Nella terminologia architettonica classica, l’organismo a un tempo struttivo e formale che è costituito da una serie di colonne con la sovrastante trabeazione e, talora, il sottostante piedistallo o zoccolo (fig.). In questo senso specifico l’o. architettonico, quale si formò presso gli antichi Greci nei tipi (passati poi anche nelle forme di architettura derivate dalla greca) dorico, ionico e corinzio, fu l’elemento fondamentale di un linguaggio architettonico che, attraverso l’arte romana, quella del Rinascimento e dei periodi successivi, è da allora durato con alterne rinascite (neoclassicismo, postmodernismo ecc.).
L’o. architettonico classico rappresenta la soluzione formale più stabile dell’organismo struttivo noto col nome di trilite, costituito da due elementi verticali portanti sormontati da un terzo elemento orizzontale, portato. Tali elementi costruttivi nell’o. classico ebbero rispettivamente la forma della colonna munita di capitello, e talora di base, e della trabeazione. A seconda delle proporzioni fra le varie parti e dei motivi formali in esse, si ebbero i vari tipi (fig. C).
L’o. dorico si formò in Grecia nel 7°-6° sec. a.C., caratterizzato dalla colonna priva di base con fusto pressoché troncoconico, a scanalature a spigolo vivo, entasi più o meno pronunciata, capitello di forme geometriche costituito da un abaco quadrato su un echino a bacile; trabeazione con architrave liscio, fregio diviso in metope e triglifi, cornice a gocciolatoio con mutuli. Le forme dell’o. dorico greco, caratterizzate nel periodo arcaico dalle proporzioni massicce delle membrature architettoniche, divennero gradualmente più slanciate (periodo ellenistico ecc.). Nell’architettura romana, l’o. dorico di forme ellenistiche fu ulteriormente trasformato, per lo più dall’uso frequente della base e dall’assenza di scanalature nel fusto della colonna. A ciò contribuì il sopravvivere delle forme di un o. architettonico italico, l’o. tuscanico, già usato nell’architettura etrusca, dal quale derivò l’o. toscano, simile al dorico romano da cui si distingue per una maggiore semplicità e robustezza delle membrature (assenza di metope e triglifi nel fregio ecc.).
L’o. ionico si formò in Grecia, specialmente nelle colonie sulle rive anatoliche dell’Egeo nel 7°-6° sec. a.C.; fu caratterizzato dalla presenza di motivi formali già usati nell’architettura orientale, soprattutto persiana, come la base, il fusto a scanalature divise da listelli piani, il capitello a facce diverse con volute su due lati. La trabeazione, con fregio continuo (ma talora mancante, specie negli esempi più arcaici), ebbe architrave diviso in più fasce, di regola tre, leggermente aggettanti; il gocciolatoio della cornice sorretto da piccole mensole parallelepipede ravvicinate dette dentelli. Anche l’o. ionico si trasformò gradualmente in modo da sostituire ai forti contrasti di proporzioni e di forme degli esempi più antichi soluzioni più equilibrate, specie nelle opere del periodo classico. Dall’arte ellenistica, che lo usò di frequente in forme convenzionalmente decorative, l’o. ionico passò all’architettura romana, che lo adattò al proprio gusto monumentale ora sviluppandone alcuni elementi, come la trabeazione, che si arricchì di mensole scolpite, ora semplificandone altri, come il fusto della colonna, che fu più spesso priva di scanalature, e quasi sempre aumentandone l’imponenza con l’uso del piedistallo, derivato dal podio del tempio italico, che divenne un elemento caratteristico degli o. architettonici romani.
L’o. corinzio fu in origine una varietà dello ionico, formatasi nel 4° sec. a.C. e caratterizzata dalla forma del capitello, decorato da una o due file di foglie di acanto, i cui caulicoli e relativi elici sostituirono le volute sotto i 4 angoli dell’abaco (tempio di Apollo a Basse ecc.). L’o. corinzio ebbe grandissima diffusione nell’architettura romana, che ne sviluppò e arricchì le forme specialmente della trabeazione, accentuandone la varietà e la decorazione delle membrature, con l’uso di modanature, mensole e ornamentazioni scolpite. L’o. composito fu uno speciale tipo di corinzio romano, caratterizzato dall’inserzione, al posto dei caulicoli e degli elici angolari del capitello, di volute analoghe a quelle dello ionico.
L’o. figurato è un partito architettonico di proporzioni e forme simili a quelle di un o. classico, nel quale la trabeazione o cornice di coronamento è sorretta, anziché da colonne, da erme o da intere figure umane, dette cariatidi o telamoni. Il suo uso fu noto ai Greci fin dal periodo arcaico e adottato di frequente anche nelle forme di architettura derivate dall’arte classica.
L’o. colossale (o maestoso) si sviluppa per lo più in funzione di architettura parietale per tutta l’altezza di una fronte a vari piani, i quali appaiono così ricavati entro gli spazi definiti verticalmente dai suoi elementi portanti. Fu usato già nell’arte romana specie del periodo più tardo ed ebbe grande diffusione nell’architettura del Rinascimento e del barocco assumendo la definizione di o. gigante, quando si sviluppa per tutta l’altezza di un edificio costituito da vari piani effettivamente calpestabili.
Gli o. architettonici classici, formatisi come soluzione formale di un organismo struttivo, dovettero all’inizio essere usati su un solo piano, ma già nei grandi templi dorici si trova la sovrapposizione di due o. simili nei colonnati che suddividono l’interno della cella. Nel periodo ellenistico ebbe inizio l’uso della sovrapposizione di o. differenti, dorico al piano inferiore, ionico al piano superiore, che fu poi molto diffuso nell’architettura romana come soluzione delle alte pareti di edifici monumentali, quali le frontes scaenae, e le pareti esterne di teatri e anfiteatri.
Specialmente dall’età sillana (tempio di Palestrina) l’architettura romana adottò lo schema dell’architrave su semicolonne che inquadra un arco. Tale schema ebbe uno sviluppo imponente soprattutto negli esterni dei teatri e degli anfiteatri, con opportuna variazione di quota della base delle semicolonne rispetto alle basi dei pilastri che sorreggono gli archi, e con il passaggio dall’ordine toscano fino al composito salendo di piano in piano.
Le forme d’o. classico, del quale solo il tipo della colonna era rimasto in uso nel Medioevo, tornarono a essere elemento fondamentale dell’architettura del Rinascimento e furono oggetto, durante il Cinquecento, di studi e trattati teorici che ne fissavano i rapporti e i motivi, ispirandosi soprattutto agli esempi romani e al trattato di Vitruvio. L’arte barocca seguitò a servirsene mutandone di poco le caratteristiche formali, ma variandone con libera fantasia le applicazioni compositive. Nel periodo neoclassico si cercò di tornare ai tipi di o. dell’antichità, quali le ricerche archeologiche del tempo li avevano rivelati. Nelle trasformazioni ottocentesche, e più ancora nelle fogge stravaganti del periodo liberty o nei successivi tentativi di interpretazione moderna, gli o. classici vennero perdendo le caratteristiche primitive dando vita alle più disparate soluzioni formali e tipologiche.
In linea generale, il concetto di o. pubblico fa riferimento all’insieme delle norme fondamentali dell’ordinamento giuridico inerenti i principi etici e politici la cui osservanza e attuazione è ritenuta indispensabile per l’esistenza dello stesso ordinamento.
Nel diritto penale l’o. pubblico è il bene giuridico protetto dalle norme del titolo V del codice penale. Posto che tutti i reati producono in astratto o indirettamente un turbamento dell’o. pubblico generale, ossia il cosiddetto allarme sociale, è doveroso precisare il significato più ristretto con cui tale concetto è stato posto dal legislatore a fondamento di questo titolo del codice penale. In dottrina emergono fondamentalmente due accezioni di o. pubblico. Una prima teoria evidenzia tale concetto nel suo significato ideale o normativo, inteso cioè come l’insieme dei principi e delle istituzioni posti alla base dell’ordinamento e della sua sopravvivenza. In tale ottica l’o. pubblico si identifica nell’o. legale costituito. Il limite di questa posizione è che il concetto di o. pubblico si espone al rischio di manipolazioni per reprimere qualunque forma di dissenso rispetto ai valori imposti dall’o. legale che si è affermato in una data epoca e in un determinato territorio. Per tali ragioni, la dottrina dominante accoglie una diversa interpretazione del bene giuridico in esame, quella in senso materiale, che qualifica l’o. pubblico in termini di pacifica convivenza, di buon assetto e regolare andamento dell’o. civile. In tale ottica la stessa Corte costituzionale ha indicato più volte l’esigenza di recuperare la dimensione concreta dei fatti incriminati, limitando la loro tendenza a integrare strumenti di repressione al mero dissenso ideologico. I delitti che compongono il titolo V c.p. e che sono dunque rivolti alla tutela dell’o. pubblico sono: l’istigazione a delinquere (art. 414), l’istigazione a disobbedire alle leggi (art. 415), l’associazione a delinquere (art. 416), l’associazione di tipo mafioso (art. 416 bis), lo scambio elettorale politico-mafioso (art. 416 ter), la devastazione e il saccheggio (art. 419), l’attentato a impianti di pubblica utilità (art. 420), e la pubblica intimidazione (art. 421).
Secondo il diritto internazionale privato, l’o. pubblico costituisce un limite generale al riconoscimento delle sentenze e all’applicazione del diritto straniero da parte dei giudici nazionali nell’ordinamento giuridico interno. In Italia, l’’art. 16 della l. 218/1995 (che ha riformato il sistema di diritto internazionale privato precedentemente stabilito dalle disposizioni preliminari al codice civile) delimita il funzionamento delle norme di diritto internazionale privato stabilendo che l’apertura a valori giuridici estranei all’ordinamento interno non può avvenire in contrasto con l’ordine pubblico quale insieme dei principi fondamentali fissati dal diritto internazionale e comunitario, dalla Costituzione e dalle leggi statali.
Su tali basi, l’art. 64 e seguenti della l. 218/1995 consentono il riconoscimento degli atti e delle sentenze straniere, salvo che essi siano contrari all’o. pubblico (Sentenza straniera, Provvedimenti stranieri). La sfera d’incidenza della nozione di o. pubblico internazionale a cui si rifà l’art. 16 è più ristretta rispetto a quella di o. pubblico interno. La valutazione d’incompatibilità della legge straniera deve essere condotta con riferimento agli effetti, ovvero, al risultato concreto che l’applicazione della legge straniera produce. Diversamente dalle norme di applicazione necessaria, l’o. pubblico si configura come limite successivo, poiché opera dopo che la legge straniera sia stata richiamata.
La l. 218/1995 non contiene un elenco dei principi di o. pubblico. Questa lacuna è colmata dalla giurisprudenza. I principi di o. pubblico, essendo frutto dell’evoluzione giurisprudenziale, sono principi relativi, mutevoli nel tempo e nello spazio.
La contrarietà all’ordine pubblico di una legge straniera non può risolversi in un non liquet da parte del giudice, il quale dovrà applicare i criteri di collegamento alternativi (art. 16, comma 2) (Criteri di collegamento. Diritto internazionale privato). Se la norma di conflitto non contiene tali criteri o rinvia a una legge straniera anch’essa contraria all’ordine pubblico, si applica, quale extrema ratio, la legge del foro.
Per questa categoria di enti pubblici associativi ➔ ordini professionali
O. di borsa Istruzione impartita da un operatore finanziario a un intermediario sulle modalità di esecuzione di un’operazione di borsa. Gli o. possono avere forma scritta, ma sono ammessi anche quelli fatti a voce o per telefono (purché siano registrati in ordine cronologico da parte dell’intermediario e contraddistinti da numeri progressivi) o per via telematica. L’o. deve contenere l’indicazione della natura dell’operazione, della specie e quantità dei titoli, del prezzo di esecuzione e del tempo entro cui l’operazione deve essere eseguita. Gli o. inoltre possono essere condizionati al verificarsi di un determinato evento o lasciati alla discrezionalità dell’intermediario. Modalità, esecuzione e tempi relativi agli o. sono previsti da delibere della CONSOB.
Nel linguaggio commerciale e bancario, sinonimo di o., sia di riscossione sia di pagamento, è ordinativo. In particolare, ordinativo diretto, nella pratica contabile, è l’o. di pagamento di una spesa impegnata e liquidata, emesso a favore del creditore dell’azienda.
Nella filosofia del diritto, l’intuizione secondo la quale esiste una corrispondenza tra l’o. dell’universo (divino o naturale) e l’o. che deve governare le relazioni tra gli uomini, reso esplicito dal concetto di giustizia, è antica. Teoreticamente decisivo è stato, in particolare, lo stoicismo, ripreso dalla dottrina della lex aeterna di s. Tommaso d’Aquino. Nella modernità, la secolarizzazione del pensiero filosofico non ha cancellato l’idea che la coesistenza sociale possa essere pensata solo all’interno di un ordinamento giuridico nel quale la giustizia è sostanzialmente dinamica: un o. nel quale l’eguaglianza, che ne costituisce l’essenza, è allo stesso tempo un presupposto e un obiettivo, e va dunque continuamente perseguita e ripristinata.
Il concetto di o. in meccanica e in meccanica statistica è stato legato, fino a tutti gli anni 1950, al determinismo delle equazioni del moto, mentre il disordine era letto come la presenza di elementi aleatori nell’evoluzione del sistema. In diversi campi di ricerca questa idea è stata progressivamente superata, tanto che si può dire che molti degli sviluppi più importanti dello studio delle equazioni differenziali e della meccanica statistica sono ispirati dallo studio delle transizioni tra gli stati ordinati e quelli disordinati. Ricordiamo in questo senso: a) la scoperta e lo studio dell’aleatorietà deterministica e dei moti caotici di sistemi deterministici (➔ caos; sistema), che ha ricevuto un enorme impulso dal parallelo sviluppo degli elaboratori elettronici; b) la completa comprensione del fenomeno delle transizioni di fase di seconda specie (➔ transizione) e il parallelo sviluppo di strumenti matematici di grande rilevanza, quale il gruppo di rinormalizzazione, che si è dimostrato applicabile in tutti i sistemi che mostrano comportamenti critici; c) lo studio della complessità dei sistemi attraverso la teoria dell’informazione, che costituisce uno dei campi di ricerca più promettenti per le sue connessioni con lo studio dei sistemi biologici.
Il termine o. ha numerosi significati particolari. Nel senso di numero caratteristico di un insieme o di un ente di tipo particolare: a) numero degli elementi di un insieme: o. di un gruppo finito, di un corpo finito è il numero dei punti, o degli elementi, costituenti il gruppo, il corpo; b) numero intero associato a un insieme: o. di una matrice quadrata (o di un determinante), il numero delle sue righe e delle sue colonne; c) numero delle iterazioni di una certa operazione: o. di un elemento x di un gruppo G è il minimo intero m tale che xm sia l’elemento neutro di G; se ciò non accade per nessun valore di m si dice che l’o. di x è infinito. La locuzione o. di grandezza è usata nel linguaggio scientifico per indicare il valore numerico approssimativo di una grandezza fisica, di un ente geometrico ecc.: per es., dire che l’o. di grandezza della massa di un atomo è di 10−23 g significa dire che la massa ha un valore prossimo a 10−23 g, per es., 3∙10−23, oppure 5∙10−23, oppure 0,9∙10–23 ecc. Relazione d’o. Relazione tra gli elementi di un insieme I, che permette, dati due elementi a, b qualsiasi di I, di dare un senso alle espressioni ‘a precede b’ e ‘a segue b’, in modo che, se a e b sono distinti, si presenti appunto sempre uno (e uno soltanto) dei due casi.
Una relazione d’o. definita astrattamente deve soddisfare le seguenti proprietà formali: dati due elementi, a e b, si ha a<b (leggi: a precede b) oppure a>b (leggi: a segue b) oppure a=b, ciascuna relazione escludendo le altre (asimmetria della relazione d’o.); se a<b e b<c allora a<c (transitività della relazione d’o.). Quando in un insieme è definita almeno una relazione d’o., esso si dice ordinato. Due insiemi ordinati I, I′ si dicono simili se tra i loro elementi è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca che conservi le relazioni d’o. tra coppie di elementi corrispondenti (se ad a, b di I corrispondono a′, b′ di I′, e se a<b, dovrà essere anche a′<b′). Tale corrispondenza si chiama isomorfismo d’o. e si dice che due insiemi simili hanno lo stesso tipo d’ordine.
Nel linguaggio teologico, in relazione al concetto di natura, si parla di o. naturale per indicare il complesso delle cause create da Dio e, in particolare, rispetto al fine ultimo dell’uomo, l’insieme dei mezzi disposti dal Creatore perché si possano raggiungere alcune fondamentali verità di fede; si distingue dall’o. soprannaturale, che è il complesso dei doni elargiti da Dio all’uomo per il pieno raggiungimento del suo fine soprannaturale, cioè la salvezza eterna nella contemplazione beatifica.
Nelle Chiese cattolica e ortodossa, o. è la categoria dei battezzati che esercitano il sacro ministero e ciascuno dei gradi in cui tale categoria è suddivisa (o. dei vescovi, o. dei presbiteri o dei sacerdoti, o. dei diaconi). Anche il sacramento che investe dell’esercizio di tale ministero è detto o. (anche o. sacro). O. religiosi Nella Chiesa cattolica, società di vita comune, approvate dall’autorità ecclesiastica, i cui membri tendono alla perfezione evangelica emettendo i 3 voti perpetui di povertà, castità, obbedienza. Non è richiesto che tutti i membri emettano i voti solenni, bastando che facciano questo solo una parte di essi (per es., i sacerdoti). Tuttavia, il nuovo Codex iuris canonici, pur rispettando le tradizioni degli o. religiosi, tende a equipararne tutti i membri nei medesimi diritti e doveri. Si suole distinguere, all’interno dell’o. religioso, il primo o. (quello che risale direttamente al fondatore: per es., domenicani, francescani ecc.); il secondo o. (quello delle monache, che adottano la regola del primo o.: per es., domenicane, clarisse ecc.); il terzo o. (costituito dai laici che vogliono, per quanto permette il loro stato, partecipare alla vita e agli scopi dell’o.: per es., terz’o. di s. Domenico, terz’o. di s. Francesco ecc.). Gli o. religiosi si dividono in 4 grandi categorie: canonici regolari, monaci, ordini mendicanti, chierici regolari, ciascuno diviso in o. o congregazioni.
Lo stato di equilibrio che viene a porsi nei rapporti intercorrenti fra i diversi soggetti, interessi e valori nell’ambito di organizzazioni complesse. Nell’accezione più antica delle teorie contrattualistiche, il concetto di o. sociale coincide con quello di consenso in funzione del patto originario che fonda la società civile. Nell’elaborazione della sociologia contemporanea, il problema dell’o. è considerato in relazione alle dinamiche di conflitto che caratterizzano la società di mercato, risolvendosi o come ‘effetto non intenzionale delle azioni umane’ (R. Boudon), o come esito della ‘istituzionalizzazione programmata dei conflitti’ (R. Dahrendorf).
O. cavallereschi Associazioni religiose e militari sorte nel Medioevo per la difesa dei Luoghi Santi; i loro membri, stretti da voti religiosi, si ripromettevano di provvedere ai malati, ai pellegrini, ai feriti delle spedizioni in Terrasanta. Sull’esempio dell’O. di s. Lazzaro, fondato prima del 10° sec. per curare i lebbrosi, sorsero l’O. degli Ospitalieri di s. Giovanni di Gerusalemme, poi detto O. di Malta (1020 ca.; ➔ Malta, Ordine di); l’O. dei ss. Cosma e Damiano (1024 ca.); l’O. dei Templari (1119); nel 1174, o secondo altri nel 1179, l’O. del s. Sepolcro di Gerusalemme, fondato da Enrico II d’Inghilterra; nel 1191 l’O. dei Teutonici, riservato ai soli nobili tedeschi, e altri ancora. In Europa, soprattutto in Portogallo e Spagna, se ne istituirono altri per provvedere alla difesa contro le invasioni dei Mori: l’O. di Calatrava (1158); di s. Benedetto d’Aviz (1162) ecc. Tutti questi o. adottavano la regola di s. Basilio, di s. Agostino, di s. Benedetto o, più tardi, di s. Francesco; venivano riconosciuti, approvati e confermati dai pontefici, da cui ottenevano grandi privilegi spirituali, mentre sovrani, feudatari e signori cattolici elargivano donazioni e concessioni. Nel 16° sec., per combattere i Turchi e i corsari barbareschi che infestavano i mari e minacciavano le coste del continente, sorsero altri o. quali l’O. di s. Stefano (1562) e l’O. dei ss. Maurizio e Lazzaro (1572). Con il tempo molti o. cavallereschi furono sciolti o uniti ad altri di più antica o recente fondazione; più spesso finirono in potere delle varie famiglie regnanti in Europa, trasformandosi così in istituzioni dinastiche, per cui il sovrano, gran maestro dell’o., ricompensava con l’iscrizione a esso coloro che avevano particolari meriti. Soppressi dalla Rivoluzione francese (1791) perché contrari al principio dell’eguaglianza, gli o. cavallereschi risorsero con Napoleone I che creò (1802) l’O. della Legion d’onore. Le Costituzioni francesi (1814; 1830) e belga (1831) ne attribuirono il conferimento al sovrano.
In Italia le istituzioni cavalleresche dell’antica monarchia di Savoia divennero, con la creazione del Regno d’Italia, istituzioni di Stato puramente civili, mentre furono aboliti gli o. cavallereschi dei sovrani spodestati, a eccezione di quelli del pontefice, per la sua condizione di capo spirituale della cristianità e, dal 1929, di sovrano temporale; la fondazione di nuovi o. e il conferimento dei gradi cavallereschi rimasero prerogative personali del re. A celebrazione dell’avvenuta unità d’Italia e dell’annessione del Veneto, nel 1868 Vittorio Emanuele II istituì l’O. della corona d’Italia, per remunerare le benemerenze sia di Italiani sia di stranieri, diviso in cinque classi: cavalieri, cavalieri ufficiali, commendatori, grandi ufficiali, cavalieri di gran croce. Inoltre nel 1898 fu istituito l’O. al merito agricolo, industriale e commerciale, che assunse successivamente la denominazione di O. al merito del lavoro, e nel 1914 l’O. coloniale della Stella d’Italia, per i cittadini italiani e i sudditi indigeni distintisi nelle colonie. Dopo la caduta della monarchia, all’O. della corona d’Italia è subentrato l’O. al merito della Repubblica, istituito nel 1951 (capo ne è il presidente della Repubblica). Gli altri o. cavallereschi della Repubblica Italiana sono: l’O. al merito del lavoro; l’O. militare d’Italia; l’O. della stella della solidarietà italiana; l’O. di Vittorio Veneto.
Nella classificazione zoologica e botanica, l’o. è un gruppo sistematico di ambito superiore alla famiglia e inferiore alla classe.