Organo collegiale con funzioni deliberative, sia dello Stato sia di enti pubblici sia di società private.
Denominazione di organi collegiali consultivi presso alcuni ministeri con il compito di dare pareri tecnici, che possono essere sia facoltativi sia obbligatori.
Per il c. d’amministrazione ➔ consìglio di amministrazióne.
Nelle società per azioni che scelgono un sistema di amministrazione e controllo dualistico, il c. di gestione svolge le funzioni tipiche dell’organo amministrativo. È incaricato, infatti, della gestione dell’impresa e compie, a tal fine, tutte le operazioni necessarie per la realizzazione dell’oggetto sociale.
L’azione di sociale di responsabilità nei confronti del c. di gestione è proposta a seguito di deliberazione del c. di sorveglianza e può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica.
Al c. di gestione si applicano, in via residuale le norme dettate per gli amministratori di società per azioni.
In Italia l’istituto fu introdotto la prima volta dalla Repubblica sociale, nel quadro della ‘socializzazione’ delle imprese con più di un milione di capitale e con più di 100 lavoratori (d.l. 375/12 febbraio 1944), con la quale ci si voleva riallacciare al principio della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle industrie sostenuto dal fascismo nel 1919-20 e in forma più attenuata nel 1921. Il c. di gestione era composto per metà di soci e per metà di dipendenti; aveva potere di deliberare sulle questioni relative alla vita delle imprese e all’indirizzo e allo svolgimento della produzione, di dare pareri sulle questioni inerenti la disciplina e la tutela del lavoro nell’impresa, di redigere il bilancio e proporre la ripartizione degli utili. Il 17 apr. 1945 il CLNAI abrogava la legge, passando ai c. di gestione nazionali i poteri dei precedenti c. di gestione fascisti. Il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende è ora riconosciuto dall’art. 46 della Costituzione, con norma a carattere programmatico alla cui attuazione non è stato ancora provveduto. Peraltro, esistono di fatto c. di gestione, soprattutto nelle aziende municipalizzate.
Organo costituito presso ciascuna Corte d’appello, al quale sono attribuite in particolare le funzioni di esprimere pareri per le nomine dei magistrati da parte del C. superiore della magistratura e di controllare lo svolgimento del tirocinio degli uditori giudiziari. È composto dal presidente della Corte d’appello, dal procuratore generale e da 8 membri la cui elezione è affidata ai magistrati degli uffici giudiziari del distretto (l. 825/1966).
Il C. regionale è l’organo rappresentativo-deliberativo della Regione (art. 121, co. 2, Cost.). Esso, insieme al Presidente della Giunta regionale e alla Giunta regionale, costituisce uno dei tre organi costituzionalmente necessari della Regione (art. 121, co. 1, Cost.).
Fino al 1999, tra questi tre organi, non vi è dubbio che proprio il C. regionale fosse quello più rilevante, in quanto esso più di tutti esercitava l’indirizzo politico-amministrativo regionale: era, infatti, il C. regionale ad eleggere il Presidente della Giunta regionale e a rimuoverlo tramite una mozione di sfiducia, così come era sempre il C. regionale l’organo a cui spettava non solo la potestà legislativa, ma anche quella regolamentare attribuita alle Regioni.
Il C. regionale dopo la l. cost. n. 3/2001. - Le riforme costituzionali del triennio 1999-2001 (l. cost. n. 1/1999; l. cost. n. 2/2001; l. cost. n. 3/2001) hanno notevolmente inciso sul ruolo complessivo e sulle singole funzioni di tale organo all’interno delle Regioni ad autonomia ordinaria: esso, infatti, ha perduto molte competenze a favore del Presidente della Giunta regionale (tendenzialmente eletti a suffragio universale diretto) e della stessa Giunta regionale (tendenzialmente competente a deliberare sui regolamenti regionali); può votare una mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta regionale (art. 126, co. 2, Cost.), ma, ove questi sia stato eletto a suffragio universale diretto, al voto di tale mozione di sfiducia consegue di diritto il suo scioglimento (c.d. principio simul stabunt, simul cadent). Per altro verso, il C. regionale gode ora, in esclusiva, della potestà statutaria (art. 123 Cost.) e ha visto un considerevole ampliamento della potestà legislativa regionale (art. 117, co. 3 e 4, Cost.). Oltre a tali funzioni, i Consigli regionali godono poi di ulteriori attribuzioni costituzionali: l’iniziativa legislativa statale (artt. 71 e 121, co. 2, Cost.); la richiesta di referendum abrogativo (art. 75 Cost.) e costituzionale (art. 138 Cost.); l’elezione dei delegati regionali che partecipano alla elezione del Presidente della Repubblica (art. 83, co. 2, Cost.).
Le scelte in ordine alla forma di governo regionale – in particolare, l’elezione del Presidente della Giunta regionale a suffragio universale diretto o dal C. regionale – e al numero dei componenti del C. regionale sono rimesse allo Statuto regionale, mentre le modalità di elezione del C. regionale (il sistema elettorale), così come la durata degli organi elettivi e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità dei consiglieri regionali, del Presidente e degli altri membri della Giunta sono disciplinate da una legge regionale, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con legge statale (art. 122, co. 1, Cost.). La legge che ha dato attuazione a questa disposizione costituzionale (l. n. 165/2004) ha previsto che, in caso di elezione diretta del Presidente della Giunta regionale, le elezioni per il C. regionale siano ad essa contestuali, laddove, invece, in caso di elezione consiliare del Presidente della Giunta regionale, l’elezione di quest’ultimo avvenga non oltre novanta giorni dall’elezione del C. regionale.
In materia di sistema elettorale, la legge n. 165/2004 si limita solo a stabilire il principio che il sistema elettorale prescelto debba agevolare la formazione di maggioranze stabili nell’ambito del stabili, assicurando, nel contempo, la rappresentanza delle minoranze. Si riconosce, inoltre, a favore dei consiglieri regionali – analogamente a quanto è già previsto per i parlamentari – il principio del divieto di mandato imperativo, allo scopo di tutelarne la libertà e l’indipendenza nell’esercizio delle loro funzioni, garanzia peraltro rafforzata dalla previsione costituzionale dell’insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni (art. 122, co. 4, Cost.). La l. n. 165/2004 fissa, infine, in cinque anni la durata massima del C. regionale, salvo scioglimento anticipato.
Il C. regionale può essere sciolto, con decreto motivato da parte del Presidente della Repubblica, quando compia atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge o per ragioni di sicurezza nazionale. Il decreto è adottato, sentito il parere di una Commissione per le questioni regionali, composta da deputati e da senatori (art. 126, co. 1, Cost.).
Come tutti i corpi collegiali con funzioni rappresentative-deliberative, il C. regionale si articola al proprio interno in gruppi consiliari, sulla cui base si costituiscono le diverse Commissioni; esso adotta un proprio regolamento ai fini dell’organizzazione del proprio lavoro ed elegge tra i propri membri – generalmente con una maggioranza qualificata, visto il ruolo di garanzia ricoperto – un Presidente e un Ufficio di Presidenza (art. 122, co. 3, Cost.), con compiti di direzione imparziale del dibattito.
Disposizioni particolari per i Consigli delle Regioni ad autonomia differenziata (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Altro Adige/Südtirol e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste) sono state dettate con la l. cost. n. 2/2001. Va segnalato, infine, che, nell’esercizio della propria potestà statutaria, alcuni Consigli regionali (Liguria e Marche) hanno cercato di cambiare la propria denominazione, qualificandosi come «Parlamento regionale», ma il tentativo è stato dichiarato illegittimo dalla giurisprudenza costituzionale; mentre in altre Regioni ciò è accaduto (Emilia-Romagna: «C. regionale - Assemblea legislativa regionale»).
Per il c. comunale ➔ comune.
Organo con funzioni prevalentemente didattiche, istituito dal d.p.r. 416/31 maggio 1974 (è attualmente regolato dagli art. 5 e 6 del d. legisl. 297/1994). È composto dai docenti di ogni singola classe o di più classi dello stesso plesso, a seconda che si tratti di istituti secondari e artistici o di scuole primarie o dell’infanzia, e da rappresentanti elettivi dei genitori e degli alunni (questi ultimi solo nelle scuole e istituti di istruzione secondaria di secondo grado e artistica). Il c. è presieduto dal dirigente scolastico o da un docente delegato e ha come primarie attribuzioni la valutazione periodica e finale degli alunni, la realizzazione del coordinamento didattico e dei rapporti interdisciplinari nonché il potenziamento dei rapporti tra docenti, genitori e alunni.
Organo deliberativo di ciascuna facoltà universitaria, composto dai professori ordinari e straordinari, dai professori associati e da rappresentanti dei ricercatori e degli studenti. Il c. elegge fra i professori ordinari il preside della facoltà, determina nell’ambito della legge i piani di studio, provvede alle destinazioni di concorso, alle dichiarazioni di vacanza e alle chiamate relative a posti di professore, eccetera. Nelle facoltà comprendenti più corsi o indirizzi di laurea funzionano i c. di corso di laurea o di indirizzo, con competenza soprattutto in materia di coordinamento delle attività d’insegnamento e di studio. Ciascun c. è costituito da tutti i professori di ruolo del corso o indirizzo e da rappresentanze dei ricercatori, del personale non docente e degli studenti. La partecipazione di dette rappresentanze subisce per legge dei limiti in relazione alla materia trattata nelle sedute.
Organo con funzioni prevalentemente di gestione, istituito dal d.p.r. 416/31 maggio 1974 (è attualmente regolato dagli art. 8, 9 e 10 del d. legisl. 297/1994). È costituito da tutti membri elettivi a eccezione del dirigente scolastico che è membro di diritto. I membri elettivi comprendono rappresentanti del personale docente e non docente, dei genitori e degli alunni (questi ultimi solo nelle scuole e istituti d’istruzione secondaria di secondo grado e artistica). Il c. elegge il presidente fra i rappresentanti dei genitori degli alunni, e nomina una giunta della quale, oltre a 4 membri elettivi, fanno parte di diritto il dirigente scolastico che la presiede e il direttore dei servizi generali e amministrativi. Il c. delibera il bilancio preventivo e il conto consuntivo e ha potere decisionale in ordine all’impiego dei mezzi finanziari inerenti al funzionamento amministrativo e didattico della scuola. La giunta predispone il bilancio preventivo e il conto consuntivo e cura l’esecuzione delle delibere del consiglio. Entrambi gli organi durano in carica tre anni scolastici.
Organo con funzioni prevalentemente consultive e di coordinamento dell’attività scolastica della provincia, istituito dal d.p.r. 416/31 maggio 1974 è attualmente regolato dagli art. 20, 21 e 22 del d. legisl. 297/1994. È composto da 6 membri di diritto e da membri elettivi (da un minimo di 36 a un massimo di 60) in rapporto alla popolazione scolastica, al numero di scuole funzionanti nella provincia e al numero del personale direttivo, docente e non docente. Funzione principale del c. è la formulazione al provveditore agli studi di pareri obbligatori e spesso vincolanti su determinate materie stabilite per legge: piani annuali e pluriennali di sviluppo e potenziamento delle istituzioni scolastiche; provvedimenti riguardanti il personale docente dei ruoli provinciali (trasferimenti d’ufficio, decadenza e dispensa dal servizio ecc.); ripartizione di fondi tra scuole e distretti. Il c. dura in carica 3 anni.
Organismo consultivo diocesano, in cui confluiscono gli apporti dei presbiteri e dei religiosi, ma soprattutto dei laici, secondo le norme del Concilio Vaticano II. A esso spetta, sotto l’autorità del vescovo (unica autorità che può convocarlo e presiederlo almeno una volta l’anno), «studiare, valutare e proporre conclusioni operative su tutto ciò che riguarda le attività pastorali della diocesi» (Cod. iur. can.). Il codice suggerisce anche la creazione di un c. pastorale parrocchiale.
Dicasteri della Curia Romana (➔ curia).
Organismo che coinvolge direttamente i presbiteri nel governo della diocesi, a norma del diritto, costituendo il ‘senato’ del vescovo.
Nello Stato assoluto, alto collegio formato di nobili e di alti notabili del regno, incaricato d’illuminare e consigliare il sovrano sugli affari più importanti dello Stato.
Termine generico con cui si designano i vari organi sorti durante e dopo la Prima guerra mondiale negli USA e in molti paesi europei. Si tratta di commissioni, composte di soli operai o rappresentanti unitariamente tutti i dipendenti dell’impresa, che hanno caratteri e compiti diversi nei vari paesi. La volontarietà, la composizione unitaria e mista, la varietà della struttura e l’elasticità delle funzioni caratterizzano infatti i vari organismi di questo tipo in Inghilterra (joint councils). Funzioni analoghe svolgono anche i numerosissimi sindacati d’impresa o company unions americani.
I c. di fabbrica tedeschi, riconosciuti dalla Costituzione di Weimar del 1919 – e così pure quelli coevi austriaci e cecoslovacchi – avevano invece carattere obbligatorio e struttura rigidamente determinata dalla legge; usati soprattutto come strumento di rivendicazione sociale, furono soppressi dal nazionalsocialismo.
In Francia, dopo una breve esperienza precedente (1917-20), i comités d’entreprises sono stati dichiarati obbligatori, nelle imprese con almeno 100 salariati, da un’ordinanza del 1945.
In Italia, dopo l’esperienza di Torino del 1919-20, i c. di fabbrica hanno avuto ampia diffusione a partire dal 1969, sostituendo progressivamente le commissioni interne. Compito primario del c. di fabbrica è la contrattazione con i datori di lavoro su aspetti del processo produttivo che non rientrano nella contrattazione nazionale. Altri compiti sono la vigilanza sull’applicazione dei contratti collettivi di lavoro e delle leggi a favore dei lavoratori e la diffusione e il sostegno della strategia rivendicativa delle organizzazioni sindacali, alla cui elaborazione il c. di fabbrica è altresì chiamato a collaborare.