Organo ghiandolare complesso annesso all’intestino, presente negli animali Vertebrati.
Il f. è la più grossa ghiandola del corpo dei Vertebrati, situata caudalmente al cuore nella regione anteriore dell’intestino medio; è di colorito bruno, rossiccio o anche verdastro, di forma varia a seconda della forma del corpo dell’animale, e spesso suddiviso in due o più lobi. La sua massa (parenchima), a struttura tubolare semplice, reticolare (Vertebrati inferiori) o lobulata (Mammiferi), è attraversata da capillari biliari, che confluiscono in dotti di calibro maggiore e che a loro volta confluiscono in uno o più dotti epatici. Una vescichetta biliare, o colecisti o cistifellea, serve da serbatoio della bile; il suo dotto escretore ( dotto cistico) confluisce col dotto epatico (o con uno dei dotti epatici), costituendo il coledoco, che sbocca nel duodeno, spesso all’apice di una piccola papilla ( papilla del Vater); il suo orifizio è chiuso dallo sfintere di Oddi. In molti Mammiferi nel coledoco sbocca il dotto di Wirsung (➔ pancreas).
Il f. si origina, durante lo sviluppo embrionale, da una evaginazione ventrale del pavimento dell’archenteron (endoderma del futuro tratto duodenale); tale evaginazione dà luogo a un diverticolo cavo, che per lo più si divide assai precocemente in due porzioni: una anteriore o craniale, che prolifera attivamente e va a costituire la massa del tessuto epatico, e una posteriore o caudale, da cui hanno origine la colecisti e il dotto cistico.
Nell’uomo il f. occupa quasi tutto l’ipocondrio destro, gran parte dell’epigastrio e una parte dell’ipocondrio sinistro. Ha la forma di un ovoide disposto trasversalmente, con il polo più voluminoso a destra e l’estremo sinistro appiattito; di colorito rosso bruno; considerevolmente consistente, ma friabile; della massa di 1500 g nell’adulto (v. fig.). Il margine inferiore segue l’arco costale destro, attraversa l’epigastrio e giunge fino all’arco costale sinistro. È rivestito quasi interamente dal peritoneo che ne forma i principali legamenti di sostegno (legamento sospensore o falciforme, coronario e triangolari destro e sinistro). Convenzionalmente si assegnano al f. tre facce (superiore, inferiore e posteriore) e una circonferenza, divisa in segmenti (o margini). La faccia superiore segue fedelmente la convessità del diaframma; tra le due superfici è teso il legamento falciforme che delimita il lobo destro da quello sinistro dell’organo. Sulla faccia inferiore del f., al centro, si trovano tre solchi disposti a H. Due decorrono in senso anteroposteriore e corrispondono alle fosse sagittali destra (che contiene anteriormente la cistifellea e posteriormente la vena cava) e sinistra (che delimita i due lobi e accoglie anteriormente il legamento rotondo). Il solco trasversale corrisponde all’ ilo del f., e accoglie l’arteria epatica, la vena porta, i nervi, il coledoco. Insieme a numerosi linfonodi, tutte queste formazioni sono situate tra le pagine del piccolo omento, teso tra l’ilo del f., la piccola curva gastrica ( legamento epato-gastrico) e il duodeno ( legamento epato-duodenale). Anteriormente all’ilo si trova il lobo quadrato e posteriormente quello caudale o di Spigelio. La faccia posteriore è parzialmente sprovvista di rivestimento peritoneale, perché la sierosa al suo livello riveste il diaframma, in alto, e la parete posteriore dell’addome in basso: le pieghe di riflessione che ne derivano costituiscono il legamento coronario. Il f. ha un involucro proprio, detto capsula di Glisson, fatta di tessuto fibroso e fibre muscolari. Da esso partono setti fibrosi profondi che accompagnano i vasi sanguiferi e i condotti biliari.
Secondo l’impostazione classica, la struttura del f. è del tipo lobulare, costituita da numerose piccole ‘unità anatomiche’ dette lobuli, a forma di prisma poliedrico, delimitate da un rivestimento fibroso. Ciascuno è percorso centralmente da una vena (radice delle vene sovraepatiche); attorno a essa sono disposti radialmente i cordoni di cellule epatiche (trabecole di Remak), i sinusoidi, e i canalicoli biliari. Negli spazi esistenti tra lobuli epatici contigui (spazi di Kiernam) si trovano i rami della vena porta, quelli dell’arteria epatica e i dotti biliari. Questa impostazione classica è stata completamente modificata dalla teoria dell’acino epatico, ‘unità morfofunzionale’: il centro è lo spazio portale, la periferia la vena centrolobulare, il parenchima è quello irrorato da uno stesso ramo della vena porta e dell’arteria epatica. Il sangue della vena porta, attraverso i sinusoidi, cede alle cellule epatiche i prodotti dell’assorbimento intestinale e riceve i prodotti del metabolismo epatico. Attraverso la vena centrale del lobulo, quindi, il sangue si versa nelle vene sovraepatiche e nella vena cava inferiore. La bile secreta dalle cellule epatiche attraverso i capillari biliari scorre verso la periferia del lobulo, dove si versa in vasi di maggiore calibro e, infine, nelle vie biliari maggiori. La struttura lobulare permette al f. di espletare le sue varie funzioni anche quando sia mutilato o parzialmente leso (cisti, tumori ecc.).
Le funzioni del f. sono numerose e complesse. Le sue cellule epiteliali provvedono alla captazione, coniugazione ed escrezione della bilirubina che passa nella cistifellea dove, con altre componenti (colesterolo, fosfolipidi ecc.), concorre a formare la bile; questa, eliminata attraverso le vie biliari che la convogliano nel duodeno, facilita la digestione dei grassi e influenza l’ambiente chimico e batterico dell’intestino nonché la peristalsi. Al f. giunge, attraverso la vena porta, il sangue contenente il materiale nutritizio assorbito dall’intestino e destinato a subire nel f. stesso buona parte delle importanti modificazioni metaboliche che sono alla base dell’assimilazione, ossia dell’utilizzazione delle sostanze nutritive da parte delle cellule dell’organismo, ai fini dei bisogni immediati e dell’immagazzinamento dei materiali di riserva. Nel f. una parte degli zuccheri semplici viene trasformata in glicogeno e questo, a sua volta, viene scisso, a seconda delle richieste dell’organismo, in glucosio (glicogenolisi ➔ glicogeno). Gli amminoacidi vengono sottoposti a deamminazione, o utilizzati per sintetizzare alcune delle proteine del plasma sanguigno tra cui il fibrinogeno e la protrombina, importanti fattori della coagulazione del sangue. Nel ricambio dei grassi l’intervento epatico opera tra l’altro la β-ossidazione degli acidi grassi, la sintesi dei fosfatidi, la sintesi dei trigliceridi, la sintesi e l’esterificazione della colesterina. Anche alcuni ormoni (corticosteroidi, tiroxina ecc.) subiscono modificazioni metaboliche a opera del fegato. Questo, inoltre, svolge un’importante attività disintossicante (mediante processi di degradazione ossido-riduttiva e di coniugazione con glicina, acido glucuronico, acido solforico ecc. ➔ protettivo), è l’esclusivo produttore delle albumine e quindi esplica azione regolatrice sulla stabilità dell’equilibrio colloidale del plasma, interviene nel metabolismo di molte vitamine (in particolare delle vitamine A, B1, B2, B12, PP e K, delle quali è il principale organo di deposito), partecipa alla regolazione del ricambio idrosalino e funge da emuntorio, attraverso l’eliminazione con la bile di scorie metaboliche e di alcune sostanze introdotte nell’organismo con diverso scopo (terapeutico, diagnostico, voluttuario ecc.).
Nell’embrione il f. provvede alla produzione delle cellule del sangue (emopoiesi), funzione che poi sarà svolta prevalentemente dal midollo osseo, mentre il f. parteciperà – attraverso l’attività delle cellule del Kupffer – alla distruzione dei globuli rossi invecchiati (emocateresi) e immagazzinerà la vitamina B12 (➔ anemia).
In caso di epatopatia, oltre agli elementi clinici che emergono dall’anamnesi e dall’esame obiettivo, si rendono generalmente necessari particolari accertamenti rivolti a una compiuta formulazione diagnostica, e, in taluni casi, anche allo scopo di precisare lo stadio evolutivo dell’epatopatia, o di controllare l’efficacia della terapia attuata, o di facilitare un eventuale intervento chirurgico. Nella maggior parte dei casi sono sufficienti gli esami di laboratorio: determinazione delle proteine circolanti e distribuzione delle singole frazioni (esame elettroforetico); determinazione dell’attività transaminasica del siero (➔ transaminazione), della fosfatasi alcalina plasmatica, della latticodeidrogenasi, della γ-glutammiltranspeptidasi ecc. Altre indagini di laboratorio (chimiche, immunologiche, morfologiche) consentono di diagnosticare ora processi morbosi che coinvolgono solo o anche il f. (per es., cisti d’echinococco), ora malattie generali, a eziologia diversa, con compromissione epatica (lue, amebiasi, salmonellosi, leucemie e numerose altre affezioni). Tra le indagini strumentali, oltre a quelle radiologiche (colecistografia, colangiografia, splenoportografia), ecotomografiche ecc., altri mezzi di indagine sono l’ epatoscintigrafia, o scintigrafia epatica (per la quale si impiega generalmente l’oro radioattivo, 198Au ➔ scintigrafia), specialmente indicata per individuare cavità ascessuali o formazioni neoplastiche o comunque processi morbosi più o meno circoscritti; la biopsia epatica, che consiste nello studio istologico di un frammento di tessuto epatico, di solito prelevato mediante uno speciale ago cavo (agobiopsia epatica): l’infissione di quest’ultimo può essere effettuata attraverso la parete addominale oppure sotto controllo laparoscopico (agobiopsia epatica guidata). Nei casi di ipertensione portale è indicata la splenoportografia.
F. di Piacenza Modello di fegato in bronzo (non prima del 3° sec. a.C.), trovato a Settima nel Piacentino nel 1877 e ora conservato nel Museo Civico di Piacenza: è ripartito in 16 caselle con incisi vari nomi di divinità etrusche; doveva servire all’epatoscopia astrologica.