In senso lato, qualsiasi esplicazione di energia volta a un fine determinato. In senso più ristretto, attività umana rivolta alla produzione di un bene, di una ricchezza, o comunque a ottenere un prodotto di utilità individuale o generale.
Il l. dell’uomo è preso in considerazione dall’ordinamento giuridico, ed è da questo regolato, in quanto idoneo a produrre un risultato economicamente utile, e quindi, a essere oggetto di un’obbligazione (art. 1174 e 1321 c.c.).
Alla persona che presta il l. la Repubblica italiana riconosce e garantisce diritti inviolabili, anche e soprattutto nella dimensione lavorativa (art. 2 Cost.). Il l. è considerato valore fondativo della Repubblica (art. 1 Cost.), nonché status attraverso il quale si realizza la partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3, co. 2, Cost.). La carta costituzionale riconosce inoltre nel l. un «diritto», da un lato, e un «dovere», dall’altro; la Repubblica si impegna, infatti, a promuovere le condizioni di effettività del «diritto al l.», che riconosce a tutti i cittadini (art. 4, co. 1, Cost.), ma al contempo, cristallizza il l. come un «dovere», di scegliere e svolgere un’attività o una funzione, concorrendo così al progresso materiale e spirituale della società secondo le proprie possibilità (art. 4, co. 2, Cost.). La Costituzione contiene altresì un gruppo di norme, collocate nel titolo III, dei rapporti economici, concernenti la disciplina di interessi ed esigenze dei lavoratori ritenuti di particolare rilevanza. L’art. 35 attribuisce alla Repubblica il compito di tutelare il l. in tutte le sue forme e applicazioni, di curare la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori, di promuovere gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. L’art. 36 stabilisce una norma di importanza fondamentale nella disciplina lavoristica in genere, fissando i principi di sufficienza e proporzionalità della retribuzione, e riconosce altresì al lavoratore il diritto irrinunciabile al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite. L’art. 37 accorda alle lavoratrici gli stessi diritti dei lavoratori dell’altro sesso – sottolineando anche l’esigenza di far sì che possano attendere alle funzioni famigliari, di mogli e di madri – e rinvia alla legge la fissazione dell’età minima per il l. salariato, nonché il compito di tutelare «il l. dei minori con speciali norme e garantire ad essi, a parità di l., il diritto alla parità di retribuzione». L’art. 38 concerne gli istituti e i diritti all’assistenza e alla previdenza dei cittadini inabili al l. e sprovvisti di mezzi e in particolare dei lavoratori colpiti da eventi che fanno cessare la possibilità di svolgere attività retribuita. Di importanza particolare in materia lavoristica e ancor più sindacale, sono gli art. 39 e 40, che fissano i principi della libertà sindacale e del diritto allo sciopero (➔). La disposizione sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende (art. 46) è di fatto sulla carta, non essendo state mai emanate le leggi che avrebbero dovuto stabilire «i modi» e «i limiti» di tale partecipazione, fatta eccezione per alcuni diritti sindacali in materia di informazione e consultazione (per es., per il trasferimento di azienda e per il licenziamento collettivo), riconosciuti però ai sindacati e non ai lavoratori come la norma costituzionale prescrive.
Nella sua accezione empirica il l. indica ogni attività di impiego di energie fisiche e intellettuali dell’uomo per la produzione o lo scambio di beni e/o servizi. In tale nozione si individuano due profili, tra loro complementari: un aspetto economico, nel quale il l. designa qualsiasi attività psicofisica che comporti dispendio di energie e che sia idonea a soddisfare un bisogno individuale o collettivo mediante la produzione o lo scambio di beni o di servizi; un aspetto giuridico, nel quale il l. (inteso come attività lavorativa) si iscrive all’interno di un rapporto giuridico tra due soggetti, il lavoratore che presta la propria attività lavorativa e il soggetto (datore di l., committente, appaltante ecc.) che si avvantaggia di tale prestazione per la soddisfazione dei propri interessi. Ciò vale per tutte le forme di l., e in particolare per il l. subordinato e per il l. autonomo, in quanto pur nelle diverse configurazioni che il rapporto assume, si è sempre in presenza di una relazione giuridicamente qualificata (come rapporto di l.) e quindi tutelata.
Il codice civile, pur dettando una disciplina sistematica del rapporto di l. negli art. 2096 e seg., non dà indicazione circa l’origine del rapporto e in particolare sulla sua natura, contrattuale o meno. In questo ambiente normativo ha trovato spazio la concezione, di origine tedesca, secondo cui la fonte del rapporto di l. non sarebbe il contratto, bensì l’inserzione di fatto del prestatore nell’impresa, quale comunione di scopo tra datore di l. e lavoratore (cosiddetta teoria istituzionale comunitaria), con superamento della causa di scambio e invocazione, tutt’al più, di un contratto associativo. È tuttavia prevalsa la tesi dell’origine contrattuale del rapporto di l., ritenendosi il contratto imprescindibilmente garanzia di libertà, pienamente compatibile con le limitazioni derivanti dalla disciplina inderogabile e con la regolamentazione della prestazione di fatto, che anzi presuppone espressamente l’esistenza di un contratto sia pure invalido (Corte di cassazione, Sezioni Unite, sent. 4570/17 maggio 1996). La riconduzione del rapporto di l. alla fonte contrattuale permette di inquadrare molti problemi, altrimenti di ardua soluzione, nella disciplina generale del negozio sancita dal codice civile, come avviene, per es., per la formazione dell’accordo (art. 1326 e seg.), per l’interpretazione (art. 1362 e seg.), per la rappresentanza (art. 1387 e seg.), per la simulazione (art. 1414 e seg.), e per l’invalidità (art. 1418 e seg.).
La più moderna dottrina definisce il contratto di l. come un contratto oneroso di scambio a prestazioni corrispettive, nel quale la causa è costituita proprio dallo scambio tra l. e retribuzione secondo un vincolo di reciprocità (do ut facias). Il l. e la retribuzione costituiscono l’oggetto del contratto che deve essere, a pena di nullità del contratto (art. 1418, co. 2, c.c.), possibile, lecito, determinato o determinabile (art. 1346 c.c.). Il contratto si perfeziona con l’accordo delle parti (art. 1325, n. 1, c.c.), che si realizza quando l’accettazione giunge a conoscenza del proponente (art. 1326, co. 1, c.c.). Di solito è il lavoratore ad accettare la proposta del datore di l., normalmente assai scarna, poiché la disciplina del rapporto è quasi integralmente posta dalla legge e dai contratti collettivi. La violazione dell’obbligo di condotta secondo buona fede nelle trattative determina una responsabilità risarcitoria cosiddetta precontrattuale (art. 1337 c.c.) (➔ responsabilità). Il datore di l., già tenuto a far conoscere al lavoratore, al momento dell’assunzione, la categoria e la qualifica assegnategli (art. 96, disposizioni preliminari al codice civile), ha ora anche l’obbligo presidiato da sanzione amministrativa pecuniaria di comunicare per iscritto al lavoratore, entro 30 giorni dall’assunzione, una serie di informazioni relative al rapporto e alla sua disciplina (➔ mansione), in parte anche mediante rinvio al contratto collettivo eventualmente applicato. Tuttavia, la forma del contratto di l. rimane libera proprio perché tale comunicazione scritta costituisce un adempimento successivo e distinto dall’assunzione. Libertà di forma significa che il contratto può essere concluso e modificato anche oralmente o per fatti concludenti. La forma scritta prevista per legge solo per alcuni contratti, clausole o atti, di solito a tutela della posizione del lavoratore, ossia: per l’apposizione del termine al contratto di l., per il contratto di formazione e l., per il contratto di somministrazione, per il patto di prova, per il l. a tempo parziale, per la trasformazione da part-time a full-time, per il patto di non concorrenza. La forma scritta è necessaria altresì se il contratto di l. vuole (dai contraenti) essere certificato (➔ certificazione).
Nell’ordinamento italiano, l’organizzazione amministrativa del l. risiede principalmente nel dicastero ministeriale che – istituito il 15 giugno 1920, insieme al quinto governo Giolitti, e variamente riformato nel corso del Novecento – dal 2008 (l. 244/2007, art. 1, co. 376) ha assunto la denominazione di Ministero del L., della salute e delle politiche sociali. Particolarmente rilevante, con riferimento all’organizzazione amministrativa del l., è il processo di decentramento realizzatosi tra la fine del 20° e l’inizio del 21° secolo. A livello nazionale, l’atto normativo di riferimento è rappresentato dal d. legisl. 469/1997, che ha conferito alle regioni le funzioni e i compiti in materia di collocamento, di servizi per l’impiego e di politiche attive del l., alle province funzioni e compiti in materia di integrazione tra i servizi per l’impiego. Il suddetto decreto ha infatti valorizzato l’idea di un sistema, decentrato a livello territoriale, volto a perseguire l’integrazione tra i servizi per l’impiego, le politiche attive del l. e le politiche formative, configurato in modo da rendere possibili sinergie tra i diversi soggetti, pubblici e privati, anche in funzione dell’ingresso dei privati nei servizi per l’impiego.
L’art. 2094 c.c. definisce il lavoratore subordinato come colui che «si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio l. intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore». L’art. 2104, co. 2, c.c. conferma, con ulteriore forza, che il lavoratore subordinato deve «osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del l. impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende». Da queste disposizione emerge in maniera evidente la caratteristica essenziale del l. subordinato, ossia l’eterodeterminazione dell’attività, intendendosi per tale l’assoggettamento del lavoratore al potere del datore di l. di impartire continue e dettagliate istruzioni per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Va sottolineato come tale assoggettamento sia tollerato dal nostro ordinamento solo in quanto limitato alla prestazione dedotta in contratto, il che vuol dire che si tratta di una dipendenza tecnico-funzionale all’organizzazione dell’impresa a capo della quale c’è l’imprenditore dal quale i collaboratori «dipendono gerarchicamente» (art. 2086 c.c.). Ciò non toglie il fatto che la persona del lavoratore resta comunque fortemente implicata nel rapporto, con tutti i pericoli che ne conseguono, e che aumentano in maniera direttamente proporzionale all’aumentare della disoccupazione. Sulla base di questi presupposti è stato creato l’apparato protettivo del diritto del l. che nella figura del lavoratore subordinato riconosce una debolezza micro-individuale (nel rapporto di l.) e macro-individuale (sul mercato del l.). È quindi evidente come la qualificazione di un rapporto di l. come subordinato sia la ‘chiave esclusiva’ di accesso alle tutele poste dall’ordinamento sia nei confronti del datore di l., sia sul piano previdenziale. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che questa (forse drammatizzata) qualificazione vada ricercata utilizzando il cosiddetto metodo sillogistico, secondo il quale si opera una sussunzione per identità degli elementi della fattispecie concreta agli elementi della fattispecie astratta. In tale sussunzione l’elemento che va ritenuto decisivo, ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato, è senz’altro quello dell’eterodeterminazione della prestazione lavorativa come sopra intesa.
In via sussidiaria, dottrina e giurisprudenza hanno elaborato degli indici ulteriori: l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione, il vincolo di orario, l’esercizio del potere disciplinare, l’esclusività del rapporto, l’intensità della prestazione, l’inerenza di questa al ciclo produttivo, l’alienità dei mezzi di produzione e la retribuzione fissa a tempo senza rischio. È bene sottolineare come tali indici possano essere utilizzati solo in via sussidiaria, in quanto in sé compatibili anche con il l. autonomo, e quindi utili a concorrere solo in via indiziaria alla qualificazione del convincimento del giudice.
Un cenno particolare merita il criterio tradizionale di distinzione tra l. autonomo e subordinato fondato sull’oggetto dell’obbligazione, che pone da un lato la locatio operis – ossia l’obbligazione di risultato con relativo rischio del mancato conseguimento a carico del debitore – e dall’altro la locatio operarum – ossia l’obbligazione di mezzi con relativo rischio a carico del creditore della prestazione. Ma anche questa distinzione ha una utilità solo parziale ai fini della qualificazione del rapporto, in quanto può solo consentire l’esclusione della natura subordinata dello stesso se l’obbligazione è di risultato con relativo rischio sul lavoratore, mentre l’obbligazione di mezzi può essere propria sia di un rapporto di l. autonomo che di uno subordinato, con necessario ricorso al sopra descritto criterio essenziale della eterodeterminazione. Caratterizzazione specifica assume il l. subordinato nel pubblico impiego, anche a seguito di recenti vicende di privatizzazione (➔).
Il rapporto di l. autonomo si configura quando «una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con l. prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente». Questa fattispecie è disciplinata nell’ordinamento italiano dalle norme del capo I, del titolo III, del libro V del codice civile, intitolato, appunto, al l. autonomo, «salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV», secondo quanto disposto dall’art. 2222 c.c. Il tradizionale criterio di distinzione tra l. subordinato e l. autonomo, è quello fondato sull’oggetto dell’obbligazione che, riprendendo l’antica distinzione tra locatio operis e locatio operarum, pone da un lato l’obbligazione di risultato con rischio sul debitore per il mancato conseguimento di questo, e dall’altro l’obbligazione di mezzi ovverosia di mera attività senza rischio del risultato per il debitore. In realtà, questa distinzione è utile solo parzialmente, in quanto permette di escludere la natura subordinata del rapporto di l. solo se l’obbligazione è un’obbligazione di risultato con relativo rischio a carico del lavoratore; mentre un’obbligazione di mezzi può inerire sia un rapporto di l. subordinato sia un rapporto di l. autonomo. Deduciamo quindi come, ai fini della distinzione tra le due fondamentali fattispecie lavorative esistenti nel nostro ordinamento, è necessario ricorrere ad un altro criterio distintivo, ormai da tempo ritenuto prevalente dalla intera dottrina, ossia il criterio distintivo dell’eterodirezione dell’attività. Tale criterio – peraltro già insito nell’art. 1627 del codice civile del 1865 laddove ad essere presa in considerazione era l’opera prestata «all’altrui servizio» – permette di qualificare una fattispecie come l. autonomo, ove a essere assente sia il carattere dell’eterodeterminazione della prestazione lavorativa, la quale affinché la fattispecie presa in considerazione possa essere qualificata come autonoma, non deve essere svolta nel modo imposto dal datore di l. mediante ordini che il lavoratore è tenuto a rispettare (come accade, al contrario, nel rapporto di l. subordinato ex combinato disposto degli art. 2094 e 2104 c.c.). Il metodo da utilizzare nell’opera di qualificazione è quello consueto e imprescindibile del sillogismo giuridico, con sussunzione per identità della fattispecie concreta in quella astratta, al quale consegue il controllo della Cassazione non sull’accertamento degli elementi di fatto, bensì sull’individuazione dello schema normativo al quale ricondurre le circostanze assegnate.
La dottrina prevalente da tempo lamenta un’assenza di tutele per i lavoratori autonomi, con un divario enorme, da questo punto di vista, rispetto ai lavoratori dipendenti, con conseguente interesse del prestatore di l. alla qualificazione giudiziale del contratto come subordinato. Solo sul piano previdenziale i lavoratori autonomi hanno ottenuto protezione, con una legislazione apposita che prevede l’iscrizione all’INPS dei coltivatori diretti, artigiani, commercianti e, ora, anche dei lavoratori parasubordinati. Diverse categorie di professionisti sono dotate di una propria Cassa di previdenza obbligatoria, mentre in mancanza è disposto l’inserimento nella gestione separata dell’INPS prevista per i lavoratori subordinati.
Attività lavorativa disciplinata dalla l. 142/2001, come modificata dal d. legisl. 276/2003. Le cooperative di l. sono fondate allo scopo di garantire e agevolare il l. dei propri soci e impiegano la loro attività per la realizzazione di beni da cedere a terzi sul mercato. Nelle cooperative di l. tra il socio lavoratore e la cooperativa si stabiliscono due diversi tipi di rapporti giuridici: il rapporto associativo e quello di lavoro. Con la propria adesione, o successivamente al sorgere del rapporto associativo, il socio lavoratore di cooperativa instaura un ulteriore rapporto di l., che può trovare esplicazione in forma subordinata o autonoma, oppure in qualsiasi altra forma, ivi compresa quella della collaborazione coordinata non occasionale. Il socio lavoratore fornisce il proprio apporto per il raggiungimento degli scopi sociali attenendosi ai diritti e ai doveri legati allo specifico contratto stipulato. Da entrambi i tipi di rapporto, cioè associativo e contrattuale, discendono inoltre gli effetti di natura fiscale, previdenziale e giuridica.
L. accessorio è l’attività lavorativa, non subordinata e di natura occasionale, prestata da soggetti a rischio di esclusione sociale o, comunque, non ancora entrati nel mercato del l. o in procinto di uscirne. Rientrano in questa categoria i disoccupati da oltre un anno, i pensionati, le casalinghe, i disabili, i lavoratori extracomunitari con regolare permesso di soggiorno nei sei mesi successivi alla perdita del l., a condizione che abbiano comunicato la loro disponibilità ai soggetti accreditati o ai Servizi per l’impiego, che li forniscono di una tessera magnetica personalizzata. I datori di l. sono individuati, ai sensi della l. 30/2003 e del d. legisl. 276/2003, tra le famiglie, gli enti senza scopo di lucro e i soggetti non svolgenti attività imprenditoriale. I settori di applicazione sono: piccoli l. domestici, insegnamento privato, collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato per lo svolgimento di l. di solidarietà o di emergenza, per es. dovuti a calamità o eventi naturali improvvisi. Il rapporto di l. non può dar luogo a un reddito superiore a 5000 euro annui con riferimen;to al medesimo committente (d. legisl. 251/2004). È prevista una particolare procedura per il pagamento del corrispettivo: i lavoratori sono retribuiti attraverso la consegna di buoni l. il cui valore è fissato da un decreto del ministro del L. e delle politiche sociali. Il compenso è esente da tassazione e non influisce sullo stato di disoccupazione del lavoratore.
Il l. gratuito è la prestazione di l. resa alle dipendenze e sotto la direzione di altro soggetto, ma in assenza di una corrispondente retribuzione. Caratteristica fondamentale del l. subordinato, in base all’art. 2094 c.c., è il nesso tra la prestazione resa dal lavoratore e l’obbligo, per il datore di l., di corrispondere una retribuzione. Poiché, inoltre, il l. dipendente si presume oneroso, nell’ordinamento italiano la figura del l. gratuito non è, in via generale, ammessa. In tal senso si esclude l’ammissibilità del l. gratuito poiché l’eventuale accordo volto a eliminare qualsiasi tipo di compenso per l’attività prestata dal lavoratore subordinato è invalido. Conseguentemente si verifica la sostituzione della clausola nulla con il diritto alla retribuzione minima garantita dal contratto collettivo. Un accordo del genere si considera legittimo solo se ricorra un interesse rilevante del prestatore, che eventualmente può consistere nella solidarietà, ovvero in un vincolo di cortesia. Esempio tipico di l. gratuito è quello prestato nell’ambito dell’attività familiare, sebbene la norma di riferimento, contenuta nell’art. 230 bis c.c., riconosca determinati diritti a contenuto economico-patrimoniale a coloro che collaborino nell’impresa familiare. Un’altra forma importante di l. gratuito, che va prendendo sempre più piede nel nostro ordinamento, è quella del volontariato. Lo svolgimento di questo tipo di prestazione nell’ambito di apposite strutture organizzative è disciplinato dalla l. 266/1991, che all’art. 2 definisce l’attività di volontariato come «quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà».
Si presume gratuito il l. familiare, cioè quello svolto nell’ambito della famiglia dai componenti di questa, salvo che sia prestato in modo continuativo nell’impresa familiare, poiché, se non ricorrono gli estremi di un altro rapporto, si determina un rapporto associativo espressamente disciplinato dall’art. 230 bis c.c. (introdotto dalla l. 151/1975). Tra le forme tipiche di l. gratuito, prestato da parenti e affini entro il terzo grado, ci sono le attività agricole, limitatamente alle prestazioni svolte in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, sempre che non vi sia corresponsione di retribuzione, salvo le spese di mantenimento e di esecuzione dei l. (art. 74 d. legisl. 276/2003). L’impresa familiare rimane individuale nei rapporti con i terzi, sicché il rapporto associativo riguarda soltanto il versante interno. Il legislatore ha inteso tutelare i familiari che prestano in modo continuativo il l. all’interno dell’impresa, senza avere peraltro stipulato alcuno specifico contratto. Per quanto concerne la gestione dell’impresa, la legge prescrive i seguenti diritti per il familiare che partecipa con il proprio l.: diritto al mantenimento; diritto agli utili (al collaboratore spetta la quota calcolata su utili e incrementi solo all’atto di cessazione, il che avviene al momento dello scioglimento del rapporto); diritto di partecipare alle decisioni su alcune materie. La legge non prescrive particolari formalità per la votazione e l’adozione delle suddette decisioni e ciascun familiare può quindi esprimersi ed essere interpellato nel modo ritenuto più idoneo. Il diritto di partecipazione all’impresa è intrasferibile, sia per atto tra vivi, sia per testamento, salvo che avvenga a favore di altri familiari e con il consenso di tutti i partecipanti. La titolarità dell’impresa spetta esclusivamente all’imprenditore. In caso di divisione ereditaria o di alienazione dell’azienda i familiari che vi prestano il l. hanno il diritto di prelazione sulla stessa. Ciò significa che, qualora l’imprenditore decida di vendere l’azienda, spetta in primo luogo ai familiari partecipanti il diritto di poterla acquistare.
La Costituzione stabilisce, all’art. 37, che il limite minimo di età per il l. salariato debba essere stabilito dalla legge. La l. 977/1967, così come modificata dal d. legisl. 345/1999 e dal d. legisl. 262/2000, ha disciplinato nello specifico l’applicazione di tali dettami, fissando tale limite al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria, e comunque non prima dei 15 anni compiuti. L’orario di l. deve essere compatibile con gli obblighi scolastici ed è in ogni caso stabilito in 8 ore giornaliere e 40 settimanali per gli adolescenti e 7 ore giornaliere, pari a 35 settimanali, per i bambini liberi da obblighi scolastici. Le condizioni di l. devono salvaguardare la salute e lo sviluppo fisico del minore. L’imprenditore è tenuto a disporre una visita medica (di un ufficiale sanitario) al fine di verificare l’idoneità del minore alla specifica prestazione lavorativa che deve espletare. Il l. notturno è vietato, con ciò intendendo un periodo di almeno 12 ore consecutive tra le ore 22 e le 6 o tra le ore 23 e le 7. È stabilito, inoltre, un periodo di ferie non inferiore a 30 giorni per coloro che non hanno compiuto i 16 anni e di almeno 20 giorni per coloro che hanno superato tale età. Il minore adibito a l. pericolosi o pesanti ha inoltre il diritto a usufruire di riposi intermedi di maggior frequenza, mentre il riposo settimanale deve essere concesso per un periodo di almeno due giorni, se possibile consecutivi, e comprendente la domenica. Deroghe all’applicazione della normativa di riferimento sono concesse per l’impiego di adolescenti addetti a l. occasionali o di breve durata concernenti servizi domestici prestati in ambito familiare, prestazioni di l. non nocivo né pericoloso nelle imprese a conduzione familiare, e ai minori che lavorano nelle navi.
Attività lavorativa prestata dal personale religioso nell’ambito degli ordini o delle congregazioni di appartenenza, ovvero degli istituti che ne fanno parte. Si caratterizza per la sostanziale immedesimazione che viene a crearsi tra il religioso e l’istituto e che impedisce di assimilare questo rapporto di l. al l. subordinato di tipo tradizionale, disciplinato dall’art. 2094 c.c. Tale aspetto fa sì che il personale religioso non sia tenuto al versamento dei contributi previdenziali previsti dalle l. 392/1956 e 535/1966. Ciò vale, tuttavia, solo per l’attività resa direttamente alle dipendenze di istituzioni o aziende gestite direttamente dagli ordini o dalle congregazioni cui i religiosi appartengono. Diverso è il caso delle attività prestate da religiosi per enti o istituti che assumono rilievo nell’ordinamento giuridico dello Stato, per le quali l’INPS ritiene sussistere l’assoggettabilità.
Prestazione di l. resa dai detenuti durante il periodo di detenzione, la cui disciplina è stata introdotta dalla l. 345/1975 (cosiddetta legge sull’ordinamento penitenziario), su ispirazione degli imperativi posti dall’art. 27 della Costituzione. La definizione del l. carcerario, contenuta nell’art. 20 della legge citata, ne sottolinea pertanto la finalità rieducativa, precisando che «deve essere favorita in ogni modo la destinazione al l. dei detenuti ed internati», sottolineando il carattere non afflittivo del l. e riconoscendo il diritto fondamentale alla remunerazione per l’attività svolta, che riconduce il l. carcerario nell’ambito del l. subordinato. Il 3° comma sancisce inoltre l’obbligatorietà del l. per i condannati e per le persone sottoposte alle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro. La violazione di tale obbligo è giuridicamente sanzionata, anche con l’esclusione dall’attività in comune, se avviene entro tre mesi dalla commissione di una analoga infrazione. Per effetto di una serie di riforme, introdotte soprattutto grazie alla l. 296/1993, al l. carcerario si sono anche estese diverse norme in materia di servizi per l’impiego e di politiche per l’occupazione, in particolare quella che prevede che l’amministrazione penitenziaria possa offrire la possibilità, oltre che di l., anche di formazione professionale per i detenuti all’interno dell’istituto.
Il patto di prova designa, ai sensi dell’art. 2096 c.c., la clausola del contratto di l. con cui le parti subordinano l’assunzione definitiva del lavoratore all’esito positivo di un periodo di prova, volto ad accertare in concreto la reciproca convenienza alla prosecuzione del rapporto di lavoro. Tale vincolo deve essere apposto al contratto in forma scritta e anteriormente all’inizio dell’attività lavorativa. La prova è applicabile al normale rapporto di l. a tempo indeterminato, a tempo pieno o parziale, ai rapporti di l. a tempo determinato, come pure nei confronti di lavoratori assunti obbligatoriamente. È invece illegittima l’apposizione del patto di prova al contratto di l. qualora il lavoratore venga assunto presso la stessa impresa ove abbia già prestato la propria attività con contratto di l. temporaneo quando le mansioni siano sostanzialmente le stesse. La durata massima del periodo di prova è di regola stabilita dai contratti collettivi. L’art. 10 della l. 604/1966, tuttavia, stabilisce implicitamente un termine massimo di 6 mesi. Per il prestatore d’opera vige, durante tale periodo, il principio della parificazione economica e normativa rispetto al lavoratore assunto in via definitiva. Anche a lui, quindi, spettano il trattamento di fine rapporto, le ferie retribuite e le quote di mensilità differite (per es., tredicesima). In costanza di tale periodo ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennità, anche se è comunque necessaria una congrua motivazione. Terminato il periodo di prova, nel caso in cui nessuna delle due parti receda, si instaura un rapporto di l. a tempo indeterminato e il servizio prestato si computa nell’anzianità del lavoratore.
Il l. a progetto è una particolare tipologia di contratto di l., introdotta nell’ordinamento italiano dal d. legisl. 276/2003, in sostituzione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. In base a tale modello, la collaborazione coordinata deve essere riconducibile a uno o più progetti specifici, oppure a uno o più programmi di l. (o loro fasi), determinati dal committente. Le innovazioni introdotte, tuttavia, non riguardano tutte le collaborazioni, restando soggette alla precedente disciplina le prestazioni occasionali, i rapporti di collaborazione dei rappresentanti e agenti di commercio, quelli relativi alle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, e le collaborazioni svolte in favore delle federazioni sportive e della pubblica amministrazione. Il rapporto di l. si svolge senza vincolo di subordinazione, secondo le disposizioni dell’art. 409, nr. 3, c.p.c. e trova la sua disciplina, come particolare fattispecie legale, negli art. 61 e seg. del d. legisl. citato. Rispetto alle due classiche figure di l., la collaborazione si colloca in posizione intermedia. Tuttavia, a livello sistematico essa deve essere intesa come una particolare forma di l. autonomo. Elementi costitutivi della fattispecie sono: coordinamento tra committente e collaboratore e autonomia del collaboratore medesimo dall’eventuale organizzazione di impresa del committente. Per ‘progetto’ generalmente si intende un’attività di tipo creativo, o comunque provvista di un significativo contenuto professionale, mentre nel ‘programma’ questi tratti sono meno accentuati. Le attività legate al l. devono avere un contenuto caratterizzante, che deve essere riprodotto nel contratto, devono essere produttive di un risultato e devono altresì avere una durata determinata e determinabile. Quanto al profilo sanzionatorio, la legge prevede che, qualora le modalità esecutive presentino i caratteri della subordinazione, il rapporto si converta in l. subordinato. Inoltre, la mancata individuazione di uno specifico progetto, di un programma di l., o delle loro fasi, viene sanzionata con la trasformazione del rapporto in l. subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data della sua costituzione. Questa ipotesi non sostituisce, ma si aggiunge, alla disciplina previgente. Ne deriva un regime sanzionatorio molto articolato, in cui il giudice può valutare l’illiceità di un contratto di collaborazione, e quindi dichiarare la trasformazione del rapporto in l. subordinato, sotto un duplice profilo, sia quando esso, per le modalità con cui si svolge, risulti privo degli elementi di autonomia propri della collaborazione, sia qualora manchi il riferimento della collaborazione a un progetto o programma di lavoro.
Il l. a tempo determinato è un’attività lavorativa caratterizzata dall’apposizione di un termine al contratto che la regola. In base al d. legisl. 368/2001, che ha abrogato la l. 230/1962 e l’art. 23 della l. 56/1987, tale rapporto di l. può legittimamente essere instaurato tutte le volte in cui ricorrano ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Non è peraltro necessario che queste ragioni dipendano da situazioni eccezionali e imprevedibili. Possono sempre essere assunti a termine, a prescindere dalla sussistenza di ragioni particolari, i dirigenti, gli iscritti alle liste di mobilità, i disabili, i lavoratori che hanno differito il pensionamento e i lavoratori del turismo (questi ultimi solo per servizi speciali e fino a tre giorni). La legge esclude il ricorso al l. a tempo determinato quando il datore intenda sostituire temporaneamente lavoratori in sciopero, quando non abbia effettuato la valutazione dei rischi in azienda, o quando nell’unità produttiva si sia fatto ricorso negli ultimi 6 mesi a licenziamenti collettivi, cassa integrazione o riduzioni d’orario. L’apposizione del termine deve risultare da atto scritto, nel quale devono essere inserite anche specifiche spiegazioni sul motivo del termine, pena la conversione del contratto in contratto a tempo indeterminato. Alla scadenza del termine, il rapporto si conclude senza necessità di formale comunicazione. La proroga è ammessa per i contratti di durata inferiore a 3 anni, soltanto una volta e con indicazione delle ragioni. La durata complessiva del rapporto non può comunque superare i 3 anni. Nel caso in cui il lavoratore continui la sua prestazione oltre il limite prefissato e senza un accordo di proroga, egli ha diritto per un periodo di 20 giorni (30 per i contratti di durata superiore a 6 mesi) a una maggiorazione retributiva (pari al 20% per i primi 10 giorni, al 40% dopo), oltre il ventesimo giorno alla conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato. È altresì vietato il ricorso a una pluralità di contratti di l. a termine stipulati a breve distanza l’uno dall’altro. Se il medesimo lavoratore è riassunto a termine entro 10 giorni dalla scadenza del precedente contratto (termine aumentato a 20 giorni se il contratto scaduto aveva durata superiore a 6 mesi), il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. Quanto allo svolgimento del rapporto in concreto, vige il principio di non discriminazione, secondo cui vanno riconosciute al prestatore di l. tutte le garanzie e i trattamenti previsti per gli altri prestatori di l. a tempo indeterminato (ferie, gratifiche natalizie, tredicesima e quattordicesima mensilità, trattamento di fine rapporto ecc.).
Nel l. a tempo parziale (detto anche part-time, secondo la formula inglese) la prestazione lavorativa dedotta in contratto è quantitativamente inferiore a quella del normale l. a tempo pieno determinata dalla legge o dai contratti collettivi (art. 1, co. 2, d. legisl. 61/2000; art. 3 direttiva comunitaria 81/1997). La prima disciplina organica di legge del l. a tempo parziale fu introdotta nell’ordinamento italiano con l’art. 5 del d. l. 726/1984 (poi convertito, con modificazioni, nella l. 863/1984 e ora abrogato). In attuazione della direttiva comunitaria 81/15 dicembre 1997, una nuova disciplina del l. a tempo parziale è stata dettata con il d. legisl. 61/2000, modificato prima dal d. legisl. 100/2001, poi con l’art. 46 del d. legisl. 276/2003, che ha operato la vera riconduzione dell’istituto a una disciplina, pur sempre garantista, ma nei limiti del ragionevole, anche se, con l’art. 1, co. 44, l. 247/2007 sono stati reintrodotti alcuni vincoli. La regolamentazione del l. a tempo parziale ha come scopo quello di attirare sul mercato del l. i lavoratori che altrimenti ne rimarrebbero lontani, perché non interessati o non disponibili a una giornata lavorativa a tempo pieno. La riduzione dell’orario di l. può avvenire secondo tre diversi modelli: il part-time orizzontale è caratterizzato da una distribuzione su tutti i giorni lavorativi della settimana con riduzione dell’orario giornaliero; il part-time verticale si ha, invece, quando l’attività lavorativa viene concentrata in alcuni giorni predeterminati della settimana, del mese o dell’anno; infine, il part-time misto è caratterizzato dalla combinazione dei due precedenti tipi. Per il contratto di l. a tempo parziale è necessaria la forma scritta ad probationem, in mancanza della quale il lavoratore può ottenere la dichiarazione della sussistenza di un l. a tempo pieno con effetto solo dalla data dell’accertamento giudiziale, salvo ovviamente il diritto alla retribuzione per le prestazioni effettivamente rese in precedenza. È necessario altresì che il contratto contenga l’indicazione della durata della prestazione lavorativa, nonché la sua distribuzione con riferimento alla settimana, al mese e all’anno. È però possibile inserire nel contratto stesso delle cosiddette clausole flessibili volte a variare la collocazione temporale della prestazione, o delle cosiddette clausole elastiche volte ad aumentare la durata della prestazione nei rapporti di tipo verticale o misto. Il l. a tempo parziale (in attuazione della direttiva comunitaria 81/1997) è tutelato da un generale principio di parità di trattamento del lavoratore a tempo parziale rispetto a quello del lavoratore a tempo pieno inquadrato nello stesso livello (cosiddetto lavoratore comparabile). Al part-time è inoltre applicato il principio pro rata temporis, per un ovvio proporzionamento alla ridotta durata della prestazione dell’importo della retribuzione, di ogni trattamento economico, della contribuzione previdenziale e dell’anzianità contributiva.
Detto anche lavorol. a chiamata, il l. intermittente è stato introdotto dagli art. 33 e seg. del d. legisl. 276/2003, poi abrogato con l’art. 1, co. 45, l. 247/2007, e nuovamente introdotto nell’ordinamento italiano dall’art. 39, co. 11, d.l. 112/2008. Fattispecie più discussa che utilizzata, ha avuto applicazione soprattutto nei settori del turismo e dello spettacolo. Con il l. intermittente il lavoratore si pone a disposizione del datore di l., che decide liberamente se e quando utilizzarlo mediante chiamata. Ciò che caratterizza questa particolare forma di l., è la mancata predeterminazione della quantità della prestazione lavorativa.
Attualmente la stipulazione di un contratto di l. intermittente è soggetta alla coesistenza di requisiti oggettivi e soggettivi. Infatti, può essere stipulato per rispondere alle esigenze e nei casi previsti nei contratti collettivi o, in mancanza di questi, individuati provvisoriamente, dal ministero del L. e delle politiche sociali con proprio decreto, nonché per i periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese e dell’anno, e con riferimento a prestazioni rese da soggetti con meno di 25 anni di età ovvero da lavoratori con più di 45 anni di età anche pensionati. Il contratto (in forma scritta ad probationem) deve necessariamente indicare la durata, le ragioni che ne hanno consentito la stipulazione, il luogo e le modalità della disponibilità eventualmente garantita dal lavoratore. In riferimento a quest’ultima, infatti, è importante sottolineare come esistano due sottotipi di l. intermittente. Il primo è quello in cui il lavoratore è obbligato a rispondere a ciascuna chiamata percependo in cambio una equa indennità di disponibilità. In base a questo tipo di contratto il lavoratore malato o oggettivamente impossibilitato a rispondere alla chiamata è tenuto a informare il datore di l. e non matura il diritto alla indennità di disponibilità. L’omessa tempestiva comunicazione determina, salvo diversa pattuizione del contratto individuale, la perdita dell’indennità per un periodo pari a 15 giorni, anche se l’effettiva indisponibilità sia stata più breve. Mentre il rifiuto ingiustificato della chiamata da parte del lavoratore obbligatosi alla disponibilità costituisce inadempimento, con le conseguenze tipizzate dalla legge (art. 36, co. 6, d. legisl. 276/2003). Il secondo sottotipo si realizza invece in assenza dell’obbligo di disponibilità e della relativa indennità, con la conseguenza che il contratto in questo caso prevederà solo uno scambio tra l. effettivo e retribuzione, con libertà del lavoratore di rifiutare la chiamata. Il l. intermittente è soggetto anche a specifici casi di divieto (identificabili negli stessi previsti per il l. a termine e per la somministrazione di l.), ossia: per la sostituzione di lavoratori legittimamente scioperanti; presso unità produttive nelle quali siano stati licenziati collettivamente nei 6 mesi precedenti oppure siano stati sospesi con trattamento di integrazione salariale lavoratori con le stesse mansioni di quelli intermittenti; presso imprese che non abbiano effettuate la valutazione dei rischi.
Secondo quanto disposto dall’art. 41 del d. legisl. 276/2003, con il contratto di l. ripartito (detto anche job-sharing) due lavoratori assumono in solido l’adempimento di una unica e identica obbligazione lavorativa. Il contratto deve avere forma scritta ad probationem, con specificazione del luogo, del trattamento economico e della ripartizione percentuale e temporale del l. tra i coobbligati, pur essendo, altresì prevista la possibilità che i lavoratori si sostituiscano in qualsiasi momento tra loro modificando contestualmente l’originaria distribuzione dell’orario di lavoro. Se invece è esclusa tale possibilità, per mancanza del consenso del datore di l. (necessario ai fini della derogabilità del regime ordinario delle obbligazioni solidali), ciascun lavoratore resta personalmente e direttamente responsabile dell’adempimento dell’intera obbligazione lavorativa. Quindi il rischio dell’impossibilità della prestazione di uno dei lavoratori coobbligati ricade sull’altro, mentre l’impedimento di entrambi i lavoratori, salvo diverse intese tra le parti, determina l’estinzione dell’obbligazione (e quindi del contratto) in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione. Stessa cosa accade in caso di dimissioni o di licenziamento di uno dei due lavoratori; anche qui però a fare la differenza è la volontà del datore di l., che mediante un accordo novativo può far proseguire il rapporto con l’altro lavoratore ove questo sia interessato, a meno che non si tratti di un licenziamento per ragioni aziendali, che riguarda, per definizione l’intero contratto e quindi, entrambi i lavoratori. Per quanto riguarda la disciplina del l. ripartito, il legislatore rinvia alla contrattazione collettiva; è però di certo applicabile il principio di parità di trattamento economico e contributivo, che non può essere meno favorevole di quello spettante a un normale lavoratore di pari mansioni e livello, salvo il riproporzionato alla prestazione effettivamente svolta. Una particolarità del l. ripartito va segnalata anche in materia sindacale. Infatti, ciascun lavoratore coobbligato ha diritto di partecipare alle assemblee sindacali, con ripartizione in proporzione alla prestazione effettivamente eseguita delle dieci ore annue di assemblea retribuita.
Particolare rapporto di l. subordinato costituito dalla prestazione di servizi di carattere domestico e disciplinato dagli art. 2240-46 del codice civile, dalla l. 339/1958, dal d.p.r. 1403/1971, e dalla contrattazione collettiva di settore. La l. 339/1958 definisce il lavoratore domestico come colui che presta la propria opera per il funzionamento della vita familiare, sia che si tratti di personale con qualifica specifica, sia che si tratti di personale adibito a mansioni generiche. La legge distingue tra lavoratori con mansioni impiegatizie e prestatori d’opera manuale, specializzata o generica. Una categoria particolare è formata dai prestatori di l. ammessi alla convivenza familiare, che, ai sensi del codice civile, hanno diritto, oltre alla retribuzione in denaro, al vitto, all’alloggio e, per le infermità di breve durata, alla cura e all’assistenza medica. Il contratto collettivo di settore, oltre a definire ulteriori categorie, fornisce le ulteriori disposizioni che regolano, nello specifico, tale rapporto di l., sempre nei limiti stabiliti dalla legislazione applicabile.
Particolare rapporto lavorativo in cui la prestazione è resa dal lavoratore presso il proprio domicilio, o nei locali di cui abbia a qualsiasi titolo la disponibilità. Nell’ordinamento italiano l’istituto è regolato dalla l. 877/1973, successivamente modificata dalla l. 858/1980, con la quale è stata introdotta una disciplina specifica. Il l. a domicilio è un rapporto di l. subordinato, la cui peculiarità consiste nel fatto che i poteri disciplinari, di direzione e di controllo del datore di l. sono meno forti o invasivi, a causa dell’assenza di un coordinamento temporale e spaziale con l’attività di impresa. La natura subordinata del rapporto discende dal fatto che il lavoratore è tenuto a osservare le direttive dell’imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del l. da svolgere. I lavoratori a domicilio debbono essere iscritti in un apposito registro, tenuto presso i Centri per l’impiego. Inoltre, i datori di l. che intendano avvalersi di lavoratori a domicilio sono tenuti a iscriversi in un apposito ‘registro dei committenti’, istituito presso le Direzioni provinciali del lavoro. Il calcolo della retribuzione avviene in base al sistema delle tariffe di cottimo pieno, fissate dai contratti collettivi di lavoro. La contrattazione collettiva determina il tempo che un lavoratore di media capacità impiega a svolgere la lavorazione oggetto della commessa. Nel caso in cui il contratto non preveda tariffe di cottimo, la legge dispone che esse siano determinate da una apposita commissione istituita presso la Direzione regionale del lavoro. La contrattazione collettiva prevede, inoltre, ulteriori voci retributive, quali il trattamento di fine rapporto, la maggiorazione per il l. festivo o notturno, il rimborso spese per l’uso delle attrezzature di proprietà del lavoratore.
Attività prestata alle dipendenze di un datore di l. agricolo, che esercita a sua volta una delle attività tra coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento e attività connesse. Si tratta, di norma, di l. a tempo determinato, legato a cicli stagionali e quindi regolato dalle disposizioni del d. legisl. 368/2001. Per il personale operaio occorre invece fare riferimento alle disposizioni previste dalla contrattazione collettiva. È anche ammesso il ricorso al contratto di l. part-time; in tal caso si applicano, per effetto delle novità introdotte con il d. legisl. 276/2003, le norme contenute nel d. legisl. 61/2000.
I l. aereo e nautico sono attività lavorative rientranti nelle fattispecie disciplinate dal codice della navigazione, in ragione di alcune peculiarità legate all’oggetto della prestazione e ai soggetti chiamati a svolgerla. Si tratta del rapporto di l. tipico della cosiddetta gente di mare o dell’aria, chiamata a svolgere la propria prestazione su una nave ovvero su un aereo. In tali ipotesi, vista la rilevanza e importanza del l., con riferimento al settore dei trasporti, ai fini di una maggior sicurezza, è necessario che l’assunzione del personale sia preceduta da un preventivo accertamento della relativa idoneità fisica, nonché della preparazione professionale. Il personale assunto è iscritto in un apposito albo, denominato matricola per la gente di mare e albo o registro per la gente dell’aria. Il requisito dell’iscrizione costituisce condizione di validità del rapporto, in mancanza del quale quest’ultimo è ritenuto nullo. L’assunzione con contratto di l. viene denominata arruolamento. Il contratto di l. nautico può essere a tempo determinato o indeterminato e, con specifico riferimento al settore marittimo, può essere anche limitato a un solo viaggio o a un gruppo di viaggi. Il contratto deve essere stipulato in forma solenne, quindi con atto pubblico, e deve inoltre essere annotato sul ruolo di equipaggio ovvero sulla licenza. Quanto alla retribuzione del personale, questa consiste solitamente in una somma fissa corrisposta in ragione di un viaggio. Può, tuttavia, essere determinata anche secondo modalità diverse: in base a un parametro di carattere meramente temporale, prendendo come punto di riferimento un periodo di tempo determinato, ovvero in ragione della partecipazione al nolo e agli altri prodotti o proventi di viaggio.
Il l. portuale viene svolto esclusivamente nell’ambito delimitato dalla relativa disciplina di riferimento. In base all’art. 114 del codice della navigazione, gli addetti ai servizi dei porti rientrano nel personale marittimo. I lavoratori portuali devono essere iscritti in appositi registri, tenuti dagli uffici indicati dal regolamento adottato ai sensi dell’art. 16 della l. 84/1994, secondo le modifiche apportate dalla l. 186/2000. Il personale addetto ai servizi portuali deve essere munito di libretto di ricognizione e degli altri documenti di l. previsti dal regolamento. Vengono definite operazioni portuali quelle di carico, scarico, trasbordo, deposito, movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, comunque svolti nell’ambito portuale. Le autorità portuali disciplinano e vigilano sull’espletamento delle operazioni e dei servizi portuali.
Speciale attività lavorativa facente riferimento alle prestazioni rese da lavoratori in campo artistico, ovvero nel campo dello spettacolo. Come qualsiasi altra attività lavorativa, anche il l. artistico può assumere le forme del l. subordinato o di quello autonomo. Tuttavia, esso è caratterizzato, in ragione della particolare natura della prestazione, da una spiccata autonomia, sicché la legislazione prevede, anche nel caso di subordinazione, una parziale deroga alle regole dettate dall’art. 2094 c.c. in materia di subordinazione. La specifica nozione di l. artistico è contenuta nel d.m. del 15 marzo 2005, e comprende tre distinte figure. In primo luogo è l. artistico quello fornito da lavoratori a tempo determinato che prestano attività artistica o tecnica direttamente connessa con la produzione e la realizzazione di spettacolo. Rientrano in questa categoria i cantanti di musica leggera, gli artisti lirici, i vocalisti, i maestri, i suggeritori, gli assistenti del coro, gli attori ecc. Vi sono poi i lavoratori a tempo determinato che non rientrano nel raggruppamento appena nominato, come gli operatori di cabina o di sale cinematografiche ecc. Infine, rientrano nella nozione coloro che svolgono tali prestazioni a tempo indeterminato. Il l. artistico è disciplinato inoltre dalla contrattazione collettiva. Ulteriore peculiarità del rapporto è data dal fatto che tutti i lavoratori, sotto l’aspetto previdenziale, sono tenuti a iscriversi e a versare i contributi a un particolare ente di previdenza, denominato ENPALS. Non sussistono norme speciali in materia di assunzione, giacché la materia era in precedenza regolata dal d.p.r. 2053/1963, successivamente abrogato dal d. legisl. 297/2002, che ha applicato anche a questa categoria la normativa valida per la generalità dei lavoratori.
Speciale tipologia di rapporto di l. che intercorre tra una società sportiva e lo sportivo professionista. Può essere sia a tempo determinato sia indeterminato. In caso di contratto a tempo determinato, la durata non può comunque essere superiore a 5 anni dalla data di inizio del rapporto. Si caratterizza per la particolare natura dell’attività prestata dal lavoratore. È disciplinato da apposita normativa, la l. 91/1981, così come modificata dalla l. 586/1996. In base all’art. 2 della legge, fanno parte della categoria degli sportivi professionisti atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici che «esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso, con carattere di continuità, nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica». La prestazione dell’atleta si sostanzia in una tipica prestazione di l. subordinato ed è resa a titolo oneroso. Può in ogni caso formare oggetto di l. autonomo in caso di attività svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva, ovvero di atleta non vincolato quanto alla frequenza di sedute di allenamento o frequenza di sedute di preparazione, o ancora nella specifica ipotesi in cui la prestazione oggetto di contratto non superi le 8 ore lavorative. L’assunzione può avvenire in modo diretto e per atto scritto, conformemente a un contratto-tipo predisposto ogni 3 anni dalla federazione. Non trova applicazione la disciplina sui licenziamenti individuali prevista dalla l. 604/1966.
Inquadrati nelle cosiddette attività senza l., ossia in quelle attività che, pur essendo eterodirette, non determinano l’instaurazione di un rapporto di l. subordinato ex art. 2094 c.c., i l. socialmente utili integrano un onere per la conservazione del trattamento previdenziale in atto (integrazione salariale, indennità di disoccupazione speciale o indennità di mobilità) o per l’acquisizione del diritto all’assegno. Possono svolgere tali l., infatti, soggetti titolari dei trattamenti previdenziali sopra citati o coloro che abbiano maturato 12 mesi di attività effettiva nei progetti di realizzazione di opere e nella fornitura di servizi di utilità collettiva (art. 1, co. 1., d. legisl. 468/1997) attuati dalle pubbliche amministrazioni, direttamente o indirettamente, ossia mediante enti pubblici economici o società a totale o prevalente partecipazione pubblica, o da cooperative sociali (art. 3, co. 1, d. legisl. 468/1997). I settori in cui possono essere attuati i l. socialmente utili (art. 2, co. 1, d. legisl. 468/1997; art. 3 d. legisl. 81/2000) sono: la cura della persona, dell’ambiente, del territorio, dello sviluppo rurale; il recupero e riqualificazione degli spazi urbani e beni culturali; i servizi tecnici integrati della pubblica amministrazione, dei trasporti e della logistica relativa a regioni e province. Per quanto riguarda le modalità di utilizzazione e di trattamento, occorre distinguere tra coloro che sono titolari di un trattamento previdenziale e coloro che non lo sono. Infatti, solo a questi ultimi spetta un assegno, denominato assegno di utilizzo per prestazioni in attività socialmente utili, per un impegno settimanale di 20 ore e per non più di 8 ore giornaliere. L’assegno, erogato dall’INPS (ma gravante su un Fondo per l’occupazione, istituito presso il Ministero del l.), è subordinato a una certificazione delle presenze a cura dell’ente utilizzatore. Ai lavoratori socialmente utili sono riconosciute numerose tutele, quali l’assicurazione presso l’INAIL contro gli infortuni e le malattie professionali, a carico dell’utilizzatore, e l’assicurazione per la responsabilità civile presso terzi. Sono previsti altresì, una indennità pari all’80% dell’assegno nel periodo di astensione obbligatoria per maternità; un diritto ai permessi durante il primo anno di vita del bambino e per l’assistenza ai parenti disabili, senza riduzione dell’assegno.
Con l’art. 2, co. 1, del d. legisl. 81/2000 si è limitato l’accesso a tali l. ai soggetti che abbiano maturato un’attività effettiva di 12 mesi nei progetti della pubblica amministrazione sopra citati, nel periodo intercorrente tra il 1° gennaio 1998 e il 31 dicembre 1999. Tale ‘sbarramento’ si è reso necessario per il distorto utilizzo di questa figura lavorativa, che è stata impiegata a fini meramente assistenziali, creando un serio problema di aspettative di stabilizzazione nei lavoratori utilizzati (quasi 20.000), anche a seguito di numerose e incontrollate proroghe.
Nel linguaggio economico, per l. si intende qualsiasi attività umana volta alla produzione di beni e servizi destinati a essere venduti o erogati sul mercato. Nella contabilità nazionale, fanno parte della forza-l. (o popolazione attiva) coloro che svolgono un’attività lavorativa e coloro che sono in cerca di occupazione o di prima occupazione. Il rapporto tra forza-l. e popolazione in età lavorativa è definito tasso di attività o tasso di partecipazione, che si distingue dal tasso di disoccupazione dato dal rapporto tra coloro che sono in cerca di occupazione e forza-lavoro. Il l. è trattato sia come fattore di produzione sia rispetto alle scelte organizzative in un contesto aziendale inerente tale fattore.
Il l. è ritenuto dagli economisti classici un fattore primario di produzione, che rientra direttamente o indirettamente nella produzione di tutti i beni e servizi e quindi influisce sul valore dei medesimi (teoria del valore-l.). Sul mercato del l. interagiscono un’offerta di l. delle persone che si rendono disponibili allo svolgimento di un’attività lavorativa in cambio di una retribuzione e una domanda di l. sostenuta dalle imprese. Le peculiarità di tale mercato risiedono nella non perfetta mobilità del fattore, che dipende dall’inseparabilità tra la persona del lavoratore e la prestazione della sua attività, e nel fatto che del l. non è possibile fare scorta.
Secondo l’impostazione marginalista (➔ marginalismo), l’offerta di l. di un individuo scaturisce da un processo razionale di scelta tra l’utilità, in termini di consumo, indotta dal salario e il sacrificio della rinuncia al tempo libero. Si assume che, all’aumentare del salario, l’individuo sia maggiormente attratto dall’espansione del consumo che il reddito da l. fornisce rispetto alla perdita di tempo libero e quindi tenda a offrire un numero maggiore di ore lavorate. È possibile che ad alti livelli salariali la rinuncia al tempo libero diventi troppo onerosa e l’individuo inizi a ridurre l’offerta di ore lavorate. Tuttavia questo ‘paradosso’ viene scarsamente utilizzato dagli economisti, propensi a stabilire una relazione crescente tra salario e ore lavorate. L’offerta collettiva di l. è data dalla somma delle offerte individuali, e le sue variazioni nel lungo periodo dipendono da variazioni demografiche (movimento naturale della popolazione per effetto di nascite e morti, spostamenti migratori) e da elementi economici (progresso tecnologico, sistema previdenziale ecc.). La domanda di l. dipende dalle esigenze produttive dell’impresa e quindi dalla funzione di produzione, dalla consistenza degli altri fattori produttivi e dal salario. L’impresa continuerà ad assumere lavoratori fino a quando la produttività marginale in valore del lavoratore, pari alla quantità del prodotto imputabile all’ultimo lavoratore moltiplicata per il prezzo che se ne può ricavare, eguaglierà il costo marginale del lavoratore dato dal valore del salario. Si noti che il l. presenta una produttività marginale positiva e decrescente in quanto l’occupazione addizionale diventa progressivamente meno produttiva. La domanda di l. del mercato ha pertanto un’inclinazione negativa, dato che al crescere dei lavoratori il contributo produttivo che ciascuno fornisce diminuisce e quindi l’impresa sarà disposta ad assumere lavoratori solo a un minor costo salariale. Le interazioni tra offerta e domanda di l. determinano infine il salario e l’occupazione di equilibrio.
In alternativa al modello marginalista, il mercato del l. si presenta come un monopolio bilaterale in cui sono stipulati accordi di medio termine. Vi operano, dal lato dell’offerta, un’organizzazione sindacale dei lavoratori che si fonda sul riconoscimento giuridico dei sindacati e dei contratti collettivi e, dal lato della domanda, un’organizzazione dei datori di lavoro rafforzata dall’ingrandimento dell’impresa e dal processo di concentrazione industriale tipico dell’economia capitalistica. La determinazione del livello occupazionale scaturisce quindi da un processo di contrattazione tra le parti, oggetto del quale è la fissazione del salario.
Nella teoria dei giochi si parla di contrattazione di Nash quando due parti devono trovare un accordo di ripartizione di una rendita (in questo caso il valore generato dal l.).
La definizione di organizzazione del l. ha subito una profonda evoluzione nella teoria economica. Innanzitutto occorre sottolineare che, in economia aziendale, il l. è l’attività svolta da ciascuna persona o da un insieme di persone per conseguire gli obiettivi dell’impresa. Per gli economisti classici, invece, occorre distinguere soprattutto tra divisione orizzontale e divisione verticale del lavoro. Si ha la prima se le varie unità produttive si raggruppano in settori diversi, producendo beni e servizi diversi, in base a una divisione del l. basata sulla distinzione dei ruoli nel processo produttivo. Si ha la seconda, se all’interno di ciascuna unità produttiva i lavoratori svolgono compiti differenti, e in particolare gerarchizzati. Per A. Smith, la divisione del l. (tema che aveva già attirato l’attenzione dei filosofi greci: Platone, Senofonte, Diodoro Siculo) ha un ruolo centrale nella teoria dell’impresa e dell’organizzazione sociale. Egli evidenzia il ruolo tra divisione del l. e produttività e tra divisione del l. e allargamento dei mercati: tanto più vasto e complesso è il mercato di un’impresa tanto maggiore deve essere, nel suo ambito, la divisione del l. al fine che essa possa tener testa ai propri concorrenti. Alla divisione del l. propria della visione degli economisti classici, viene sovente contrapposta quella organicistica dei socio-economisti positivisti (É. Durkheim). Secondo questa scuola di pensiero, nelle società primitive non esiste una divisione del l., in quanto le sue funzioni sono svolte dalla solidarietà meccanicistica; man mano che la società si sviluppa, si evolve la divisione dei ruoli e del l., nell’ambito di ciascuna unità produttiva e tra unità produttive, e la solidarietà meccanicistica viene sostituita dalla solidarietà organica. Quest’ultima risolve i conflitti d’interesse, in unità produttive e tra unità produttive, tramite sistemi di regole sia formali che comportamentali. Le due scuole di pensiero confluiscono nelle teorie moderne dell’organizzazione del l. nell’impresa (P. Drucker). I due filoni principali riguardano l’analisi rispettivamente della struttura organizzativa e dei meccanismi organizzativi.
Attiene al modo in cui i compiti (attività di l. elementari) sono raggruppati in mansioni (attività di l. che sommano compiti specifici collegati gli uni con gli altri) ripartite tra gli organi (o unità organizzative) di un’impresa. La ripartizione delle mansioni tra i diversi organi può essere di diversa natura. La tassonomia, dunque, è molto vasta. In caso di subordinazione di un organo rispetto a un altro organo, si hanno forme di gerarchia organizzativa che rispecchiano una divisione verticale del lavoro. In caso, invece, di organi di pari livello, compiti e mansioni sono ripartiti in base alla divisione orizzontale del l. secondo le differenti funzioni tecnico-specialistiche richieste dall’impresa. All’interno di ciascuna unità produttiva dell’impresa si ritrovano divisioni sia verticali sia orizzontali del lavoro. In ragione del progresso tecnologico, la tradizionale suddivisione tra le strutture organizzative verticali e orizzontali viene sempre più frequentemente sostituita da strutture organizzative ‘a matrice’ che comportano, contemporaneamente e in parallelo, elementi sia di ripartizione verticale che di collegamento orizzontale delle mansioni e degli organi. La struttura organizzativa deve essere analizzata in base al grado di formalizzazione, ossia della misura in cui gli elementi che la compongono sono definiti in modo esplicito in un organigramma, in un mansionario e in apposite procedure decisionali. Di norma, tanto più le tecniche di produzione richiedono standardizzazione dei comportamenti dei singoli lavoratori e delle unità produttive, tanto più la struttura organizzativa del l. è ‘formalizzata’.
Sono i processi che fanno funzionare la struttura organizzativa del l. al fine di raggiungere gli obiettivi dell’impresa. È utile distinguere tra la comunicazione (il modo in cui nell’ambito dell’impresa si comunica per svolgere le mansioni e raggiungere gli obiettivi assegnati, detta job analysis), la programmazione (la definizione degli strumenti da utilizzare in funzione degli obiettivi), il controllo (la verifica del raggiungimento degli obiettivi e dell’utilizzazione degli strumenti, nonché dei relativi scostamenti e delle cause a essi pertinenti), gli incentivi (ossia le modalità per stimolare i lavoratori a raggiungere gli obiettivi) e la valutazione (ossia l’esame retrospettivo delle prestazioni dei lavoratori, la cosiddetta job evaluation). A loro volta, ciascuna di queste categorie può essere suddivisa in sottocategorie. In un numero crescente di paesi e di imprese, i meccanismi organizzativi tradizionali vengono sostituiti in parte o in tutto da forme partecipative (M. Weitzman), in cui il lavoratore partecipa agli utili (modelli di profit sharing o compartecipazioni agli utili) e/o alla determinazione delle strategie d’impresa (modelli di codeterminazione).
A partire dalla seconda metà del 20° sec. il mercato del l. in Italia è stato interessato da trasformazioni di rilievo che, pur collegandosi alle dinamiche in atto in tutti i paesi occidentali, hanno caratteristiche riconducibili alle specificità della struttura economica e produttiva italiana. Come negli altri paesi industrializzati, la composizione settoriale della forza-l. ha subito in Italia un processo di accentuata terziarizzazione accompagnata da un declino dell’occupazione nelle attività manifatturiere e nell’agricoltura. L’origine di tali mutamenti va ricercata sia nei processi di riorganizzazione dei cicli produttivi nella grande industria (in seguito ai quali diverse funzioni originariamente svolte all’interno delle aziende manifatturiere sono state trasferite all’esterno e affidate a imprese di servizi), sia nella nascita di nuove figure professionali legate allo sviluppo delle tecnologie digitali. Preso nel suo complesso, il settore dei servizi ha raggiunto nel 2008 il 66,1% degli occupati, quasi 25 punti percentuali in più rispetto a trent’anni prima; la quota dell’industria è invece scesa al 29,9% (9 punti percentuali in meno rispetto al 1970), mentre l’agricoltura si è attestata sotto il 4%, (oltre 15 punti percentuali in meno).
L’Italia mantiene comunque rilevanti differenze rispetto agli altri paesi industrializzati riguardo alla diffusione delle forme di l. irregolare (il cosiddetto l. nero o sommerso) e all’incidenza del l. autonomo. Il l. sommerso raggiunge livelli particolarmente elevati nell’agricoltura, negli alberghi e nei pubblici esercizi, nei trasporti e nelle comunicazioni, nei servizi domestici presso le famiglie. Sul totale degli occupati l’Italia presenta una quota di lavoratori autonomi (24,9% nel 2008) tra le più alte nell’ambito dei paesi OCSE. Benché in diminuzione nel suo insieme rispetto ai valori raggiunti negli anni precedenti, l’incidenza delle forme di l. autonomo è cresciuta nei servizi alla persona (altre attività di servizi) e nei servizi alle imprese (intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari e imprenditoriali), e cioè proprio in quei settori in cui si è verificata la crescita maggiore di posti di lavoro.
Per quanto riguarda il l. dipendente, la gran parte dell’incremento occupazionale ha riguardato le forme contrattuali caratterizzate da una maggiore flessibilità. È cresciuta, infatti, l’incidenza dei lavoratori dipendenti a tempo parziale, arrivata nel 2008 al 14,7% dei dipendenti totali, mentre i contratti a tempo determinato sono il 14% del totale dei contratti di l. dipendente. Va infine rilevato come l’incremento delle forme di l. flessibile abbia riguardato in maniera più significativa le donne, soprattutto nei settori dell’agricoltura e dei servizi.
Grandezza fisica definita come integrale di linea della forza calcolato lungo la traiettoria del punto di applicazione della forza. Se la forza si mantiene vettorialmente costante durante lo spostamento (fig. 1 A) a misura del l. si assume il prodotto dello spostamento per la componente della forza secondo la direzione orientata dello spostamento oppure il prodotto della forza per la componente dello spostamento secondo la direzione orientata della forza, cioè il prodotto scalare del vettore F che individua la forza per il vettore P1P2 che collega la posizione iniziale P1 con la posizione finale P2 del punto di applicazione P della forza:
L = F ∙ P1P2 = F∣P1P2∣cosϑ,
ove ϑ è l’angolo formato da F con P1P2. Se, però, durante lo spostamento la forza non si mantiene costante (fig. 1 B), non si può definire direttamente il l. relativo a un cammino finito di P e si introduce la nozione di l. elementare, la cui definizione differisce dalla precedente perché allo spostamento finito di P si sostituisce lo spostamento infinitesimo dr = v dt (ove v è la velocità di P). La quantità scalare infinitesima
[1] formula
è dunque il l. elementare della forza, cioè il l. che essa compie quando il suo punto d’applicazione si sposta di dr. Quanto al l. L relativo allo spostamento del punto d’applicazione, lungo una determinata traiettoria c, da una posizione P1 a un’altra posizione P2, si ha
[2] formula.
Sviluppando il prodotto scalare che compare nella [1] si ha poi
[3] formula,
dove X, Y, Z sono le componenti della forza e dx, dy, dz le componenti dello spostamento infinitesimo dr secondo gli assi di un prefissato riferimento cartesiano. Il l. L dipende, se la forza è puramente posizionale, dalla curva c descritta da P nel suo movimento e non dalla legge con cui c è percorsa. Se poi, oltre a essere posizionale, la forza è anche conservativa, il l. suddetto non dipende neppure più dalla traiettoria ma soltanto dalla posizione iniziale e finale di P, risultando uguale alla differenza U1−U2 fra i valori U1 e U2 che il potenziale della forza assume rispettivamente in P1 e in P2.
Dalle relazioni scritte sopra, le dimensioni del l. sono quelle di una forza per una lunghezza. Nel sistema internazionale SI il l. si misura in joule (J); 1 J è pari al l. compiuto da una forza di 1 N il cui punto di applicazione si sposta di 1 m nella direzione della forza; sempre nel SI, accanto al joule che è un’unità coerente, sono usati il chilowattora (kWh) in elettrotecnica e l’elettronvolt (eV) in fisica. Nel sistema CGS unità di misura del l. è l’erg (unità coerente). Nel sistema pratico, oltre al chilogrammetro, kgm (unità coerente), sono stati usati come unità di misura del l. il cavallo ora (CVh) in campo motoristico, e la chilocaloria (kcal) in campo termico. Si osservi che l. ed energia, che può essere definita come attitudine a compiere l., sono misurati nelle stesse unità (v. tab.).
La definizione e le proprietà del l. elementare (e quindi quella del l. finito) si estendono dal caso di una sola forza al caso di un insieme I di forze o, come anche si dice, di una sollecitazione, agente su un sistema materiale S. Se I è costituito da n forze F1, F2, ..., Fn applicate in altrettanti punti P1, P2, ..., Pn di S, il suo l. elementare è dato, per definizione, dalla somma algebrica dei l. delle singole forze. Se in particolare S è un sistema rigido (fig. 2), il l. elementare di I si esprime in funzione del risultante R di I e del suo momento risultante MT (il polo T dei momenti è un punto qualsiasi solidale a S, per es. il suo centro di massa C) mediante la formula
[4] formula,
dove dT è lo spostamento elementare del punto T assunto come polo, dϕ è un vettore di modulo infinitesimo uguale a ω dt (ω, velocità angolare) orientato come l’asse del moto rigido all’istante considerato. Se l’insieme di forze I si riduce a una coppia, di momento M, il l. elementare di essa (l. di una coppia) si riduce a M∙dϕ. La [4] permette di stabilire che il l. elementare di una sollecitazione equilibrata (R=0, M=0) risulta sempre indipendente dal sistema di riferimento e che esso risulta identicamente nullo per uno spostamento rigido infinitesimo. Di solito il l. elementare dipende dal riferimento, in quanto la velocità varia, a norma del principio dei moti relativi, al variare del riferimento prescelto. Ma poiché il moto di trascinamento è sempre un moto rigido, per una qualunque sollecitazione il contributo dovuto al moto di trascinamento va calcolato in base alla [4]: se la sollecitazione è equilibrata tale contributo è nullo e il contributo dovuto al moto relativo risulta uguale al l. valutato con riferimento alla terna fissa. Ciò vale in particolare per il l. elementare della sollecitazione interna a un sistema.
Per un sistema materiale il l. esterno è quello compiuto dalla sollecitazione esterna al sistema; il l. interno è compiuto dalla sollecitazione interna. Poiché la sollecitazione interna in un qualunque sistema materiale è sempre equilibrata in virtù del principio di azione e reazione, il l. interno in corrispondenza a un qualsiasi spostamento infinitesimo rigido è sempre nullo. Se lo spostamento non è rigido, il corrispondente l. generalmente non è nullo, ma in ogni caso esso è indipendente dalla scelta del riferimento e ha quindi significato intrinseco.
Nei fenomeni di emissione elettronica, l. di estrazione è l’energia, usualmente indicata con Φ, che occorre spendere per estrarre un elettrone da un metallo: è la differenza tra l’energia competente a un elettrone fuori del metallo (a rigore, a distanza infinitamente grande dai nuclei degli atomi superficiali) e l’energia corrispondente al livello di Fermi nel metallo. A seconda del processo di emissione, si parla di l. di estrazione fotoelettronico, termoelettronico ecc.
A un l. che risulti positivo oppure negativo si danno rispettivamente le qualifiche di l. motore o l. resistente. Così, il l. elementare di una forza, a norma della [1], sarà motore (dL>0) oppure resistente (dL<0), a seconda che l’angolo ϑ formato dalla forza con lo spostamento elementare sia acuto oppure ottuso. Tali qualifiche sono giustificate dal fatto che nel primo caso la forza agevola lo spostamento, mentre nel secondo lo ostacola.
Nell’espansione di un sistema termodinamico chiuso, in grado cioè di scambiare energia ma non materia con l’ambiente esterno, se dV è la variazione del volume V e p è la pressione che il sistema esercita sull’esterno, il l. elementare dL fatto dal sistema è pari a (fig. 3)
dL = Fdl = pSdl = pdV,
dove F è la forza agente sulla superficie S del sistema che subisce uno spostamento dl; passando da una trasformazione elementare a una trasformazione finita fra due stati A e B il l. è dato quindi da:
LAB = ∫AB pdV.
In generale, il l. dipende non solo dagli stati iniziali e finali della trasformazione, ma anche dal tipo di trasformazione. Fra le trasformazioni termodinamiche con riferimento particolare alle macchine termiche, hanno notevole interesse quelle adiabatiche. In tal caso, per il primo principio della termodinamica, detta U l’energia interna, il l. fatto da un sistema chiuso è pari alla sua variazione di energia interna.
LAB = UA − UB
Se i vincoli cui è soggetto un sistema dipendono dal tempo, accanto agli spostamenti effettivi o possibili si considerano anche gli spostamenti virtuali, cioè quelli, infinitesimi, che a un certo istante sarebbero consentiti dai vincoli se questi rimanessero nella condizione in cui si trovano all’istante considerato. Si dice l. virtuale di una forza F, a un dato istante t, il prodotto scalare della forza per uno spostamento virtuale δr del suo punto P di applicazione all’istante considerato:
[5] formula.
Il diverso simbolo, rispetto a quello usato per il l. elementare, ha appunto lo scopo di evitare confusioni fra le due grandezze, la cui definizione è solo formalmente analoga: infatti il l. elementare, legato all’effettivo moto del punto, ha un significato energetico che il l. virtuale, riferito a uno spostamento geometrico spesso puramente ipotetico ed eventualmente neppure consentito dal vincolo, non può avere. Malgrado questi caratteri, apparentemente negativi, del l. virtuale, la sua considerazione è di grande utilità nella meccanica dei sistemi privi di attrito, dei cui principi consente di dare una formulazione estremamente sintetica e semplice. Il principio dei l. virtuali stabilisce che se un qualunque sistema materiale è soggetto a vincoli lisci (ma per il resto qualunque: unilaterali, bilaterali, dipendenti o indipendenti dal tempo) sia in condizioni di quiete, sia in condizioni di moto, il l. delle corrispondenti reazioni per uno spostamento virtuale del sistema non può mai essere negativo, e precisamente risulta sempre nullo per ogni spostamento virtuale reversibile, mentre è generalmente positivo per ogni spostamento virtuale irreversibile (ricordiamo che uno spostamento virtuale è reversibile se è virtuale anche lo spostamento opposto). Tale proprietà, la cui veridicità è stata controllata in un grandissimo numero di casi, è ammessa come valida assolutamente in generale e assunta a postulato caratteristico del comportamento dei vincoli privi di attrito. Lo stesso fatto è ben lontano invece dall’essere verificato, in generale, dal l. elementare delle medesime reazioni, che, in assenza di attrito, può essere negativo. Il principio dei l. virtuali consente di riassumere le condizioni di equilibrio di un sistema per il quale il principio medesimo possa essere considerato valido, nell’unica condizione che il l. virtuale δL(a) delle forze attive risulti negativo o nullo per ogni spostamento virtuale attribuito al sistema a partire da una sua configurazione di equilibrio: che si abbia cioè
[6] formula,
dove con Fi è indicata la generica forza attiva e con δri lo spostamento virtuale del suo punto di applicazione. La [6] è comunemente ricordata come relazione simbolica della statica. Per un sistema a vincoli tutti bilaterali ogni spostamento virtuale è reversibile e la [6] si riduce all’equazione simbolica della statica:
[7] formula.
In dinamica, il principio, associato a quello di d’Alembert (con cui si aggiungono alle forze attive quelle d’inerzia), dà luogo alla relazione simbolica della dinamica, che è, nell’impostazione lagrangiana, il fondamento della meccanica analitica.
Branca della medicina che si occupa dello studio, della prevenzione e della terapia di malattie derivanti dalle attività lavorative. Il tradizionale campo di interesse della medicina del l. è lo studio degli effetti sulla salute di fattori (chimici, fisici, biologici) cui i lavoratori sono esposti nell’ambiente ove svolgono la loro attività. Questo settore ha avuto notevole sviluppo soprattutto a partire dagli anni 1960 e ha consentito di stabilire strategie di intervento volte alla prevenzione delle malattie professionali. Peraltro, nei paesi tecnologicamente avanzati si assiste a una riduzione della patologia da l. tradizionale (silicosi, asbestosi, saturnismo, infortuni ecc.) grazie non solo alle trasformazioni socio-economiche verificatesi negli ultimi decenni del 20° sec., ma anche agli interventi della medicina del l. che ha partecipato al miglioramento delle condizioni ambientali e tecniche. Dalla più ampia conoscenza dei fattori causali delle malattie professionali sono derivati una sorveglianza (operatori sanitari all’interno delle fabbriche, controllo delle condizioni di salute sia prima sia dopo l’assunzione) e una programmazione sanitaria più efficienti a livello dei luoghi di l., che hanno contribuito a una diminuzione di incidenza di tale patologia. Quest’ultimo dato indica che si è avuta anche una riduzione della gravità delle malattie professionali. Nel settore agricolo, la riduzione di incidenza osservata in quello industriale non si è verificata, fra l’altro, per la discrepanza esistente fra l’avvento di una meccanizzazione sempre più accentuata e la carenza nella riqualificazione degli addetti. Un capitolo a parte del settore dell’agricoltura è rappresentato dagli eventi tossici derivanti dall’uso di pesticidi. In questo ambito, infatti, la medicina del l. compie opera di sensibilizzazione allo scopo di limitare e razionalizzare l’uso di queste sostanze.
La medicina del l. tende a dirigere sempre più la sua attenzione soprattutto allo studio di fattori un tempo non considerati. Gli aspetti psicosociali e organizzativi del l. sembrano avere un ruolo importante nello sviluppo di malattie aspecifiche, quelle, cioè, non tradizionalmente lavorative. Non è, infatti, possibile prescindere dall’impatto che l’ambiente lavorativo può avere sullo stato psicofisico del soggetto. Inoltre, è da tempo noto che variabili psicofisiche sono chiamate in causa nel determinismo di molte malattie croniche la cui origine è multifattoriale (per es., cardiopatia ischemica). Infine, non va dimenticato che il miglioramento della salute dei lavoratori, oltre a essere un beneficio aziendale, rappresenta anche una riduzione dei costi sociali. L’evoluzione della medicina del l. è sempre più nella direzione della prevenzione, della promozione della salute attraverso l’educazione sanitaria e la correzione dello stile di vita.