In fisiologia vegetale, la p. che spinge verso l’alto la linfa nei vasi del fusto delle piante terrestri e che si origina nella radice, forse in corrispondenza all’endoderma; è uno dei fattori che provocano l’ascesa della linfa sul fusto. Può raggiungere valori massimi di circa 2 bar.
La p. tributaria (o fiscale) e finanziaria indica il rapporto tra l’ammontare del prelievo operato dallo Stato e dagli altri enti pubblici sotto forma di imposte, tasse e tributi, per il finanziamento della spesa pubblica e il reddito nazionale prodotto nell’arco di un certo periodo di tempo. L’entità della p. fiscale dipende dall’ampiezza della base imponibile e dal livello delle aliquote legate all’imposizione sul reddito. L’entità di quest’ultimo valore è connessa però con il grado di evasione e di elusione fiscale che si realizza nel sistema e dalla stessa struttura del prelievo dato che i modelli di tassazione differiscono notevolmente da paese a paese. In generale, l’imposta sul reddito delle persone fisiche è una fonte di entrate relativamente meno importante nei paesi europei di quanto non sia, per es., negli USA. La minore importanza relativa di questa imposta si traduce, nei paesi europei, in una minore incidenza delle imposte dirette sul prelievo totale. I paesi europei mostrano, invece, rispetto agli USA, un peso delle imposte indirette relativamente maggiore. Ciò è dovuto in gran parte al ruolo dell’imposta sul valore aggiunto (che rappresenta ca. il 15% del prelievo complessivo). La p. fiscale rappresenta un indicatore comunemente usato per confrontare il livello delle entrate pubbliche in anni e in paesi diversi.
Fino al 1984, la p. tributaria italiana, risultava superiore rispetto a quella dei paesi OCSE e dei principali paesi europei. Ma con la revisione della contabilità nazionale effettuata dall’ISTAT, allo scopo di correggere la sottovalutazione del reddito nazionale italiano derivante dal peso che nel nostro sistema ha la cosiddetta economia sommersa, si è avuta una rivalutazione del PIL (dell’ordine del 15-20%) che si è tradotta in una diminuzione della misura della p. tributaria tale da invertire la posizione relativa dell’Italia nei confronti internazionali. Indipendentemente dal sistema di contabilità adottato, nel corso degli ultimi quarant’anni, il rapporto costituito dalla p. fiscale risulta comunque cresciuto notevolmente (seppure in misura minore rispetto al rapporto tra spesa pubblica e reddito nazionale). È da sottolineare che una p. fiscale troppo pesante da sostenere da parte dei contribuenti tende a incentivare i tentativi di evasione e a favorire l’economia sommersa.
Per p. finanziaria si può intendere invece il rapporto tra i proventi pubblici di qualsiasi tipo (compresi i prezzi privati e quelli pubblici derivanti dall’esercizio del demanio e dei monopoli fiscali) e il reddito nazionale; si potrebbe anche distinguere la p. finanziaria che deriva da partite correnti (cioè da entrate provenienti dai redditi e destinate a coprire spese correnti) da quella che deriva da partite in conto capitale (cioè da entrate prelevate sui patrimoni, al netto dell’ammortamento, e destinate a spese di utilità straordinaria).
Con l’espressione p. demografica si indica, in senso statico, il rapporto tra popolazione e reddito (con riferimento a un reddito unitario sufficiente al soddisfacimento dei bisogni essenziali) e, in senso dinamico, il rapporto tra tasso annuo d’incremento demografico (naturale) e tasso annuo di sviluppo economico (inteso come incremento del reddito). In pratica il calcolo del primo è molto difficile, ma il secondo ha significato soltanto partendo da un equilibrio statico. Più che il valore assoluto del rapporto hanno però importanza le differenze tra i rapporti esistenti in diverse zone o diversi paesi, perché la differenza di p. demografica concorre a determinare movimenti migratori.
Grandezza fisica che esprime il rapporto tra l’intensità della forza agente perpendicolarmente su una superficie e l’area della superficie stessa.
Se dF è la forza che agisce su un elemento di superficie di area dσ e se dFn è il valore assoluto della sua componente normale all’elemento di superficie, la p. viene allora definita come la grandezza scalare
quindi la p. è il modulo dello sforzo (➔) specifico normale; talvolta viene usato il termine p. anche per indicare il modulo dello sforzo specifico totale dF/dσ. La p. ha le dimensioni fisiche del rapporto tra una forza e un’area: [p]=F l–2. Unità di misura della p. nel Sistema internazionale è il pascal (1 Pa=1 N/m2); unità non SI ammessa è il bar (1 bar=105 Pa); vi sono inoltre varie unità incoerenti tra le quali l’atmosfera e il millimetro di mercurio.
Per un’esatta e generale definizione della p. conviene rifarsi alla nozione di sforzo specifico in un generico sistema continuo (➔ meccanica). Si consideri all’interno del sistema continuo un generico elemento superficiale dσ : la risultante dF di tutte le forze che la porzione del sistema situata da una parte di dσ esercita su quella situata dalla parte opposta attraverso dσ si esprime come dF=Φdσ, dove Φ=dF/dσ è lo sforzo specifico. Poiché in un fluido privo di viscosità o in un qualsiasi fluido in quiete lo sforzo dF=Φdσ su un qualunque elemento di superficie dσ considerato dentro il fluido è sempre ortogonale a dσ (in altre parole non esistono sforzi di taglio), per le componenti del tensore degli sforzi si ha Φij=0 per i≠j e Φ11=Φ22=Φ33: al valore comune p di Φ11, Φ22, Φ33 si dà il nome di p.; più in generale si ha ∣Φ(n)∣=p, cioè la grandezza del modulo dello sforzo specifico normale su dσ è indipendente dall’orientamento di dσ (principio di Pascal). In fig. è mostrata una conseguenza tipica del principio di Pascal. I due pesi a e b esercitano le forze Fa e Fb sui pistoni c e d, che comprimono un fluido contenuto nel recipiente e. Essendo le forze FIa e FIb, esercitate dal fluido sulle basi dei pistoni in virtù della sua p., proporzionali alle superfici Sc e Sd, il sistema è in equilibrio se Sc e Sd stanno tra loro come Fa e Fb. L’esistenza di una p. in un fluido e la legge con cui essa varia da punto a punto sono naturalmente legate alla sollecitazione esterna cui il fluido è sottoposto.
In condizioni di quiete la p. che si ha nell’interno del fluido è detta, con specifico riferimento all’acqua o a liquidi in genere, p. idrostatica o anche, più in generale, p. statica. Se un fluido è soggetto soltanto a forze di massa conservative, la p. statica ubbidisce alla legge di Stevino: se U è il potenziale delle forze suddette e ρ la densità del fluido in un certo suo punto, fra questo punto e uno infinitamente vicino fra i quali sussista una differenza di potenziale dU, si ha una differenza di p. dp legata a dU dalla relazione dp=ρdU. Se, in particolare, le forze si riducono al solo peso (fluidi pesanti), la precedente relazione, assunta come asse y la verticale discendente, si riduce a dp=ρgdy, essendo g l’accelerazione di gravità. Se, ancor più in particolare, il fluido si può considerare come omogeneo e incompressibile (con il che ρ si riduce a una stessa costante in tutta la massa fluida), dall’ultima uguaglianza si ricava che fra due punti a distanza finita fra i quali sussista un dislivello h si ha una differenza di p. uguale a ρgh. Di qui la nota regola per il calcolo della p. che un liquido contenuto in un recipiente esercita sul fondo di questo, detta p. di fondo e determinata appunto come prodotto dell’altezza h della colonna di liquido sovrastante per il peso specifico ρg del liquido. Se un fluido incompressibile è in moto, nel generico suo punto la p. totale è la somma della p. statica e di una p. dinamica o cinetica dovuta al movimento ed esprimibile in ciascun punto mediante il semiprodotto ρv2/2 della densità ρ per il quadrato della velocità con la quale il fluido transita in quel punto. La p. statica e quella cinetica sono fra i termini che intervengono nella relazione in cui si traduce il teorema di Bernoulli (➔ idrodinamica). La p. dinamica ha anche il nome di p. d’arresto per gli stessi motivi per i quali l’altezza a essa equivalente, v2/(2g), è ricordata come altezza di arresto.
In un fluido inizialmente in quiete, una variazione della sua p. può essere indotta dal passaggio di un’onda elastica che ne metta in oscillazione le particelle: è ciò che, per es., si determina nell’aria (o in un altro gas) per il passaggio di onde sonore. Più esattamente, p. acustica o sonora nel generico punto di un mezzo in cui si abbia la propagazione di un’onda sonora è la variazione che la p. nel punto considerato subisce rispetto alle condizioni di quiete (cioè in assenza dell’onda sonora). Dalla p. acustica P dipende l’intensità della sensazione sonora s, che, misurata in fon, è legata a P dalla seguente relazione: s=20 log10P/P0, dove P0 è la p. acustica di soglia (2∙10–5 Pa). Tale relazione equivale all’altra s=10 log10I/I0, dove I e I0 sono l’intensità energetica del suono che si considera e l’intensità di soglia.
È la p. esercitata sull’unità di superficie orizzontale al suolo o nell’atmosfera dalla colonna di aria sovrastante. P. atmosferica normale è quella che si ha al livello del mare, a 0 °C e alla latitudine di 45°: equivale alla p. esercitata in tali condizioni da una colonna di mercurio alta 760 mm. Poiché la densità del mercurio a 0 °C è di 13,596 g/cm3, la p. normale corrisponde a 101.325 Pa. Un tempo si assumeva questa p. come unità di misura con il nome di atmosfera (simbolo atm). Unità di misura corrente della p. atmosferica è, in meteorologia, il millibar (1 mbar=102 Pa). La p. atmosferica è soggetta a variare, peraltro con una certa regolarità, nello spazio e nel tempo. Tra le sue variazioni, la più importante è la diminuzione che subisce al crescere della quota; il tasso di diminuzione varia con la temperatura, ma si può ritenere all’incirca che nella troposfera la p. si dimezzi ogni 5500 m di altezza.
P. alla quale avviene la liquefazione quando il gas sia portato alla temperatura critica.
In un punto della superficie di un conduttore elettrizzato immerso in un dielettrico, è la forza per unità di superficie, agente secondo la normale a questa sul conduttore, che si esercita sull’elemento di carica intorno al punto sul conduttore; se E è l’intensità del campo ed ε la costante dielettrica assoluta del mezzo, la p. elettrostatica vale εE2/2.
Negli aeriformi, è il termine indicativo delle forze intermolecolari, che compare nella forma a/V2 (a=costante, V=volume occupato da una mole di gas), nell’equazione di Van der Waals; ciò vale anche per i liquidi finché a essi è applicabile l’equazione di Van der Waals.
In un miscuglio di gas perfetti (e con buona approssimazione anche di gas reali e di vapori saturi) fra i quali non avvengano reazioni chimiche, ciascuno dei componenti, a temperatura costante, esercita la stessa p., detta p. parziale, che eserciterebbe se occupasse da solo tutto il volume occupato dal miscuglio; la p. totale è la somma delle p. parziali.
P. esercitata su di un corpo da una radiazione elettromagnetica e, in particolare, dalla luce. Quando la superficie è perfettamente assorbente ed è disposta perpendicolarmente alla direzione di incidenza, la p. di radiazione è data dal rapporto tra l’intensità della radiazione e la sua velocità di propagazione, mentre su una superficie perfettamente riflettente si ha un valore esattamente doppio: per es., per la piena luce solare incidente su una superficie nera si ha circa 5∙10–6 Pa. Il meccanismo di tale p. si spiega tenendo presente che a un’onda elettromagnetica è sempre associata una quantità di moto (elettromagnetica), che è ceduta, in parte o totalmente, al corpo investito dalle radiazioni: all’atto in cui si verifica tale cessione, il corpo subisce un’azione, che, riferita all’unità di superficie, costituisce appunto la p. di radiazione. Si spiega anche in termini di fotoni (ciascuno dei quali trasporta una quantità di moto hν/c, con h costante di Planck, ν frequenza della radiazione, c velocità della luce nel vuoto).
È la p. alla quale si trova un vapore, detta in particolare p. (o tensione) del vapore saturo se il vapore è in condizioni di saturazione. La p. di vapore saturo, diversamente da quanto si verifica per la p. dei gas, è indipendente dal volume occupato dal vapore e dipende unicamente dalla temperatura; non così per i vapori surriscaldati, la cui p. dipende, come per i gas, anche dal volume.
Grande importanza hanno la determinazione della p., positiva o negativa, che si riscontra nelle diverse cavità organiche e lo studio delle variazioni connesse a molti fenomeni morbosi: oltre alla p. del sangue, interessa studiare la p. del liquor (➔), che può variare in condizioni patologiche (➔ endocranica, ipertensione); la p., di regola negativa, delle cavità pleuriche, che svolge una funzione essenziale nella meccanica della respirazione (➔); la p. negativa delle cavità articolari, che concorre ad assicurare l’adesione dei capi ossei; la pressione endoculare; e infine la p. osmotica e la p. oncotica, che sono in rapporto alla concentrazione di sostanze organiche e inorganiche nei liquidi cellulari ed extracellulari e che esercitano una funzione di enorme importanza biologica.
È la forza esercitata dal sangue circolante sulle pareti elastiche dei vasi sanguiferi. Distinta in p. arteriosa nelle arterie e p. venosa nelle vene, varia in rapporto alle sistoli e alle diastoli del cuore e alle condizioni del sistema circolatorio.
Il valore della p. sanguigna nell’interno dei vasi è determinato da diversi fattori concomitanti (entità della contrazione cardiaca, elasticità delle pareti vasali ecc.) e varia sia nel tempo, in relazione al ciclo del cuore, che funziona come una pompa intermittente ad azione premente e aspirante, sia a seconda del segmento dell’albero circolatorio considerato. Grazie all’elasticità delle pareti vasali, parte dell’energia di p. viene via via trasformata – in corrispondenza di ogni sistole – in energia elastica dei vasi, dando origine a un’onda di p. che si propaga, attenuandosi progressivamente, e che determina la pulsazione delle arterie. Durante la diastole avviene la trasformazione inversa, in quanto l’energia elastica si trasforma di nuovo in energia di p.: in tal modo la p. tende perciò a decrescere lentamente e poiché le successive contrazioni del cuore si susseguono ritmicamente e hanno una frequenza sufficientemente elevata, la p. non scenderà al di sotto di un valore minimo determinato pressoché costante. Tuttavia i valori della p. capillare variano notevolmente, in senso decrescente, man mano che si passa dalla loro porzione arteriosa a quella venosa. Anche la p. venosa non presenta oscillazioni sistoliche se non in vicinanza del cuore, il quale esercita un’azione di pompa aspirante che facilita il ritorno del sangue verso il cuore stesso. Nelle arterie di medio calibro di soggetti adulti e sani il valore della p. (p. arteriosa) presenta ritmiche oscillazioni che, nella maggioranza dei casi, variano tra 120-130 mmHg (p. massima o sistolica) e 70-80 mmHg (p. minima o diastolica): la differenza tra la p. massima e la p. minima è detta p. differenziale. Per p. media dinamica, infine, si intende il valore medio della p. arteriosa, che viene valutato tenendo conto di tutto l’andamento dell’onda di p.: il suo valore può essere definito come il valore che dovrebbe avere la p. arteriosa, se fosse costante, per mantenere una portata circolatoria uguale a quella vigente. I valori indicati sono riferiti a individui adulti, di sesso maschile: nelle donne si hanno valori leggermente più bassi, e ancor più bassa è la p. che si riscontra nell’infanzia (90-100 mmHg). L’aumento e la diminuzione della p. massima possono avere cause e significato diverso (➔ ipertensione; ipotensione): la p. differenziale può aumentare quando diminuisce l’elasticità delle pareti arteriose, con conseguente aumento della p. massima, o per insufficienze della valvola aortica, che provoca una diminuzione della p. minima, in quanto refluisce una certa quantità di sangue nel ventricolo sinistro in corrispondenza della diastole. Nei capillari, il valore della p. oscilla tra 10 e 30 mmHg; nelle vene, in un soggetto in posizione orizzontale, i valori della p. sono inferiori a 10 mmHg. Nel piccolo circolo, si hanno valori considerevolmente minori: nell’arteria polmonare, la p. massima è di circa 46 mmHg, e la p. minima di 12 mmHg. La pressione delle cavità cardiache (p. intracardiaca) presenta forti oscillazioni in rapporto sia al ciclo cardiaco sia alla cavità cardiaca considerata (è bassa negli atri, più elevata nei ventricoli).
Costituiscono un complesso sistema interpretabile secondo un modello di controllo automatico a retroazione negativa. Complessi fenomeni di interazione funzionale tra sistema nervoso e apparato cardiovascolare, mediati da fattori umorali (ormoni, enzimi), inducono modificazioni circolatorie (vasodilatazione, vasocostrizione, aumento o diminuzione della frequenza e della gittata cardiaca ecc.) e, in condizioni normali, adeguate risposte compensatorie tendenti a mantenere o ristabilire i valori della p. arteriosa nell’ambito della normalità. Grazie a tali meccanismi di compenso sono evitate le cospicue variazioni pressorie che altrimenti conseguirebbero a ricorrenti fenomeni fisiologici, quali la vasodilatazione addominale durante la digestione e l’aumentato afflusso di sangue negli arti inferiori durante la stazione eretta.
Un complesso dispositivo anatomo-funzionale interviene nella regolazione della p. arteriosa: numerose strutture del sistema nervoso assumono un ruolo determinante. Esse intervengono a raccogliere, elaborare e trasmettere stimoli di diversa natura (ormonica, enzimatica, farmacologica, fisica, psichica) e consistono in: a) recettori periferici (pressocettori o barocettori), i quali selettivamente captano gli stimoli, situati nell’avventizia di importanti tratti arteriosi (arco aortico, seno carotideo, arterie mesenteriche ecc.) e nel glomo carotideo; altri, situati in altri organi (per es., cute), raccolgono stimoli di natura sensitiva (dolore, freddo) che possono indurre passeggere modificazioni pressorie; b) fibre afferenti, che assicurano il collegamento tra i recettori e il centro vasomotorio bulbare, al quale trasmettono le informazioni ricevute; c) centro vasomotorio bulbare, dove pervengono, dopo essere confluite nel vago, le fibre afferenti vagali e in cui sono state individuate tre aree funzionali: una ‘cardioinibitoria’, una ‘depressoria’ e una ‘pressoria’. Dalla prima si dipartono fibre afferenti che attraverso il vago giungono al miocardio, conducendo impulsi che rallentano il ritmo cardiaco; dalla seconda fibre parasimpatiche ad azione vasodilatatrice; da quella pressoria fibre ortosimpatiche in parte destinate ai vasi, in parte alla midollare dei surreni, a livello dei quali promuovono la liberazione di adrenalina e noradrenalina. Queste tre aree, oltre a essere collegate fra loro, lo sono anche, attraverso dispositivi di fibre nervose, con un centro dell’ipotalamo e con la corteccia cerebrale; d) centro ipotalamico, in cui si possono distinguere: un’area cardioacceleratoria, da cui prendono origine rami simpatici che entrano in rapporto con il tessuto di conduzione del cuore (fascio di His); un’area inibitoria del simpatico; un’area che controlla la termolisi e che può contribuire a modificare anche la p. arteriosa; e) due centri corticali situati nell’area motoria e premotoria della corteccia cerebrale. Il primo, oltre a essere strettamente collegato con l’area inibitoria del simpatico situato a livello ipotalamico, dà origine a fibre simpatiche (‘nervo vasodilatatore simpatico’) che trasmettono ai vasi impulsi di vasodilatazione; il secondo controlla l’area cardioacceleratoria ipotalamica attraverso la quale è in collegamento anatomo-funzionale con la sottostante area pressoria bulbare. Queste correlazioni funzionali tra centri corticali e sottocorticali consentono di interpretare le brusche variazioni della p. arteriosa in conseguenza di stati emotivi particolarmente intensi.
Alterazioni possono verificarsi, oltre che per lesioni vascolari o nervose, anche in seguito a processi morbosi che coinvolgono i reni e le ghiandole endocrine. Solo nel 1934 H. Goldblatt e collaboratori dimostrarono sperimentalmente che l’ostruzione parziale dell’arteria renale provoca una ipertensione permanente, più o meno marcata a seconda del grado di restringimento arterioso e della conseguente ischemia renale. Studi successivi hanno permesso di precisare che in caso di ischemia renale viene liberato dal rene un abnorme quantitativo di renina, enzima proteolitico che agisce su una sostanza proteica normalmente presente nel plasma sanguigno, l’angiotensinogeno (che chimicamente è una α2-globulina). Quest’ultimo, per effetto di azioni enzimatiche, viene trasformato in un decapeptide (scarsamente attivo sui vasi), denominato angiotensina I, che a sua volta subisce l’azione di un altro enzima (converting enzyme) mutandosi in un octapeptide, l’angiotensina II, dotata di intensa azione ipertensiva. Il sistema renale mantiene, quindi, un ruolo importante nella regolazione della p. arteriosa, la cui riduzione induce un decremento dell’eliminazione renale di acqua e cloruro di sodio. In conseguenza di ciò, si assiste a un aumento del volume di sangue con ritorno della p. a valori di partenza grazie all’aumento del ritorno venoso e della gittata cardiaca. L’effetto contrario si osserva in caso di aumento della pressione. Esiste quindi una risposta renale alle variazioni pressorie. Laddove queste siano protratte nel tempo, si assiste a una diminuzione della secrezione della renina, della formazione di angiotensina II, della produzione di aldosterone e di ormone antidiuretico, con conseguente aumento della diuresi. Tra le cause endocrine capaci d’interferire sulla p. arteriosa predominano le alterazioni a carico dei surreni: crisi ipertensive caratterizzano il quadro clinico del feocromocitoma e stati d’ipertensione si riscontrano nel morbo di Cushing e nella sindrome dell’iperaldosteronismo di Conn.
La p. arteriosa può essere misurata attraverso metodi diretti (consistenti nell’introduzione in un’arteria di un ago o di una cannula connessi con un manometro) e metodi indiretti. Questi ultimi sono quelli maggiormente impiegati nella pratica clinica. La tecnica classica, auscultatoria, ricorre all’impiego di uno sfigmomanometro per registrare i valori di p. massima e minima; una tecnica più sofisticata prevede invece l’impiego di oscillometri. Grazie a semplificazioni di tecniche di impiego, sono stati posti in commercio apparecchi che consentono l’automisurazione. Inoltre, nella pratica clinica è stato introdotto il monitoraggio della pressione arteriosa attuato per 24 ore, grazie a registratori portatili costituiti da una unità di registrazione computerizzata, alimentata da batterie, di piccole dimensioni, dotata di una pompa elettrica per l’insufflazione del manicotto applicato al braccio del soggetto. In tal modo vengono effettuate circa un centinaio di misurazioni nelle 24 ore. Tale metodo fornisce informazioni sul livello e la variabilità della p. arteriosa.
Tensione del bulbo oculare determinata dall’equilibrio esistente tra produzione ed eliminazione dell’umor acqueo all’interno dell’occhio. Viene misurata mediante apposita apparecchiatura, il tonometro, e si esprime in mmHg; il valore è considerato normale fino a 20 mmHg.
In una soluzione, la p. oncotica è la frazione della p. osmotica dovuta alla presenza, come soluti, di colloidi o di particelle colloidali; perciò è detta anche p. colloidosmotica. I principali colloidi presenti negli organismi viventi sono le proteine, contenute in diversa concentrazione nel sangue e nell’ambiente extracellulare.
In balistica, il diagramma della p. all’interno di una bocca da fuoco durante la combustione della carica di lancio (in regime di volume variabile conseguente al movimento del proietto lungo l’anima) in funzione del cammino s percorso dal proietto lungo l’anima. Da tale diagramma si ricava la p. di forzamento, che è quella necessaria per provocare l’intaglio delle corone di forzamento e che corrisponde a s=0, e la p. massima, in base alla quale deve essere calcolata la resistenza dell’arma.
Nella scienza delle costruzioni, per p. s’intende la sollecitazione semplice (p. o compressione semplice) di un solido resistente (trave, pilastro, arco) la cui generica sezione trasversale è soggetta a sforzo puramente normale, avente i caratteri di una p. (nel significato ordinario della parola). Il caso più semplice è quello di una trave prismatica soggetta soltanto a due forze uguali e opposte agenti lungo l’asse geometrico della trave in corrispondenza dei baricentri delle sezioni di estremità; le due forze, di grandezza N, sono rivolte verso l’interno della trave (nel caso opposto si avrebbe una sollecitazione di trazione semplice). La deformazione elastica che subisce la trave per effetto delle due forze agenti, è caratterizzata da un accorciamento del suo asse geometrico, e per la conservazione delle sezioni piane, tutte le fibre parallele all’asse della trave si accorciano uniformemente. Nella generica sezione trasversale la tensione normale σ ha valore costante in tutti i punti, e risulta pari a σ=N/A ove A è l’area della sezione trasversale. Per il principio di Saint-Venant, l’accorciamento uniforme delle fibre longitudinali sarebbe rigorosamente verificato se, invece che a due forze concentrate, le sezioni estreme fossero soggette a due sistemi opposti di forze uniformemente ripartite. L’accorciamento uniforme è in pratica verificato con la sola esclusione di due tronchi di trave immediatamente prossimi alle estremità aventi lunghezza uguale all’incirca alla dimensione maggiore della sezione. Considerazioni analoghe valgono per l’uniformità della tensione normale. Nelle progettazioni strutturali la sollecitazione di p. semplice è prevalente nei piedritti in genere e in particolare nei pilastri verticali delle ossature degli edifici nonché nei puntoni delle travature reticolari, sempreché possano essere considerati ‘corti’ (e cioè non sia grande il rapporto tra la lunghezza e il minimo raggio d’inerzia della sezione). Per quanto riguarda l’accorciamento assiale Δl che si accompagna alla sollecitazione di p. semplice, con riferimento al caso già considerato, si ha: Δl=Nl/(EA), ove l è la lunghezza iniziale della trave, E il modulo di elasticità longitudinale.