Per Parlamento si intende l’organo rappresentativo per eccellenza (Rappresentanza politica), titolare del potere legislativo (Separazione dei poteri). Storicamente, i primi Parlamenti nascono nella seconda metà del medioevo (XII-XIV secolo) come organismi assembleari che coadiuvano il Re nell’esercizio della funzione di governo: all’antica Curia Regis feudale si sostituisce poi un’assemblea più vasta, formata dai feudatari e dai rappresentanti elettivi delle comunità rurali e urbane. Tuttavia, queste assemblee erano ben diverse da quelle che siamo abituati a considerare oggi Parlamenti, in quanto, conformemente al tipo di società in cui operavano, avevano per lo più un carattere organico e corporativo e assommavano competenze legislative e giurisdizionali (un esempio della commistione di tali poteri è presente ancora oggi nella Camera dei Lord britannica). Nel corso del loro sviluppo storico, queste assemblee hanno proceduto a organizzarsi e a differenziarsi al proprio interno: mentre nel Continente europeo i Parlamenti hanno riflesso la divisione della società in ceti e si sono composti generalmente di tre Camere (Nobiltà, Clero e Terzo Stato), in Inghilterra ha prevalso la divisione in due Camere (la Camera dei Lord e la Camera dei comuni), la prima rappresentativa della grande proprietà (laica ed ecclesiastica) e la seconda della piccola proprietà e della borghesia urbana.
Un momento fondamentale nella trasformazione dell’istituto parlamentare ha coinciso senza dubbio con le tre grandi Rivoluzioni dell’età moderna (inglese, americana e francese), in virtù delle quali i Parlamenti hanno perduto ogni residuo carattere medioevale ed acquistato la loro fisionomia odierna. La presenza di un Parlamento elettivo, infatti, è uno dei cardini del costituzionalismo moderno, in quanto consente, nello stesso tempo, la creazione di un potere politico limitato e la partecipazione dei cittadini alla sfera della decisione politica.
L’importanza assunta dal Parlamento nasce così dal fatto che, in gran parte degli ordinamenti costituzionali, esso è il solo organo di diretta emanazione della sovranità popolare, in quanto eletto direttamente dal corpo elettorale (Democrazia; Elezioni; Diritto di voto). In base a ciò, molti studiosi, sulla scia della dottrina inglese di A.V. Dicey, hanno parlato a partire dal XIX secolo (e parlano tuttora) di una «sovranità del Parlamento». A prescindere dall’accoglimento o meno di questa tesi, non vi è dubbio, però, che il Parlamento, nei suoi rapporti con gli altri organi costituzionali, goda di un’autonomia costituzionalmente garantita, la quale troverebbe espressione non soltanto nell’autonomia normativa, cioè nella potestà di disciplinare con un regolamento la propria organizzazione e il proprio funzionamento, ma anche nell’autonomia finanziaria e nell’autonomia amministrativa. Collegata a quest’ultima è la problematica riguardante la c.d. autodichia, cioè il diritto del Parlamento essere giudice delle controversie che riguardano i propri dipendenti. Va detto, comunque, che l’autonomia normativa è stata interpretata in maniera diversa nei vari Paesi: mentre, ad esempio, il Consiglio costituzionale francese, in virtù dell’art. 61 Cost. Francia 1958, è giunto a svolgere un controllo molto stringente sui regolamenti parlamentari, giungendo ad annullare tutta una serie di disposizioni del regolamento dell’Assemblea nazionale, la Corte costituzionale italiana ha escluso il proprio sindacato sui regolamenti parlamentari, in virtù del fatto che essi rientrerebbero nei c.d. interna corporis acta.
Una distinzione rilevante che riguarda i Parlamenti è quella tra monocameralismo e bicameralismo. Generalmente, la soluzione di tipo bicamerale è quella che prevale nell’ambito della forma di Stato liberale (oltre al Parlamento britannico che ha mantenuto la plurisecolare divisione in due Camere, art. 1 Cost. U.S.A. 1787; artt. 15 ss. Cost. Francia 1814; artt. 14 ss. Cost. Francia 1830; artt. 26 e 32 ss. Cost. Belgio 1831; artt. 85 ss. Cost. Francoforte 1849; artt. 5 ss. Cost. Germania 1871; l. cost. Francia 24.2.1875; l cost. Francia 25-28.2.1875; l. cost. Francia 16.7.1875; artt. 20 ss. e 60 ss. Cost. Germania 1919; artt. 24 ss. Cost. Austria 1920; artt. 5 ss. Cost. Francia 1946; artt. 38 ss. Legge fondamentale Germania 1949; artt. 24 ss. Cost. Francia 1958; artt. 66 ss. Cost. Spagna 1978; artt. 148 ss. Cost. Svizzera 1999), anche se non sono mancate (e non mancano tuttora) esperienze costituzionali caratterizzate dal monocameralismo (tit. III Cost. Francia 1791; artt. 39 ss. Cost. Francia 1793; artt. 20 ss. Cost. Francia 1848; artt. 51 ss. Cost. Spagna 1931; artt. 147 ss. Cost. Portogallo 1976); peraltro, la soluzione di tipo monocamerale è quella che prevaleva nella forma di Stato socialista (artt. 2 e 15 ss. Cost. Polonia 1952; art. 48 ss. Cost. D.D.R. 1974), ancorché con significative eccezioni (artt. 30 ss. Cost. U.R.S.S. 1936; artt. 108 ss. Cost. U.R.S.S. 1977).
Il bicameralismo, a sua volta, può essere paritario, quando le Camere hanno gli stessi poteri e le stesse funzioni (tale è il caso, in particolare, dell’Italia repubblicana), oppure ineguale, quando una delle due Camere ha una netta prevalenza sull’altra (tale è il caso, ad esempio, della Francia, della Spagna, della Germania, del Regno Unito: artt. 53a, 63, 67 ss., 76-78 e 80a Legge fondamentale Germania 1949; artt. 29, 45-47 e 49-50 Cost. Francia 1958; artt. 99, 101, 108, 112 ss. Cost. Spagna 1978).
Il Parlamento nell’esperienza repubblicana. - Per quanto riguarda l’esperienza italiana, la soluzione bicamerale è quella che ha contraddistinto il nostro sistema costituzionale sia in epoca statutaria che nell’attuale esperienza repubblicana: così come lo Statuto albertino prevedeva (artt. 3 e 33 ss.) un Parlamento bicamerale formato da una Camera dei deputati (trasformata in Camera dei fasci e delle corporazioni con la l. n. 129/1939) e da un Senato, la Costituzione italiana vigente prevede (artt. 55 ss. Cost.) un Parlamento articolato in due Camere, la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. Entrambe le Camere hanno esattamente gli stessi poteri e le stesse funzioni; la scelta di un bicameralismo paritario, se da un lato ha uno scopo garantistico, in quanto impedisce la c.d. dittatura di assemblea, dall’altro finisce per rendere il procedimento legislativo assai macchinoso e più difficile la formazione di una stabile maggioranza governativa (basti pensare ai risultati delle elezioni politiche del 1994, del 1996 e del 2006, dove alla netta maggioranza in un ramo del Parlamento ha corrisposto una maggioranza assai ristretta nell’altro).
In sede di Assemblea costituente era stato peraltro deciso di differenziare la durata ordinaria delle due Camere (cinque anni per la Camera dei deputati e sei anni per il Senato della Repubblica) e il tipo di rappresentanza (l’art. 57 Cost. stabilisce che il Senato è eletto su base regionale), ma gran parte di queste differenze si sono perse dopo l’approvazione della l. cost. n. 2/1963, che, facendo seguito agli scioglimenti anticipati del Senato della Repubblica del 1953 e del 1958, ha uniformato la durata di questo a quella della Camera dei deputati.
L’accoglimento del principio bicamerale comporta dunque che ciascuna delle due Camere non solo debba partecipare al procedimento legislativo (artt. 70 ss. Cost.) e a quello di revisione costituzionale ex art. 138 Cost., ma possa anche: adottare un proprio regolamento che disciplini puntualmente i lavori e, in particolare, il procedimento legislativo (artt. 64 e 72 Cost.); eleggere il proprio Presidente e il proprio ufficio di Presidenza (art. 63 Cost.); deliberare a proposito delle c.d. immunità parlamentari previste all’art. 68 Cost. (Immunità. Diritto costituzionale); giudicare sui titoli di ammissione dei propri membri e sulle cause sopravvenute di ineleggibilità ed incompatibilità (art. 66 Cost.); essere parte di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (Conflitti di attribuzione. Diritto costituzionale) davanti alla Corte Costituzionale; dare ed eventualmente togliere la fiducia al Governo ex art. 94 Cost. (Fiducia parlamentare; Crisi di governo); disporre inchieste su materie di pubblico interesse, ai sensi dell’art. 82 Cost. (Commissioni di inchiesta) ecc.
Conformemente a quanto accadeva (e accade) in altre esperienze costituzionali (artt. 11 Cost. Francia 1946; art. 89 Cost. Francia 1958; art. 74 Cost. Spagna 1978; artt. 148, 157 e 168 Cost. Svizzera 1999), la Costituzione repubblicana prevede che le due Camere si riuniscano in comune per lo svolgimento di alcune specifiche funzioni, tassativamente indicate (art. 55, co. 2, Cost.). In questo caso, secondo l’opinione dottrinaria prevalente, non si avrebbe una mera riunione congiunta delle Camere, ma un organo costituzionale nuovo, il Parlamento in seduta comune. Quest’ultimo viene presieduto dal Presidente della Camera dei deputati (art. 63, co. 2, Cost.) ed ha essenzialmente funzioni di tipo elettivo o accusatorio. Esso, infatti, ha il compito di: eleggere il Presidente della Repubblica, peraltro in una composizione integrata da tre delegati per ogni Regione – ad eccezione della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste che ne ha uno solo (art. 83 Cost.) – nonché di riceverne il giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione (art. 91 Cost.); eleggere un terzo dei componenti del Consiglio superiore della magistratura (art. 104 Cost.); mettere in stato di accusa lo stesso Presidente della Repubblica per alto tradimento o attentato alla Costituzione (art. 90 Cost.); eleggere un terzo dei giudici della Corte costituzionale, nonché compilare ogni nove anni un elenco di quarantacinque nominativi da cui debbono essere sorteggiati i sedici giudici aggregati per tali giudizi (art. 135 Cost.).
Forme di Stato e forme di governo