Corrispondenza di misura fra due o più cose che siano fra loro in stretta relazione.
Non è possibile cogliere una continuità storica nella trasformazione del concetto di p., intesa come armonica distribuzione delle parti fra loro o rispetto al tutto, perché nelle diverse civiltà sono variate sostanzialmente le unità di misura usate per lo spazio e quindi per l’architettura e le altre arti. In alcuni periodi sono state un punto di riferimento fondamentale la volta celeste e le costellazioni (piramidi egizie); in altri periodi è stata la natura a costituire un inesauribile termine di confronto.
Nella scultura greca si impongono alcuni canoni di perfezione proporzionale della figura umana. L’architettura greca adotta una logica di costruzione basata sull’idea del modulo, ossia di un elemento unitario, che crea la misura dell’insieme. È il concetto di ordine come sequenza: basamento, colonna, capitello, trabeazione, elementi il cui proporzionamento era definito da leggi fisse. Nell’architettura romana l’unico canone effettivo di proporzionalità sta nel rapporto continuo tra le forme geometriche usate e gli elementi strutturali che le sostengono. Ogni involucro spaziale è legato a una struttura tipica e da questa derivano le principali indicazioni per il controllo dei rapporti dimensionali, il tipo di partiture da usare, le p. dell’insieme. Nella scultura, l’arte romana rimane molto legata ai canoni greci, mentre nella pittura, specialmente del secondo e del quarto stile, si stabiliscono rapporti nuovi. Le immagini, libere dai vincoli di una rappresentazione realistica, obbediscono a un rigore di tipo esclusivamente grafico, e il problema della p. viene limitato a un controllo di carattere geometrico-cromatico.
L’idea rinascimentale di p. comprende e regola con le stesse leggi pittura, scultura e architettura (nelle sue diverse componenti: disegno planimetrico, dei prospetti esterni, allestimenti interni, apparati decorativi ecc.), anche in rapporto al rinnovato uso della prospettiva. Nell’arte e nell’architettura si tende alla progettazione di spazi normativamente proporzionati secondo i nessi imposti dalla visione prospettica, dalla struttura d’insieme al particolare, con rimando e connessione tra le diverse parti componenti. Tale concetto si rifà all’applicazione delle teorie della divina p., dell’organicità (concinnitas), della corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo, sistematizzate da artisti e scienziati verso la metà del 15° sec.: L.B. Alberti, De re aedificatoria, 1450; Filarete, Trattato d’architettura, 1460; Francesco di Giorgio Martini, Trattato di architettura civile e militare, 1480. La presenza di tali modelli teorici influisce sulla cultura figurativa europea fino alla fine del 19° secolo. Studi sulla p. si succedono per tutto il 16° sec.: L. Pacioli, De divina proportione, 1509; F. Zorzi, De harmonia mundi totius, 1525; A. Palladio, I 4 libri dell’architettura, 1570. Le espressioni artistiche dei periodi successivi reinterpretano secondo nuove visioni le teorie rinascimentali sulla p., dalla considerazione sulla molteplicità e sull’imprevisto introdotta nel manierismo, alla ricchezza di schemi spaziali e alle complesse geometrie del barocco.
Fuori della tradizione classica, l’inefficacia di una teoria generale delle p. è dimostrata dall’architettura islamica e da quella gotica, che studiano in modo originale i problemi della struttura portante. Nell’architettura gotica l’uniformità delle p. è ottenuta dalla ripetizione di elementi non sottoposti all’osservanza di un canone, con libertà dai criteri compositivi classici, sia nel dettaglio sia nella struttura di grande scala. Occorre inoltre tener presente la reale limitatezza dei mezzi di riproduzione di un progetto da una scala all’altra, che consistono nella riduzione di ogni elemento da riprodurre entro un triangolo isoscele o equilatero, secondo procedimenti descritti da Villard de Honnecourt.
Con il 19° sec. si giunge a una nuova libertà nella progettazione, per via delle nuove tecniche di misurazione di angoli e distanze; ma nello stesso periodo si riconosce ai sistemi di p. adottati nel passato un valore stilistico autonomo, come espressione di una libera immaginazione creativa (i contemporanei rilievi di edifici medievali sono resi con una ideale perfezione accademica che trascura la reale ‘irregolarità’ degli edifici), e un conseguente valore esemplare e normativo.
Nel 20° sec. viene superata l’idea tradizionale di p. e prospettiva. Il problema, che interessa fin dagli inizi del secolo tutte le nazioni europee, la Russia, gli USA, è affrontato sperimentalmente e a livello di programma-manifesto (per es., Il manifesto dei Futuristi, 1909; Il manifesto dei Dada, 1916; Il manifesto dei Surrealisti, 1924), comprendendo il fattore ‘tempo’ come categoria di lettura estetica e rifiutando nella composizione e nella progettazione concetti tradizionali di simmetria, gerarchia delle parti, staticità, monumentalità (Principi dell’architettura neoplastica, 1925; Mies van der Rohe, padiglione d’esposizione di Barcellona, 1929; K. Mel´nikov, padiglione dell’URSS all’esposizione di Parigi, 1925; K. Mel´nikov, Parigi, progetto di garage sulla Senna, 1925).
P. fra numeri e fra grandezze Dati 4 numeri in un certo ordine, si dice che essi sono in p. diretta quando il quoziente dei primi due è uguale al quoziente degli ultimi due; in tal caso si scrive a:b = c:d, oppure a/b = c/d (‘a sta a b come c sta a d’). Sono detti estremi della p. il primo e il quarto numero, medi il secondo e il terzo, antecedenti il primo e il terzo, conseguenti il secondo e il quarto; una p. in cui i due medi sono uguali si dice p. continua.
Le proprietà fondamentali delle p. sono: a) proprietà caratteristica: il prodotto dei medi è uguale al prodotto degli estremi: ad = bc. Se a, b, c, d sono le misure di 4 segmenti in p., ciò vuol dire che il rettangolo costruito sui medi è equivalente al rettangolo costruito sugli estremi. Da tale proprietà discende che: b) si possono invertire i primi due termini, purché si invertano anche gli altri due; cioè b:a = d:c; c) si possono permutare tra loro i medi o gli estremi; cioè a:c = b:d oppure d:b = c:a; d) si può comporre o scomporre (‘dividere’); ciò vuol dire che da a:b = c:d si ricava anche (a+b):a = (c+d): c, ovvero (a+b):b = (c+d): d (operazioni dette del componendo e dello scomponendo, o dividendo). Naturalmente la a) vale solo nelle p. tra numeri, mentre la c) è verificata anche nelle p. tra grandezze, purché esse siano tutte omogenee; la b) e la d) poi, valgono in ogni caso con l’avvertenza, per la b), che nessuno dei quattro elementi a, b, c, d può essere nullo.
La teoria delle p. cominciò a formarsi nella musica polifonica del 12° e 13° sec., quando si trovarono sovrapposti in una stessa battuta valori di durata diversa; raggiunse complicazioni estreme fino alla fine del 16° sec., quando si ebbe una semplificazione della dottrina e della pratica musicale in generale. Secondo i teorici, il sistema delle p. comprendeva 5 grandi classi: dalla più semplice alla più complessa, tali classi si nominarono multiplice, superparticolare, superparziente, multiplice superparticolare, multiplice superparziente. Dal genere multiplice sorgevano le p. dupla, tripla, quadrupla, quintupla ecc. rappresentate dai rapporti numerici 2:1, 3:1, 4:1 ecc., ovvero 4:2, 6:2, 8:2 ecc., nelle quali il valore maggiore conteneva esattamente due o più volte il valore minore. Dal genere superparticolare sorgevano le p. sesquialtera, sesquiterza, sesquiquinta ecc., rappresentate dai rapporti 3:2, 6:4, 9:6 ecc., ovvero 4:3, 5:4, 6:5 ecc., nelle quali il valore maggiore conteneva il valore minore una volta più una parte aliquota. Con gli altri generi le p. si complicavano sempre più. La complessità di questa teoria era poi aumentata dall’uso di non cambiare la figura delle note, quando per effetto delle p. cambiava invece il loro valore. Vi erano inoltre regole aggiunte come quelle relative al ritorno al valore normale delle note che avevano perduto parte del loro valore per effetto delle p.; il ritorno s’indicava per mezzo delle stesse cifre che avevano segnato la p., ma capovolte, e al nome delle p. veniva aggiunta la particella sub (dupla, subdupla). Altra p. che sorgeva nel corso di un pezzo senza che nessun segno di misura, nessuna frazione venisse a indicarla, era la p. detta emiolia, la cui presenza era segnalata dal cambiamento delle note che da bianche diventavano nere, perdendo parte del loro valore, in modo che a 3 note fosse contrapposto a un gruppo di 2.