Successione di fenomeni diversi o di varie fasi dello stesso fenomeno che si ripetono nella medesima sequenza. Il termine indica anche il periodo di tempo necessario perché tali fenomeni o tali fasi si svolgano.
La nozione di ciclo è stata declinata nell’ambito dell’antropologia culturale in tre accezioni principali. Secondo la teoria dei cicli (o cerchi) culturali, elaborata nell’ambito della scuola viennese di W. Schmidt nei primi decenni del Novecento, lo sviluppo della cultura umana non poteva essere indagato applicando uno schema evolutivo lineare e unico. Lo studio di popolazioni particolarmente ‘primitive’ (Pigmei africani, Fuegini, Tasmaniani) avrebbe consentito invece di identificare l’origine di particolari complessi culturali e dei loro cicli i quali, pur avendo un’origine indipendente, si sarebbero poi diffusi (diffusionismo), finendo per influenzarsi reciprocamente. Lo studio dei cicli culturali venne attuato scegliendo, in modo arbitrario, elementi della cultura materiale (armi, attrezzi da lavoro), dell’organizzazione sociale (la parentela), delle credenze religiose (il totemismo), al fine di attuare comparazioni tra società fortemente eterogenee. Sia la teoria dei cicli culturali sia la successione tra i diversi cicli culturali (ciclo del boomerang, ciclo del totem ecc.) sono oggi ampiamente screditate nel mondo scientifico.
Nelle società umane il ciclo di vita di un individuo, dalla nascita alla morte, viene scandito da fasi o tappe che forniscono un orizzonte di significato alla parabola biologica dell’esistenza. L’antropologo francese A. Van Gennep definì le varie cerimonie che in molte società caratterizzano il ciclo di vita con l’espressione riti di passaggio (riti della nascita, riti di iniziazione, matrimoni, funerali). La differenziazione tra i generi (maschile e femminile), le dinamiche dell’autorità e del potere, la nozione di persona costituiscono oggi altrettanti temi di interesse per gli studiosi che si occupano del ciclo di vita nelle diverse culture.
La nozione di ciclo di sviluppo venne elaborata negli anni 1940 dall’antropologo britannico M. Fortes in relazione allo studio della parentela e della famiglia. Fortes osservò che il ciclo di vita dei componenti di una famiglia influenza la forma che la famiglia stessa assume nel corso del tempo: in una medesima società possiamo così ritrovare forme di famiglia nucleare (per es., una coppia di coniugi e i loro figli) e forme di famiglia estesa (per es., due fratelli con le loro rispettive mogli e figli e con un genitore anziano). La nozione di ciclo di sviluppo ha consentito la messa a punto di approcci dinamici e diacronici allo studio della famiglia.
Periodo di 28 anni giuliani (minimo comune multiplo di 4, numero corrispondente al ritorno periodico degli anni bisestili, e di 7, numero corrispondente al ritorno periodico dei giorni della settimana), dopo il quale si ripetono gli stessi giorni della settimana alle stesse date dell’anno. Nel calendario gregoriano occorre tener conto del giorno bisestile soppresso negli anni secolari non divisibili per 400.
Periodo di circa 11 anni nel quale l’attività solare passa da un minimo a un massimo e di nuovo a un minimo (➔ Sole).
Periodo di circa 19 anni giuliani, dopo il quale i noviluni si ripresentano nelle stesse date (per il ciclo metonico ➔ Metone).
Nel calendario giuliano, periodo di 532 anni (numero ottenuto moltiplicando gli anni del ciclo lunare con quelli del ciclo solare), dopo il quale le date in cui cade la Pasqua tornano a essere le medesime.
Lo svolgimento dei processi di accrescimento e di riproduzione, che conduce da un individuo ad altri simili. In alcuni organismi il ciclo è variabile, in altri costante. Nei Batteri il ciclo è molto semplice: l’individuo si accresce e poi si riproduce per scissione; alcuni Batteri possono formare spore resistenti a condizioni sfavorevoli. Molti Protozoi presentano un ciclo a quattro stadi: mononte (o gamonte) - gameti - anfionte (o sporonte) - spore. In tutte le piante superiori si trova il ciclo a quattro stadi: il mononte (o gametofito) è aploide, l’anfionte (o sporofito) è diploide. Nelle Briofite, la fase più lunga è il gametofito (piantina verde). Nelle Pteridofite, invece, la fase più sviluppata è lo sporofito, e così pure nelle Fanerogame, dove il gametofito è ridotto a poche cellule, e vive parassita sullo sporofito. Negli animali superiori (Metazoi) non esiste la riproduzione per spore. Il ciclo può essere semplice, o complicato dalla generazione alternante, cioè dal susseguirsi di generazioni agamiche e anfigoniche, oppure partenogenetiche e anfigoniche (➔ ciclo biològico).
L’insieme delle fasi che una cellula attraversa tra una mitosi e quella successiva (➔ cellula).
Serie di reazioni catalizzate da enzimi che avvengono entro una singola cellula, in cui uno dei componenti che dà inizio alla sequenza viene nuovamente prodotto nella reazione finale (➔ ciclo metabòlico).
Sinonimo di ontogenesi, ossia il complesso dei diversi stadi attraverso i quali passa un organismo dalla sua prima costituzione (per es., l’uovo fecondato) sino alla sua riproduzione.
Circolazione degli elementi chimici nella biosfera, che si svolge dagli organismi viventi all’ambiente e viceversa. Circa 30-40 elementi sono essenziali per gli organismi, alcuni in grande quantità (C, N, O, H), altri in quantità minore o in tracce (S, Na, K, Mg, Fe, P, Ca). I cicli di tali elementi sono detti cicli nutritivi. Tutti gli elementi presentano cicli caratteristici (cicli biogeochimici), in cui si possono distinguere due compartimenti: uno di riserva in cui gli elementi non sono direttamente disponibili per gli organismi, e uno di scambio, più piccolo, che permette la circolazione tra organismi e ambiente fisico. Lo spostamento da un compartimento all’altro si effettua, in natura, tramite i cicli degli organismi: la catena di pascolo (produttori-consumatori dei vari gradi) permette di assumere dall’ambiente gli elementi in forma semplice e di trasformarli in composti organici; la catena di detrito (detritivori, decompositori, trasformatori) permette a queste sostanze organiche in parte di ritornare all’ambiente in forma biologicamente inattiva, in parte di rientrare nel ciclo dei consumatori. I cicli biogeochimici si possono suddividere in gassosi, se la riserva si trova nell’atmosfera o negli oceani (come nel caso di C, N, O, H), e sedimentari, se la riserva è legata ai sedimenti terrestri (Fe, P, Ca).
Il complesso (detto anche verticillo) dei fillomi (foglie, antofilli, brattee) inseriti allo stesso nodo dell’asse, a due, come le foglie del ligustro, a tre, come le foglie dell’oleandro e i pezzi fiorali di molte Monocotiledoni, a quattro, come il fiore del cachi ecc. Si distinguono perciò cicli dimeri, trimeri, tetrameri ecc. Gli organi così disposti si dicono ciclici (o verticillati). Nel fiore ciclico tutti i pezzi sono in cicli (per es. le Gigliacee).
Fenomeno per cui il prodotto interno lordo di un paese non cresce in modo uniforme, ma si sviluppa attraverso fluttuazioni. Con la produzione fluttuano le principali variabili economiche, come i consumi, gli investimenti, l’occupazione, i prezzi. Alcune serie storiche hanno andamento prociclico (cioè variano nella direzione del PIL), altre in senso anticiclico. Si parla di ciclo economico, in senso stretto, se si vuole rilevare il profilo sinusoidale delle principali variabili macroeconomiche, per fasi successive d’ascesa e declino, attorno al trend che indica la crescita di lungo periodo. Nelle interpretazioni recenti, gli economisti rilevano non tanto la presenza di un vero e proprio ciclo nelle serie storiche dei dati economici, quanto la simultaneità e la persistenza delle variazioni nella stessa direzione, per periodi più o meno lunghi. Attraverso l’analisi statistica delle serie storiche, si distinguono le fluttuazioni stagionali dal trend e dalle fluttuazioni cicliche; s’individuano i tratti salienti del ciclo economico. Secondo W.C. Mitchell, pioniere negli studi statistici del ciclo economico agli inizi del 20° sec., le fluttuazioni si svolgono in due fasi: l’ascesa del reddito e dell’occupazione, detta espansione o boom, finché non si raggiunge un livello massimo, al di là del quale inizia la discesa, detta contrazione o slump, fino a un livello minimo, dopo il quale riprende l’ascesa. J.A. Schumpeter, che nel 1939 dedicò un importante studio al ciclo economico, distinse quattro fasi: ripresa, prosperità, recessione, depressione.
Nel 19° sec. furono proposte teorie esogene del ciclo economico, che attribuivano le fluttuazioni a fattori extra-economici, quali i fattori climatici, con effetti diretti o indiretti sull’andamento della produzione agricola, come la teoria che lega il ciclo alle macchie solari elaborata da W.S. Jevons. Le teorie endogene del ciclo attribuiscono le fluttuazioni a cause interne al sistema economico. K. Marx le attribuì al conflitto distributivo tra capitalisti e proletari, per la disponibilità variabile di sacche di lavoratori disoccupati (il cosiddetto esercito industriale di riserva), che regola il salario di mercato. Se i capitalisti investono i profitti, si determina la crescita della produzione e dell’occupazione, che dura finché la forza lavoro diviene scarsa; l’aumento dei salari e la compressione dei profitti scoraggiano gli investimenti e aprono la fase successiva della crisi. Molti economisti, fin dalla fine del 19° sec., videro negli investimenti l’origine dei fenomeni ciclici. Altri autori, tra i quali J.S. Mill e A. Marshall, posero l’accento anche su fenomeni psicologici, quali l’ottimismo diffuso o il panico, che hanno effetti cumulativi sui mercati. Schumpeter ritenne che il ciclo fosse generato essenzialmente dal progresso tecnico. Le innovazioni maggiori (la trazione a vapore, le ferrovie, l’elettricità) determinano ondate d’investimenti, quando sono introdotte su larga scala nel sistema economico. Si apre la fase di ascesa del ciclo, anche per il concomitante emergere di una folla d’innovazioni minori e grazie al sostegno offerto dal credito agli investimenti innovativi. La crescita rallenta e poi si esaurisce, quando i crediti sono rimborsati e le imprese obsolete falliscono, con effetti di deflazione. Autori più recenti, come J.R. Hicks e P.A. Samuelson, hanno rappresentato il ciclo in modelli matematici fondati sull’interazione tra il moltiplicatore e l’acceleratore. La crescita degli investimenti fa aumentare la domanda aggregata e quindi il reddito, se vi è manodopera disoccupata (moltiplicatore keynesiano); la variazione della domanda e del reddito spingono le imprese a ulteriori investimenti per accrescere la capacità produttiva, con un processo cumulativo che sostiene la fase ascendente del ciclo, finché non si raggiunge il pieno impiego (➔ accelerazione). A seguito della progressiva diminuzione della variazione positiva del reddito, le imprese riducono gli investimenti e si apre la fase di discesa del ciclo. Il modello originario fu integrato dall’ipotesi di un tetto del reddito, dato dalla piena occupazione delle risorse, per spiegare il punto di svolta superiore del ciclo (punto di massimo oltre il quale inizia la fase discendente). A partire dal contributo innovatore di R.A.K. Frisch, nel 1933, le fluttuazioni sono state studiate analiticamente con modelli matematici, in cui variabili endogene rispondono con movimenti oscillatori a shock esogeni di natura casuale.
Si alternano, nella spiegazione del ciclo economico, due correnti d’interpretazione, l’una che attribuisce gli shock ai fattori monetari (teorie monetarie del ciclo), l’altra ai fattori reali (eventi inattesi dal lato della domanda o dell’offerta e soprattutto innovazioni). La teoria del ciclo di equilibrio, sviluppata da R. Lucas negli anni 1970, ha al centro l’instabilità indotta dagli shock monetari. La teoria del ciclo reale, proposta da F. Kydland ed E.C. Prescott nel 1982 e poi ampiamente sviluppata, elabora con sofisticazione analitica l’idea che le fluttuazioni economiche dipendono da shock tecnologici. Gli economisti di tendenza keynesiana hanno sostenuto che le fluttuazioni, ampie nel 19° sec. e nella prima metà del 20° sec., si sono attenuate quando i governi sono intervenuti adottando politiche monetarie e fiscali espansive nei momenti di depressione e restrittive nelle fasi di eccessivo aumento dei prezzi. Queste tesi sono state fortemente contrastate dai monetaristi di prima e seconda generazione, con l’argomento che le politiche pubbliche di controllo della domanda (e soprattutto l’uso discrezionale della politica monetaria) sono fonte primaria di destabilizzazione e causa di fluttuazioni nell’economia.
Complesso delle operazioni necessarie a produrre un determinato bene economico. Consiste in una serie di fasi successive, ciascuna delle quali è una tappa nella progressiva elaborazione del prodotto finito.
Il ciclo produttivo agrario è il tempo necessario al compimento di un intero ciclo produttivo nella produzione agricola, considerando anche l’avvicendamento e la rotazione delle colture.
Nel linguaggio del marketing, il ciclo di vita del prodotto è la successione degli stadi che un prodotto attraversa, dal momento della sua prima immissione sul mercato. Dopo la fase d’introduzione, seguono le fasi di sviluppo, maturità e declino. Il ciclo di vita dei prodotti determina il continuo avvicendamento dei beni sul mercato, legato all’andamento delle vendite nel tempo. La sua analisi è utilizzata per le scelte strategiche delle imprese sui prezzi, sulla differenziazione o sulle nuove utilizzazioni di prodotti maturi, sulla ricerca di beni innovativi da immettere sul mercato.
Linea chiusa costituente il diagramma di una grandezza che presenti isteresi rispetto a un’altra.
Successione di trasformazioni termodinamiche che subisce un sistema nel passare da uno stato iniziale a uno stato finale coincidente con il primo (v. .). I cicli hanno luogo nelle macchine a fluido; nel caso di fluido ideale, in una macchina ideale, si parla di ciclo ideale: in esso tutte le trasformazioni sono reversibili e lo è anche il ciclo; se il fluido è reale (vi sono attriti interni, avvengono reazioni chimiche ecc.) e la macchina è ideale si parla di ciclo limite; se il fluido è reale e la macchina è reale (le trasformazioni, al limite istantanee, avvengono in tempo finito, sistema e ambiente esterno non sono isolati, come accade nei cicli aperti ecc.) si parla di ciclo reale: le trasformazioni sono irreversibili e lo è anche il ciclo. Si rimanda ai casi specifici (motori termici, turbine a gas e a vapore ecc.) per i cicli reali, considerando solo i cicli ideali da cui i primi derivano.
Risulta di grande utilità la rappresentazione dei cicli in piani cartesiani con due grandezze di stato come coordinate: in particolare, nel piano pressione-volume (p, V) l’area racchiusa dal ciclo è pari al lavoro scambiato dal sistema con l’esterno; nel piano temperatura termodinamica-entropia (T, S), l’area racchiusa dal ciclo è pari al calore scambiato dal sistema con l’esterno. I principi della termodinamica stabiliscono: il primo, l’eguaglianza fra lavoro e calore scambiati fra sistema e ambiente esterno in un ciclo e, il secondo, la necessità di almeno due sorgenti di calore a temperature diverse per rendere possibile un ciclo nel quale venga prodotto lavoro. Con riferimento a uno dei piani di rappresentazione, per es. il piano p, V, si osserva che percorrendo un ciclo in senso orario (ciclo diretto; fig. A a sinistra), il sistema assorbe dall’ambiente una quantità di calore Q1 e ne restituisce una parte Q2, trasformando in lavoro fatto sull’esterno la differenza L=Q1−Q2; il rendimento del ciclo, rapporto tra lavoro fatto e calore assorbito, è pari a
η=L/Q1=(Q1−Q2)/Q1=1−(Q2/Q1).
Percorrendo un ciclo in senso antiorario (ciclo inverso; fig. A a destra) il sistema subisce lavoro L dall’ambiente e lo trasforma in calore (ciò è quanto avviene nelle macchine frigorifere e nelle pompe di calore): se Q2 è il calore assorbito dal sistema, Q1 il calore ceduto, è L=Q1−Q2; l’efficienza del ciclo, detto anche ciclo frigorifero, è data dal rapporto fra calore sottratto e lavoro ricevuto ed è pari a ξ=Q2/L=Q2/(Q1−Q2)=1/[(Q1/Q2)−1].
Nelle macchine termiche aventi come scopo la trasformazione di calore in lavoro, il parametro che caratterizza quantitativamente il ciclo è il suo rendimento; fra i cicli diretti, a parità di temperature estreme, il ciclo che presenta il massimo rendimento è il ciclo di Carnot (fig. B), che è costituito da due isoterme e da due adiabatiche: il fluido è un gas ideale, che subisce una compressione adiabatica, AB, una espansione isoterma, BC, in cui riceve calore, un’espansione adiabatica, CD, una compressione isoterma, DA, in cui cede calore; il rendimento del ciclo è pari a η=1−(Q2/Q1)=1−(T2/T1). Il rendimento è tanto più alto quanto più alta è la temperatura, T1, alla quale il sistema riceve calore, e quanto più bassa è quella, T2, alla quale lo cede. Il ciclo di Carnot, di grande importanza teorica, non trova applicazioni pratiche; a esso si avvicina il ciclo Rankine (fig. C), tipico delle macchine a vapore: il fluido si trova nella regione di cambiamento di stato liquido-vapore; la compressione adiabatica è sostituita da un innalzamento della pressione del liquido, AA′, e da un suo riscaldamento, A′B; segue, mediante somministrazione di calore, la vaporizzazione del liquido, BC, a pressione e temperatura costanti; il vapore subisce poi un’espansione adiabatica, CD, con parziale condensazione ed è questa la fase utile del ciclo in cui si cede lavoro all’esterno; infine, mediante sottrazione di calore, tutto il vapore condensa, DA, ancora a pressione e temperatura costanti; il ciclo Rankine diventa equivalente a quello di Carnot operando durante l’espansione spillamenti di vapore, CD″. Per aumentare il rendimento del ciclo si può operare un surriscaldamento del vapore, CC′; in tal caso alla fine dell’espansione, C′D′, si ha vapore saturo secco e la condensazione avviene durante la sottrazione di calore, D′A; il surriscaldamento fa assumere al ciclo Rankine (noto in questo caso anche come ciclo Hirn) un aspetto notevolmente diverso dal ciclo di Carnot. Nel caso in cui si operi fra due volumi estremi, massimo VA e minimo VB, come accade nei motori alternativi a combustione interna, il ciclo di massimo rendimento è il ciclo Otto (o ciclo Beau de Rochas; fig. D), caratteristico dei motori con accensione comandata, cioè dei motori a scoppio, a benzina, costituito da due isocore e da due adiabatiche: il fluido è un gas che subisce una compressione adiabatica, AB, cui viene poi somministrato calore a volume costante (combustione della benzina), BC, che si espande adiabaticamente (fase utile del ciclo), CD, cui viene sottratto calore a volume costante (espulsione dei gas combusti), DA. Rendimento del ciclo Otto è η=1−1/ρk–1, dove ρ=VA/VB è il rapporto di compressione, k il rapporto fra i calori specifici del gas a pressione e a volume costante; il ciclo Otto ha rendimento tanto più alto quanto più alto è il rapporto di compressione, limitato però quest’ultimo da problemi di detonazione. Il ciclo Otto è aperto: alla fine del ciclo i gas combusti vengono scaricati all’atmosfera, AE, e viene aspirata miscela fresca, EA. Caratteristico dei motori con accensione spontanea, cioè dei motori Diesel, a gasolio, è il ciclo Diesel (fig. E), in cui il calore è somministrato, invece che a volume costante, a pressione costante (combustione del gasolio); pertanto il ciclo Diesel è identico a quello Otto, salvo che per la trasformazione BC, isobara anziché isocora; il ciclo Diesel, a pari rapporto di compressione, ha rendimento inferiore al ciclo Otto: in pratica nei motori a ciclo Diesel, non essendovi problemi di detonazione, il rapporto di compressione è più elevato rispetto ai motori a ciclo Otto e il rendimento di conseguenza è maggiore. I cicli dei motori alternativi possono essere ricondotti al ciclo Sabathé, in cui a una compressione adiabatica fa seguito una somministrazione di calore prima isocora poi isobara; seguono espansione adiabatica e sottrazione di calore isocora. Fra i cicli dei motori alternativi a combustione esterna è da ricordare il ciclo Stirling, caratteristico del motore omonimo, costituito da una compressione isoterma con sottrazione di calore, una somministrazione di calore isocora, un’espansione isoterma con ulteriore somministrazione di calore, una sottrazione di calore isocora; il ciclo Stirling, come quello Rankine con spillamenti di vapore, è equivalente a quello di Carnot di cui ha lo stesso rendimento; il ciclo Stirling reale si discosta notevolmente da quello ideale.
Complesso di fasi attraverso le quali inizia, si sviluppa e si conclude un fenomeno geologico. Si hanno quindi ciclo di erosione e di sedimentazione, litogenetici e orogenetici (➔ orogenesi). Il ciclo di erosione è un processo di degradazione, a seconda dei casi, fluviale, eolica, marina, glaciale, carsica. Particolare evidenza ha il ciclo di erosione fluviale, determinato dalle acque correnti in superficie; queste producono l’aumento del solco graduale del letto, il progressivo allargarsi di bacini d’impluvio e quindi l’abbassamento delle creste e dei rilievi divisori tra bacini.
Si definisce ciclotema la sequenza di sedimenti depositati durante un singolo ciclo di sedimentazione, nell’ambito di una successione di depositi ritmici. Il termine, introdotto originariamente per indicare la ripetizione ciclica di letti carboniosi nel Pennsylvaniano degli USA centro-orientali, è stato poi riferito a tutti i sedimenti ritmici ciclici.
Il ciclo meteorologico è la successione, riproducentesi periodicamente, delle condizioni meteorologiche in un certo intervallo di tempo; ne è esempio il ciclo annuo che determina le stagioni. Cicli a più lunga durata, dipendenti probabilmente da variazioni delle radiazioni solari, determinano corrispondenti cicli climatici, che hanno molta importanza dal punto di vista antropico e geologico. Quelli attualmente osservati sono a periodo undecennale (Schwabe) e a periodo trentennale (Brücker). L’esistenza di tali cicli, oltre che dalle osservazioni meteorologiche, è provata da diversi fatti, i principali dei quali sono le variazioni di livello dei grandi laghi naturali non regolarizzati e le oscillazioni periodiche dei ghiacciai.