Trattamento di decomposizione che si fa subire a sostanze naturali a opera di reattivi chimici, del calore, della pressione (come, per es., al legno quando lo si tratta con bisolfito di calcio per togliere le sostanze incrostanti la cellulosa e ottenere questa più o meno pura).
Operazione con la quale si mantiene una sostanza a contatto di un solvente, in ambiente non molto caldo (40-60 °C), per un tempo più o meno lungo così da poter estrarre determinati composti contenuti nella sostanza iniziale.
Processo di stabilizzazione biologica dei fanghi prodotti negli impianti di depurazione delle acque di rifiuto. Viene effettuata, in condizioni aerobiche o anaerobiche, nei digestori: nei medi e grandi impianti questi sono costituiti da vasche cilindriche con fondo e copertura troncoconici, a volte parzialmente interrate, nelle quali vengono immessi i fanghi da sottoporre a digestione. Nei piccoli impianti si adoperano di frequente come digestori le stesse vasche che servono per la chiarificazione, utilizzando, per tale operazione, i compartimenti inferiori delle vasche medesime. I digestori usati per il trattamento aerobico dei fanghi sono del tutto simili alle vasche nelle quali si effettua il processo a fanghi attivati, impiegato per la depurazione biologica dei liquami.
In fisiologia, il complesso dei processi meccanici e chimici che avvengono a livello del tubo digerente al fine di rendere gli alimenti utilizzabili ai fini della nutrizione. Generalmente gli alimenti non sono in condizioni di essere direttamente assorbiti; il più delle volte si trovano sotto forma di prodotti complessi costituiti da miscele di tre categorie di composti organici: carboidrati, proteine e lipidi. Negli organismi superiori gli alimenti debbono perciò subire un processo di frammentazione e di macerazione (per i grassi di emulsionamento) e contemporaneamente un processo di degradazione chimica a opera di enzimi digestivi.
L’ apparato digerente è il complesso di organi e di strutture che adempiono negli animali all’assunzione degli alimenti e alle loro trasformazioni, fisiche (masticazione) e soprattutto chimiche (d.) e al loro assorbimento.
Nei più bassi Metazoi (come nei Celenterati e nei Platelminti) funziona da apparato digerente la cavità del celenteron, comunicante con l’esterno con una sola apertura che funziona da bocca e da ano. Un’invaginazione ectodermica, lo stomodeo, compare nei Celenterati e differenzia una faringe che favorisce la presa degli alimenti. Una successiva tappa nel differenziamento è la formazione di un’apertura posteriore, l’ano, che corrisponde a una seconda invaginazione ectodermica, il proctodeo. Si distinguono così fra i Metazoi gli Aprotti, privi di ano, e i Proctodeati.
Nei Bilateri di più elevata organizzazione il tubo digerente, che nei Metazoi pseudocelomati ha una parete epiteliale, con la formazione di una cavità secondaria del corpo tappezzata da epitelio mesodermico (celoma) aderisce al foglietto splancnico del mesoderma e ne risulta un tubo, non più esclusivamente epiteliale, ma fornito di muscolatura propria rivestita da connettivo, e capace perciò di movimenti di peristalsi. Le parti del tubo digerente sono: la bocca, il vestibolo o cavità orale, cui segue una faringe muscolosa. Nella cavità boccale e faringea sboccano ghiandole unicellulari e ghiandole pluricellulari composte: vere ghiandole salivari compaiono nei Mammiferi. Nei Vertebrati i margini boccali sono forniti di denti (cornei nei Ciclostomi, ossei negli Gnatostomi). Alla faringe segue l’esofago, lo stomaco e infine l’intestino propriamente detto. La porzione terminale dell’intestino è il retto, e se in esso convergono i dotti urogenitali, si ha la cloaca. Nei Mammiferi la cloaca manca essendo il retto separato dal seno urogenitale. Ghiandole digestive si trovano nella parete gastrica e nella parete intestinale: ma le più importanti ghiandole in rapporto con l’apparato digerente sono, nei Vertebrati, il fegato e il pancreas. Nessuna delle ghiandole che negli Invertebrati è indicata come fegato o epatopancreas è omologabile a quelle dei Vertebrati.
Nell’Uomo il tubo digerente comincia dall’orifizio orale e si estende fino all’ano per una lunghezza 6 volte circa quella del corpo: esso è diviso dal diaframma in due porzioni, una sopra- e una sottodiaframmatica (v. fig.). La prima comprende la bocca, la faringe e l’esofago, la seconda lo stomaco, il duodeno, l’intestino tenue (digiuno e ileo), il crasso (colon ascendente, trasverso, discendente o sigmoideo, intestino retto) e l’ano. Ghiandole annesse al d. sono: le ghiandole salivari, il fegato e il pancreas.
La masticazione e la concomitante insalivazione, che trasformano il cibo in bolo alimentare, rappresentano il primo momento della digestione. Il bolo viene attaccato dalla amilasi salivare (ptialina), enzima che scinde gli amidi in polisaccaridi più semplici fino al maltosio (disaccaride). Giunto il bolo nella cavità gastrica (grazie alla peristalsi esofagea e alla dilatazione attiva del cardias), vi si sofferma per subirvi la d. gastrica. A mano a mano che penetrano i boli alimentari, le pareti gastriche si dilatano attivamente per diminuzione del tono della tunica muscolare, adattandosi al volume della massa alimentare. Contemporaneamente, per opera delle ghiandole parietali, avviene la secrezione del succo gastrico, che diluisce la massa, l’acidifica (per il contenuto in acido cloridrico) sterilizzandola e digerisce le sostanze proteiche per opera dell’enzima proteolitico pepsina. Le proteine vengono così scisse in composti più semplici, detti ‘albumose’ e ‘peptoni’, che sono solubili in acqua. La durata della d. gastrica varia secondo la qualità e quantità degli alimenti (i grassi ritardano la secrezione dell’acido cloridrico e provocano una d. più lenta): per un pasto medio occorrono circa 3-4 ore.
Lo sfintere pilorico, chiuso tonicamente durante la d. gastrica, si dilata attivamente, in concomitanza con una più intensa peristalsi dell’antro: lo svuotamento dello stomaco avviene lentamente e a fiotti successivi di chimo acido, che appena penetrati in duodeno, provocano per riflesso la chiusura dello sfintere pilorico, finché il chimo, mescolandosi con i succhi alcalini pancreatico-enterici e con la bile, non è divenuto neutro o alcalino. Gli enzimi del succo pancreatico, ovvero gli enzimi proteolitici (tripsina, chimotripsina, carbossipeptidasi), lipolitici (lipasi), amilolitici (α-amilasi), portano avanti l’azione disgregatrice degli enzimi precedenti, trasformando le proteine in peptidi e amminoacidi, i polisaccaridi a maltosio, i grassi nei loro componenti (acidi grassi e glicerina). Gli enzimi del succo enterico completano la scissione enzimatica dei carboidrati trasformando il maltosio in glucosio per opera della maltasi, il saccarosio in glucosio e levulosio per opera della saccarasi (invertasi), il lattosio in glucosio e galattosio per opera della lattasi; completano pure la d. peptica delle proteine, fino ad amminoacidi, grazie all’erepsina (aminopeptidasi, tri- e dipeptidasi). La bile emulsiona i grassi e ne facilita l’assorbimento. Nell’intestino il chimo si trasforma in chilo: all’azione digerente dei succhi cooperano i movimenti intestinali (peristaltici, pendolari e segmentari). Infine si ha l’assorbimento, ossia il passaggio delle sostanze sciolte dai succhi digerenti, attraverso la parete della mucosa intestinale, negli spazi linfatici dei villi e da questi nei capillari venosi e linfatici sino alla corrente sanguigna della vena porta o linfatica dei vasi chiliferi.
Un’ultima fase digestiva ( d. secondaria o accessoria) subiscono infine i residui alimentari non digeriti e assorbiti dal tenue. Per effetto della d. secondaria si formano i gas intestinali che danno alle feci l’odore caratteristico. Connessa con l’ultima fase della d. è infine la formazione delle feci (coprogenesi) e l’espulsione di esse.