Costruzione di una certa grandezza e capacità (stazza lorda superiore a 50 t; per stazze inferiori si parla di imbarcazione), adibita al trasporto per acqua di persone, merci, o anche ad azioni belliche. In senso stretto e più comune, sono n. quelle che galleggiano sull’acqua, in senso più ampio, anche quelle che scivolano sulla sua superficie (idroscivolanti), o ne rimangono sollevate per mezzo di un cuscino d’aria (hovercraft), o per l’azione di ali immerse che, con il moto, determinano la necessaria portanza (aliscafi), o che navigano a una certa profondità (sottomarini). Le n. si distinguono a seconda delle zone d’acqua corse (n. marittime, costiere e alturiere; fluviali, lacuali ecc.); ovvero del servizio assolto (da passeggeri, da carico, di servitù; da cabotaggio e da lungo corso ecc.); ovvero del materiale di cui è fatto lo scafo (di legno, di metallo, di cemento armato ecc.); ovvero del sistema di propulsione (a remi, a vela, a motore).
L’antichità. - Fin dai tempi più remoti e nei luoghi più diversi si trovano esempi di galleggianti di forme svariate, dipendenti dalle acque e dalla natura dei materiali disponibili. Tra le più antiche, le imbarcazioni monossile del Neolitico elvetico e delle rappresentazioni grafiche delle rocce di Brastad (Svezia); i fasci di fusti di papiro d’Egitto; le zattere. Nel mondo occidentale, appaiono dapprima le grandi imbarcazioni fluviali di legno degli Egiziani, mosse a remi e a vela, poi, con successivi perfezionamenti, diventate marine, forse con la collaborazione dei Fenici, che disponevano di legnami più adatti, e avevano maggiori relazioni con il mondo orientale, da cui potevano derivare utili esperienze.
Contemporaneamente, nel 3° e 2° millennio a.C., la civiltà minoica, sola o in collaborazione con la civiltà egea, aveva gettato le basi essenziali della costruzione navale classica: piccoli bastimenti di legno, a chiglia orizzontale, con scafo a ossature trasversali e sovrapposto fasciame in tavole, pontati o no, con propulsione principale a remi, e ausiliaria a vela, con un solo albero. N. dello stesso tipo si trovano rappresentate nei documenti assiri attorno al 1000 a.C.
Nel periodo greco-romano, le n. si stabilizzano in due tipi ben definiti: l’uno militare, con propulsione prevalentemente a remi, qualche volta pontato per far luogo ai combattenti e portare le macchine da guerra, rostrato per attaccare l’avversario, di forma relativamente fine, con alta poppa (aplustre) e bassa prora, come l’agile liburna; l’altro mercantile, con propulsione prevalentemente a vela, attrezzato con due alberi, di forme piene, come la n. oneraria tonda. Le n. remiere prendevano il nome dal numero, contato a murata, degli ordini di remi che portavano: monoremi (pentecontoro e liburna); biremi e triremi (greche); quadriremi e quinqueremi (cartaginesi e romane). La grandezza delle maggiori unità marittime toccò valori cospicui (n. lusorie fino a 40 ordini di remi). Dopo la caduta dell’Impero Romano, i Bizantini conservarono un tipo di n. militare a remi, con vela ausiliaria (trevo), il dromone, poco diverso dalla liburna e che impiegava il temuto fuoco greco, e un tipo di n. mercantile, la tarida (fondo piatto, tre ruote a poppa, tre alberi, alto bordo, vele quadre).
Medioevo. - Il contatto tra le marinerie occidentale e araba portò sensibili modificazioni, specialmente nell’attrezzatura – con la presunta introduzione della vela latina, triangolare, atta a stringere il vento (andatura di bolina) assai più della vela quadra – e nella costruzione, con scafi più leggeri, fini e veloci (feluca, brigantino ecc.). Questo non esclude che anche allora si costruissero unità più grandi, come l’acazio bizantino, a vela quadrata (acato), che doveva poi svilupparsi nei secoli successivi nella caracca e negli altri tipi gradualmente comparsi per opera delle risorte marine mediterranee, italiane e iberiche, e delle nuove marine nordiche.
Il ciclo delle crociate, rimettendo in primo piano il problema dei traffici marittimi, fu causa insieme ed effetto dello sviluppo straordinario assunto, soprattutto nel 13° sec., dalle repubbliche marinare italiane. Nelle costruzioni navali si vide da un lato lo sviluppo delle galee venete, perfezionamento degli scafi di legno, e dall’altro l’affermazione definitiva di navi onerarie sempre più grandi, a tre e quattro ponti, a tre e quattro alberi, caracche e galee grosse da mercanzia, trasformatesi successivamente nei galeoni del 16° secolo. Meno grandi, ma di qualità nautiche ottime, le caravelle iberiche del Quattrocento, snelle e leggere (200 t ca. di dislocamento e venti metri ca. di lunghezza in chiglia), attrezzate a tre alberi.
L’età moderna. - All’epoca delle grandi scoperte geografiche, quando i traffici mondiali più imponenti diventarono marittimi, anzi oceanici, sorsero gli strumenti adatti ai nuovi tempi: il vascello, prototipo delle unità militari, e la n., prototipo delle mercantili, che dovevano sopravvivere, quasi inalterati, fino all’Ottocento. Il merito di avere raccolto in sintesi i diversi elementi preesistenti nei velieri d’altura fu specialmente degli Olandesi: tale sintesi portò da un lato allo scafo a tre ponti (coperta, batteria e corridoio), con alto cassero poppiero e bassa prua, con forme di carena bene avviate e marine, con strutture robuste; e dall’altro lato all’attrezzatura a tre alberi con la caratteristica velatura a n., cioè tre alti alberi multipli verticali, di cui i due prodieri (trinchetto e maestra) con vele quadre multiple, e il poppiero (mezzana) con vele quadre e latine (poi diventate rande), e un quarto albero suborizzontale a prora estrema (bompresso), con vele quadre (civade), diventate poi vele latine (fiocchi): disposizione ideale, ancor oggi insuperata.
L’Ottocento. - Nel 19° sec. la fabbricazione di lamiere e di profilati di ferro e la costruzione della macchina a vapore offrirono i mezzi per quel rinnovamento completo delle costruzioni navali che ebbe inizio nel periodo 1775-1825, cominciando dalla navigazione fluviale, per opera di arditi pionieri: P. Miller e W. Symington in Gran Bretagna, C.-F. de Jouffroy d’Abbans in Francia, J. Ficht negli USA, per la introduzione della propulsione meccanica a vapore; A. Manby, M. Laird, W. Fairbairn in Gran Bretagna, per quella degli scafi di ferro. La tradizione celebra il 1807 come l’anno dell’affermazione definitiva della propulsione a vapore con macchina alternativa e caldaia a carbone, per merito di R. Fulton, con la sua piccola n. di legno e a ruote Clermont, sul fiume Hudson, e il 1822 come quello degli scafi marittimi di ferro, per merito di Manby di Birmingham, con il suo piroscafo Aaron Manby. Lo sviluppo della nuova tecnica, naturalmente faticoso per i molteplici problemi che si ponevano, iniziato e proseguito nella Marina mercantile, gradualmente s’impose per i suoi vantaggi; nel 1819 il veliero, con propulsione ausiliaria a ruote, Savannah, attraversò l’Atlantico. L’adozione dei condensatori a superficie (con straordinaria economia di acqua e di carbone) rese possibile nel 1838 l’inizio di un regolare servizio transatlantico con il Great Western, piroscafo a ruote senza ausilio di vele (scafo di legno, misure in m: 71,92×17,78×4,88; 1440 t; potenza indicata 300 kW; velocità 10 nodi). Poco dopo (1843), il Great Britain di I.K. Brunel (3000 t.s.l.; velocità 10 nodi) segnava due grandi innovazioni: l’adozione del ferro negli scafi e quella dell’elica (inventata nel 1836 da F.P. Smith) nella propulsione. Nel 1854 lo stesso Brunel creava il grande transatlantico veloce, la ‘città galleggiante’, con dimensioni rimaste insuperate per molti anni, il Great Eastern (dimensioni in m: 210,92×25,15×17,67; immersione 9,14 m; dislocamento 27.000 t ca.; potenza indicata, 6000 kW; velocità 14 nodi; 4000 passeggeri). I concetti costruttivi generali applicati sul Great Eastern non erano molto diversi da quelli che ancor oggi distinguono lo scafo di metallo da quello di legno: coste e fasciame esterno di ferro, doppio fondo completo, ponti metallici (uno a doppio fasciame), unione degli elementi a chiodatura, compartimentazione dello scafo mediante numerose paratie trasversali stagne; minori i progressi nell’apparato propulsivo: 3 macchine compound, 2 agenti sulle ruote laterali, 1 sull’elica poppiera; 10 caldaie parallelepipede, a carbone.
Dopo il Great Eastern, lo sviluppo delle costruzioni navali fu lento, ma continuo, nel senso di aumentare la sicurezza della navigazione con qualunque tempo (carena marina), compartimentazione sempre più minuta dello scafo; diffusione del propulsore a elica in luogo delle ruote; incremento dei mezzi di salvataggio. Più vistoso il progresso degli apparati motori, dove dalla macchina a doppia espansione si passò a quella a triplice e poi a quadruplice espansione; dalla caldaia parallelepipeda alla caldaia cilindrica e poi, nella Marina militare, a quella a tubi d’acqua, a pressione e temperatura gradualmente crescenti, ma sempre ancora a carbone. Nuovo del tutto (1880 ca.) l’inizio dell’applicazione dell’elettricità ai servizi ausiliari di bordo. Nel naviglio mercantile il servizio per passeggeri sulle direttive principali del traffico si andò gradualmente distinguendo da quello per le merci.
Musei navali. - In Italia un’ampia documentazione della storia marinara e dell’evoluzione della tecnica navale nazionale è raccolta principalmente in 5 musei navali: 2 della Marina militare, negli arsenali di La Spezia, per l’epoca moderna, e di Venezia, per l’età medievale; 3 civili, a Napoli (San Martino, statale) per la Marina napoletana, a Genova (Pegli, comunale) per la Marina mercantile ligure, a Milano (Museo navale didattico) per la Marina italiana in generale.
Il naviglio mercantile ha nel 20° sec. ininterrottamente sviluppato le sue caratteristiche essenziali: sicurezza, capacità di carico (passeggeri e merci), velocità, autonomia, grazie pure a un’accentuata specializzazione nell’impiego e a un graduale aumento nella grandezza media. Esso ormai si distingue, a seconda dei servizi che esercita, in: naviglio da passeggeri; naviglio misto (da passeggeri e da carico); naviglio da carico (con non più di 12 passeggeri), a sua volta distinto, a seconda delle merci cui è destinato, in naviglio da carico secco (vario, a massa e container), per carico liquido (n. cisterna), per merci deperibili (n. refrigerate) o per minerali; naviglio per servizi speciali (n. traghetto, n. officina, naviglio da pesca ecc.); infine naviglio di servitù. Occorre dire, peraltro, che, ferma restando in linea generale tale classificazione, dall’inizio degli anni 1960 si è verificato un notevole mutamento consistente nell’aumentata richiesta di alcuni tipi di n. e nel declino di altri.
Naviglio da passeggeri.- Il naviglio da passeggeri è caratterizzato da scafi con grandi sovrastrutture (dove vengono ricavati i locali sociali e gran parte degli alloggi, a classi diverse o a classe unica) e con una compartimentazione minuta, che ne garantisce una ragionevole insommergibilità; da un allestimento molto complesso (servizi antincendio, salvataggio, condizionamento d’aria ecc.); da elevate velocità ottenute con apparati motori di notevole potenza. Il ridimensionamento di questo tipo di naviglio a beneficio del trasporto aereo ha portato allo smantellamento dei grandi transatlantici di linea fra i quali, per motivi storici, si possono ricordare il Rex (Italia, 1932: 51.061 t.s.l., 29 nodi, 2000 passeggeri); Queen Elizabeth (Gran Bretagna, 1940: 83.670 t.s.l., 32 nodi, 2300 passeggeri); United States (USA, 1952: 51.500 t.s.l., 34 nodi, 2000 passeggeri); Michelangelo (Italia, 1962: 43.000 t.s.l., 29 nodi, 1800 passeggeri). In compenso hanno avuto un grande sviluppo le n. destinate a soddisfare la crescente richiesta turistica di crociere (fig. 1), che hanno superato per stazza i grandi transatlantici (Liberty of the seas, Finlandia, 2007: 160.000 t.s.l., 21 nodi, 4300 passeggeri). Nell’interscambio nazionale o tra nazioni limitrofe si è accentuata l’esigenza del trasporto, unitamente ai passeggeri, di autovetture: sono state di conseguenza sviluppate n. fra le 5-10.000 t, con alloggi piccoli e funzionali e con ampie possibilità di ricovero di autovetture. Nella categoria rientrano i traghetti veloci, con velocità di 35-40 nodi.
Naviglio da carico secco. - Il naviglio da carico secco vario veloce (ingl. liner) è costituito da motonavi con scafi a sovrastruttura completa di primo ordine aperta o chiusa, che, in base alle regole di stazzatura universalmente accettate, offrono il massimo volume di stive con la minima stazza, con velocità da 15 a 20 nodi e poderosi mezzi di imbarco e sbarco del carico; portata lorda sulle 10.000 t.
Il naviglio da carico secco vario lento (ingl. tramp), con scafi di disegno analogo alle n. precedenti, ma velocità e portata minori, tende ormai a costituire con esse una classe unica. Il naviglio da carico secco a massa (n. portarinfuse e mineraliere, ingl. bulk carriers, per grano, carbone, minerali ecc.) è invece costituito da vapori o motonavi con scafi generalmente a un solo ponte, ‘a coperta rasa’ (ingl. full deck), con velocità da 12 a 16 nodi, ampi boccaporti (con robuste chiusure metalliche), per consentire la manovra delle grandi benne delle gru portuali, vaste stive senza ingombri; portata lorda sulle 25-40.000 t e più. Anche questo tipo di naviglio ha subito in tempi recenti considerevoli mutamenti con l’aumento sia del numero di unità sia della portata; sono in esercizio n. di 100-150.000 t, con velocità fino a 18 nodi.
Il naviglio portacontainer è legato alla procedura di assiemare in fabbrica, in grossi contenitori (container), forti quantitativi di prodotti e di spedire il contenitore integro fino a destinazione, attuando così un trasporto merci ‘da porta a porta’. Le moderne unità, concepite specificamente per il trasporto dei container, hanno tonnellaggi oltre le 50.000 t e imbarcano migliaia di container (lunghezza standard 20 piedi). Il parallelo adeguamento delle attrezzature portuali a questo traffico navale ha ridotto enormemente oltre ai tempi di imbarco e sbarco (fino a 7 volte e più) anche i tempi di manovra e di spedizione dei container, diminuendo così la durata di permanenza in porto delle n. e quindi i noli, e garantendo la buona conservazione della merce che, oltre ad essere ben protetta durante il viaggio, non è sottoposta a manipolazioni. Sono anche in servizio n. portachiatte, le quali ricevono in appositi alloggiamenti grosse chiatte, portanti i container, sollevate da gru a portale che scorrono su binario da prua a poppa. La n. può rimanere in avamporto, mettere in mare le chiatte destinate al porto per lo scarico, e caricare altre chiatte già preparate precedentemente in porto.
Un altro tipo di n. portacontainer è quello multipacket: la n. è divisibile in due parti, un troncone poppiero contenente l’apparato motore, i servizi e le installazioni per l’equipaggio, e un troncone prodiero che costituisce una grande stiva per i container; quest’ultimo è staccato subito dopo l’arrivo della nave e trainato in porto da un rimorchiatore, mentre un altro troncone, già caricato e predisposto, è agganciato alla parte poppiera.
Il naviglio per merci deperibili e il naviglio per minerali hanno caratteri comuni alle n. da carico secco veloce, salvo le attrezzature richieste dal particolare servizio (per es., n. refrigerate per carne, banane ecc.).
Naviglio da carico liquido. - Tra le n. per carico liquido le più importanti sono le petroliere; esse hanno scafi di speciale disegno, con paratie trasversali e longitudinali, che li suddividono in numerose cisterne (ingl. tanks), che contengono direttamente il carico liquido, con un solo ponte e senza doppio fondo; le petroliere sono munite di speciali impianti di pompe per il celere sbarco del carico; hanno apparato motore generalmente Diesel, disposto a poppa, velocità 14-18 nodi. Quello delle petroliere è un altro campo che ha fatto registrare, intorno agli anni 1970, un caratteristico mutamento con lo sviluppo delle superpetroliere. La richiesta di tali n. era dovuta da un lato alla sempre maggiore necessità di prodotti petroliferi, dall’altro a cause politiche che, per la chiusura del Canale di Suez dal 1967 al 1975, costrinsero a deviare il traffico marittimo sulle rotte molto più lunghe del Capo di Buona Speranza. Sono state così impostate n. sempre più grandi giungendo a costruzioni di 700.000 t, facendo inoltre largo impiego, per contenere le spese di esercizio, di macchinari con automatismi e telecomandi affidabili; sono unità che è possibile armare, con equipaggi di 35-40 persone, quante, cioè, ne occorrevano in passato per navi da 10-20.000 t: controllo e condotta della n. avvengono da un’unica centrale, sorvegliata da un limitatissimo numero di persone. Tuttavia la riapertura del Canale di Suez prima, e la rarità di porti ed ancoraggi idonei a ricevere queste n. (cui è fatto obbligo di seguire rotte alla massima possibile distanza dalle coste ed è addirittura interdetto il transito in certe zone per evitare, in caso di incidenti, immani disastri ecologici), nonché le difficoltà della loro manovra hanno infine arrestato la corsa al gigantismo.
Tra le n. cisterna sono da ricordare anche le metaniere, adibite al trasporto dei gas naturali liquefatti; per esse si presenta molto impegnativo il problema della forma dei serbatoi, dell’isolamento delle pareti e dei materiali impiegati per la costruzione, dato che i gas naturali liquefatti debbono essere conservati a temperatura molto bassa. Sono in servizio unità fino a ca. 70.000 t.s.l.
Da notare, in generale, che oggi quasi tutti i tipi di n. da carico non hanno più le classiche 3 ‘isole’ (castello, cassero centrale e cassero poppiero) che ne caratterizzavano un tempo la sagoma, ma sono a ponte continuo, con una sola sovrastruttura, per la plancia e gli alloggi, che si trova in posizione prodiera per le n. portacontainer e per le n. trasporto carichi carrellati (le cosiddette Ro-Ro, Roll on-Roll off) ed all’estrema poppa per le n. cisterna e le portarinfuse. I fumaioli, un tempo disposti al centro n., sul piano di simmetria, sono ora sistemati a poppa estrema oppure a poppa, a seconda della zona in cui è collocato l’apparato motore.
Altri tipi di n. mercantili. - Il naviglio per servizi speciali ha particolari sistemazioni e, spesso, particolare disegno in funzione del servizio che deve svolgere: n. officina, appositamente attrezzata per servire da officina mobile al servizio di altre n.; n. oceanografica, attrezzata per le ricerche scientifiche, risponde a speciali requisiti legati al tipo di indagine da effettuare ed alla zona di mare in cui opera; in particolare deve essere attrezzata per la determinazione precisa della loro posizione (punto n.); n. posacavi, per la posa di cavi sottomarini; n. rompighiaccio, con scafo molto robusto, atta alla navigazione in mari coperti di ghiaccio; n. traghetto, per il trasporto dei treni. In particolare, il naviglio per la pesca costituisce una grande categoria con caratteri propri, di vastissima gamma.
Il naviglio di servitù comprende anche esso tipi differenti: rimorchiatori d’alto mare (potenza di macchina fino a 2500 kW/asse) e portuali (200-250 kW/asse), generalmente con macchine alternative o motori Diesel o propulsori Diesel-elettrici; n. salvataggio e pontoni gru semoventi, per il maneggio di grossi carichi (fino a centinaia di tonnellate); galleggianti portuali e da rimorchio per svariatissimi usi (bette, cisterne ecc.). In questa categoria di n., un’altra significativa innovazione è rappresentata dall’entrata in servizio di sottomarini tascabili, con due o tre operatori e con funzioni di ricerca e lavoro subacqueo. L’impulso al loro sviluppo è venuto dalla scoperta e quindi dallo sfruttamento di vasti giacimenti petroliferi subacquei quali quelli del Mare del Nord: si tratta di natanti che possono scendere a notevole profondità, dotati di apparati televisivi subacquei, di manipolatori atti ad eseguire vari tipi di lavori e di apparati elettronici subacquei che ne permettono la guida da una n. appoggio.
Fino alle convenzioni navali di Washington del 1922, lo sviluppo del naviglio militare aveva seguito gli indirizzi affermatisi alla fine del 19° sec., solo perfezionando le armi (specialmente subacquee), i sistemi protettivi (difesa subacquea), gli apparati motori (caldaie a nafta e turbine a vapore), e cercando, con l’incremento della grandezza, di fronteggiare la crescente potenza dell’offesa: la grande n. corazzata, veloce e bene armata, era rimasta la regina dei mari (incrociatore da battaglia Hood, Gran Bretagna, 1918: 44.600 t, lunghezza 247 m, corazza 305 mm, velocità 32 nodi). La Prima guerra mondiale svelò la grande potenza del naviglio subacqueo e, sia pure su scala ancora limitata, dell’arma aerea in operazioni navali, fattori nuovi che ebbero profonda influenza nel periodo 1919-39, provocando un aumento della grandezza delle n. corazzate (Vittorio Veneto, Italia, 1935: 42.000 t, lunghezza 236 m, corazza 250 mm, velocità 30 nodi; Yamato, Giappone, 1939: 72.500 t, lunghezza 263 m, corazza 600 mm, velocità 29 nodi), ma insieme sollecitando la creazione delle grandi n. portaerei (Saratoga, USA, 1925: 35.000 t., 80 aerei, 34 nodi), mentre il sommergibile continuava a svilupparsi, in Germania, in Francia e in Italia.
L’esperienza della Seconda guerra mondiale dimostrò sia l’importanza ormai prevalente dell’aviazione navale, e quindi della n. portaerei rispetto alle grandi n. da battaglia, sia la perdurante importanza del sommergibile, incrementata dalle innovazioni tecniche maturate durante le ostilità. Nel corso di queste, comunque, non cessò mai l’intensa costruzione di unità tradizionali di ogni specie, dalle corazzate agli incrociatori, alle unità antisommergibili: cacciatorpediniere, n. scorta ecc. Le innovazioni tecniche allora iniziate hanno continuato a svilupparsi, avvolte per quanto possibile dal segreto, nel campo della propulsione nucleare, delle armi missilistiche con o senza testata nucleare, dei satelliti artificiali per scoperta e per comunicazioni, dei radar, dei sonar, dei sistemi automatici per l’utilizzazione e lo scambio dei dati ecc. Esse hanno profondamente modificato, insieme ad alcuni concetti dell’offesa e della difesa navali, anche alcuni principi tecnici tradizionali della guerra marittima e, quindi, il valore relativo delle varie unità navali dando inizio a un periodo di transizione.
La propulsione nucleare, iniziata dagli USA fin dal 1961 con la Enterprise (90.000 t a pieno carico, 35 nodi, più di 207.000 miglia percorse nei primi 3 anni con il primo nocciolo di combustibile nucleare costato 64 milioni di dollari, 300.000 miglia con il secondo costato invece solo 20 milioni di dollari), ha ulteriormente elevato le prestazioni delle portaerei: autonomia quasi illimitata, aumento della scorta di carburante per gli aerei, maggiore flessibilità tattica in combattimento ecc.
Particolari n., infine, sono le n. portaelicotteri: il primo tentativo di imbarcare mezzi ad ala rotante, prevalentemente destinati alla lotta antisommergibile, è della marina militare italiana, con le fregate classe Rizzo (anno 1961, un elicottero medio), perfezionato con gli incrociatori leggeri classe Doria (1963-64, 4 elicotteri medi). Esso venne presto seguito da quasi tutte le altre Marine, con unità di sempre maggiore tonnellaggio, capaci di imbarcare fino a oltre 30 elicotteri, per l’impiego sia nella lotta antisommergibile sia nelle operazioni di sbarco su territorio nemico.
Gli incrociatori e i cacciatorpediniere, importanti elementi nell’organizzazione tattica di combattimento, hanno visto drasticamente ridotto il loro armamento in artiglierie a favore degli impianti missilistici, sia del tipo superficie-superficie (antinave) sia del tipo superficie-aria (antiaereo). Quasi indistinguibile dai cacciatorpediniere, per caratteristiche generali e armamento, è ormai la classe delle fregate, che assolvono gli stessi compiti anche se in origine la loro vocazione era prettamente antisommergibile: tutte sono dotate di uno o più elicotteri. Come mezzo di contrasto più idoneo è sorto e si è sviluppato il sommergibile atto alla caccia dei sottomarini. Si tratta dei sommergibili ‘killer’, di dimensioni ridotte, altissima silenziosità, apparato motore tradizionale Diesel-elettrico-snorkel, economico e alla portata di tutte le Marine. Infine, notevole sviluppo anche in campo militare hanno ricevuto gli aliscafi, impiegati come cannoniere veloci, armati di missili superficie-superficie e/o di cannoni di piccolo calibro a tiro rapido. Per essi è più diffusa la propulsione a getto d’acqua (anziché a elica) in modo da limitare il pescaggio a scafo immerso e permettere di accostare e operare in acque basse; per la stessa esigenza molti aliscafi sono provvisti di alette retrattili.
La n. deve possedere caratteristiche generali di navigabilità, di sicurezza e di funzionalità, in parte immutabili, perché legate alla natura della navigazione, in parte perfezionabili, perché legate ai mezzi tecnici disponibili. Tali caratteristiche dipendono dalle funzioni (se mercantile: da passeggeri, da carico, cisterna ecc.; se militare: da battaglia, silurante ecc.), le quali ne impongono il volume (stazza lorda, in tonnellate di stazza, essendo 1 t.s.l. = 2,832 m3), la portata (portata lorda in t di massa), la velocità (in nodi), l’autonomia (in miglia marine), le qualità nautiche ecc.
Le principali caratteristiche architettoniche della n. sono: la galleggiabilità, come sufficienza ed equilibrio di spinta e di riserva di spinta in relazione al peso (o dislocamento); la stabilità statica, ovvero quel complesso di qualità geometriche (forma della carena) e meccaniche (distribuzione delle masse e quindi dei pesi) che assicura l’intervento di un’azione raddrizzante quando, a seguito di azioni esterne inclinanti, sia stata perturbata la condizione iniziale di assetto normale di equilibrio; la stabilità dinamica, ovvero la riserva di energia raddrizzante, potenzialmente disponibile per compensare l’energia sviluppata dalle azioni inclinanti esterne, dipendente dalla forma dello scafo e dalla distribuzione dei pesi e rappresentante, in sintesi, la capacità di lavoro di quel complesso di qualità sopra definito come stabilità statica; la stabilità di piattaforma, ovvero l’attitudine della n. a oscillare in modo sufficientemente tranquillo anche in mare agitato, in modo da mantenere quasi orizzontali i propri ponti, così da consentire il normale svolgimento delle varie attività di bordo; la manovrabilità, come ubbidienza al comando di variazione di rotta; la minima resistenza all’avanzamento, in relazione a una velocità determinata.
Le caratteristiche costruttive sono: la rigidezza, cioè l’attitudine a conservare la forma di progetto; il carattere stagno, cioè la proprietà di essere impermeabile alle infiltrazioni di acqua; la robustezza, cioè la resistenza alle più violente prevedibili azioni del mare; la leggerezza e il minimo ingombro, come ottima proporzione di massima disponibilità di carico, in massa e in volume, con minimo dislocamento; la rispondenza in ogni sistemazione (sicurezza, allestimento, apparato motore ecc.) alle condizioni necessarie alla sua funzione e manutenzione. Infine sono basilari le caratteristiche riassunte nella locuzione ‘buone qualità nautiche’, che costituiscono la sintesi armonica delle precedenti caratteristiche e della capacità di manovrare e di reggere con sicurezza in mare avverso.
Galleggiabilità. - La condizione di galleggiamento è assicurata dal volume della carena (opera viva: a in fig. 2): questa determina una spinta che (principio di Archimede) è rivolta verso l’alto e ha grandezza uguale al peso di un pari volume di acqua: per galleggiabilità si intende non soltanto la capacità di galleggiare in condizioni normali, ma anche l’attitudine della n. a mantenersi a galla pur nel caso di imbarchi straordinari di peso (dovuti, per es., per allagamenti per falla); la galleggiabilità è assicurata non dal volume della sola carena, ma dal volume totale, immerso ed emerso, della parte stagna dello scafo. La condizione di galleggiamento è rappresentata dall’espressione P=S, in cui P indica il peso della n., S indica la spinta. L’attitudine a mantenersi a galla nel caso di imbarchi straordinari di peso è misurata dalla riserva di spinta (o riserva di galleggiabilità), Rs=(W−V) ρg, in cui W è il volume totale della parte stagna dello scafo, V è il volume della carena, ρ è la densità dell’acqua e g l’accelerazione di gravità. La zona emersa della parte stagna dello scafo, il cui volume è pari a (W−V), si chiama comunemente ‘opera morta’ (b in fig. 2). La distanza verticale c tra il piano di galleggiamento e il più alto ponte, che sia stagno e resistente (detto ‘ponte di bordo libero’, d prende il nome di ‘bordo libero’; il suo valore dà un’indicazione della riserva di spinta. Si definisce poi ‘coefficiente di riserva di spinta’ il rapporto (W−V)/V e il suo valore varia tra 0,25 circa e poco più di 1 (rispettivamente per n. mercantili e n. militari).
Stabilità statica. - La capacità di una n. a galleggiamento diritto di reagire alle azioni statiche inclinanti dipende, in sintesi, dalla posizione relativa del suo baricentro rispetto al centro di carena corrispondente a ciascuna condizione di inclinazione. Variando l’assetto della n., varia la forma della carena e, conseguentemente, varia la posizione del centro di carena, che gode della proprietà di giacere sempre sulla retta d’azione (verticale) della spinta. Immaginando di inclinare la n. in tutti i modi possibili, il centro di carena descrive una superficie concava (superficie dei centri di carena), che gode della proprietà che, per qualsivoglia inclinazione, la retta d’azione della spinta, passante per il corrispondente centro di carena, è ivi perpendicolare alla superficie stessa; questa proprietà permette di visualizzare il comportamento statico della n. (fig. 3) osservando che essa si comporta esattamente come se la superficie dei centri di carena, a, supposta materializzata e rigidamente connessa alla n., b, fungesse per essa da superficie di appoggio su di un piano orizzontale π. In tal caso, il momento raddrizzante è quello della coppia costituita dal peso P della n. applicato al baricentro G e dalla reazione d’appoggio R, applicata al corrispondente centro di carena C, che tiene il luogo della spinta, sia in direzione sia in grandezza.
Per lo studio analitico della stabilità statica hanno speciale importanza il metacentro e il raggio metacentrico (➔ metacentro). Nella risoluzione pratica dei problemi di stabilità statica della n. è opportuno considerare in particolare: le inclinazioni trasversali, che si producono per rotazione intorno all’asse longitudinale; le inclinazioni longitudinali, che si compiono cioè per rotazione intorno all’asse trasversale. La stabilità trasversale è di norma oggetto di uno studio particolarmente approfondito, in quanto, a causa della forma allungata della n., per quanto concerne le inclinazioni trasversali, risultano minimi i movimenti raddrizzanti e massimi gli angoli di sbandamento; a tal fine si usa tracciare il diagramma di stabilità trasversale, cioè il diagramma (fig. 4) del momento raddrizzante Ms in funzione dell’angolo d’inclinazione trasversale α. Per valori dell’angolo di sbandamento inferiori a circa 12°, si può assumere per il momento raddrizzante la seguente espressione: Ms=P(r−a)senα, in cui α è l’angolo di inclinazione relativo all’asse longitudinale corrispondente alla condizione di n. diritta, e r−a l’altezza metacentrica relativa a una inclinazione trasversale. La misura di questo parametro è una caratteristica essenziale per ogni tipo di n.: non deve essere troppo piccola, per evitare alla n. facili eccessivi sbandamenti o ingavonamenti, né troppo grande per evitarle resistenza eccessiva e movimenti violenti (durezza), salvo speciali requisiti di sicurezza contro gli allagamenti. Essa varia da poco più di zero per grandi n. da passeggeri scariche, fino a qualche metro per n. portaerei; mediamente va da circa 0,50 m per grandi n. ordinarie a circa 1 m per piccole unità. L’altezza metacentrica longitudinale è molto più grande di quella trasversale (l’ordine di grandezza è quello della lunghezza della n.); le variazioni angolari longitudinali sono perciò assai minori delle trasversali, il che è vantaggioso, perché i momenti inclinanti longitudinali possono essere molto maggiori.
Gli elementi della stabilità statica definiscono la stabilità e l’assetto della n. per gli spostamenti, l’imbarco o lo sbarco di carichi, nonché per l’allagamento di qualche locale e per incaglio. Importantissimo il problema della falla, cioè delle condizioni di galleggiamento, di stabilità e di assetto che la n. assume quando uno o più dei suoi locali vengono allagati, tenendo adeguatamente conto dell’influenza del carico liquido, problema che sta alla base della compartimentazione, e quindi della galleggiabilità e della sicurezza delle navi.
Stabilità dinamica. - La riserva di energia disponibile per raddrizzare la n. è misurata dall’area S del diagramma di stabilità, proporzionale al lavoro complessivo che è capace di effettuare la coppia raddrizzante, tra la condizione di n. diritta e l’angolo di capovolgimento αc. Il valore di quest’area, detto ‘riserva totale di stabilità’, considerato in proporzione alle dimensioni della n., è l’indice per eccellenza che esprime la sicurezza della n. rispetto alle cause inclinanti; esso quindi, dal punto di vista della sicurezza, è molto più importante del valore dell’altezza metacentrica trasversale. Una n. che abbia grande bordo libero e grandi raggi di curvatura delle murate nella zona del bagnasciuga avrà una buona riserva totale di stabilità.
Stabilità di piattaforma. - Dipende in sostanza dalle proprietà oscillatorie della nave. Per le oscillazioni trasversali l’elemento caratteristico è costituito dal periodo proprio di oscillazione di rollio semplice,
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dove I è il momento d’inerzia della n. rispetto al suo asse baricentrico orizzontale longitudinale e P(r−a) il coefficiente di resistenza alle inclinazioni trasversali: elemento importante quindi è la distribuzione dei pesi rispetto all’asse di rotazione. Il periodo di rollio semplice è di fondamentale importanza per le qualità nautiche della n. e deve essere alto allo scopo di rendere la navigazione tranquilla, per ridurre sia gli effetti delle forze d’inerzia nelle strutture sia le oscillazioni della n. in mare ondoso. Ciò si ottiene con una opportuna distribuzione trasversale dei pesi e con la riduzione al minimo accettabile (dal punto di vista della sicurezza) dell’altezza metacentrica, salvo che in n. aventi grandi momenti di inerzia. Il suo valore va da 10-12 s nei grandi bastimenti a circa la metà nei piccoli.
L’ampiezza delle oscillazioni viene limitata sia dalla modificazione del campo ondoso provocata dal moto stesso della n. sia dalla resistenza dell’acqua, che può essere notevolmente aumentata con mezzi adatti (alette di rollio, pinne sporgenti dallo scafo in corrispondenza dei ginocchi), con stabilizzatori attivi (pinne orientabili antirollio, casse di rollio comandate) e passivi (casse di rollio non attivate ecc.). Nel caso delle oscillazioni longitudinali, di beccheggio, il periodo di oscillazione è dato dalla stessa formula esposta prima per il rollio semplice ove si intenda per I il momento d’inerzia della n. rispetto al suo asse baricentrico orizzontale trasversale e con P(r−a) il coefficiente di stabilità statica longitudinale; tale periodo viene contenuto a valori di 4-5 s, inferiori quindi a quelli del rollio, per migliorare il comportamento della n. in mare grosso. Per limitare l’ampiezza delle oscillazioni di beccheggio si costruiscono scafi di forma opportuna o si adottano alette di beccheggio.
La stabilità di piattaforma ha importanza sostanziale nel comportamento della n. navigante fra onde regolari. È intuitivo che le oscillazioni della n. si accrescono, anche fino a inclinazioni pericolose, quando il periodo proprio dell’onda (ca.
,
essendo L la lunghezza dell’onda) si avvicina a quello proprio della nave. La resistenza del mezzo, artificialmente aumentata con i sistemi accennati, riduce il fenomeno, e il pericolo del sincronismo si evita dando alla n. periodi propri di rollio e di beccheggio il più possibile lontani da quelli delle onde, aumentandoli per n. grandi, riducendoli per n. piccole. Il periodo dell’onda che interessa non è solo quello assoluto dell’onda per sé stessa, ma quello relativo (periodo apparente) tra n. e onda, che può essere variato modificando la rotta, rispetto alla direzione di propagazione dell’onda: quindi la n. a propulsione meccanica è indubbiamente avvantaggiata rispetto alla n. a vela.
La n. in mare ondoso subisce altri due movimenti principali, che in speciali condizioni di mare e di rotta possono assumere notevole importanza: ‘movimenti di sussulto’, cioè di spostamento verticale, provocato dalla variazione di distribuzione longitudinale della spinta che la n. subisce correndo sulle onde e passando dalla cresta al cavo di esse; ‘movimenti di straorzata’, rotazioni attorno a un asse verticale, provocate specialmente dall’azione di colpi di mare al giardinetto, quando si naviga con il mare in poppa.
Manovrabilità. - Comprende tanto la capacità della n. di conservare la sua rotta, quando, per cause esterne, ne viene allontanata (n. con stabilità di rotta), quanto quella di assumere rapidamente la rotta nuova, quando sia richiesta (n. manovriera). La stabilità di rotta si realizza portando verso poppa il centro di resistenza della n. al moto, e adottando forme appropriate di carena, specie nella sua estremità poppiera con le relative appendici, bene coordinandole con gli organi di propulsione. La manovrabilità propriamente detta si ottiene soprattutto con l’azione degli organi di governo, armonizzando i timoni con le forme poppiere di carena e con i propulsori. Gli organi di governo quasi universalmente adottati sono i timoni che agiscono quando la n. è in moto; qualche volta (per esigenze particolari di manovra, specie in porto, o di posizionamento preciso) si impiegano getti d’acqua laterali, ovvero propulsori speciali, che possono agire anche quando la n. è ferma. Concorrono a rendere la n. manovriera: le forme della carena (riduzione del piano di deriva, specialmente della sua estremità prodiera, e coordinamento della sua estremità poppiera con il timone, che ne formi prolungamento mobile); la limitazione del suo momento d’inerzia polare rispetto al punto giratorio, cioè rispetto al punto attorno a cui ruota apparentemente la n. nell’accostata; la stabilità trasversale, che permetta alte velocità di accostata, senza eccessivi sbandamenti. Entra nella manovrabilità anche la facoltà della n. di arrestarsi nella sua corsa nel più breve spazio, manovrando le vele – il che richiede grande spazio e gran tempo – o invertendo l’azione dei propulsori, pregio particolare delle n. a propulsione meccanica.
Resistenza al moto. - Dipende dai vari fattori intrinseci (forma di carena, dislocamento, lunghezza ecc.) e da fattori estrinseci (stato del mare e del vento, correnti, larghezza e profondità della via d’acqua percorsa ecc.). La resistenza al moto in acqua calma è sempre una frazione assai piccola (qualche millesimo) del peso della nave, pregio fondamentale dei trasporti per via d’acqua, ma, per carene normali, di lunghezza L, aumenta rapidamente con la velocità, e assume valori inammissibili per v≥2√‾‾‾L (v in nodi, L in metri). Nelle n. normali, esclusi gli aliscafi, la resistenza al moto è la somma della resistenza del mezzo, della resistenza di forma e della resistenza d’onda, tre tipi di resistenza che compaiono in tutti i problemi relativi al moto di solidi entro fluidi (➔ resistenza).
La resistenza del mezzo costituisce, nelle n. di superficie a bassi numeri di Froude e nei sommergibili, la parte preponderante di tutta la resistenza al moto (60-70%); essa dipende dalle caratteristiche fisiche dell’acqua, dallo stato della superficie bagnata e, in minor grado, anche dalle forme di carena. Notevolmente importante è la cura dello stato della superficie bagnata, che influisce sia per la ruvidezza e per le discontinuità dovute a chiodature, sovrapposizioni di giunti, cordoni di saldatura, ossidazione delle lamiere, tipo e stato della pittura, sia per la forma più o meno atta a mantenere il regime idraulico laminare.
La resistenza di forma dipende essenzialmente dal coefficiente di finezza totale della carena: su n. con forme molto piene, come le petroliere, esiste il pericolo del distacco dei filetti fluidi nelle zone di poppa, che dà luogo a valori rilevanti di questo tipo di resistenza.
La resistenza d’onda dipende esclusivamente dalla forma della carena ed è teoricamente possibile progettare una carena priva di resistenza del genere: ne risulterebbe però un solido di forma complessa, praticamente irrealizzabile; di fatto si cerca quindi di modificare la carena tradizionale, tenendo conto del solido teorico, in modo da ridurre al minimo la resistenza d’onda. Nella pratica costruttiva il sistema più comune è quello del bulbo prodiero (fig. 5), che si tende a prolungare alquanto a proravia, con estremità anteriore a forma di calotta sferica e diametro pari a 0,5-0,7 volte l’immersione a pieno carico.
Le componenti della resistenza vengono misurate su modelli sperimentali nelle vasche navali. I risultati conseguiti sui modelli vengono trasferiti alla n. in grandezza reale mediante un procedimento di correlazione modello-n. che tiene conto dell’effetto di scala, della presenza nella n. delle sovrastrutture (assenti sul modello) e dell’impossibilità di ridurre in scala la pressione atmosferica, ai fini della resistenza dell’aria. Carattere statistico ha il rilievo della resistenza additiva dovuta alle condizioni del mare, al valore limitato del fondale e alla sporcizia di carena causata allo scafo dalla permanenza in mare.
Il migliore coordinamento della carena con i sistemi di propulsione e la determinazione della potenza che questi debbono sviluppare per ottenere la desiderata velocità si ottengono con adeguati propulsori. Non basta la carena di minima resistenza, ma occorre che il rendimento propulsivo totale (rapporto tra la potenza corrispondente alla resistenza al rimorchio della carena nuda e la potenza effettivamente sviluppata dall’apparato motore) sia il massimo possibile. I sistemi di propulsione ad azione, cioè dall’esterno (rimorchio e vela), raggiungono rendimenti assai alti; quelli a reazione, cioè dall’interno, meccanici (eliche, ruote, remi) e a getto (liquido o gassoso), realizzano rendimenti relativamente bassi: da meno del 50% salgono al massimo verso il 70%.
Dalla conoscenza della resistenza al moto della carena, dalla previsione delle resistenze addizionali e del rendimento propulsivo totale si deduce, con sufficiente approssimazione, la potenza motrice necessaria alla velocità prevista. Questa potenza, N, può essere anche calcolata in prima approssimazione con formule teorico-sperimentali complesse ovvero empiriche, come la formula dell’Ammiragliato: N=(D2/3v3)/C, dove D è il dislocamento, v la velocità, mentre C è un coefficiente sperimentale, che per casi paragonabili, cioè per n. di caratteristiche analoghe, può dare risultati attendibili quando si parta da coefficienti ricavati al vero, in prove ben controllate. Con le normali carene di minima resistenza e con i propulsori a elica di massimo rendimento si sono raggiunte velocità anche di 40-50 nodi.
La realizzazione delle forme di minima resistenza al moto e di massima utilizzazione è legata al materiale impiegato (legno, acciaio, leghe leggere, materiali speciali), alla sua impermeabilità, resistenza, durata, possibilità di unione degli elementi costitutivi, facilità di lavorazione ecc.
I legnami hanno qualità favorevoli per impermeabilità, lavorabilità, elasticità ecc. Se ne aumenta la durata trattandoli con resine speciali, che ne impediscono la putrefazione; si rendono incombustibili con particolari trattamenti chimici (ignifugazione); si superano in buona parte (secondo le diverse applicazioni) le difficoltà per il loro collegamento usando nuove colle di tipo speciale. Per ottenere chiglie in legno di buona resistenza si realizzano strutture a lamelle incollate sotto pressione (struttura lamellare). Rispetto a quelle di acciaio, le strutture di legno sono tuttavia più pesanti e ingombranti e, quindi, ormai da tempo escluse per gli scafi lunghi più di 50 m, e sempre meno impiegate anche per i medi e i piccoli scafi. Gli acciai consentono strutture relativamente leggere e poco ingombranti, ma sono soggetti alla corrosione e devono essere continuamente protetti con mezzi speciali (vernici anticorrosive, trattamenti anodici ecc.). Gli acciai più impiegati sono quelli dolci saldabili, salvo che per elementi sottoposti a particolari sollecitazioni, per i quali si usano acciai al carbonio a elevata resistenza e anche acciai speciali legati, purché con forte allungamento e di facile lavorazione anche a caldo. Il collegamento degli elementi d’acciaio si esegue con chiodatura ovvero con saldatura, che ormai predomina per i suoi vantaggi di peso, robustezza e tenuta, e per la celerità ed economia di lavorazione. Sono anche usate leghe leggere, che peraltro hanno un costo elevato e quindi sono impiegate solo parzialmente, per costruzioni secondarie (imbarcazioni di salvataggio e sportive), ovvero per strutture speciali (sovrastrutture ecc.).
La robustezza della costruzione degli scafi, per garantirne l’indeformabilità e l’impermeabilità in qualunque condizione di tempo e di mare, è assicurata dal disegno generale dello scafo (strutture trasversali, longitudinali, miste), dal proporzionamento delle strutture, fatto in base alle deformazioni elastiche corrispondenti alle previste sollecitazioni (statiche e dinamiche, generali e locali, longitudinali e trasversali) tenendo conto dell’usura che il materiale subisce per effetto delle corrosioni ecc. Per quanto riguarda le azioni longitudinali, si considera la n. galleggiante in equilibrio statico (tra pesi e spinte) sopra la cresta o il cavo di un’onda di massima pericolosità (in modo cioè che la lunghezza e l’altezza dell’onda siano la prima uguale alla lunghezza della n. e la seconda uguale a 1/20 di tale lunghezza) e con i carichi disposti nel modo più sfavorevole. I rilevamenti sperimentali in navigazione effettiva, in oceano tempestoso, hanno confermato la fondatezza di questi procedimenti, e i risultati dei calcoli e i concetti relativi sono implicitamente codificati nei vigenti dettagliatissimi regolamenti internazionali e nazionali degli istituti navali di classificazione (Registro navale italiano, Lloyd Register, American Bureau of Shipping, Bureau Veritas ecc.).
La costruzione dello scafo, oltre che alla robustezza, deve rispondere alla sicurezza contro gli allagamenti (compartimentazione mediante paratie stagne trasversali e longitudinali), e contro gli incendi, mediante l’impiego di materiali incombustibili (metalli, protetti o no contro il calore, paratie tagliafuoco) e con adeguate attrezzature per la segnalazione e l’estinzione (con acqua, gas inerti, schiuma ecc.).
La leggerezza e la compattezza dello scafo e delle strutture sono assicurate dall’accuratezza della costruzione metallica, sempre più perfezionata, dall’adozione di nuove leghe metalliche e di nuovi metodi di collegamento i quali portano spesso a innovazioni nel disegno dei particolari.
Comprende tutti i servizi ausiliari della n., cioè quelli che ne garantiscono la sicurezza e ne permettono il funzionamento (salvo la propulsione). I principali sono: servizi relativi alla navigazione (comando, rotta, segnalazioni), alle manovre marinaresche (governo e ormeggio), alla sicurezza (esaurimento e bilanciamento, contro allagamenti; antincendio; salvataggio), all’illuminazione, al carico (imbarco, conservazione, sbarco), all’equipaggio e ai passeggeri (alloggi, cucine, igiene, riscaldamento, ventilazione, condizionamento). Lo sviluppo crescente dei servizi ausiliari comporta l’impianto di potenze elettriche globali di migliaia di kW, specialmente sulle n. da passeggeri e militari.
Generalità. - I requisiti particolari cui debbono soddisfare gli apparati motori navali sono così importanti da determinare una fisionomia propria, diversa da quella dei motori per trazione terrestre o per propulsione aerea o per impianti fissi. Tra i requisiti principali figurano: a) assoluta sicurezza di funzionamento pur nelle condizioni ambientali di bordo (aria salmastra, alte umidità e temperatura, instabilità di piattaforma, elasticità di fondazione, angustia di locali, difficoltà di accesso); b) relativa leggerezza e compattezza d’impianto; c) facilità di manovra; d) inversione di marcia; e) minimo consumo di combustibili, lubrificanti e acqua; f) facilità di rifornimenti, di manutenzione, di riparazione; g) limitazione di personale. Gli impianti motori marini comprendono macchine di ogni tipo: turbine a vapore, motori a combustione interna alternativi, turbine a gas; motori a energia nucleare.
Turbine a vapore. - Le turbine a vapore per impieghi marini operano a elevato numero di giri, per conseguire più ridotti rapporti massa/potenza e ingombro/potenza, con trasmissione indiretta alle eliche mediante riduttori a ingranaggi (ovvero, nel caso di n. in cui per una maggiore manovrabilità sono presenti più eliche, mediante conversione elettrica). Esse sono organizzate in uno o più corpi, con la possibilità di inserire turbine da crociera ove siano richieste notevoli variazioni di potenza, e con apposite turbine di marcia indietro incorporate in quelle principali. Le caldaie, di vario tipo, sono in genere alimentate con combustibili liquidi non pregiati e di basso costo e producono vapore sia per le turbine sia per i servizi termici di bordo. L’impianto motore si presenta complesso e richiede un notevole numero di persone addette alla sua conduzione.
Motori Diesel. - I motori marini Diesel sono del tipo a 2 e 4 tempi, pluricilindrici, turbosovralimentati e a iniezione diretta. L’avviamento viene effettuato mediante aria compressa, l’inversione del moto fermando il motore e riavviandolo nel voluto senso di rotazione. I gas di scarico, all’uscita della turbina del sovralimentatore, sono utilizzati in caldaie a recupero per la produzione di acqua calda e vapore per i servizi di bordo. Nelle applicazioni commerciali vengono impiegati come combustibili oli pesanti e residui di raffinazione, di basso costo, che richiedono impianti ausiliari di riscaldamento affinché raggiungano valori di viscosità sufficientemente bassi per poter essere convogliati al motore e iniettati nei cilindri. Il motore a 2 tempi è in genere, per le elevate potenze in gioco, collegato direttamente all’asse elica. I motori Diesel a 4 tempi trovano impiego in apparati di minore potenza o in situazioni in cui, per motivi di ripartizione e utilizzazione dello spazio interno della n., occorra suddividere l’impianto motore in più unità di minore ingombro. L’accoppiamento di uno o più motori a un asse elica avviene mediante riduttori meccanici (a volte con più rapporti di riduzione) o mediante convertitori elettrici statici.
Motori marini con accensione comandata. - Analoghi a quelli della trazione terrestre e aerea, non presentano caratteristiche molto particolari, salvo la refrigerazione (spesso a doppio circuito, con acqua dolce e acqua di mare), la regolazione della potenza e del numero dei giri, e l’inversione di marcia; la loro applicazione è limitata al campo delle piccole imbarcazioni e dei natanti ultraveloci.
Turbine a gas. - Di derivazione aeronautica o industriale, presentano notevoli doti di leggerezza, di compattezza e di facilità di avviamento. La turbina a gas è stata adottata su fregate e cacciatorpediniere, ma anche su n. maggiori, come gli incrociatori britannici tipo Invincible (1980), l’italiano Garibaldi (1984) e i mezzi sovietici della classe Kara (1971-79).
Energia nucleare. - Per le n. militari di grande dislocamento, la convenienza dell’impianto di propulsione nucleare è basata sul vantaggio di poter sviluppare forti velocità durante tempi lunghissimi, senza doversi rifornire di combustibile e senza dover destinare alla relativa scorta alcun volume a bordo. Le principali applicazioni in campo militare si sono avute sulle grandi unità di superficie, in particolare le portaerei, ma anche su incrociatori e grosse fregate, in modo da costituire gruppi omogenei, capaci di tenere il mare per lunghi periodi e spostar;si rapidamente da un teatro di operazioni all’altro. Come già detto, è però nel campo subacqueo che la propulsione nucleare ha trovato la sua prima, più congeniale e redditizia applicazione. Le Marine statunitense, russa, britannica e francese dispongono di sottomarini nucleari; le prime due ne possiedono flotte di varie decine di battelli, che costituiscono il grosso delle costruzioni navali nucleari finora realizzate. In campo mercantile la propulsione nucleare non ha avuto finora sviluppo ugualmente fortunato sia per motivi di costo che di peso e ingombro a bordo.
Tipi di apparati motore. - Il tipo dell’apparato motore di una n. dipende essenzialmente dal servizio che essa deve compiere, dal combustibile disponibile, dalle nuove acquisizioni tecniche. Comunque, in generale, si ha una chiara prevalenza degli impianti con motori Diesel in tutto il settore navale in ragione della semplicità dell’impianto, dell’economia ponderale del combustibile in navigazione e in porto ecc.
Per il naviglio militare, dati gli elevati valori di velocità e, conseguentemente, di potenza richiesti in molti casi, si adottano impianti motori sia con turbine a vapore, per le n. di maggiore dislocamento, sia con turbine a gas. Frequente è l’impiego di apparati di propulsione basati su motori Diesel veloci e su sistemi combinati motori Diesel-turbine a gas. Per i sommergibili (non nucleari) s’impone ancora il motore a combustione interna (Diesel), per la navigazione in superficie, e il motore elettrico, con accumulatori, per quella in immersione.
Generalmente, nel naviglio mercantile, per ragioni di spazio e di esercizio, l’impianto di propulsione è tutto riunito in un solo locale, salvo che la compartimentazione della n. e la potenza dell’impianto non impongano di distribuirlo in locali separati, nel qual caso si tende a dividere l’impianto complessivo in gruppi completi autonomi. Quest’ultimo concetto è sempre seguito nel naviglio militare, dove la compartimentazione è assai più frazionata che in quello mercantile.
L’apparato motore, il cui volume si cerca di ridurre al minimo, su molte n. è disposto nella zona centrale, e l’asse di trasmissione dal motore all’elica attraversa le stive poppiere in apposita galleria (tunnel asse); tuttavia nelle petroliere, nelle n. per carichi secchi alla rinfusa, nelle n. portacontainer e nel piccolo naviglio tale apparato è disposto sempre a poppa.
Nella maggioranza delle n. mercantili da carico o miste anche per notevoli potenze (fino a 30.000 kW/asse) si ha una sola elica e un solo motore o gruppo di motori perché, mentre si ha ancora piena garanzia di sicurezza, tutto l’impianto risulta leggero, semplice, economico, e facile a condursi. Nel naviglio da passeggeri, invece, si trovano prevalentemente 2 o 4 eliche, e quindi 2 o 4 motori o gruppi di motori, sia per ragioni di maggiore sicurezza (imposta da certi regolamenti) sia per il valore elevato della potenza complessiva. Nel naviglio militare si hanno spesso 2 eliche e 2 gruppi motori, per sicurezza contro le offese, salvo a portarne il numero a tre, e più sovente a quattro, per le maggiori potenze (è il caso delle n. portaerei).
Nelle n. a elica (che costituiscono la quasi totalità del tonnellaggio marittimo mondiale) la trasmissione dal gruppo motore al relativo propulsore avviene mediante la linea d’alberi (o linea d’asse), elemento molto importante per la sicurezza della n.: la linea d’alberi, disposta quasi orizzontalmente fra l’impianto motore e l’elica, comincia con il suo collegamento al gruppo motore e con il reggispinta, organo destinato a trasmettere allo scafo la spinta che propelle la n.; seguono i tronchi successivi, opportunamente sostenuti da adeguati supporti, fino all’ultimo, che corrisponde alla fuoriuscita dallo scafo, attraverso l’‘astuccio’, e che alla sua estremità porta l’elica. Caratteristiche per la compattezza sono le trasmissioni usate nei motori fuoribordo per il naviglio da diporto, che debbono assicurare, mediante giunti, il sollevamento dell’elica.
Automazione navale. - Per automazione navale s’intende sia un sistema di elaborazione e trasmissione dei dati di funzionamento dei macchinari, da utilizzare per le successive azioni di controllo (eventualmente anche manuali), sia un sistema che effettui vere e proprie azioni automatiche di controllo sull’apparato motore, in accordo con le esigenze di funzionamento dei vari macchinari. Il telecomando consiste nel complesso dei sistemi che permettono di compiere, tutte o in parte, le azioni inerenti alla condotta dell’apparato motore da un apposito locale situato fuori di esso (in alcuni casi si tratta dello stesso ponte di comando).
Questa espressione indica, nella costruzione navale militare moderna, tutti i mezzi passivi che concorrono a difendere l’integrità, la stabilità e la galleggiabilità delle n. contro gli effetti degli attacchi eseguiti contro di esse con missili, artiglierie, armi subacquee, armi aeree: da qui la sua differenziazione organica in diverse forme, sempre però tra loro complementari. Il primo mezzo di protezione, impiegato soprattutto contro l’attacco perforante, è costituito dalla corazza, cioè da piastre di acciaio speciale; sistema molto pesante, che quindi può essere adottato integralmente solo per limitate parti della n. (apparato motore, depositi munizioni, impianti artiglierie, comando ecc.) e sulle n. di grande dislocamento.
Il secondo mezzo di protezione, adoperato specialmente contro le esplosioni, è costituito dalla compartimentazione, vale a dire dalla suddivisione verticale e orizzontale dello scafo in locali stagni, del minimo volume compatibile con quanto essi contengono (macchinari, armi, depositi ecc.), separati mediante paratie ordinarie o corazzate, conformate in speciale maniera per accrescerne l’efficacia, specialmente se destinate contro esplosioni subacquee.
Un terzo sistema di protezione subacquea è quello ad azione idrodinamica, con il quale si dispongono all’interno dell’involucro resistente da proteggere una o più strutture tubolari leggere, vuote e circondate, nell’intercapedine esistente tra esse, da acqua. All’atto dello scoppio (siluro, mina), l’acqua dell’intercapedine, incompressibile, schiaccia le strutture tubolari, assorbendo così gran parte dell’energia dell’onda di esplosione e diminuendone la pressione sull’involucro da proteggere. Queste varie forme di mezzi protettivi passivi vengono tra loro coordinate, tenendo conto delle caratteristiche architettoniche proprie della n. (stabilità e galleggiabilità) e dei mezzi protettivi attivi, destinati essenzialmente a espellere l’acqua che può invadere i locali interni attraverso le brecce provocate dalle offese, a combattere gli incendi, la presenza di gas venefici e gli inquinamenti radioattivi.
Espressione che comprende tutte le imbarcazioni destinate a scopi sportivi o ricreativi. Si è sviluppato con caratteristiche tecniche proprie dal 17° sec. nei Paesi Bassi, poi in Inghilterra.
Naviglio remico (per canottaggio) da regata. - È caratterizzato da carene di forma straordinariamente fine, di stabilità alquanto scarsa, atte a navigare specialmente in acque calme. Una volta questi scafi, leggerissimi, erano costruiti pressoché esclusivamente in legno, i più piccoli formati anche da sottili fogli di legni pregiati (cedro, mogano, tek) distesi sopra costole di legno di olmo, con chiodature di rame. A partire dagli anni 1970 si sono progressivamente imposte imbarcazioni costruite in materie plastiche. La differenza tra le varie classi di tale naviglio si basa essenzialmente sulla larghezza relativa, da cui dipendono stabilità e robustezza: nelle più larghe e robuste, quindi anche marine, dette iole, le scalmiere dei remi sono fissate sulle falchette dell’imbarcazione; nelle più strette e leggere, quindi prevalentemente per laghi e fiumi, dette outrigger, le scalmiere sono portate più in fuori, sopra bracci metallici (outrig), che danno nome alla classe. Le iole si distinguono in classi a seconda della grandezza e del numero di rematori (sempre ‘di punta’, cioè uno per banco e con un remo ciascuno); gli outrigger a loro volta in: skiff, a un solo rematore con due remi (a coppia); double scull a 2 rematori, a coppia; outriggers veri e propri, a 2 e 4 vogatori (con o senza timoniere), e a 8 vogatori (con timoniere). Nel naviglio remico da regata sono compresi anche la canoa a uno, 2 o 4 rematori, e il kayak a uno, 2 o 4 rematori (➔ canoa).
Naviglio velico. - Comprende numerosissimi tipi diversi (fig. 6), dal piccolo optimist, il primo dei monotipi, alla grande goletta di centinaia di tonnellate di stazza, alcuni costruiti secondo regolamenti internazionali, altri liberamente disegnati. Questo è il campo dove si hanno creazioni originali e interessanti, per superare le difficoltà dei problemi architettonici (minima resistenza al moto in assetto normale e con grandi sbandamenti; stabilità assicurata pur con immense velature e con vento fresco; manovrabilità perfetta con ogni assetto) e costruttivi (minimo peso dello scafo, dell’attrezzatura, delle vele; sufficiente robustezza; semplicità di manovra), i quali si presentano diversamente quando si tratti di navigazione solo in acqua calma o anche in mare mosso: di qui le sensibili differenze iniziali tra la scuola americana, con i suoi sloop, che mirava alla nave da corsa in acqua calma, e la scuola inglese, con i suoi yacht, che tendeva alla nave da crociera in acque aperte. A ciò si aggiungano le difficoltà imposte da eventuali regole di stazza stabilite per determinate gare.
Naviglio a propulsione meccanica (o a motore).- Si è sviluppato enormemente, specialmente nel naviglio piccolo, con diretta influenza su tutte le caratteristiche architettoniche e costruttive e con riflessi anche fuori del campo sportivo (naviglio militare sottile). Per il naviglio da crociera, dove qualità nautiche e stabilità sono bene equilibrate, molta cura è posta nell’abitabilità, mentre per le carene si hanno forme normali con leggere varianti (carena Hunt); per il naviglio da regata si presentano forme originali permesse proprio dalla motorizzazione, con ulteriori sviluppi dovuti alla propulsione a reazione. In questo campo si sono dapprima introdotte le slittanti, derivate dagli Skimming Dishes a vela. Le carene slittanti si distinguono in carene a fondo piatto, più o meno inclinato e variamente raccordato (a spigoli o no) con i fianchi (tipi che rientrano nei lagunari o fluviali) o in carene ‘a scalini’ (redans), proposte da M. Fauber (1909), dove il fondo presenta profondi incavi trasversali a denti di sega, ed è variamente raccordato con i fianchi. In ambedue i tipi di carene, quando la velocità è sufficiente, si determina un certo sollevamento dell’imbarcazione, per effetto della reazione dell’acqua sulla superficie inclinata, ma nel secondo si verifica insieme il distacco della vena fluida dalla superficie del fondo, con conseguente netta riduzione della resistenza al moto; quindi oltre una determinata velocità (‘critica’) tale resistenza diminuisce anziché crescere. Lo sfruttamento di questo fenomeno è stato vastissimo e non solo nel campo sportivo, perché in tal modo la velocità è indipendente dalla lunghezza della carena. Studi avanzati di idrodinamica hanno condotto al superamento delle carene a scalini con la fabbricazione dei cosiddetti scafi a 3 punti. Gli scafi, di forma ovale a prora ma appiattiti verso poppa, sono forniti lateralmente di due specie di pattini (scarponi) che in velocità sollevano dall’acqua la carena, la quale viene così a poggiare su due punti, i pattini, mentre il terzo punto è dato dall’elica. È stato possibile, così, raggiungere velocità superiori a 300 km/h (in acque tranquille).
Gli scafi del naviglio a motore, più robusti di quelli del naviglio a vela, sono anch’essi generalmente realizzati impiegando materiali sintetici e strutture composite. I motori impiegati sono prevalentemente a benzina, analoghi a quelli dell’automobilismo, ma opportunamente adattati alle condizioni di bordo (specialmente se destinati alla navigazione marittima), salvo quelli costruiti per potenze molto elevate che sono spesso Diesel. Sono stati sperimentati sistemi di propulsione a reazione su scafi per alta velocità.
Tipo caratteristico di motore sportivo è il fuoribordo, che dà nome alla stessa imbarcazione, il quale ha avuto sviluppi anche fuori della navigazione da diporto. Tra i fuoribordo hanno raggiunto grande diffusione (per leggerezza, limitato ingombro e facilità di trasporto) i battelli pneumatici, di gomma, che raggiungono lunghezze superiori ai 5 m, con motori potenti e velocità assai elevate; i fuoribordo pneumatici sono entrati anche nella motonautica da competizione.
La costruzione della n. e dell’aeromobile è regolata dal codice della navigazione, per via dello speciale interesse pubblico alla sicurezza della navigazione. I costruttori devono essere abilitati dall’autorità amministrativa e prima dell’inizio dell’attività devono rendere una apposita dichiarazione di costruzione. La n., come anche l’aeromobile, può essere costruita per conto del costruttore, o di altri, attraverso una speciale ipotesi di appalto. Il contratto, detto anche ‘commessa’, deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità ed è disciplinato dal codice della navigazione e dalle norme sull’appalto per la realizzazione di beni mobili (art. 241 e 856 cod. navale). In genere il contratto di costruzione di n. è regolato da formulari standard. Il committente acquista la proprietà della nave o dell’aeromobile a titolo originario, per effetto del contratto. Secondo i formulari la proprietà della n. si acquista progressivamente in relazione all’avanzamento dei lavori, in coincidenza con il pagamento delle singole rate del prezzo.
La comproprietà della n. è disciplinata dal codice della navigazione e dalle regole del codice civile sulla comunione in generale. La proprietà è divisa in 24 quote, presunte uguali, che sono denominate ‘carati’. Le norme speciali prevedono limitazioni alla disponibilità della quota e ampi poteri della maggioranza, che, nell’interesse comune, può compiere anche atti di straordinaria amministrazione. I comproprietari della n., o caratisti, quando assumono l’esercizio della stessa per svolgere una attività economica al fine di dividerne gli utili, possono decidere di costituire la società di armamento.
La società di armamento è una particolare figura di società di persone, la cui disciplina può essere integrata dalle regole della società in nome collettivo o della società in accomandita semplice, a seconda che si costituisca con l’unanimità o meno dei caratisti. L’amministrazione della società è affidata a un gerente, preposto alla gestione della nave.