Pianta perenne legnosa, con fusto diritto, colonnare, che solo a qualche metro d’altezza porta rami o un ciuffo di grandi foglie. Il fusto dell’a. è chiamato tronco; mentre la chioma è l’insieme dei rami e delle foglie (fig. 1). Le dimensioni degli a. variano da una specie all’altra: i più grandi sono le sequoie, che possono sorpassare i 100 m d’altezza e i 10-12 m di diametro del tronco, e certi eucalipti. I baobab dell’Africa tropicale hanno il tronco molto grosso (fino a 10-12 m di diametro), ma non arrivano che a una ventina di metri d’altezza. Anche negli a. della stessa specie le dimensioni variano a seconda delle condizioni di vita (terreno, clima ecc.). Si possono ottenere artificialmente, con la coltivazione in piccoli vasi e col taglio delle radici dei bonsai alti pochi decimetri. Il numero, la forma, la disposizione dei rami imprimono ai diversi a. una fisionomia particolare, che si dice habitus o portamento. L’età degli a. varia secondo le diverse specie e le condizioni ambientali. In confronto agli arbusti e alle erbe, la grande statura e quindi la notevole distanza (anche decine di m) tra l’apparato assorbente (radici) e quello disperdente (foglie), e la maggiore esposizione di queste alle correnti aeree, rendono la forma arborea più esigente dal punto di vista climatico; essa manca perciò nelle regioni subartiche e subdesertiche e trova un limite superiore sui monti. Per le stesse ragioni le piante latifoglie perdono le foglie. Per l’azione degli a. come regolatori del clima (umidità del terreno e dell’aria ecc.) ➔ bosco.
L’insieme della trachea, dei grandi e dei piccoli bronchi.
La sostanza bianca del cervelletto, così detta per la sua particolare disposizione che, in un taglio sagittale, ricorda il disegno della tuia.
Il complesso dei grossi vasi sanguigni.
Denominazione data a cristallizzazioni dendritiche (➔ dendrite).
Struttura di dati che realizza un a. radicato, che ha cioè origine da un unico punto (nodo radice). Come in teoria dei grafi, un a. è costituito da punti o nodi (che contengono informazioni) e rami (che collegano nodi). Nodi da cui non escono rami sono detti foglie. Nei programmi informatici gli a. possono essere realizzati tramite oggetti che referenziano altri oggetti. La lettura dei dati negli a. (visita dell’a.) può essere eseguita in varie modalità (dai sottoalberi alla radice, dalla radice ai sottoalberi in una data sequenza, da un sottoalbero alla radice a un altro sottoalbero ecc.).
Rappresentazione grafica della struttura in costituenti di una frase (fig. 2): le linee che collegano i vari simboli si chiamano rami; ogni punto di ramificazione segnato con un simbolo prende il nome di nodo. Dalla cima dell’a., indicata con il simbolo F (frase), si dipartono due rami terminanti con i simboli SN (sintagma nominale) e SV (sintagma verbale), che rappresentano i costituenti immediati della frase; da SN e SV si irradiano altri rami (N nome, V verbo, Art articolo ecc.), i quali designano i diversi costituenti dei sintagmi. Le linee verticali collegano i simboli con le corrispondenti parole della lingua considerata.
L’a. è una configurazione che partendo da un punto detto origine, cui si assegna il rango 1, connette punti (espressioni logiche, punti geometrici) di rango crescente (in numero finito per ogni rango) in modo tale che ogni punto di rango n, se non è un punto finale, è connesso con uno o più punti di rango n + 1, e ogni punto di rango n + 1 è connesso con uno e un solo punto di rango n (fig. 3). Perché due punti siano connessi occorre dunque che i loro ranghi siano consecutivi. Si dice ramo di un a. una successione di punti di rango crescente, a partire dall’origine, tale che punti di ranghi consecutivi sono connessi, e che possiede un punto finale o prosegue indefinitamente; un a. contenente infiniti punti contiene almeno un ramo che prosegue indefinitamente. Per una trattazione delle proprietà dell’a. ➔ grafo.
Tutte le culture considerano l’a. un simbolo dell’uomo vivente, anzi un archetipo della vita. Di qui il suo frequente uso nella simbologia poetica e religiosa, sia letteraria sia iconografica.
Nel Genesi, a. del paradiso terrestre il cui frutto fu proibito da Dio al primo uomo. La violazione del divieto comporta la caduta e il peccato originale, riflesso nelle generazioni successive, per la colpa di aver voluto accedere alla sapienza e conoscenza totali, proprie al solo Dio. Nell’iconografia compare sotto forma di un fico o più spesso di un melo, soprattutto nella scena della tentazione di Adamo ed Eva.
Rappresentazione mitologica e cosmologica delle culture sciamaniche: l’universo, raffigurato come trimundio (cielo, terra e mondo sotterraneo), è attraversato da un pilastro cosmico in forma di a. o di organo sessuale maschile o di pilastro, lungo il quale lo sciamano ascende al cielo.
Motivo iconografico legato alla descrizione letteraria di Bonaventura da Bagnoregio. Consiste nella raffigurazione della croce come un a., dai cui rami possono originarsi le immagini dei profeti indicati da cartigli, che alludono al sacrificio di Cristo.
Motivo iconografico diffuso a partire dall’11° sec., connesso alla profezia di Isaia (11, 1-2: «un virgulto sorgerà dal tronco di Iesse, un germoglio spunterà dalle sue radici, su di lui si poserà lo Spirito del Signore»). La verga nata dalla radice di Iesse fu interpretata sin dal 3° sec. come una vergine della stirpe di David, figlio di Iesse, cioè Maria, con il suo fiore, Cristo. Dalla combinazione con la genealogia di Cristo (Lc. 3, 23-28; Mt. 1, 17) nacque la raffigurazione che presenta la figura di Iesse alla base, seduto o sdraiato, dalla quale sorge un a. al cui apice sono la Vergine e quindi il Cristo. È frequente la presenza delle sette colombe (Spirito Santo). Le numerose e complesse varianti mostrano inoltre la figura di David in basso e ai lati gli altri antenati; all’apice può comparire la Madonna con il Bambino.
A. che sorge, insieme all’a. della conoscenza del bene e del male, nel paradiso terrestre, capace di preservare l’uomo dalla morte (Gen. 2, 9). Si presenta a volte come una vite o una palma; nell’iconografia cristiana è spesso identificato con la croce di Cristo.
A. favoloso della letteratura araba di ‘meraviglie’, la cui caratteristica è quella di produrre frutti di aspetto umano che hanno la facoltà di lanciare il grido ‘wāq wāq’. L’iconografia, spesso intrecciata con la leggenda di Alessandro Magno, è nota soprattutto in miniature a partire dal 14° secolo.
Albero che a partire dal 1790 si usò piantare nella piazza principale dei comuni di Francia in ricordo della rivoluzione del 1789; l’uso, regolato da un decreto della Convenzione nazionale (3 piovoso, anno II), si diffuse anche all’estero, al seguito delle truppe rivoluzionarie.
Figurazione grafica delle generazioni di una famiglia, indicate con i nomi dei componenti: frequente nelle opere dei genealogisti dei sec. 16° e 17° la raffigurazione di a. che sul tronco e agli incroci dei rami portano le immagini, più spesso i nomi e le armi, dei componenti della famiglia.
In marina si chiama a. l’antenna che serve a reggere la velatura. Nelle navi gli a. hanno funzioni essenziali come sostegno: a) della velatura; b) dei mezzi di imbarco e sbarco di carichi; c) dei mezzi di segnalazione; d) di elementi relativi all’attrezzatura bellica. Gli a. dei velieri (fig. 4) sono costruiti di legno (pino, abete, larice ecc.) e d’acciaio, o in un solo pezzo (a. a pible, se per vele quadre; a calcese, se per vele latine), ovvero in più parti (dal basso in alto: tronco maggiore, a. di gabbia, alberetto) collegate fra loro mediante appositi elementi (coffe, crocette, teste di moro). Gli a., solidamente incastrati alla estremità inferiore (mediante miccia nella scassa del paramezzale e mastre nei ponti), sono pure sostenuti da cavi (manovre fisse o dormienti) disposti, rispetto alla nave, trasversalmente (sartie e paterazzi) e longitudinalmente (stragli), e rinforzati a guisa di trave armata mediante sbarre di ferro (bastieri) facenti sistema con le coffe e le crocette (rigge). Per sostenere le vele gli a. sono muniti di verghe (boma, pennoni e picchi) che vengono manovrate mediante appositi cordami (bracci, drizze, amantigli) facenti parte delle manovre mobili o correnti.
L’a. di una nave destinato a sostenere un picco di carico; l’espressione è usata anche a indicare il picco di carico stesso.
Organo delle macchine che trasmette momento torcente, moto rotatorio e, quindi, potenza meccanica; come sostegno per organi rotanti, quando non trasmette alcun momento, è detto più propriamente asse. L'a. motore è quello che cede potenza, mentre a. condotto è quello che riceve potenza. La sezione dell’a. è generalmente circolare, con diametro variabile in corrispondenza ai vari tronchi: i perni, che tramite i cuscinetti consentono al telaio di sostenere l’a.; le mazzette (o portate), su cui sono calettati gli organi rotanti; i collari, che servono per fissare la posizione assiale dell’a.; i ringrossi, da cui sono ricavati elementi, per es. ruote dentate, di pezzo con l’albero. Il materiale più usato nella costruzione degli a. è l’acciaio.
Costituito da elementi cilindrici che in genere hanno funzione di perni di appoggio dell’a. (perni o portate di banco), collegati tra loro da elementi a U, chiamati gomiti o più propriamente manovelle (fig. 5). Nelle manovelle si distinguono le due braccia (dette anche spalle), che sono normali all’asse di rotazione, e il perno o bottone, parallelo ai perni di banco, sul quale si articola la biella. Gli a. a gomiti, che servono per trasformare moti traslatori in moti rotatori e inversamente, hanno estese applicazioni nei motori alternativi (a vapore, a combustione interna) e nelle macchine operatrici (compressori, presse ecc.).
Recante scanalature longitudinali equidistanti per permettere spostamenti assiali.
Formato accoppiando a telescopio due a. scanalati, uno internamente, l’altro esternamente, per consentire spostamenti assiali delle estremità. È applicato in alcune macchine operatrici, carrelli e motori ferroviari.