Immagine posta sulla superficie ( campo) dello scudo. Le f. si distinguono in araldiche, naturali, artificiali, chimeriche.
Le f. araldiche, proprie dall’arte araldica, sono costituite dalle f. geometriche ottenute tracciando, sul campo dello scudo, delle linee verticali, orizzontali, diagonali o curve. Si dividono in pezze araldiche (onorevoli e meno onorevoli) e convenevoli partizioni (➔ pezze).
Le f. naturali comprendono tutti i corpi che si trovano in natura, appartenenti al mondo umano, animale, vegetale, minerale, compresi gli astri, le meteore e gli elementi (fuoco, acqua, vento). Tra gli esseri umani: uomini, donne, bambini, re, cavalieri, monaci, pellegrini, santi, selvaggi, mori ecc. Tra gli animali: quadrupedi (leone, leopardo, cervo, bue, elefante, orso, toro, vacca, bufalo, cane, capra, pecora, maiale, volpe ecc.); volatili (aquila, cigno, cicogna, gru, oca, anatra, gallo, colomba ecc.); pesci (delfino, balena, cefalo, rombo, trota, salmone ecc.); rettili (biscia, serpente, vipera, lucertola, ramarro ecc.); insetti (api, farfalle, grilli, ragni ecc.), molluschi. Tra i vegetali: alberi, piante, fiori, frutti, si trovano più spesso nell’araldica italiana che in quella d’oltralpe; numerosi gli alberi da frutto e ad alto fusto come il pino, la quercia con i rami passati in doppia croce di Sant’Andrea (famiglia Della Rovere) e il cipresso (famiglia Capranica), collegato al culto dei geni tutelari degli antenati. Il fiore più diffuso è il giglio di Francia, simbolo della monarchia francese, con 3 petali (secondo alcuni simbolo della Trinità) colorati d’oro o d’argento, quello al centro dritto, gli altri due incurvati e legati alla base con una stanghetta. Differente è il giglio di Firenze (che si trova sugli stemmi della città di Firenze e di numerosi municipi toscani) rappresentato, invece, ‘aperto’ e ‘bottonato’ (con un pistillo a forma di bottone posto al centro); la rosa viene disegnata a 5 petali, bottonata, colorata o di rosso o d’oro o d’argento, raramente con il gambo (‘gambuta’). Sono raffigurati anche il mare, i fiumi, i monti (al naturale o come monticelli sovrapposti con la cima arrotondata); i corpi celesti, tra cui il sole con volto umano circondato da raggi (metà dritti e metà ondeggianti); le stelle e il ‘crescente’ (mezzaluna) nelle sue diverse posizioni: ‘montante’ (con le punte rivolte all’insù), ‘volto’ (con le punte rivolte verso il fianco destro dello scudo), ‘rivoltato’ (con le punte rivoltate verso il fianco sinistro), ‘rovesciato’ (con le punte rivolte verso la punta dello scudo).
Le f. artificiali sono gli oggetti costruiti dall’uomo e vengono classificate in figure di giurisdizione, di cariche e dignità (corone, scettri, bandiere, spade ecc.), di pedaggio (ponti, remi, torri ecc.), di vassallaggio (catene, aratri, gioghi ecc.), di caccia (dardi, corni da caccia, ferro di cavallo, sella ecc.), di pesca (reti, ami, barche ecc.), di pietà (croci, calici, messali, chiese ecc.), di scienze (sfere armillari, compassi, calamai ecc.), d’arti e mestieri (martelli, asce, tenaglie ecc.), in figure feudali e guerresche (torri, castelli, colonne, trombe, tamburi ecc.), musicali (flauti, liuti, arpe ecc.), navali (ancore, gomene, bussole ecc.), in utensili e suppellettili (sedie, vasi, forbici ecc.), vesti e accessori (abiti, guanti, collane, calzari ecc.).
Le f. chimeriche (o immaginarie), frutto della fantasia umana, sono molto frequenti; alcune derivano dalle leggende dell’antichità classica come la fenice, la sirena, il centauro, la sfinge, il grifone (metà aquila e metà leone), figura molto usata dalle popolazioni germaniche che la importarono dall’Oriente nell’Europa occidentale; il drago, la pantera e il liocorno appartengono all’araldica medievale. Sono considerate figure chimeriche anche il Padre Eterno, gli angeli e le teste di serafino.
Le f. naturali (umane, animali, vegetali) e le chimeriche possono essere raffigurate per intero oppure solo in parti; nel caso di persone troviamo teste, busti, braccia (sinistrocheri, destrocheri), mani, occhi, cuori; nel caso di animali: zampe, teste, artigli, code, busti ecc.; tronchi o rami se si tratta di vegetali.
La rappresentazione delle f. segue uno stile araldico che si è modificato nei secoli, condizionato dai diversi contesti storico-culturali e artistici. A ogni f. viene assegnata sullo scudo una posizione araldica (per es., il leone è ‘rampante’, l’aquila è ‘spiegata’ cioè con le ali aperte), ma può assumerne anche altre differenti (per es., il leone rampante può essere rappresentato anche ‘passante’ o ‘fermo’ o ‘dormiente’ ecc.; l’aquila spiegata si può presentare anche dal ‘volo abbassato’, ‘nascente’ o ‘sorante’ ecc.). Il drago viene raffigurato alato con le fauci spalancate che emanano fiamme; il liocorno come un cavallo saltellante con un corno attorcigliato sulla fronte; la sirena con il busto nudo di una donna e la coda di un pesce a volte divisa in due parti (bicaudata) e tenuta con le mani; la fenice sul rogo chiamato ‘la sua immortalità’ poiché, secondo la leggenda, in prossimità della morte si dava fuoco e risorgeva dalle sue ceneri. La posizione della f. viene definita da uno specificio attributo. Le f. umane, per es., si possono presentare: nude, vestite, crinite ecc., i quadrupedi: rampanti, passanti, correnti ecc.; gli uccelli: volanti, fermi, soranti ecc.; i pesci: affrontati, addossati, curvi, in palo, in banda, in fascia; i vegetali: sradicati, terrazzati, bottonati, fioriti, fruttiferi ecc.
Poiché l’araldica è un linguaggio figurato, gli araldisti, nei secoli, hanno attribuito a ogni f. posta sul campo dello scudo un significato simbolico ben preciso, riferito a virtù, vizi e altre espressioni della natura e dello spirito umano. Tra le f. più significative, l’agnello è simbolo di innocenza e mansuetudine ma anche degli apostoli, dell’eucaristia, di Gesù Cristo; i cavalieri lo raffiguravano sulle loro armi per dimostrare sottomissione al loro principe; l’albero è simbolo della concordia nella patria, nell’esercito, nella famiglia poiché i vari rami si riuniscono all’unico tronco; l’ape è simbolo di laboriosità, dolcezza, potenza d’amore; l’aquila è simbolo di maestà e vittoria, forza e potere sovrano ma anche di nobile discendenza, prudenza e strategia; il castello è simbolo di dominio feudale, signoria, antica nobiltà di razza; la colonna è simbolo di forza e prudenza; il crescente è simbolo di benignità e buona amicizia; la fiamma è simbolo di purezza, candore, fama illustre e splendor di natali; il giglio è simbolo di purezza, speranza, chiara fama; in Italia fu, per lo più, distintivo di parte guelfa; il leone è simbolo di dominio e nobiltà eroica, forza e coraggio; il monte è simbolo di grandezza, sapienza, dignità sublime; la serpe è simbolo di astuzia e dominio; il sole è simbolo di grazia divina, provvidenza e fede, benignità, cortesia e magnificenza; la stella è simbolo di finezza d’animo, fama e nobiltà gloriosa; la torre è simbolo di nobiltà antica.
Il leone e l’aquila sono le f. più nobili del blasone e sicuramente le più diffuse sugli stemmi. Il leone è la f. più frequente così in Italia come in Spagna, in Francia, in Germania, in Inghilterra, anche per la simbologia a esso collegata che gli attribuisce l’idea di forza e di coraggio, di dominio e vigilanza, di magnanimità e generosità. Il leone è simbolo dell’evangelista Marco e come tale si trova nello stemma della Repubblica veneta. Viene raffigurato con testa tozza e angolosa, lingua lunga e sporgente, corpo magro e artigli a forma di trifoglio (nella rappresentazione più moderna ha le dita distese), la coda nuda è munita di un ciuffo all’estremità e al centro. La sua posizione araldica è rampante, cioè posto di profilo, dritto sulle zampe posteriori in atto di arrampicarsi.
L’aquila fin dall’antichità fu simbolo di maestà e di vittoria, di forza e di potere sovrano: fu insegna degli Spartani, degli Epiroti e dell’Egitto sotto i Tolomei; i Romani cominciarono a usarla quando gli Etruschi offrirono loro, in segno di sottomissione, uno scettro sormontato da un’aquila di avorio. Durante la Repubblica fu insegna militare della Legione divenendo ben presto l’unico contrassegno militare. Nel Medioevo, l’aquila nera in campo d’oro divenne emblema della dignità imperiale e per concessione dell’imperatore passò su molti stemmi gentilizi; nella lotta per le investiture contraddistinse il partito antipapale, in quella fra guelfi e ghibellini fu simbolo dei seguaci dell’imperatore, ma raffigurata con il volo abbassato, la testa rivoltata, in atto di afferrare un drago verde fu emblema dei guelfi, per concessione di Clemente IV. L’invenzione dell’aquila bicipite (f. chimerica a due teste) si attribuisce a Costantino che, secondo la tradizione, l’avrebbe assunta quando nel 325 d.C. trasferì la sede dell’Impero da Roma a Bisanzio, per dimostrare con questo simbolo che, sotto la stessa corona, regnava su un Impero con due capitali. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente l’aquila bicipite rimase uno dei simboli degli imperatori romani d’Oriente e più tardi fu adottata da Carlomagno come simbolo personale e del Sacro Romano Impero. Dal 15° sec. in poi, l’aquila divenne l’emblema degli imperatori germanici (il primo a usarla fu Sigismondo, figlio di Carlo IV, salito al trono nel 1410) e poi degli imperatori d’Austria. Fu usata anche dagli ultimi imperatori d’Oriente, i Paleologo, e dagli zar di Russia. L’aquila nera in campo d’oro, prima monocipite, poi bicipite, è passata, per concessione imperiale, sugli stemmi di numerose famiglie italiane; oggi viene considerata aquila imperiale solo l’aquila bicipite nera in campo d’oro. L’aquila monocipite è rappresentata con le ali spiegate, la testa rivolta verso il fianco destro dello scudo, il rostro incurvato e la lingua sporgente; la bicipite è rappresentata invece con le ali spiegate e con due teste coronate, l’una rivolta verso il fianco destro dello scudo, l’altra verso il sinistro.
Allontanamento dall’uso proprio o normale del linguaggio, inteso a conferire vivacità, ornamento, efficacia al discorso. Classificate all’interno della elocutio, le f. retoriche sono tradizionalmente distinte dalle f. grammaticali e dai tropi. Le f. grammaticali sono costituite da fenomeni di deviazione dalla norma morfologico-sintattica, come l’impiego di un tempo o di un modo verbale per un altro, di un singolare per un plurale; sono classificate tra i fenomeni della puritas (➔ elocutio). Tra i fenomeni dell’ornatus sono invece collocati i tropi e le f. retoriche. Queste ultime, a differenza dei primi, riguardano più di una parola e si suddividono in f. di parola (figurae elocutionis) e f. di pensiero (f. sententiae). Le f. di parola sono costituite da quei fenomeni che dipendono dalla formulazione linguistica concreta del discorso; una classica ripartizione distingue tra f. per aggiunta (anafora, gradazione, enumerazione ecc.), f. per sottrazione (ellissi, zeugma ecc.), f. per trasferimento (anastrofe, iperbato ecc.). Le f. di pensiero sono costituite da fenomeni indipendenti dalla concretizzazione linguistica del testo: possono sussistere in un discorso anche mutando le parole con cui sono espresse (antitesi, apostrofe, interrogazione retorica, correctio, reticenza, allegoria ecc.).
Nella metrica italiana sono spesso dette tradizionalmente f. metriche l’elisione, l’aferesi, la sincope, l’apocope, l’epentesi, la sistole, la diastole, la sinalefe, la dialefe, la sineresi, la dieresi, la metatesi, cioè modificazioni della parola al fine di modellarla sul ritmo del verso. I metricisti non sono unanimi in questa definizione e classificazione. Secondo alcuni sono f. metriche soltanto l’elisione, l’aferesi e l’apocope, le quali possono modificare il computo sillabico; gli altri fenomeni sarebbero fatti fonetici, varianti poetiche, senza rapporto col computo sillabico (medesimo e medesmo, fu e fue ecc.). Secondo altri sono f. metriche quei fenomeni che non intervengono sulla forma delle parole, ma sulla modalità della loro lettura, modificando il computo sillabico normale: dialefe, sinalefe, dieresi, sineresi, sinafia.
In geometria, ogni insieme di punti o di linee o di superfici; la f. si dice piana se è tutta contenuta in un piano, solida se, invece, si sviluppa nello spazio. F. simili Due f. che abbiano tra loro una corrispondenza per cui segmenti corrispondenti stanno in un rapporto costante (rapporto di similitudine): con riferimento alla fig. 1, per es., si ha AB/A′B′=BC/B′C′=AC/A′C′=1,587; intuitivamente, le due f. hanno la stessa forma e dimensioni diverse. F. omotetiche Due f. f1 , f2 (fig. 2) simili e similmente poste tali che le rette congiungenti coppie corrispondenti di punti, quali, per es., A, B e A′, B′, siano parallele tra loro, e le rette (o le curve) congiungenti punti corrispondenti concorrano tutte in un punto O, detto centro di omotetia. Due f. simili diventano omotetiche se una di esse viene sottoposta a un opportuno movimento. F. simmetriche Una f. si dice simmetrica rispetto a un punto, a una retta, a un piano se, appartenendo un punto P alla f., vi appartiene anche il punto P′ tale che il segmento PP′ abbia il punto medio coincidente rispettivamente con il punto dato, con il piede della perpendicolare mandata da P alla retta data, con il piede della perpendicolare abbassata da P sul piano dato. La fig. 3 rappresenta una f. piana simmetrica rispetto alla retta a; la fig. 4 rappresenta due f. piane simmetriche rispetto al punto O; la fig. 5 due f. piane simmetriche rispetto alla retta a. F. uguali Due f. f1, f2 si dicono uguali se esiste un movimento che porta l’una a sovrapporsi all’altra.
Nella notazione musicale, il segno che indica la durata delle note. Alcune f. utilizzate nel Medioevo e Rinascimento, come la maxima (o duplex-longa) e la longa, sono cadute in disuso. Inoltre in quell’epoca le f. potevano avere un valore multiplo rispetto alla f. seguente (variabile secondo la proporzione adottata); nell’epoca moderna, tramontato il proporzionalismo, ogni f. vale il doppio della f. immediatamente minore. A ogni f. corrisponde la relativa pausa (➔), ovvero un segno per indicare la durata del silenzio.