Concentrazione elevata di colesterolo nel plasma. Può essere di natura ereditaria oppure conseguente a errori alimentari protratti nel tempo, per es. eccesso calorico quotidiano, specie se accompagnato da eccessivo apporto di alcuni acidi grassi saturi (acidi laurico, miristico e palmitico). L’i. è considerata uno dei principali fattori di rischio per l’aterosclerosi e la malattia coronarica.
Nel sangue, il colesterolo è legato a diverse proteine plasmatiche (apoproteine) e forma così complessi noti come lipoproteine. Queste ultime si distinguono a seconda della loro densità. La quota maggiore di colesterolo plasmatico viaggia legato alle LDL (low density lipoproteins). Le LDL e le VLDL (very low density lipoproteins) sono lipoproteine pro-aterosclerotiche. Infatti, specialmente in seguito a particolari processi di trasformazione (come l’ossidazione), esse sono in grado di penetrare agevolmente all’interno dei monociti che popolano le placche aterosclerotiche dei vasi arteriosi causando patologie come l’infarto del miocardio e l’ictus cerebri. Esiste una correlazione diretta tra valori plasmatici di LDL (e di colesterolo totale) e incidenza di malattie cardiovascolari. Tale associazione è considerevolmente influenzata dalla presenza di fattori di rischio cardiovascolare aggiuntivi, come per es. l’età, il sesso, il fumo di sigaretta, l’ipertensione arteriosa e il diabete mellito. Per comprendere il nesso tra LDL e rischio cardiovascolare, è sufficiente pensare che un aumento del 10% dei valori plasmatici di LDL implica un aumento del rischio di malattia coronarica del 27%, mentre una riduzione di tali livelli del 10% si associa a una riduzione del rischio di malattia coronarica del 25% a 5 anni.
Rispetto alle LDL, le HDL (high density lipoproteins) veicolano una quota inferiore di colesterolo plasmatico. Esse non causano aterosclerosi, bensì sono dotate di proprietà anti-aterosclerotiche grazie alla loro azione antinfiammatoria e antitrombotica, nonché alla loro capacità di trasferire al fegato l’eccesso di colesterolo presente in diversi tipi di cellule e tessuti. Inoltre, esse inibiscono l’espressione di particolari proteine cellulari che facilitano l’adesione dei monociti ricchi di colesterolo alle pareti delle arterie coronarie, uno dei primi eventi che caratterizzano la formazione della placca aterosclerotica. Per questo motivo, bassi valori plasmatici di HDL (< 40 mg/dl) sono associati a un significativo aumento del rischio di malattie cardiovascolari, mentre valori elevati (> 60 mg/dl) hanno un evidente effetto protettivo.
La terapia dell’i. si avvale di trattamenti non farmacologici (come una corretta dieta alimentare povera di grassi saturi e l’esercizio fisico) e farmacologici. La pietra miliare del trattamento farmacologico dell’i. è rappresentata dalle statine, farmaci in grado di inibire l’HMG-CoA reduttasi riducendo così la concentrazione plasmatica di LDL. Esse modificano inoltre la composizione delle placche aterosclerotiche aumentando la componente fibrosa del cappuccio (stabilizzazione di placca) e rendendole quindi più resistenti alla rottura. Di recente introduzione, l’ezetimibe, da sola o in associazione alle statine, agisce bloccando l’assorbimento intestinale del colesterolo e riducendone conseguentemente le concentrazioni plasmatiche. I fibrati e l’acido nicotinico sono farmaci meno efficaci nel ridurre i livelli plasmatici di LDL ma in grado di aumentare i valori ematici di HDL, con conseguente beneficio sul rischio di malattia coronarica. La terapia farmacologica e non farmacologica deve mirare a ridurre i valori di LDL plasmatiche al di sotto dei 100 mg/dl nei soggetti asintomatici ma a elevato rischio cardiovascolare e/o affetti da diabete mellito e al di sotto di 80 mg/dl nei soggetti con pregressi eventi coronarici.
L’i. familiare è una malattia ereditaria causata da mutazioni nel gene che codifica i recettori cellulari delle lipoproteine a bassa densità (LDL). Gli individui eterozigoti, portatori di un solo allele mutato, hanno una incidenza di 1 su 500; il loro livello di colesterolo nel sangue è doppio rispetto alla norma e sono generalmente colpiti da infarto del miocardio prima dei 55 anni di età. Gli individui omozigoti (entrambi gli alleli del gene sono mutati) hanno una frequenza di 1 su 1 milione; il loro livello di colesterolo nel sangue è 3-4 volte superiore alla norma e sono generalmente colpiti da infarto del miocardio prima dei 20 anni di età. I soggetti affetti da i. familiare non rispondono al trattamento farmacologico, e i benefici dell’intervento chirurgico di by-pass coronarico sono generalmente di breve durata.