Potere originario e indipendente da ogni altro potere.
Intesa come qualità giuridica esclusivamente pertinente all’imperium dello Stato, la s. è concetto moderno e che solo allo Stato moderno, inteso come persona giuridica, può applicarsi. Ma questo è il punto d’arrivo di un’evoluzione complessa, che ha le sue radici nel Medioevo. Fu allora, e precisamente tra il 12° e il 13° sec., mentre si andava affermando in Europa la realtà nuova degli Stati nazionali e l’idea dell’Impero universale cominciava ad avvicinarsi alla sua crisi, che il principio si affacciò alle coscienze, espresso con una formula ch’era destinata a divenire celebre nei secoli e a concentrare sopra di sé il pensiero della scienza giuridica intorno a questo problema: rex in regno suo est imperator. Il vero passaggio obbligato, che contribuirà a consolidare, staccandoli dal paradigma medievale, gli elementi intrinseci al concetto di s., vale a dire la pienezza dei poteri e l’indipendenza da ogni altro potere, sarà l’epoca del principe assoluto, la cui maiestas è definita per la prima volta da J. Bodin, come «summa in cives, legibusque soluta, potestas» (De republica I, 8).
In relazione allo Stato contemporaneo, il termine s. viene ad assumere un duplice significato. Da un lato, se riferito all’ordinamento giuridico statale nel suo complesso, sta a indicare l’originarietà dell’ordinamento medesimo, nel senso che esso non deriva la sua validità da alcun altro ordinamento superiore. Dall’altro lato, quando lo Stato viene preso in considerazione sotto il suo aspetto di persona giuridica (Stato-persona), il termine s. sta a indicare la posizione di indipendenza nei riguardi di ogni altra persona giuridica esistente al suo esterno (cosiddetta s. esterna); e, per altro verso, l’assoluta supremazia di fronte a tutte le altre persone, fisiche e giuridiche, che si muovono nel suo ambito territoriale (cosiddetta s. interna) e, di conseguenza, la stessa potestà di governo assoluta della persona giuridica statale. Inoltre, il termine s. viene in rilievo nell’espressione s. territoriale, con la quale si intende indicare la competenza esclusiva dello Stato in rapporto al proprio territorio e alle risorse naturali ivi contenute (cosiddetto principio della s. permanente dello Stato sulle proprie risorse naturali, uno dei cardini del nuovo ordine economico internazionale propugnato dai paesi in via di sviluppo a partire dagli anni 1970), nonché il potere di imperio dello Stato su tutte le persone fisiche e giuridiche che si trovino in tale ambito territoriale; si parla invece di s. personale per indicare il potere di imperio dello Stato sugli individui che gli appartengono per cittadinanza ovunque essi siano, anche all’estero o su spazi sottratti alla giurisdizione statale (un esempio di s. personale è quella esercitata dallo Stato sull’equipaggio di una nave in alto mare).
La s. dello Stato, entrando in contatto con ordinamenti più vasti (quale in primo luogo quello internazionale), incontra dei limiti al proprio esclusivo esercizio (si pensi, per es., alle norme consuetudinarie relative al trattamento degli stranieri e degli agenti diplomatici stranieri, o ai principi in materia di divieto di inquinamento transfrontaliero). Lo Stato può inoltre acconsentire a delle limitazioni della propria s. per effetto dell’adesione a organizzazioni internazionali dotate di poteri e funzioni tali da configurare una interferenza esterna, talora assai penetrante, nella potestà dello Stato stesso. A questo riguardo, occorre sottolineare che, nella Costituzione italiana, tale ipotesi è espressamente contemplata nella norma dell’art. 11: «L’Italia ... consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di s. necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni».
Il principio della s. popolare, che rinviene nel popolo la fonte e la giustificazione della potestà politica, trova i suoi inizi nel concetto romano della lex come «ciò che il popolo ordina», e lo stesso potere imperiale è frutto di delega da parte del popolo (pactum subiectionis: il popolo pattuisce di sottomettersi al sovrano). Problema medievale, connesso con la lotta per le investiture e con la generale questione del primato del potere papale o imperiale, fu di stabilire se il pactum subiectionis implicasse la rinuncia da parte del popolo ai suoi diritti (alienatio) ovvero soltanto una concessione (cessio) revocabile ove, per es., il monarca non assolvesse più i suoi compiti e si trasformasse in tiranno, o, nel caso di conflitto con la Chiesa, in nemico della fede e dei canoni. Il rapporto tra popolo e re si analizzò in un complesso di diritti e doveri regolati dal patto intervenuto e dall’obbligazione reciproca di attuare la giustizia e di osservare la legge. L’Umanesimo e la Riforma determinarono un movimento per cui si giunse a una specificazione delle clausole del pactum attraverso la loro interpretazione alla luce del diritto privato; forte era ancora l’influenza delle teorie medievali. Subito dopo il concetto di popolo cominciò a trasformarsi; poi gli elementi elaborati da Calvino e dai monarcomachi confluirono nelle grandi crisi politiche inglesi dei sec. 16° e 17°, nelle quali il principio della s. popolare si affermò in modo nuovo (dopo la dissoluzione dei concetti giuridici medievali), sotto l’influenza delle dottrine del diritto naturale allora rinnovate da U. Grozio: nacque l’idea atomistica del popolo come composto dagli individui, liberi e sovrani prima ancora dell’ordinamento politico; la s. popolare era perciò concepita come garanzia dei diritti individuali dei singoli. Le nuove idee sulla s. popolare, depurate e ulteriormente elaborate da J. Milton, A. Sidney, J. Harrington, J. Locke, ebbero grande diffusione nelle colonie della Nuova Inghilterra (R. Williams, T. Hooker, W. Penn, J. Wise) e su di esse si fondarono poi i principi della Dichiarazione dei diritti e della Costituzione degli Stati Uniti d’America. La rivoluzione americana ebbe grande ripercussione in Francia, dove la filosofia politica del 18° sec. si era ispirata a questi stessi principi, collegandoli, attraverso il ginevrino J.-J. Rousseau, con quelli provenienti dal pensiero politico inglese; l’idea della s. popolare era alla base della ideologia rivoluzionaria. Nell’ambito del costituzionalismo moderno, la teoria della s. poplare si collegò strettamente al suffragio universale (➔ democrazia), come emerge in particolare nella Costituzione giacobina dell’anno I, là dove afferma che la s. risiede nel popolo (art. 25 Déclaration des droits de l’homme et du citoyen del 1793) e che il popolo sovrano è costituito dall’universalità dei cittadini (art. 7 Cost. francese del 1793). Di contro, la Costituzione francese del 1791, che prevedeva un suffragio di tipo censitario (esplicitato nella distinzione tra citoyens actifs e citoyens passifs) parlava, non a caso, di s. della nazione.
Nel corso del 19° sec., proprio per negare il fondamento filosofico-giuridico del voto universale e attenuarne la carica dirompente, alcuni studiosi non esitarono a parlare di una s. della Ragione (F. Guizot), o, addirittura di s. dello Stato (è il caso, per es. dei massimi esponenti del positivismo giuridico tedesco, come C.F. Gerber, P. Laband e G. Jellinek). Di s. popolare parlò, invece, il massimo esponente dei radical whigs inglesi, J. Bentham, nel suo testamento politico-spirituale, il Constitutional Code (1830). Dal punto di vista dei testi costituzionali, anche se non mancano eccezioni già nel corso del 19° sec. (cfr. art. 1 Cost. francese del 1848), il principio della s. popolare trovò la sua definitiva consacrazione nelle carte costituzionali successive al primo dopoguerra.
Nella Costituzione italiana la s. popolare è accolta e proclamata nell’art. 1, nel quale si afferma che la s. appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, cioè con un sistema di democrazia indiretta.
S. del consumatore Situazione di mercato in cui il complesso dei beni prodotti da un sistema economico è determinato dalle preferenze dei consumatori finali. S. monetaria Diritto di ciascuno Stato sovrano di utilizzare gli strumenti di politica monetaria ai fini di stabilizzazione interna dell’economia (mantenimento dell’occupazione, riequilibrio della bilancia dei pagamenti, lotta all’inflazione); per economie piccole e aperte, in presenza di cambi flessibili e di libertà dei movimenti dei capitali, la s. monetaria è severamente limitata.