Eccessiva pressione esistente in determinate cavità o spazi organici contenenti liquidi (i. arteriosa, i. endocranica) o gas (i. del cavo pleurico, in caso di pneumotorace). Con riferimento al contenuto di tali cavità si parla di i. sanguigna (arteriosa, venosa o capillare), i. del liquor cefalorachidiano ecc.
Il termine i., usato da solo, designa comunemente l’i. arteriosa. Quest’ultima può sussistere come fenomeno imputabile a cause non individuabili (i. essenziale o primitiva) o essere secondaria a malattie renali (nefriti, rene grinzo, malformazioni), vascolari (arteriosclerosi renale) o endocrine (sindrome di Cushing, feocromocitoma, iperaldosteronismo primario). La forma di i. arteriosa maggiormente diffusa è quella primitiva, in cui fattori genetici e ambientali concorrono nel determinare un quadro caratterizzato da attivazione neuroormonale sistemica e tissutale (generalmente a opera del sistema renina-angiotensina-aldosterone) ed elevati valori di pressione arteriosa. L’i. arteriosa costituisce un importante fattore di rischio cardiovascolare per malattie come l’infarto del miocardio, l’insufficienza cardiaca e l’ictus cerebri.
Poiché esiste una relazione diretta tra incidenza di malattie cardiovascolari e valori di pressione arteriosa fino al limite inferiore di 110-115 mmHg per la pressione sistolica e 70-75 mmHg per la pressione diastolica, la definizione di valori ‘normali’ di pressione arteriosa è del tutto arbitraria. Attualmente, le linee guida internazionali riconoscono una pressione arteriosa ‘ottimale’ (<120/80 mmHg), una ‘normale’ (120-129/80-84 mmHg), una ‘normale-alta’ (130-139/85-89 mmHg) e tre diversi gradi di i. arteriosa (da 140/90 mmHg sino a >180/>110 mmHg).
L’i. arteriosa incide sul rischio cardiovascolare in ragione della sua associazione con ulteriori fattori di rischio. Tra questi, le linee guida internazionali riconoscono l’età, il fumo di sigaretta, l’ipercolesterolemia, la presenza di diabete o di ridotta tolleranza al glucosio, e la circonferenza addominale. È dunque essenziale considerare che soggetti ipertesi con molteplici fattori di rischio e valori pressori anche solo modicamente aumentati possono avere un rischio di sviluppare malattia coronarica significativamente superiore a quello di soggetti con i. severa in assenza di ulteriori fattori di rischio. Nonostante gli elevati valori di pressione arteriosa diano solo raramente luogo a sintomi (cefalea, vertigini, tachicardia e senso di malessere generale possono comparire per valori di pressione arteriosa sistolica >200 mmHg), l’i. arteriosa causa nel lungo periodo danni permanenti a livello cardiaco, renale, vascolare, retinico e cerebrale. La presenza di segni di danno d’organo individua soggetti a rischio complessivamente elevato di sviluppare malattie cardiovascolari.
La terapia dell’i. arteriosa si avvale di misure farmacologiche e non farmacologiche. La scelta di iniziare un trattamento antiipertensivo non è mai basata esclusivamente sui valori di pressione arteriosa, ma sul rischio cardiovascolare globale del soggetto iperteso. Pazienti con i. lieve possono essere trattati inizialmente solo con modificazioni dello stile di vita, mentre soggetti con pressione anche solo ‘normale-alta’ e multipli fattori di rischio cardiovascolare possono necessitare di un tempestivo trattamento farmacologico. La terapia non farmacologica consiste nel controllo della dieta alimentare (ipocalorica e iposodica), nella riduzione del consumo di alcol, nella sospensione del fumo di sigaretta, e nella regolare attività fisica. Il trattamento farmacologico si avvale dell’utilizzo di farmaci inibitori dell’enzima di conversione (o ACE-inibitori), antagonisti recettoriali dell’angiotensina, calcio-antagonisti, diuretici, beta-bloccanti, alfa-bloccanti. L’analisi complessiva dei numerosi studi clinici che hanno paragonato gli effetti del trattamento con diversi farmaci antiipertensivi evidenzia che le differenze in termini di incidenza di mortalità e morbilità cardiovascolare sono modesti, confermando che il beneficio più significativo è imputabile alla riduzione dei valori pressori di per sé, indipendentemente dal farmaco utilizzato. Tuttavia, il moderno approccio al trattamento dell’i. arteriosa prevede frequentemente la scelta di molecole che inibiscano il sistema renina-angiotensina-aldosterone, come gli ACE-inibitori e gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina, soprattutto in pazienti con patologie renali, diabete, ipertrofia ventricolare sinistra e fibrillazione atriale. Non di rado il controllo dei valori di pressione arteriosa necessita dell’impiego di associazioni di più farmaci antiipertensivi.
Si dicono ipertensivi i disturbi caratterizzati dall’aumento della pressione arteriosa o i farmaci in grado di provocarlo. Tra i medicamenti ipertensivi sono quelli che aumentano il tono del cuore (strofanto, digitale ecc.) e soprattutto che stimolano i centri vasocostrittori e le fibre muscolari delle arterie (stricnina, adrenalina, efedrina ecc.).