vescovo Nel cristianesimo primitivo e in molte Chiese cristiane non cattoliche, il capo di una comunità di fedeli, in posizione più elevata rispetto agli altri ordini del ministero ecclesiastico. Nella Chiesa cattolica, prelato che, sotto l’autorità del romano pontefice, ha il governo ordinario di una diocesi, con autorità superiore a quella dei presbiteri, conferitagli, insieme con la particolare giurisdizione, mediante l’ordinazione episcopale.
1.1 Origine dell’episcopato. L’origine dell’episcopato monarchico e la sua natura costituiscono un problema di primaria importanza, di accurate ricerche storiche e di vivace discussione non solo tra cattolici e protestanti, ma anche tra le varie confessioni riformate, essendosi queste date un ordinamento di tipo episcopale o presbiteriano. Dato fondamentale incontrovertibile è che Cristo ha voluto che il messaggio da lui portato e la salvezza e la riconciliazione da lui operate giungessero a tutti gli uomini attraverso un ministero visibile e storico; perciò ha chiamato e costituito gli apostoli, che sono gli esecutori di una missione di evangelizzazione, santificazione e unificazione del nuovo popolo di Dio. Dai testi del Nuovo Testamento, che nel loro insieme, secondo la dottrina cattolica, sono documenti storici e ispirati, risulta che gli apostoli si sono, o direttamente o accettando coloro che venivano loro proposti, scelti dei collaboratori nel loro ministero. Sono questi i presbỳteroi-epìscopoi, che dirigevano le comunità primitive, nonostante una certa diversità di organizzazione fra queste. Ricevendo il ministero o direttamente dagli apostoli o dai loro successori, venivano collegati alla missione e autorità del Signore stesso, a cui per loro tramite le comunità si sottomettevano. La scarsità dei documenti non permette di precisare i passaggi verificatisi fra la seconda metà del 1° sec., quando per opera degli apostoli, dei loro collaboratori immediati e dei loro successori si costituirono collegi locali di presbiteri e v., e il principio del 2° sec. quando la figura del v. unico, a capo di una comunità in cui ci sono presbiteri, diaconi e laici, è già evidente dalle lettere di s. Ignazio di Antiochia. 1.2 Ordinazione episcopale. L’ordinazione con l’imposizione delle mani è ritenuta necessaria per la successione nel ministero (cfr. Tradizione apostolica del 3° sec.) e la tutela della tradizione apostolica. Il Concilio di Trento, definendo la sacramentalità dell’ordine, si limitò a dichiarare che i v., quali successori degli apostoli, sono al vertice della gerarchia ecclesiastica e quindi superiori ai presbiteri, senza dire nulla sulla sacramentalità dell’episcopato e sull’origine della sua giurisdizione. Il Vaticano II collegando il collegio episcopale al collegio degli apostoli e a Cristo, ha insegnato che «con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine» (Lumen gentium, nr. 21), per la quale a chi la riceve deriva direttamente da Cristo, in tutta la sua portata, la potestà d’insegnare, santificare e governare. Questa triplice funzione pastorale deve essere esercitata «per sua natura» nella comunione gerarchica con il collegio episcopale e il suo capo, il v. di Roma, per il bene dei fedeli.
Il Vaticano II ha riaffermato che il diritto di nominare i v. «è proprio, peculiare e per sé esclusivo della competente autorità ecclesiastica» (Christus dominus, nr. 20), cioè del romano pontefice (cod. iur. can., can. 377). Fermo restando il diritto del papa di nominare liberamente i v. e di conferire loro l’ufficio, e salva la disciplina delle Chiese orientali, le conferenze episcopali almeno ogni triennio trattano prudentemente sotto segreto degli ecclesiastici degni d’essere promossi all’ufficio episcopale e propongono alla Sede apostolica i nomi dei candidati, secondo le norme stabilite dalla Santa Sede (ibidem, nr. 2). I concordati prevedono la comunicazione dei nomi dei designati all’autorità civile per eventuali riserve. 1.3 Poteri vescovili. Il v., dopo la presa di possesso della diocesi, esercita in essa il potere legislativo «secondo il diritto», per spiegare e completare le leggi generali, e «oltre il diritto» nelle materie che sono lasciate alla regolazione di leggi particolari, mai «contro il diritto» generale, del quale non sia ammessa la derogabilità. Quando le circostanze lo suggeriscano convoca il Sinodo diocesano, che presiede quale unico legislatore, e di cui con la propria autorità promulga i decreti. In foro interno il v. abilita nel proprio territorio i sacerdoti per le confessioni e può «riservare» l’assoluzione di alcuni peccati più gravi.
Per il potere giudiziario il v. è giudice di prima istanza nelle cause di ordine spirituale e in quelle di ordine temporale connesse con la disciplina ecclesiastica e il governo della diocesi. Ha anche il potere coattivo di sancire le proprie leggi e punire anche le trasgressioni delle leggi divine e di quelle promulgate dall’autorità ecclesiastica superiore.
In Italia vige l’accordo di revisione (18 febbraio 1984) del Concordato, il quale, riconoscendo alla Chiesa cattolica piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, le assicura anche completa autonomia di organizzazione e di giurisdizione ecclesiastica. Ciò comporta, per quanto riguarda l’istituto episcopale, che sono riservate esclusivamente all’autorità ecclesiastica sia la determinazione delle diocesi (con l’impegno a non includere parti del territorio italiano in diocesi la cui sede vescovile si trovi nel territorio di altro Stato), sia la nomina degli arcivescovi e dei v. diocesani, dei coadiutori, degli abati e prelati con giurisdizione territoriale, riservata però a ecclesiastici che siano cittadini italiani, fatta eccezione per la diocesi di Roma e per le diocesi suburbicarie; una volta avvenuta, tale nomina deve essere comunicata alle autorità civili. 1.4 Organismi episcopali. Congregazione per i v. Denominazione attribuita da Paolo VI con la costituzione Regimini Ecclesiae universae (1967) alla preesistente Congregazione concistoriale, cui sono assegnati compiti specifici per tutta la Chiesa, tranne che per i territori soggetti alle Congregazioni per le Chiese orientali e per l’Evangelizzazione dei popoli. Alla Congregazione per i v. è collegata la Commissione per l’America Latina. Sinodo dei v. Organismo collegiale di circa 200 v., rappresentativo di tutto l’episcopato cattolico, creato da Paolo VI (1965), con la funzione di coadiuvare il pontefice con «informazioni e consigli» (e quindi con potere consultivo, salvo casi eccezionali in cui egli accordi il potere deliberativo) nel governo pastorale di tutta la Chiesa. Un consiglio di segreteria, di 15 membri (12 eletti dall’assemblea e 3 nominati dal papa) assicura la continuità dell’organismo tra una convocazione e l’altra, provvedendo tra l’altro alle consultazioni preparatorie di tutto l’episcopato in vista della successiva assemblea.
In alcune Chiese cristiane l’organizzazione ecclesiastica si impernia ancora sui v. che, come capi delle rispettive comunità dei fedeli, costituiscono il culmine della gerarchia ecclesiastica e, nel loro insieme, definiscono in materia di fede e di disciplina. Il titolo di v. fu conservato in talune Chiese luterane (in Danimarca, Norvegia, Finlandia, Svezia e Transilvania). In alcuni casi, come per le sedi di Osnabrück e di Schwerin, con la secolarizzazione dei principati ecclesiastici da parte della Riforma, il titolo di v. fu conservato con il solo valore di distinzione secolare.
Nella Chiesa anglicana, la figura e le funzioni del v. sono analoghe a quelle dei v. della Chiesa cattolica; la nomina del v. spetta alla Corona, pur essendosi mantenuta la vecchia forma di elezione da parte del capitolo cattedrale.
Guerra dei v. Scoppiata fra Carlo I, re d’Inghilterra, e gli Scozzesi che avevano rifiutato di accettare l’anglicanesimo nell’amministrazione ecclesiastica. Gli Scozzesi, aboliti i v. a Glasgow nel 1638, armarono un esercito e costrinsero il re a concedere un armistizio. L’assemblea convocata a Edimburgo per dirimere la controversia confermò le decisioni di Glasgow, e la guerra riprese. Gli Scozzesi, occupato il Northumberland e Durham, imposero al sovrano il trattato di Ripon (1640), il cui adempimento nelle clausole finanziarie, da parte del re, portò alla convocazione del Parlamento, che nel 1641 accolse tutte le richieste degli Scozzesi.