria, e i suoi elementi si dicono gli ‘oggetti’ della c.; 2) a ognuno degli elementi della classe M (che si dicono ‘morfismi’ o ‘mappe’ della c.), corrisponde una coppia di elementi di O, detti oggetto iniziale e oggetto terminale della mappa, essendo tali oggetti univocamente determinati dalla mappa fissata; 3) per gli elementi della classe M è definita un’operazione algebrica analoga alla classica composizione di funzioni o di corrispondenze, cioè una sorta di moltiplicazione associativa. Alcuni esempi di c. sono i seguenti: a) la classe di tutti gli insiemi (O) e le loro applicazioni, o funzioni (M); b) la classe degli spazi topologici (O) e le loro applicazioni continue (M); c) la classe dei gruppi (O) e i loro omomorfismi (M). La nozione di c. insieme all’altra importante nozione di funtore sono alla base dell’algebra omologica (➔ omologica, algebra).