Nome comune del genere Pinus, della famiglia Pinacee, comprendente più di 100 specie delle regioni fredde e temperate, quasi tutte dell’emisfero boreale.
È caratterizzato da foglie aghiformi e rigide riunite in fascetti disposti a 2-8 (di rado 1) su rametti brevi (brachiblasti), isolati su rami lunghi (macroblasti) oppure all’ascella di catafilli (squame delle gemme). I brachiblasti recano alla base vari catafilli formanti un astuccio; la loro gemma apicale si esaurisce precocemente; dopo 2-6 anni si staccano insieme con le foglie; i rami maggiori sono in palchi regolari. Le foglie hanno da 2 a parecchi canali resiniferi longitudinali, i quali sono presenti anche in altre parti: corteccia, legno, squame dei coni ecc. I fiori sono monoici; gli staminiferi hanno parecchi stami squamiformi disposti a spirale, ciascuno con 2 sacchi pollinici, e sono raggruppati in spighe alla base dei macroblasti in sviluppo. I fiori ovuliferi sono a strobilo o cono e recano su un asse allungato molte squame (carpelli), che alla base della pagina superiore portano 2 ovuli ➔ Conifere). Dopo la fecondazione tali squame s’ingrandiscono e lignificano, nascondendo i semi. Dopo 2-3 anni si seccano e si divaricano, lasciando in libertà i semi, che sono provvisti di un’ala. L’apice delle squame, detto scudo, è ingrossato; la sua estremità è detta umbone, e può essere in forma di fossetta oppure di punta più o meno sporgente. I cotiledoni sono in numero vario (4-18) secondo le specie.
In Italia sono spontanee 10 specie, alcune diffuse nella zona mediterranea, altre nella zona alpina. Quasi tutte sono state ampiamente usate a scopo ornamentale e forestale, tanto da rendere difficile riconoscere le popolazioni spontanee da quelle di origine antropica. Esse sono:
(Pinus pinea; fig. 1A) chiamato anche p. da pinoli, p. italico, o p. a ombrello, indigeno in Sardegna e Sicilia settentrionale, diffusamente piantato sin dall’antichità in zone litoranee sabbiose e per alberature.
(Pinus pinaster; fig. 1B), chiamato anche p. selvatico, specie mediterraneo-occidentale, comune su pendii costieri, specie su suoli acidi; è ricco di resina e fornisce pali e legno.
(Pinus halepensis; fig. 1C), specie prevalentemente mediterraneo-orientale, preferisce i terreni calcarei e si trova nelle pinete e garighe costiere in Liguria, Toscana, Puglia (specialmente nel Gargano) e Sicilia.
(Pinus brutia; fig. 1D) trae il suo nome dal Bruttius ager, ossia la Calabria; per la prima volta fu raccolto nell’Aspromonte, da dove è scomparso; cresce nel Mediterraneo orientale sino all’Afghanistan. È coltivato a scopo forestale.
(Pinus nigra), chiamato anche p. austriaco (fig. 2A), il quale dall’Austria giunge nei Balcani e, con la ssp. pallasiana, nell’Asia Minore e Crimea; popolazioni isolate sono presenti anche nell’Appennino centrale e meridionale.
(Pinus nigra laricio), o p. di Corsica, o di Calabria (fig. 2B), si trova in Calabria, sull’Etna, in Corsica e Spagna; esso forma estesi boschi sulla Sila. Queste ultime due specie, frugalissime, si utilizzano per il rimboschimento dei terreni più degradati, particolarmente sui monti (rimboschimento del Carso triestino e istriano).
(Pinus leucodermis o heldreichii), specie balcanica, presente in Italia con popolazioni isolate sulle vette del Pollino e della Montea (fig. 2C).
(Pinus sylvestris; fig. 2D) o p. rosso, comune in Europa e nell’Asia occidentale, in Italia è limitato alle Alpi e all’Appennino settentrionale. Fornisce buon legname.
(➔ cembro)
(Pinus mugo ➔ mugo).
In Italia si coltivano a scopo ornamentale e forestale anche varie specie esotiche: Pinus canariensis, delle Canarie; Pinus strobus, detto p. bianco o p. di Weymouth, dell’America Settentrionale, e l’affine Pinus excelsa, dell’Himalaya e Afghanistan; Pinus palustris; Pinus ponderosa e Pinus rigida anch’essi dell’America Settentrionale, l’ultimo dei quali fornisce il legno pregiato noto con il nome di pitch-pine. Altra specie interessante è Pinus lambertiana dell’America nord-occidentale, che ha pigne lunghe sino a 50 cm, pendenti. Sono noti parecchi ibridi nel genere Pinus e alcuni di questi, ottenuti artificialmente, sono coltivati in America e in altre regioni per scopi forestali, perché forniscono legname più adatto agli usi industriali e sono meno soggetti alle malattie. Si conoscono varie specie fossili del Cretaceo. Dalla resina di alcuni p. si ricava l’essenza di trementina e la colofonia. Di alcune specie si utilizzano le gemme, per le proprietà balsamiche.
Si chiama pinolo il seme dei p. e in particolare di Pinus pinea. La mandorla del seme, data dall’albume racchiudente il piccolo embrione, si mangia fresca o cucinata in pietanze dolci e salate. Per la produzione dei pinoli si ricorre a macchine scuotitrici con le quali si staccano le pigne (strobili) dalla pianta. Queste vengono raccolte da terra manualmente o meccanicamente e inviate in un centro di trasformazione, dove viene effettuata l’estrazione dei pinoli (mediante spinatura e schiacciatura). Un ettaro di pineta fornisce 30-40 m3 di pigne, da cui si ricavano da 100 a 200 kg di pinoli sgusciati. L’Italia è uno dei maggiori produttori di pinoli.
Dalla spremitura dei pinoli comuni e anche da quelli del pino selvatico si estrae un olio grasso, liquido limpido, giallo, che sa leggermente di trementina.
Anche alcune Conifere non appartenenti al genere Pinus sono dette p.: il p. del Paraná è Araucaria brasiliana; il p. di Norfolk è Araucaria excelsa.
In paletnologia, uomini a p., termine introdotto da H. Breuil per indicare particolari figure umane di età mesolitica e neolitica, dipinte sulle pareti rocciose nelle grotte, specie del versante mediterraneo della Spagna. Il corpo raffigurato è intersecato da due o più linee parallele che rappresentano le braccia: il numero plurimo degli arti avrebbe un significato magico, connesso con la moltiplicazione della forza nell’uomo.