L’espressione c. economica è stata usata in una pluralità di significati per indicare situazioni dei mercati con aspetti negativi e gravi difficoltà, sia di natura temporanea sia di natura persistente. In genere si parla di c. economica per indicare il passaggio brusco dalla prosperità alla depressione, ma anche, in alternativa, per denotare il protrarsi, per un periodo, di un quadro economico caratterizzato dal ristagno o dalla bassa crescita della produzione e della domanda, dall’elevata disoccupazione o ancora dal basso livello dei prezzi, dei salari, dei profitti. Le c. finanziarie sono episodi, più o meno prolungati, d’instabilità sui mercati finanziari con crollo dei valori e possibilità di fallimenti. Non si rileva, in generale, periodicità nelle crisi ad ambito territoriale ristretto, che hanno funestato singole regioni o interi paesi nel corso della storia, in seguito a scarsi raccolti, guerre, epidemie. Soprattutto nel 19° e nel 20° sec. è stata, invece, constatata una certa regolarità nel ripetersi di c. economiche nelle economie di mercato o nel verificarsi di c. finanziarie. La successione delle c. è stata considerata per stabilire la durata dei cicli economici (➔ ciclo), interpretando la c. come la fase evidente, benché assai breve, caratterizzata dal brusco rovesciamento di tendenza dalla prosperità alla depressione. Alcuni economisti hanno visto nell’apparente periodicità regolare delle c. il riflesso di fenomeni cosmici (W.S. Jevons e H.L. Moore). Altri hanno considerato soprattutto i fattori psicologici, in particolare l’alternarsi di fasi di ottimismo e pessimismo presso gli operatori economici (J.S. Mill, A. Marshall, A.C. Pigou). J.A. Schumpeter ha attribuito le c. agli effetti della deflazione, che segue il processo di adozione di nuovi processi produttivi (e così anche G. Cassel), mentre A. Aftalion ha posto l’accento sulla dinamica della produzione industriale, specie dei beni strumentali. Altri studiosi hanno posto in evidenza la dinamica nella formazione e nell’impiego del risparmio (M. Tugan-Baranowski, J.A. Hobson, D.H. Robertson) o il fenomeno detto del risparmio forzato (F. Hayek). Molti economisti hanno ricondotto le c. a shock e squilibri sui mercati monetari o errori nella condotta della politica monetaria (R.G. Hawtrey, I. Fisher, C. Bresciani Turroni). Particolare importanza ha avuto la teoria enunciata da J.M. Keynes (con le successive interpretazioni), secondo la quale le fluttuazioni degli investimenti (e di conseguenza del reddito) sono provocate da correnti psicologiche, ora di fiducia e ora di sfiducia, che determinano variazioni nei profitti attesi e minore o maggiore ‘preferenza per la liquidità’, nel contesto d’irriducibile incertezza nelle previsioni sul futuro andamento dei mercati, che pesa sulle scelte economiche. Le c. economiche sono determinate o acuite anche dall’instabilità delle condizioni di domanda a livello mondiale, dall’insufficiente cooperazione fra i paesi o dall’instabilità di alcuni mercati internazionali delle materie prime, con effetti di trasmissione generalizzati e cumulativi. La destabilizzazione causata dalle forti variazioni nel prezzo del petrolio sui mercati internazionali è stata considerata uno shock negativo dal lato dell’offerta, che causa per le sue ripercussioni a catena il fenomeno della stagflazione (➔), cioè periodi di ristagno dell’attività economica con alta inflazione. Correntemente, il significato del termine c. è esteso a comprendere le situazioni di difficoltà grave nel sistema economico o in un particolare settore o area, anche per la perdita di competitività o l’obsolescenza tecnologica. Si può parlare di c. inflazionistica, nel caso di un rapido e incontrollato aumento dei prezzi. Una c. congiunturale è una fase transitoria di ristagno o bassa crescita (internazionale o in un solo paese) per fattori di breve periodo, in contrapposizione a una c. strutturale, quando le ragioni di difficoltà riguardano piuttosto i dati fondamentali dell’economia a medio o lungo termine.
Per antonomasia, la depressione dell’attività economica iniziata con il crollo borsistico di Wall Street nel 1929, e poi estesa agli altri paesi e protratta fino alla Seconda guerra mondiale, è chiamata la grande crisi.
Esacerbazione o insorgenza improvvisa di fenomeni morbosi violenti e di durata relativamente breve (c. gastriche e laringee nella tabe dorsale, c. ipertensiva, c. vascolare o angiospasmo, c. anafilattiche, c. nervosa, c. isterica ecc.), oppure nome di particolari stati morbosi o fenomeni fisiologici.
C. genitale Fenomeno fisiologico da riferire ad attività ormonale per il quale, nei primi giorni di vita del neonato, può apparire nelle femmine una mestruazione rudimentale, nei maschi un versamento sieroso nella vaginale del testicolo.
In senso politico, impossibilità di funzionamento di un organo dello Stato, di un ente pubblico o altro, determinata da dimissioni, morte, contrasti interni, o da altre cause.
Per c. di governo si intende generalmente il venire meno del rapporto di fiducia intercorrente tra il Governo e il Parlamento (Fiducia parlamentare), a cui consegue l’obbligo di dimissioni da parte del primo (art. 94, co. 1, Cost.). Le c. di governo attengono alla patologia del sistema parlamentare, ma, storicamente, esse si sono rivelate un indicatore assai prezioso del passaggio da una forma di governo monarchico-costituzionale a una parlamentare (Forme di Stato e forme di governo): gli studiosi sogliono, infatti, collocare la definitiva affermazione del sistema parlamentare in Inghilterra e nel Regno di Sardegna proprio a partire da due c. di governo, che investirono, rispettivamente, il Gabinetto di North (dimessosi nel 1782, in quanto non riteneva di avere più la fiducia da parte della Camera dei Comuni) e il Gabinetto Cavour, che, proprio in virtù della favorevole soluzione della c.d. c. Calabiana del 1855, finì per spostare definitivamente gli equilibri costituzionali a favore del raccordo tra Governo e maggioranza parlamentare, a scapito del Monarca (Capo dello Stato).
La c. di governo può essere parlamentare o extraparlamentare. Si parla di c. di governo parlamentare quando il Governo è colpito da una mozione di sfiducia da parte di una delle due Camere (art. 94, co. 5, Cost.), ovvero quando il nuovo Governo non riesce ad ottenere la fiducia iniziale da parte di queste (art. 94, co. 3, Cost.) o, infine, in caso di voto contrario da parte di una Camera quando il Governo abbia posto una questione di fiducia (art. 161, co. 4, reg. Senato; art. 116 reg. Camera). In tutti gli altri casi di dimissioni da parte del Governo, per il venir meno della maggioranza parlamentare, si parla di c. di governo extraparlamentari. Generalmente, nel caso di una c. di governo extraparlamentare, è prassi che il Presidente della Repubblica rinvii il Governo alle Camere, allo scopo di «parlamentarizzare» la c., ma è ben raro che la discussione parlamentare si concluda con un voto esplicito: nell’ambito della storia costituzionale repubblicana, infatti, tutte le c. di governo sono state di tipo extraparlamentare, tranne quelle che hanno investito il Governo Prodi I nel 1998 e il Governo II nel 2008, determinate, rispettivamente, da un esplicito voto contrario da parte della maggioranza della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
A seguito di una c., il governo dimissionario resta in carica fino alla formazione di un nuovo Governo e solo per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione: la sua posizione giudica è simile, di conseguenza, a quella del Governo appena formatosi e in attesa della fiducia da parte delle Camere.
C. dinastica Quella che si verifica quando, alla morte di un sovrano, non essendovi eredi di diritto, la successione al trono dà luogo a controversie che dal piano giuridico possono trasferirsi su quello politico e militare.
Con il termine c. si indica, in generale, il passaggio da una condizione di stabilità a una di variabilità negli equilibri istituzionali e culturali di un sistema sociale. Il dibattito sociologico sul tema della c. si incentra sul modo stesso di concepire il sistema sociale in termini di continuità o discontinuità. Ne derivano due posizioni teoriche: da una parte l’idea, che rinvia a una prospettiva evoluzionistica, che il sistema sociale manifesti ciclicamente contraddizioni ricorrenti ma sia in grado, al tempo stesso, di ripristinare nuove situazioni di equilibrio; dall’altra, l’idea che ogni sistema sociale si sviluppi e cambi attraverso passaggi cruciali che provocano nuovi assetti sociali, dislocazioni di potere e mutamenti culturali profondi (a questa concezione si rifanno le teorie del crollo nella tradizione del pensiero marxista).
Nell’ambito dei processi più specificamente politici, si parla di c. quando si verifica una condizione di instabilità nel funzionamento di un sistema politico, che può intaccare gli equilibri strutturali (c. di regime) oppure gli equilibri funzionali (c. di governo): in quest’ultimo caso ci si può trovare di fronte a una c. di sovraccarico delle domande o a una c. di penuria delle risorse o, ancora, a una c. di capacità nelle decisioni del governo. Nei suoi recenti sviluppi, l’analisi dei sistemi di democrazia industriale ha messo in luce una c. della complessità sociale che si determina per gli effetti combinati di una c. di sovraccarico delle domande e di una correlativa c. di risposta delle strutture amministrative, cui consegue una c. di legittimazione nelle basi del consenso sociale.
Un altro modo per affrontare il tema della c. è quello di collegarlo non ai sistemi ‘osservati’ – alla realtà dei fenomeni oggettivi – ma ai sistemi ‘osservanti’, cioè agli stessi strumenti di conoscenza sotto il profilo soggettivo. Ciò ha indotto a riconsiderare, specialmente durante gli anni 1970, i problemi della sociologia della c. come problema della c. della sociologia (e delle altre scienze sociali) nel quadro di una c. più generale dei modelli di razionalità scientifica. Questo approccio è seguito, con metodi e risultati diversi, da almeno tre correnti di pensiero: a) per la fenomenologia, che si ispira alla filosofia di E. Husserl, la c. di razionalità si esprime come c. di senso del mondo moderno quando la ricchezza delle forme della vita quotidiana è occultata dai formalismi della ragione; b) secondo gli autori della teoria critica della società – in sostanza, gli esponenti della Scuola di Francoforte – il predominio della ragione strumentale produce non solo un deterioramento ‘ontologico’ della realtà ma anche esiti di dominio autoritario nella società di massa; c) infine, dalla lezione che il razionalismo critico ha impartito a tutta l’epistemologia contemporanea si ricava che anche nella dinamica storica dei sistemi sociali la ragione procede per prove ed errori, mentre matura la consapevolezza che ogni costruzione teorica, al pari di qualsiasi modello politico di società, è provvisoria, imperfetta, indiziaria e suscettibile di una c. che può falsificarla.