Fondatore dei frati minori (Assisi ca. 1182 - ivi 1226). È uno dei santi più venerati della cristianità: voleva ripercorrere la vita povera di Cristo e degli apostoli e, come loro, mettere in pratica il Vangelo amando il prossimo.
Fondatore dei frati minori, delle clarisse e del terz'ordine francescano (Assisi 1181 o 1182 - ivi 1226), detto il Serafico, il Poverello d'Assisi, ecc.; patrono dell'Azione Cattolica e, con s. Caterina da Siena, patrono principale dell'Italia. Il padre, Pietro di Bernardone, solito recarsi in Francia per il suo commercio di tessuti, pare avesse condotto dalla Provenza in Assisi la sposa, madonna Pica; per questo avrebbe mutato in quello di Francesco ("francese") il nome di battesimo (Giovanni) del figlio. F., ragazzo, studiò un po' di latino, più e meglio (ma non bene) il francese; imparò anche a scrivere, ma assai male (già celebre preferiva firmare con un segno di croce). La sua giovinezza, trascorsa serena e spensierata, lo vide in armi, a difendere Assisi contro Perugia. Fatto prigioniero dopo lo scontro di Collestrada (1204) e caduto gravemente malato dopo la sua liberazione, tentò nuovamente la carriera delle armi, ma, mentre andava a raggiungere in Puglia le truppe di Gualtieri di Brienne, si fermò a Spoleto e tornò indietro. Iniziò così un rivolgimento interiore che culminò nella conversione. "Essendo io in peccato, troppo amaro mi sembrava vedere i lebbrosi, ma lo stesso Signore mi condusse fra loro ed io esercitai misericordia con loro. E partendomene, ciò che mi era apparso amaro mi fu convertito in dolcezza nell'animo e nel corpo. E poi tardai poco e uscii dal secolo"; così egli stesso alla vigilia della morte descrisse la sua "conversione" che, in lui nato ed educato cattolicamente, consistette nel trovare fonte di gioia spirituale e materiale in quello che la debolezza umana ritiene fonte di vergogna e di dolore. Era, in altri termini, una valutazione di quelli che sono gli obblighi del cristiano verso i proprî fratelli. La decisione fu presa davanti al crocifisso della chiesetta di S. Damiano, ai piedi del Subasio (autunno 1206). Dopo un mese di ritiro, invano cercato dal padre, F., ancora incerto sulla via da seguire, ritornò ad Assisi. Qui scoppiò il contrasto con il padre; e poiché il denaro era il pretesto per il quale Bernardone perseguitava il figlio, questi, citato a giudizio davanti al vescovo, si spogliò persino degli abiti che indossava, affermando che da allora non avrebbe più invocato il padre Pietro ma il "Padre nostro che è nei cieli" (apr. 1207). Da allora andò sempre più affinandosi la vocazione e l'esperienza interiore, che portò F. a cercare non una pratica di ascetismo e di pura contemplazione, ma dei compartecipi e dei fratelli. Il 24 febbr. del 1209 il sacerdote che nella cappella della Porziuncola celebrava la Messa alla presenza di F., sembrò formulare, con la lettura di Matteo 10, 5 segg. che riferisce della missione affidata da Gesù ai Dodici, il programma al quale F. era stato chiamato. Il mondo aveva ancora bisogno di essere riportato a considerare come meta unica e prossima del suo travaglio il Regno dei cieli e Dio ne aveva costituito lui, F., araldo. Ai pochi compagni (Bernardo da Quintavalle, Pietro Cattani, Egidio d'Assisi, Angelo Tancredi, frate Masseo, frate Leone, frate Ginepro), che si raccolsero in breve intorno a F., egli comunicò la missione ricevuta ripetendo le parole di Gesù che lo avevano tanto colpito. Nei pochi incisi del Vangelo che prescrivevano di andar predicando il Regno dei cieli, senza portare con sé oro né argento, né bisacce, né tuniche, né sandali, né bastone e di entrare nelle case salutando col dire "pace a questa casa" (Matteo 10, 7 segg.; 19, 21; Luca 9, 2 segg.), e che costituirono la sostanza della breve regola da F. presentata nel 1210 a Innocenzo III, in Roma, è tutto il programma religioso di Francesco. Esso non fu, né volle essere, alle sue origini, che una reincarnazione per gli uomini del sec. 13°, della metànoia neotestamentaria. F. ebbe nettissima sensazione dell'importanza eccezionale del compito che gli era stato provvidenzialmente affidato: "io non voglio segnare altra via e foggia di vita che non sia quella misericordiosamente mostratami e donatami dal Signore. Il quale mi disse quod volebat me esse unum novellum pactum in hoc mundo et noluit nos ducere per viam aliam quam per istam scientiam". Il progetto tuttavia suscitò nella curia romana - resa guardinga dal pullulare dei movimenti "apostolici" eterodossi - difficoltà, superate grazie alla protezione del vescovo di Assisi e del card. Giovanni di S. Paolo. La leggenda attribuì più tardi a Innocenzo III il celebre sogno; comunque il papa impartì a F. la tonsura e concesse una prima approvazione. F. con i compagni ritornò ad Assisi, fissandosi a Rivotorto, quindi alla Porziuncola, ove diede l'abito a santa Chiara (1212). Ma già pensava di predicare non soltanto in Italia. Dopo un viaggio a Roma (forse conobbe allora la nobile Iacopa Frangipane, nota anche come Iacopa de' Settesoli), lasciato in Assisi come suo vicario fra Pietro Cattani, s'imbarcò ad Ancona su una nave che salpava per l'Oriente; una tempesta lo gettò sulle coste dalmate (1212-13; secondo altri 1214-15) donde tornò in patria. Né più fortunato fu un tentativo di passare in Marocco (probabilmente 1214-15), perché in Spagna una grave malattia lo obbligò a ritornare. Celebrando nella Pentecoste del 1217 la prima adunanza generale dei suoi religiosi, aveva affermato l'opportunità di allargare il campo del lavoro apostolico, dividendo in province l'Italia e stabilendo missioni nei paesi d'oltralpe e in Siria. L'entusiasmo del santo aveva così scosso il cuore di tutti, che nel capitolo dell'anno seguente sei frati minori si recarono in Marocco, dove Bernardo e gli altri subirono il martirio (1220). F. stesso, celebrato alla Porziuncola il secondo capitolo generale, nel 1219, si diresse di nuovo alla volta di Ancona per passare in Oriente. In agosto era a Damietta assediata dai Crociati; poi, con frate Illuminato, si presentò al sultano al-Malik al Kāmil, per annunciargli il Vangelo. Non riuscì a convertirlo, ma non subì alcuna persecuzione, anzi ricevette da lui un salvacondotto, munito del quale visitò indisturbato la Palestina. Ma le notizie che gli giungevano dall'Italia lo indussero a tornare (1220, autunno). Si stava determinando in seno al movimento una crisi di sviluppo che minacciava di snaturare l'essenza del messaggio francescano. D'altra parte la curia aveva compreso che, se immenso vantaggio le sarebbe derivato dal movimento francescano, questo, nato come movimento di apostoli, non legato a sedi fisse e a una norma canonica, privo di regolare disciplina interna, non avrebbe potuto costituire qualcosa di veramente salutare per la vita della Chiesa, se non fosse stato inquadrato nella sua organizzazione. L'ambiente in cui erano stati reclutati i primi seguaci del santo era inoltre assai eterogeneo: laici ed ecclesiastici, uomini di cultura e analfabeti, asceti e uomini di azione erano fatalmente portati a vedere e a interpretare ciascuno a suo modo l'ideale bandito dal santo. Questo inconveniente aveva già assunto proporzioni allarmanti quando, col moltiplicarsi dei fratelli, F. si era visto intorno non più una comunità di pochi entusiasti soggiogati dalla sua personalità religiosa, ma una folla di seguaci che non sapevano distinguere l'ammirazione e la devozione per lui dagli atteggiamenti ad essi istintivamente suggeriti dalla propria personalità. La storia dell'opera sapiente con cui la curia pose a poco a poco l'ordine nascente sotto il suo controllo diretto, mentre F. s'induceva ad abbandonare (autunno 1220) nelle mani di un suo vicario (Pietro Cattani, e dopo la morte di questi, dal marzo 1221, frate Elia) la carica di superiore generale pur cercando al tempo stesso di mantenere l'alta direzione del movimento, conservando a questo il carattere autonomo e libero impressogli alle origini, è anche una storia di tribolazioni per il santo, non sempre capace di intendere gli scopi della curia, benché assistito e, nei rapporti con questa, protetto dal cardinale Ugolino de' Conti (il futuro papa Gregorio IX). Ma F. non volle adottare la regola dei benedettini o degli agostiniani e volle darne ai suoi frati una conforme al suo spirito; solo dopo almeno due tentativi (uno dei quali è rappresentato dalla cosiddetta "Regola prima" - in realtà seconda - del 1221 presentata al capitolo di quell'anno, probabilmente quello stesso detto delle stuoie e in cui fu altresì deciso l'invio dei missionarî in Germania) egli riuscì nell'intento, compilando una Regola, capace di soddisfare insieme le sue aspirazioni e le esigenze della Chiesa. La Regola fu approvata da Onorio III il 29 novembre 1223, data che può essere assunta come quella di nascita dell'ordine francescano. Ma è anche la data con cui inizia la "passione" del santo. Non gli dava pace il dissidio fra quanto aveva sognato e l'evidenza dei fatti; varie malattie minavano quel corpo che le fatiche e le austerità avevano indebolito. Salito, come altre volte, sul Monte della Verna, donatogli dal conte Orlando de' Cattani, là, durante la Quaresima del 1224, mentre in orazione spasimava di sentire il martirio ineffabile di Cristo e di provare insieme l'ardente e fiammeggiante carità, sentì un che di misterioso operarsi in lui: le mani e i piedi mostravano neri chiodi carnosi e nel petto si era prodotta una ferita sanguinante. Ma soffriva anche fisicamente, indebolito da dolori viscerali e dalla malattia agli occhi che lo aveva reso quasi cieco. Pure nella sofferenza - tornato nella valle di Rieti, a Fonte Colombo e a Greccio - egli trovava motivo di dolce serenità: del 1223 è il presepe di Greccio, del 1225 il Cantico delle creature. Tornato, per morire (dopo la permanenza nell'episcopio di Assisi), alla Porziuncola, dopo aver chiamato a sé la sua protettrice Iacopa de' Settesoli ("frate Iacopa"), si congedò dai frati ed espresse nel suo testamento (che volle fosse osservato come supplemento alla Regola, vietando che questa e quello fossero oggetto di glosse o interpretazioni) tutti quei principî che, pur così vicini al suo spirito, non avevano potuto essere espressi nella Regola; morì, circondato dai suoi frati, il 3 ott. 1226, dopo il tramonto. Fu canonizzato il 16 luglio 1228; festa, 4 ott. (le stigmate, 17 sett.; altre feste nell'ordine: traslazione, 25 maggio; canonizzazione, 16 luglio; approvazione della Regola, 16 aprile). La più antica immagine di F. è data da un affresco del Sacro Speco, a Subiaco, probabilmente eseguito ancora vivente il santo e certo anteriore alla sua canonizzazione; F. vi appare con un'espressione dolce e serena, con alcuni tratti caratteristici (occhi chiari) contrastanti con la descrizione della sua figura fisica lasciata da Tommaso da Celano. Dal 13° sec. (Margaritone, Cimabue, Giotto, ecc.) in poi la leggenda di F. e la sua figura furono oggetto di innumerevoli rappresentazioni, e di interi cicli pittorici e scultorei. Attributi abituali sono l'abito e le stimmate.
Gli scritti riconosciuti autentici comprendono: le due Regole superstiti e frammenti di una, precedente alla bolla di Onorio III; una lettera del 1223 a un ministro dell'ordine; una breve promessa di assistenza alle clarisse; l'ultima voluntas del santo alle clarisse; il testamento; 28 admonitiones ai fratelli; una lettera a tutti i fedeli per raccomandare e illustrare dodici precetti di vita cristiana; una lettera di F. infermo al capitolo generale del 1224; un De reverentia corporis Domini et de munditia altaris; le Laudes de virtutibus; le Laudes Dei; un regolamento ai fratelli qui volunt religiose stare in heremis; l'epistola e la benedizione a frate Leone (gli autografi sono ora nel duomo di Spoleto e nella basilica di Assisi); una preghiera alla Vergine; e, celeberrimo fra tutti, il Cantico di frate Sole (o delle creature).
La pratica della povertà non è il fine dell'ideale francescano, né l'unico mezzo per il suo raggiungimento. È piuttosto un corollario dell'affermazione evangelica e francescana che valori essenziali siano quelli che permettono la realizzazione del regno di Dio fra gli uomini. Le condizioni sociali del tempo misero in rilievo la pratica di vita francescana a scapito dell'ideale religioso che la suggeriva; l'ordine francescano, nel suo concretarsi, fu portato ad assumere come ideale quello che dell'ideale non era se non una logica conseguenza. D'altra parte, alle origini la religio francescana non assume esteriormente il carattere di un ordine regolarmente costituito. La breve regola del 1210 era "una regola di vita e non di organizzazione conventuale", era il Vangelo stesso, unica regola per tutti coloro che si sentissero chiamati dalla parola di F. a riprodurre nella loro, la vita di Gesù. E la vita evangelii Jesu Christi consiste per F. (si parafrasa qui la cosiddetta "Regola prima" del 1221 e il testamento) nel vivere in obbedienza e in carità, nello spogliarsi di tutto, nel non ritenersi primi tra i fratelli, nell'andare apostoli raminghi a predicare la conversione in vista del Regno di Dio, nel domandare i mezzi del proprio sostentamento al lavoro, anche il più umile, e, in mancanza di questo, all'elemosina. Ma, né come compenso al lavoro, né per elemosina, né direttamente, né indirettamente, i fratelli devono chiedere o accettare denaro, bensì devono seguire l'umiltà e la povertà di Cristo che, figlio del Dio vivente, pose il suo volto sulla pietra durissima. Dovunque si trovino, i fratelli si devono considerare sempre come ospitati, pellegrini e stranieri, mai come padroni, e devono essere pronti a cedere il loro giaciglio a chi lo richiede. Devono accogliere tutti, anche i nemici, i ladri e i masnadieri; non devono resistere al male: se qualcuno li percuote sulla guancia, gli porgano l'altra e se qualcuno strappa loro la veste, gli consegnino anche la tunica. Diano a chi chiede, non richiedano il tolto. Chi digiuna non giudichi chi mangia e a tutti sia lecito mangiar tutto. Quando si è malati non si desideri alleviare il tormento del corpo prossimo a morire, che è nemico dell'anima. Perciò il movimento francescano, nell'aspirazione e nei fini squisitamente religioso, investì necessariamente tutti gli aspetti della vita, implicando nei suoi presupposti una valutazione di essi radicalmente sovvertitrice, con vastissime risonanze di carattere sociale, nell'Europa agitata da una terribile crisi (la Chiesa impegnata nella lotta contro l'Impero; l'affermarsi dei Comuni italiani, con le loro lotte interne e il conseguente enorme spostamento di interessi economici e sociali). Ma proprio allora, con l'eloquenza di un esempio mai visto prima, F. predicò l'amore verso Dio e tutte, indistintamente, le sue creature, il completo distacco dalla ricchezza e dalla potenza, considerate come unico ostacolo a raggiungere la vera meta: la pace nell'attesa del Regno, l'eguaglianza vera che si conquista non sentendosi primi fra i fratelli, ma veramente "minori" (minores era la denominazione con cui era nota la parte popolare assisana) e sottomessi a tutti. È dunque altrettanto eccessivo vedere il movimento francescano quasi esclusivamente come la fondazione di un nuovo ordine religioso, inquadrato nell'organizzazione ecclesiastica (come quello che pure ne derivò), quanto volerne fare un movimento religioso a fondo schiettamente laico. L'una e l'altra concezione trascurano troppo la meravigliosa personalità e l'attività del fondatore. E va tenuto presente anche un altro elemento. Anche il movimento valdese, l'umiliato, l'arnaldista e altri, si erano presentati, come quello francescano, quali tentativi di compiere la purificazione della società con la predicazione della povertà evangelica. Ma laddove questi movimenti erano animati tutti da una netta opposizione alla Chiesa di Roma ritenuta fonte di ogni male, F. professò sempre verso la Chiesa rispetto e sottomissione mai venuti meno; essa è per lui l'unica fonte di disciplina e di dottrina, centro di tutta la vita religiosa.