Atto, o serie di atti, operazione, procedimento, aventi lo scopo di conoscere, verificare, dimostrare le qualità, le caratteristiche, la rispondenza a determinati requisiti di qualcosa, o anche le doti, le attitudini di una persona, o ancora la veridicità di un’informazione, la probabilità di un fatto.
Termine con cui si fa riferimento a quel procedimento logico che dal fatto noto ricava, per rappresentazione, l’esistenza del fatto da provare. Oltre che al risultato probatorio, non raramente tale parola viene utilizzata per indicare anche la fonte, il mezzo e l’elemento di prova.
Nel processo civile e nel diritto processuale in generale il termine p. possiede diversi significati. Più frequentemente trova impiego per indicare gli strumenti di conoscenza dei fatti storici allegati all’interno del processo e posti a fondamento della domanda di tutela giurisdizionale. In questo senso si parla comunemente di mezzi di p. distinguendo tra p. precostituite e p. costituende. Con le prime si indicano le p. formatesi fuori dal processo: per es., i documenti. Queste si acquisiscono al giudizio con la semplice produzione. Le p. costituende, invece, sono quelle che devono formarsi all’interno del processo e implicano perciò un’attività processuale, detta istruzione probatoria, specificamente indirizzata alla formazione del mezzo di p.: per es., l’ispezione o la dichiarazione testimoniale. Le p. si dividono, poi, tra p. dirette e p. indirette (o rappresentative). Con le prime il giudice percepisce direttamente, ovvero con i propri sensi, il fatto allegato: si pensi all’ispezione disposta per accertare lo stato di taluni luoghi rilevante per la decisione. Nelle p. indirette, invece, tra la percezione del giudice e il fatto si interpone uno strumento rappresentativo, come il documento o la dichiarazione testimoniale. In tal caso sorge il problema di valutare l’attendibilità dello strumento. Di regola tale giudizio di attendibilità è rimesso liberamente al giudice secondo il suo prudente apprezzamento (testimonianza), ma in taluni casi (documento) è la legge stessa a determinare la piena attendibilità del mezzo di p. vincolando l’organo giudicante. In questo caso si parla di p. legali.
Con il termine p. ci si può riferire anche al procedimento tramite il quale gli strumenti di conoscenza si formano o si acquisiscono, o all’attività logica che conduce alla verifica del fatto. Un esempio è offerto dalla cosiddetta p. indiziaria o critica, che indica il procedimento logico complesso mediante il quale dalla p. di un fatto secondario (ovvero di un fatto non appartenente alla fattispecie dedotta in giudizio) si può risalire alla p. di un fatto principale. Ciò accade frequentemente quando non è possibile acquisire direttamente la p. del fatto principale: si pensi ai cosiddetti fatti psichici, come il requisito del dolo.
Con il termine p. si suole, infine, indicare il risultato stesso dell’attività logico-conoscitiva volta a diradare l’incertezza circa l’esistenza del fatto. Si parla, così, di p. positiva o negativa (o contraria) a seconda che si dimostri l’esistenza o l’inesistenza del fatto. Le regole che nel processo civile disciplinano in generale i rapporti tra giudice e parti, e tra le parti stesse riguardo alla p. dei fatti giuridici, sono le seguenti. In primo luogo il principio dispositivo a cui si ispira l’ordinamento processuale italiano impone che, salvo le ipotesi specificamente previste dalla legge, il giudice debba porre a fondamento della decisione le p. proposte dalle parti. Queste sono onerate della p. dei fatti storici rispettivamente allegati, a eccezione dei fatti notori, cioè appartenenti alla comune esperienza e, nei giudizi aventi a oggetto diritti disponibili, dei fatti pacifici, cioè non controversi. D’altro canto, per il principio di acquisizione, una volta che un mezzo di p. sia entrato regolarmente nel processo, tale mezzo può essere utilizzato dal giudice indipendentemente dalla parte che se ne era originariamente avvalsa. Per il principio di tipicità delle p., salvo eccezioni, le parti possono utilizzare nel processo solo i mezzi di p. previsti e disciplinati dal nostro ordinamento con la conseguenza che spetta al giudice non solo valutare la rilevanza del mezzo di p., ovvero l’astratta idoneità dello stesso a dimostrare l’esistenza di un fatto appartenente alla fattispecie dedotta in giudizio, ma anche la sua ammissibilità, ovvero il rispetto delle regole che il nostro ordinamento impone per l’utilizzo di ciascun mezzo di prova.
In materia penale le p. sono disciplinate dal libro terzo del codice di procedura penale, che disciplina i principi generali (art. 187-193), i mezzi di prova e i mezzi di ricerca della prova. L’art. 187 c.p.p. stabilisce che sono oggetto di p. i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. Sono, inoltre, oggetto di p. i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali, nonché, se vi è costituzione di parte civile, i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato. L’art. 188 c.p.p. afferma, invece, che non possono essere utilizzati, neanche con il consenso della persona interessata, metodi e tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e valutare i fatti. Sono illecite, per es., le testimonianze sotto ipnosi o mediante l’uso delle cosiddette macchine della verità. Quando è richiesta una p. atipica (art. 189 c.p.p.), cioè non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona rispettando il divieto di cui all’art. 188.
In ossequio al principio accusatorio che sottende il sistema processuale italiano, ai sensi dell’art. 190 c.p.p. le p. sono ammesse a richiesta di parte (principio dispositivo), salvo i casi in cui la legge stabilisca che si proceda d’ufficio. Ciò comporta che spetta alle parti ricercare le fonti, valutare la necessità del mezzo di p. a sostegno della propria tesi e chiederne al giudice l’ammissione. Quest’ultimo è tenuto ad ammettere con ordinanza le p. indicate, con due eccezioni: le p. vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti. Per il principio di legalità delle p., qualora queste siano acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, non possono essere utilizzate. L’inutilizzabilità è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (art. 191 c.p.p.). Dall’art. 192 c.p.p. si evince che il cosiddetto principio del libero convincimento del giudice va collegato al solo momento valutativo, ovvero alla fase finale del procedimento probatorio, mentre per le fasi precedenti vigono le regole stabilite direttamente dalla legge. La valutazione del giudice, in particolare, è strettamente collegata all’obbligo di motivare: il giudice valuta la p. dando conto nella motivazione della sentenza dei risultati acquisiti e dei criteri adottati. In altre parole il giudice deve dar conto dell’iter logico seguito per giungere a determinate conclusioni.
Rispetto alla p. indiziaria, avente per oggetto cioè un fatto diverso dal reato, ma attraverso cui è possibile risalirvi, sempre l’art. 192 stabilisce la regola per cui l’esistenza di un fatto di reato non può essere desunta da indizi, salvo che questi siano gravi, precisi e concordanti. Infine, a norma dell’art.193 c.p.p., sempre in virtù del principio del libero convincimento del giudice, nel processo penale non si osservano i limiti stabiliti dalle leggi civili (per es., l’art. 2721 c.c. che pone limiti alla p. testimoniale), eccetto quelli riguardanti lo stato di famiglia e la cittadinanza.
In riferimento alla distinzione tra mezzi di p. (testimonianza, esame delle parti, confronti, ricognizioni, esperimenti giudiziali, perizia e documenti) e mezzi di ricerca di p. (ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni), lo stesso legislatore ha indicato che i primi si caratterizzano per l’attitudine a offrire al giudice risultanze probatorie direttamente utilizzabili in sede di decisione; sono, cioè, mezzi destinati a incidere in maniera risolutiva sull’esperienza del giudice. Mentre i secondi non sono di per sé fonte di convincimento, ma rendono possibile acquisire cose materiali, tracce o dichiarazione dotate di attitudine probatoria.
Un’ulteriore distinzione è quella che intercorre tra p. ed elementi di p.: la prima si forma in dibattimento nel contraddittorio delle parti davanti a un giudice terzo e imparziale; i secondi sono, invece, raccolti dal pubblico ministero durante le indagini preliminari e non hanno qualità probatoria, salvo nelle ipotesi in cui vangano acquisite mediante incidente probatorio.
In virtù del principio della presunzione di innocenza, in base al quale l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, l’onere della p. incombe sull’accusa, mentre l’imputato deve dimostrare la fondatezza della tesi che nega l’esistenza di un fatto di reato a suo carico (cosiddetta p. negativa).
Come nel processo civile, anche il processo amministrativo si fonda sul generale principio desumibile dagli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e, al contempo, chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda. In tale schema processuale, il giudice pone a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita. Quindi, anche la parte che contesta la legittimità di un provvedimento amministrativo deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Le prove sono valutate secondo il libero e prudente apprezzamento dell’organo giudicante; nella individuazione dei mezzi istruttori, il giudice, pur dovendo provvedere alle richieste presentate dalle parti, può procedere anche indipendentemente da tali istanze probatorie (cosiddetto metodo acquisitivo). Infatti, il processo amministrativo è connotato da un sistema istruttorio che, sebbene conservi una connotazione dispositiva, subisce un’attenuazione per via dell’assunzione di un metodo acquisitivo, in ragione del riconoscimento del ruolo delle parti all’interno del processo, soprattutto quando i mezzi di prova risultino nella disponibilità esclusiva dell'amministrazione intimata in giudizio. In altri termini, non è attribuita alle parti la responsabilità della completezza dell’istruttoria, essendo necessaria, invece, l’allegazione di un principio di prova, cioè di indizi idonei a fondare astrattamente la pretesa dedotta in giudizio. Nel processo amministrativo, quindi, in mancanza di una prova compiuta a fondamento delle proprie pretese, il ricorrente deve avanzare almeno un principio di prova, perché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori.
Con riferimento all’individuazione dei mezzi di prova ammessi nel processo amministrativo, il Codice del processo ha previsto la possibilità di esperire, oltre alle tradizionali richieste di documenti e chiarimenti, tutti quelli previsti dal codice di procedura civile, tra cui la prova testimoniale, la verificazione e la consulenza tecnica, esclusi il giuramento e l’interrogatorio formale.
La natura tradizionalmente documentale del sistema probatorio può rendere, talvolta, la fase istruttoria meramente eventuale, in quanto il giudice potrebbe decidere esclusivamente sulla base dei documenti e degli atti presentati dalla parti al momento della costituzione. Qualora, invece, si rendesse necessaria un’ulteriore istruzione della causa, il Presidente della Sezione o un magistrato da lui delegato adotta, su istanza motivata di parte, i provvedimenti necessari per assicurare la completezza dell’istruttoria. L’assunzione del mezzo di prova può avvenire su istanza motivata di parte ovvero d’ufficio, sia monocraticamente che collegialmente; in quest’ultimo caso, esigenze di concentrazione ed economia processuale impongono che si provveda mediante un’ordinanza con cui si fissi anche la data della successiva udienza per la trattazione del ricorso.
La decisione sulle prove da acquisire nel giudizio è adottata, solitamente, mediante ordinanza.
Nella legislazione canonica la p. testimoniale, ammessa per qualsiasi tipo di causa (can. 1547), riveste una grandissima importanza, specialmente nelle cause riguardanti la nullità del matrimonio. Alcune persone vengono esentate dall’obbligo di rispondere in giudizio in qualità di testimoni, o per ragione dell’ufficio ricoperto (sacerdoti, giudici, medici, ostetriche, avvocati, notai e altri soggetti tenuti al segreto d’ufficio), oppure per evitare loro un danno, e altri gravi mali che potrebbero subire per sé, per i consanguinei, gli affini, ma solo se il giudizio concerne interessi privati. Non possono invece testimoniare i non idonei (impuberi e deboli di mente, per difetto di maturità, di discernimento, per l’età, per debolezza mentale, per vecchiaia), i bambini, i pazzi, gli alcolizzati, coloro che sono carenti dell’uso di ragione (can. 1550, § 1). Non possono inoltre testimoniare coloro che sono considerati incapaci; innanzitutto le parti in causa e le persone a esse collegate. Generalmente i testi vengono designati dalle parti, ma possono esserlo anche dal promotore di giustizia o dal difensore del vincolo, se la loro escussione è di utilità per la causa: precisamente, il promotore di giustizia può indurre testi nelle cause contenziose che riguardano il bene pubblico e nelle cause in materia penale; il difensore del vincolo nelle cause matrimoniali o concernenti la sacra ordinazione. Di regola le parti non possono assistere all’esame dei testi (can. 1559), però possono essere presenti gli avvocati e procuratori, a meno che il giudice non ritenga opportuna o necessaria, per ragioni di materia o di persone, l’escussione segreta. I testi già sentiti possono essere, a richiesta di parte o d’ufficio, nuovamente ascoltati, se ciò è ritenuto utile o necessario dal giudice, purché non ci sia pericolo di collusione o di corruzione (can. 1570). Prima che inizi la deposizione, il giudice deve invitare il teste a prestare il giuramento (can. 1562, § 2), che è la «invocatio Nominis divini in testem veritatis» (can. 1199, § 1); ma se il teste rifiuta di prestarlo, il giudice deve ascoltarlo «iniuratus» (can. 1562, § 2).
Ognuno dei singoli saggi (compiti scritti, interrogazioni ecc.) che costituiscono un esame scolastico, un esame di concorso e simili. Durante l’iter formativo si possono avere test o p. d’ingresso (dirette ad accertare il possesso delle precondizioni necessarie all’avvio di un nuovo corso di studi), test o p. di apprendimento (volte a verificare il progresso dell’apprendimento dopo lo svolgimento di un’unità didattica o fase del programma) o anche p. di verifica del profitto, solitamente acquisite al termine di un periodo di studi. Sono definiti p. oggettive quegli strumenti di rilevazione che tendono ad accertare ben individuate conoscenze, abilità o competenze, attraverso la somministrazione di una serie di quesiti a risposte chiuse, con cui si cerca di eliminare o contenere al massimo gli elementi soggettivi della valutazione eseguita dai docenti.
L’operazione che si effettua per mettere in evidenza determinate proprietà o caratteristiche d’un oggetto o mediante la quale si verificano le caratteristiche di un dispositivo, una macchina, una struttura in ordine al suo funzionamento. In particolare le p. sui materiali sono determinazioni sperimentali per stabilirne le caratteristiche meccaniche e tecnologiche.
In elettrotecnica, oltre alle p. sui materiali, sia meccaniche sia, soprattutto, di isolamento, di conduttività e, se del caso, magnetiche, particolarmente importanti sono le p. sulle macchine elettriche.
L’uso di apparecchiature con componenti elettronici di potenza per l’alimentazione e il controllo di motori comporta, oltre a vantaggi di regolazione, anche l’inconveniente di alimentare tali motori con forme d’onda di tensione e correnti deformate, il cui grado di dissimmetria dipende dal tipo di convertitore, dalla strategia di controllo e dal regime di funzionamento. La presenza di tali alimentazioni dà luogo ad aumenti delle perdite e al sorgere di coppie alternative che possono provocare risonanze meccaniche, vibrazioni e sorgenti di rumore, rendendo necessario il declassamento della macchina.
Hanno lo scopo di accertare la bontà e la capacità di tenuta del sistema di isolamento; sono varie e particolarmente delicate. La più semplice è la misurazione della resistenza di isolamento, che può dare un’indicazione dello stato di invecchiamento dell’isolante e che perciò è consigliabile venga fatta prima di applicare la tensione di esercizio alla macchina, specie dopo lunghi periodi di inattività. La p. con tensione applicata ha lo scopo di accertare la bontà dell’isolamento ‘esterno’, ovvero dell’isolamento tra i vari avvolgimenti e tra questi e la carcassa; la p. con tensione indotta ha lo scopo, invece, di accertare la bontà dell’isolamento ‘interno’, ovvero di quello esistente tra spira e spira di ciascun avvolgimento. Entrambe tali p. vanno effettuate con valori di tensione normalizzati in funzione della tensione nominale di esercizio. Le p. a tensione indotta vanno fatte a frequenza superiore a quella di esercizio per ridurre il corrispondente valore dell’induzione magnetica ed evitare che il circuito ferromagnetico raggiunga la saturazione. Le p. con tensione a impulso hanno lo scopo di verificare che la macchina (si tratta in genere di trasformatori) resista a un’onda normalizzata di tipo impulsivo, con la quale si simula una fulminazione nell’impianto reale.
Consentono di accertare la resistenza meccanica del rotore, la presenza di sbilanciamenti o disallineamenti e le frequenze critiche dell’albero. I risultati vengono ricavati attraverso p. di vibrazione e di rumorosità, oltre che facendo girare il rotore a una velocità superiore alla nominale.
Consentono la valutazione con p. indirette (nel senso che non si porta la macchina al funzionamento nominale) della potenza perduta Pp in corrispondenza della potenza resa Pr di targa.
Servono per verificare che la sovratemperatura rispetto all’ambiente nei punti più caldi della macchina non superi i valori massimi ammessi dalla norma per la classe di isolamento relativa.
Le tecniche di sperimentazione sia della resistenza dei materiali sia della loro attitudine a lasciarsi lavorare in determinate maniere si sono sviluppate, in modo organico e razionale, in parallelo rispettivamente allo sviluppo della scienza delle costruzioni e al perfezionamento sempre più spinto dei metodi di lavorazione. La complessa normativa che permette di rendere uniforme, ovvero standard, l’effettuazione delle p. dei materiali è curata nei vari paesi dai rispettivi enti di unificazione (per l’Italia, l’UNI), riuniti in una organizzazione internazionale di normalizzazione (ISO). Ciò allo scopo evidente di rendere confrontabili i risultati di p. effettuate in luoghi e tempi diversi, da operatori diversi.
Se si deve sottoporre un materiale qualsiasi a una p. è necessario, generalmente, prelevare un campione, o saggio, della massa del materiale per confezionare la provetta, o provino, cioè l’oggetto che deve subire concretamente la p.; sia il prelievo del saggio, sia la conformazione e la lavorazione della provetta si eseguono secondo modalità regolate dalle norme. Successivamente la provetta, per mezzo di macchine e attrezzature adeguate, è sottoposta a una prestabilita sollecitazione se si tratta di una p. meccanica, oppure a una data lavorazione se si tratta di una p. tecnologica. Generalmente, in entrambi i casi, la p. termina con la rottura della provetta o, quanto meno, con la sua deformazione permanente: in questo caso si parla di p. distruttiva, in contrapposto a quella che è chiamata impropriamente p. non distruttiva, cioè ogni controllo effettuato sul materiale, allo stato di prodotto finito o semilavorato, per verificarne l’omogeneità, la composizione e per rilevarne difetti interni; tali controlli sono eseguiti con procedimenti particolari, spesso complessi, che però non alterano, né danneggiano, né tantomeno distruggono il materiale.
Hanno lo scopo di valutare quantitativamente la resistenza di un materiale sottoposto a una determinata sollecitazione. Possono essere statiche oppure dinamiche: nel primo caso il valore del carico applicato alla provetta cresce lentamente nel tempo, da zero al valore massimo con continuità, senza oscillazioni, in modo da rendere nulle, o trascurabili, le forze d’inerzia; nel secondo caso invece la provetta viene sottoposta, in condizioni normalizzate, a sollecitazioni che possono avere sia carattere istantaneo (urto) sia carattere ciclico, vale a dire con intensità variabile periodicamente.
Le p. di trazione sono effettuate per quasi tutti i materiali che interessano le costruzioni, dai metalli al legno, dalle fibre tessili alle materie plastiche, in quanto forniscono gli elementi necessari per definire le proprietà elastiche e di resistenza dei materiali. La macchina di p. è provvista di due ganasce che hanno il compito di afferrare le estremità ingrossate della provetta per trasmetterle la forza di trazione. Per realizzare una trazione pura, le ganasce sono collegate alla macchina mediante snodi sferici, così da impedire che nascano sollecitazioni composte. La macchina di p. è provvista di dispositivi, generalmente idraulici, che sviluppano la forza di trazione, e di apparecchiatura dinamometrica per misurare la forza applicata. La misurazione degli allungamenti subiti dalla provetta deve essere molto accurata e poiché gli allungamenti, specie nella fase elastica, sono molto piccoli, è necessario ricorrere a trasduttori di spostamenti molto sensibili di tipo meccanico o elettrico; qualora sia richiesta una sensibilità molto spinta si ricorre a sistemi ottici interferometrici e olografici. È utile rappresentare i risultati sperimentali di una p. di trazione in un piano cartesiano, riportando in ascisse gli allungamenti unitari ε, e in ordinate i carichi unitari (simboli: R, per l’uso pratico; σ per l’uso scientifico). Se S0 è l’area, all’inizio della p., della sezione circolare della provetta, F il valore della forza di trazione in un certo istante, L la lunghezza fra i riferimenti (nello stesso istante) della provetta (ovviamen;te maggiore di quella iniziale L0), si ha R = F/S0, in N/mm2, e ε = (L−L0)/L0. Il carico unitario è sempre riferito alla sezione iniziale S0, mentre F cresce con continuità da zero al valore finale. L’andamento del diagramma che si ottiene dipende dal materiale; per es., per un acciaio dolce si ha il diagramma riportato in fig. 1. Come si può osservare, si ha un primo tratto rettilineo: ciò significa che si è nel campo di validità della legge di Hooke e quindi la relazione che lega carico e allungamento è di tipo lineare. Per carichi maggiori del carico unitario di scostamento dalla proporzionalità Rp, non c’è più proporzionalità tra carico e allungamento. Nonostante ciò, l’andamento rimane di tipo elastico; infatti interrompendo la p. e annullando la forza di trazione, la provetta riprende la lunghezza L0 e la sezione di area S0. Tale comportamento si manifesta sino a un certo valore del carico applicato, oltrepassato il quale la provetta, se scaricata, comincia a presentare deformazioni permanenti. Si potrebbe definire allora il carico unitario al limite di elasticità: Re = Fe/S0, essendo Fe il valore della forza di trazione che produce il fenomeno descritto. Aumentando il carico, gli allungamenti della provetta si accentuano e infatti si entra nel campo delle deformazioni permanenti. Si osservano a questo punto per molti materiali, in particolare per quelli metallici, deformazioni a carico costante o addirittura a carico oscillante tra il valore raggiunto e valori minori; il diagramma, in corrispondenza di tale fenomeno, presenta un andamento irregolare; nello stesso tempo, sulla superficie (preventivamente lucidata) della provetta si osserva la comparsa di una fitta serie di sottili striature (linee di Lüders) inclinate di 45° rispetto all’asse della provetta. Si dice allora che il materiale si è snervato e si definiscono due diversi valori del carico unitario di snervamento: superiore, ReH, e inferiore, ReL, sempre riferiti alla sezione iniziale S0. Lo snervamento di un materiale è un fenomeno molto importante perché è un indice dei limiti di carico entro i quali esso può ‘lavorare’ con sicurezza. Continuando la p., la curva raggiunge un massimo, quindi decresce, terminando in corrispondenza della rottura della provetta. Si osserva pure che questa, per valori del carico maggiori di quello di snervamento, presenta, in una zona centrale, una progressiva diminuzione di sezione: è la cosiddetta zona di strizione. Tale contrazione di sezione diviene sempre più rilevante, a essa segue rapidamente la rottura della provetta. Si conviene di assumere come resistenza a trazione o carico di rottura a trazione del materiale, il carico unitario corrispondente al carico massimo da esso sopportato durante la p.: Rm = Fm/S0. Riavvicinando (dopo la rottura) le due parti della provetta, si può misurare la lunghezza finale Lu del tratto utile, che inizialmente aveva lunghezza L0. Si definisce l’allungamento percentuale dopo rottura con la relazione A = 100 (Lu−L0)/L0.
Le p. di compressione sono effettuate soltanto sui materiali per i quali la resistenza a compressione è diversa da quella a trazione: per es. il legno, le pietre da costruzione, il calcestruzzo. I materiali metallici, invece, non vengono provati a compressione, eccetto la ghisa. La p. è eseguita con una macchina munita di piastre tra le quali è posta la provetta. Le provette per la p. di compressione, di dimensioni stabilite, sono generalmente prismatiche o cubiche. Le basi delle provette devono essere perfettamente piane, parallele tra loro e perpendicolari all’asse. Il carico di rottura a compressione è definito dal rapporto Rm = Fm/S0, dove Fm è la forza di compressione che ha provocato la rottura e S0 l’area iniziale della sezione della provetta. Se invece il materiale è tenace, non si verifica una vera e propria rottura della provetta; questa, sotto l’azione del carico crescente, si deforma progressivamente e per definire il carico di rottura ci si serve del rapporto Rs = F(0,2)/S0, dove F(0,2) è il valore della forza di compressione che determina, nel tratto utile della provetta, un accorciamento permanente pari allo 0,2% della lunghezza iniziale (forza di compressione che produce lo snervamento del materiale).
Le p. di flessione sono eseguite per determinare il carico che provoca una determinata freccia permanente della provetta o, viceversa, la freccia permanente provocata da un determinato carico. Per i materiali fragili, non manifestando essi deformazioni permanenti apprezzabili, si determina sia il carico sia la freccia nell’istante in cui avviene la rottura del materiale. Le provette usate per la p. di flessione debbono avere sezione trasversale di area costante, ma la forma della sezione può essere qualsiasi, purché simmetrica rispetto al piano di sollecitazione. La p. viene eseguita poggiando la provetta (a in fig. 2) su due rulli b e misurando la freccia f in corrispondenza della metà della lunghezza L. La provetta viene sollecitata o con un carico in mezzeria (fig. 2A), oppure con due carichi uguali e simmetrici rispetto agli appoggi (fig. 2B).
La scelta del tipo di lavorazione cui può essere sottoposto un determinato materiale dipende da talune proprietà (proprietà tecnologiche) valutate con p., dette anch’esse tecnologiche, non tutte unificate e talvolta piuttosto empiriche; tali p. hanno però il grande vantaggio della semplicità e rapidità d’esecuzione e permettono di stabilire facili criteri di confronto tra materiali diversi, ai fini di una certa lavorazione.
Le p. di colabilità hanno lo scopo di stabilire la fluidità del metallo fuso. Sono realizzate versando il metallo fuso in una forma troncoconica di materiale refrattario, avente una scanalatura che si svolge a spirale dall’alto verso il basso e che, a intervalli regolari, presenta delle piccole fossette. Colato il metallo nella fossetta in sommità, esso scenderà fino a che diventerà solido. Contando il numero delle fossette riempite si ha un indice di colabilità del metallo stesso.
Le p. di imbutitura (o p. Erichsen) servono a valutare l’attitudine di un materiale metallico a essere lavorato per imbutitura. Un pezzo di lamiera del materiale da esaminare viene posto fra una matrice cava e un premilamiera munito di opportuno punzone. Questo, sotto l’azione di una pressa, fa incurvare la lamiera producendo una deformazione a forma di coppa. La misura della profondità dell’imbutitura in corrispondenza della comparsa delle prime lesioni dà l’indice di imbutibilità del materiale.
Le p. di piegamento sono p. di lavorabilità per stampaggio, che si eseguono su materiali fucinati o semilavorati, su lamierini, ferri piatti o profilati. La provetta, poggiata su due supporti fissi a rullo, viene piegata facendo esercitare uno sforzo crescente da un terzo rullo, mobile. La p. ha termine quando, raggiunto un certo angolo, compaiono le prime screpolature sulla parte tesa della provetta.
Le p. di temprabilità Jominy costituiscono un metodo pratico di misurazione della temprabilità di un materiale. Sono effettuate riscaldando alla temperatura di tempra, per un tempo stabilito, una provetta cilindrica del materiale, di dimensioni stabilite; quindi, in condizioni controllate, si raffredda la provetta inviando un getto d’acqua sopra una sua estremità, secondo modalità convenzionali. Dopo una leggera rettifica superficiale della provetta, su questa viene misurata la durezza Rockwell (➔ durezza), lungo una o più generatrici del cilindro, a partire dalla base temprata e a varie distanze da questa. I risultati così ottenuti si riportano in un diagramma (curva Jominy) avente in ordinate le durezze e in ascisse le distanze dall’estremità temprata della provetta.
Comprendono quegli accertamenti atti a riscontrare, ed eventualmente misurare, difetti o discontinuità strutturali presenti in manufatti, senza prelievo o distruzione di materiale e senza compromettere la funzionalità del componente su cui esse vengono eseguite. Le p. non distruttive trovano vasta applicazione in campi fra loro anche molto diversi: nelle industrie aeronautica, aerospaziale, nucleare, petrolchimica, siderurgica, nei trasporti e nel restauro delle opere d’arte. Dal punto di vista dei metodi impiegati, si utilizzano fenomeni di capillarità, forze elettromagnetiche, onde sonore, onde ultrasonore, raggi infrarossi e ultravioletti, raggi X e γ.
Nelle p. con correnti indotte il pezzo da controllare è posto all’interno o nelle adiacenze di un conduttore elettrico avvolto a spirale, nel quale viene fatta passare una corrente alternata, detta corrente di eccitazione. Per effetto della induzione elettromagnetica, nel pezzo da controllare si producono delle correnti indotte o correnti parassite. In prossimità di discontinuità superficiali o poco al di sotto della superficie esterna (poche decine di millimetri) il percorso della corrente indotta viene modificato e, di conseguenza, viene alterato il campo magnetico di eccitazione. Questa alterazione influenza la tensione di eccitazione, la cui variazione fornisce un segnale in grado di evidenziare la presenza di difetti. I limiti di applicazione del metodo sono costituiti dalla profondità dei difetti, e dal fatto che i materiali costituenti i pezzi devono essere buoni conduttori di elettricità.
Le p. a emissioni acustiche si basano sulla rilevazione e caratterizzazione delle ‘microquantità’ di energia elastica che viene rilasciata in un materiale ogni volta che si verifica un’alterazione nella sua struttura.
Le p. con liquidi penetranti si basano sulle proprietà di bagnabilità di alcuni liquidi capaci di penetrare per capillarità in cricche (o fessure) molto sottili. La p. consiste nel bagnare con il liquido la zona da controllare, nel rimuovere dalla superficie l’eccesso di liquido penetrante mediante opportuni solventi, nell’asciugare la zona e nell’applicare una polvere rivelatrice, capace di riportare in superficie, per effetto della capillarità, il liquido introdottosi nella cricca, consentendo in questo modo la visualizzazione del difetto.
Le p. magnetoscopiche si basano sul principio del flusso magnetico disperso e consistono nel depositare particelle ferromagnetiche finissime sulla superficie da ispezionare. Quando la parte viene magnetizzata mediante un opportuno campo magnetico, le particelle tendono ad addensarsi intorno al difetto, evidenziandone la forma e le dimensioni. Il metodo è applicabile solo a materiali ferromagnetici e consente di rilevare difetti anche subsuperficiali, purché non molto profondi.
Le p. radiografiche e gammagrafiche sono tra le più utilizzate per i controlli non distruttivi per la valutazione dell’integrità strutturale di componenti industriali. Questi metodi sfruttano il forte potere di penetrazione di corpi solidi da parte dei raggi ionizzanti X e γ e la loro capacità di impressionare una lastra radiografica o di produrre fluorescenza su schermi ricoperti di sostanze particolari, in modo da produrre una fotografia o una visione diretta sullo schermo della parte da analizzare. Il principio di funzionamento si basa sulla variazione di attenuazione che i due tipi di raggi subiscono quando incontrano un difetto sul loro percorso attraverso il materiale.
Le p. termografiche si basano sulla conversione delle emissioni infrarosse di un corpo in immagini visibili su uno schermo (termovisione) o sviluppabili su un supporto cartaceo (termografia). La termografia è particolarmente indicata per il controllo di laminati piani, in quanto la conduzione del calore attraverso una superficie di spessore limitato è influenzata dalla presenza di difetti, dando luogo a irregolarità nel profilo delle linee isoterme (linee di uguale temperatura, presenti sulla superficie di un corpo).
Le p. con ultrasuoni consistono nel generare un impulso di vibrazioni ultrasonore per mezzo di un trasduttore piezoelettrico accoppiato acusticamente al pezzo da controllare. L’impulso sonoro attraversa il pezzo per l’intero spessore e, in presenza di cavità o discontinuità interne, ne viene parzialmente o totalmente riflesso. Un trasduttore ricevente, quasi sempre costituito dallo stesso emettitore, rileva le onde riflesse dall’ostacolo. L’ampiezza dell’energia riflessa e il tempo impiegato nel percorso di ritorno indicano l’entità e la localizzazione del difetto nel pezzo (fig. 3).
Le p. che si effettuano per le costruzioni civili sono sostanzialmente di tre tipi: a) p. di carico su strutture facenti parte di opere già costruite; b) p. fisiche e chimiche dirette sulle strutture o, più spesso, su saggi prelevati dalle strutture stesse; c) p. di carico su modelli.
Per quanto riguarda le p. fisiche e chimiche dirette sulle strutture, esse possono essere di tipo empirico, quali per es. la percussione col martello di strutture cementizie, o più approfondite, come la p. con sclerometro delle strutture stesse; le p. su saggi si effettuano come le ordinarie p. sui materiali dopo aver prelevato dalla struttura i campioni da provare. Questa operazione può presentare alcune difficoltà sia per il prelevamento (che non deve provocare danni alla struttura) sia per la conservazione dei saggi: per es., la difficoltà di conservazione di campioni di terre prelevate in profondità che conservino le loro caratteristiche intrinseche, quali umidità, coesione ecc. (campioni indisturbati).
L’esecuzione di p. di carico su modelli si esegue di solito in laboratorio o in officina.
La realizzazione di aeroplani o elicotteri richiede una cospicua attività sperimentale, distinta in p. a terra e p. di volo. Le p. a terra sono condotte su parti separate, come strutture, impianti, installazioni speciali, o sul velivolo nel complesso. Le p. strutturali verificano la resistenza statica a carichi di esercizio (manovre in volo, raffiche di vento, atterraggi ecc.) e a fatica ai carichi ripetuti (cicli di decollo-atterraggio o di pressurizzazione-depressurizzazione ecc.). Il comportamento dinamico di ali, fusoliera, superfici di comando si determina eccitando tali strutture con carichi oscillanti e rilevandone le risposte dinamiche. Nelle p. degli impianti di bordo si simulano comportamento in quota (e ad alte e basse temperature) e avarie ai componenti. Effettuate le p. a terra (tra cui le p. dell’impianto motore) e introdotte le correzioni opportune, si eseguono p. di volo, volte alla messa a punto del velivolo in tutte le condizioni, per ottimizzarne le prestazioni e acquisire dati di funzionamento da inserire nei manuali di pilotaggio. Nel caso di dotazioni specifiche di missione come armamenti o dispositivi di osservazione e ricerca, o per macchine destinate a particolari impieghi (su unità navali, su cime di edifici ecc.) o ambienti (quote inusuali, temperature estreme, ambienti sabbiosi, salini, nevosi, ghiacciati) si effettuano molte p. specifiche.
P. di funzionamento degli apparati motori vengono effettuate dopo lavori di riparazioni o dopo un lungo periodo d’inattività e comprendono le p. sugli ormeggi (ossia a nave ferma) per constatare che le varie parti dei macchinari siano montate a dovere e che si possa quindi passare alle p. in mare, cioè con nave in moto. Le p. di oscillazione vengono eseguite in acque perfettamente calme (generalmente in bacino), con opportuno spostamento di pesi, e servono a determinare il periodo di oscillazione della nave. Le p. di resistenza servono ad accertare che l’apparato motore sia capace di funzionare regolarmente per un lungo periodo di tempo, sviluppando i 4/5 della potenza massima; durano, in genere, da 6 a 12 ore. Le p. di stabilità sono di vitale importanza e servono a determinare l’esatta posizione del centro di gravità della nave (in prestabilite condizioni di carico) e, di conseguenza, la sua altezza metacentrica, elemento essenziale per la stabilità. Vengono eseguite in bacino, creando coppie sbandanti, sia trasversali sia longitudinali, con opportuni spostamenti di pesi, e misurando mediante idonei strumenti le conseguenti inclinazioni della nave. Le p. di velocità si eseguono in mare su basi misurate per determinare la potenza sviluppata dalle motrici alle varie velocità fino alla velocità massima e i relativi consumi.
Approfondimento:
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