È la grandezza cinematica che descrive la variazione della velocità di un punto P nel tempo. Detta v la velocità istantanea di P, si definisce il vettore a. a come la derivata temporale del vettore v:
avendo indicato con OP il vettore posizione del punto P, ove O è l’origine della terna di riferimento Oxyz. Le dimensioni di un’a. sono LT–2; l’unità di misura nel SI è il m/s2. Eseguendo la derivazione si ottiene
ove s̈ è la derivata seconda rispetto a t dell’ascissa curvilinea s (cioè la derivata prima della velocità scalare ṡ), t e n sono rispettivamente il versore della tangente e quello della normale principale alla traiettoria e ρ è il raggio di curvatura di questa. L’accelerazione può quindi decomporsi in due vettori componenti intrinseci, cioè legati alla traiettoria: il primo componente – s̈ t: accelerazione tangenziale – è diretto lungo la tangente alla traiettoria e il suo modulo è legato esclusivamente alla variazione della velocità scalare (ṡ); il secondo componente – (ṡ2/ρ) n: accelerazione normale o centripeta – è invece legato alla variazione della direzione di v. L’a. si riduce al solo componente tangenziale se il moto è rettilineo (ρ = ∞); è invece puramente centripeta se il moto è uniforme (ṡ = cost.). L’a. si annulla identicamente soltanto se il moto è rettilineo e uniforme. In ogni caso a è contenuto nel piano osculatore alla traiettoria. A. angolare La derivata prima rispetto al tempo della velocità angolare (➔ moto).
Il principio di a. è la relazione che indica come la variazione del reddito (o del consumo) influisce sul livello aggregato degli investimenti. Sottostante vi è l’assunto che gli imprenditori, se osservano un incremento del reddito (o della domanda di beni di consumo) che ritengono sarà durevole, sono indotti ad accrescere la domanda di beni capitali per far fronte alla maggiore produzione attesa. Il principio di a. suppone, infatti, che la domanda di nuovi beni capitali dipenda dalle aspettative sull’andamento della domanda e quindi del reddito nel futuro, aspettative che si formano osservando la variazione del reddito nel periodo corrente. Sotto il profilo teorico, si fonda sull’ipotesi di un rapporto ottimale tra stock di capitale e reddito prodotto, che le imprese tendono a preservare nel tempo, adeguando lo stock di capitale alle variazioni del reddito. Il principio di a. è stato applicato per spiegare sia gli investimenti in capitale fisso sia gli investimenti in scorte. L’adeguamento dello stock di capitale, oltre che nel senso dell’espansione, può agire anche in quello della riduzione degli investimenti, che è possibile si produca per il solo fatto che il reddito (o il consumo) rallenti la crescita, o cessi di aumentare, pur senza subire un declino. Il principio di a. fu introdotto dagli studiosi del ciclo economico agli inizi del 19° sec. (A. Aftalion, J.M. Clark) prima dell’affermarsi della teoria keynesiana. Nel 1936 fu approfondito da R.F. Harrod nell’analisi congiunta della crescita e del ciclo. In seguito, il principio di a. è stato associato al moltiplicatore keynesiano, che indica gli effetti cumulativi dell’investimento sul reddito, in modelli matematici del ciclo economico, quali quelli proposti da P.A. Samuelson (1939) e J.R. Hicks (1950). I modelli d’impianto keynesiano generano fluttuazioni del reddito combinando l’azione del moltiplicatore e dell’acceleratore (il primo procede dall’investimento al reddito, il secondo dalla variazione del reddito all’investimento). Per la natura troppo restrittiva delle ipotesi (esistenza di un rapporto fisso tra lo stock di capitale e la produzione, utilizzazione completa della capacità produttiva, ecc.), il principio di a. è stato riformulato, con versione più generale e flessibile, nel principio dell’adeguamento dello stock di capitale (➔).