Misura convenzionale che stabilisce il rapporto fra le varie parti di un edificio e una unità base di misura.
Nell’architettura dell’età classica greca e romana l’unità base della composizione architettonica solitamente è il diametro della colonna nella sua parte più bassa (imoscapo); da tale unità discendono, per moltiplicazione o per divisione, le misure di tutte le parti dell’edificio. Accanto al m. spaziale, con l’introduzione, già in epoca ellenistica, di elementi prodotti in serie secondo dimensioni unificate, quale, per es., il mattone cotto, si viene anche a definire un nuovo tipo di m., di carattere costruttivo, che riflette le proprietà del materiale, le esigenze di produzione, di trasporto e di montaggio. Se si guarda allo sviluppo della storia dell’architettura, tuttavia, raramente la definizione del m. spaziale è al tempo stesso espressione di m. costruttivi.
La teoria del m. fu specialmente elaborata dai trattatisti del Rinascimento, entrando in relazione con la progressiva canonizzazione dei cosiddetti ordini dell’architettura (➔ ordine). Il m. fu nelle loro opere teoriche suddiviso in sottomultipli, indicati con vari nomi, mediante i quali le dimensioni e le forme di ogni membratura risultavano prestabilite sulla base di rapporti aritmetici costanti.
Con l’avvento della civiltà industriale e con il processo di trasformazione della produzione edilizia da forme artigianali a forme meccanizzate estese a tutti gli elementi della costruzione, ha assunto estrema importanza la definizione di m. (o unità di misura; sistema di misura o scala di rapporti armonici), comune denominatore per il coordinamento tra la progettazione architettonica e la produzione dell’industria, e tra i vari elementi componenti. Tra il 1942 e il 1948, Le Corbusier e collaboratori elaborarono il modulor, scala di rapporti armonici di misure relative agli spazi dell’architettura e agli elementi d’arredo, basate sulle principali dimensioni del corpo umano che, quale sistema di misure antropomorfo, venne applicato compiutamente per la prima volta nella realizzazione dell’Unità di abitazione di Marsiglia (1947-52). Tale sistema di riferimento proporzionale si basa su due misure ben precise di una figura umana covenzionale, ossia sulla statura, assunta convenzionalmente di 1,829 m, e sull’altezza a braccio alzato (che di conseguenza è di 2,260 m) e si articola in due serie di misure, la rossa e la blu, che si ottengono con il procedimento di divisione in successive sezioni auree. Le misure che ne scaturiscono hanno una ricaduta immediata nell’architettura determinando le dimensioni degli spazi e degli elementi che compongono l’architettura stessa.
È detta m. di distanza la distanza di un oggetto celeste espressa in termini della differenza tra la grandezza apparente m dell’oggetto e quella della sua grandezza assoluta M. Dal m. di distanza si può ricavare la distanza dell’oggetto considerato a mezzo della relazione M=m+5+5lgr, dove r, distanza dell’oggetto, è espressa in parsec.
In genetica, m. di lettura (reading frame), scansione periodica di tre in tre nucleotidi, che determina la traduzione del messaggio genetico nella sequenza di amminoacidi di una proteina funzionale (➔ codice).
Il m. di lettura aperto (ORF, open reading frame) è privo di codone di terminazione.
Il m. di lettura chiuso (CRF, closed reading frame) contiene codoni di terminazione che impediscono la traduzione. Lo slittamento del m. di lettura (frameshift) è la traduzione difettosa causata da mutazioni per inserimento o perdita di una base.
M. di un numero reale relativo è il suo valore assoluto, cioè il numero considerato a prescindere dal segno; m. di un numero complesso z=x+iy è il numero reale non negativo ρ=√‾‾‾‾‾‾x2+y2‾‾ e se il numero complesso è scritto nella forma r(cosϕ + i senϕ) il m. è r; m. di un vettore, nello spazio ordinario o in un iperspazio, è la lunghezza del vettore stesso, che risulta espressa dalla radice quadrata della somma dei quadrati delle sue componenti. M. di una funzione analitica f(z)=u(x, y)+i v(x, y) è la funzione reale non negativa √‾‾‾‾‾‾u2+v2‾‾.
Nella teoria dei numeri si parla di m. di una congruenza: si dice che a è congruo a b secondo il modulo m [in simboli: a≡b (mod. m)], se a−b è multiplo di m.
In algebra si intende per m.: a) l’elemento identico di un gruppo, di un anello ecc. (il m. di un gruppo di trasformazioni è la trasformazione identica; il m. dell’anello dei numeri interi è il numero 1); b) un gruppo abeliano scritto in forma additiva (la legge di composizione del gruppo si indica col segno +, l’elemento identico con lo zero ecc.).
A-m. (o gruppo commutativo sopra un anello A) Gruppo abeliano al quale è stata attribuita anche una legge di composizione esterna tra i suoi elementi e gli elementi di un anello; quest’ultimo appare così come un anello di ‘operatori’ sul gruppo. Precisamente siano dati un m. M e un anello, anche non commutativo, A; si assegni ora una legge che a ogni coppia di elementi (m, a), appartenenti il primo a M e il secondo ad A, associ un elemento di M, in maniera però che riesca verificata la proprietà distributiva sia rispetto all’operazione di composizione in M sia rispetto alla somma in A, e inoltre sia soddisfatta la proprietà associativa. Indicando con a, b elementi di A e con m, n elementi di M, queste tre condizioni si scrivono allora:
(a+b)m=am+bm, a(m+n)=am+an,
a(bm)=(ab)m.
Più precisamente, le relazioni ora scritte valgono per un A-m. sinistro, così chiamato in quanto gli operatori, ossia gli elementi di A, sono scritti a sinistra degli elementi di M: se, invece, valgono le relazioni ottenute scrivendo a destra degli elementi di A si parla di A-m. destro. Le strutture algebriche di A-m. sinistro e destro coincidono ovviamente se l’anello è commutativo, e cioè ab=ba; anche nel caso generale esse sostanzialmente coincidono, perché un A-m. sinistro si può sempre interpretare come un m. destro rispetto a un altro anello A′. Casi particolari di A-m. sono gli ideali di un qualsiasi anello; un altro esempio è fornito dagli spazi vettoriali (qui l’anello degli operatori è un corpo, di solito il corpo dei numeri reali).
In analisi, m. di continuità di una funzione continua f(x), considerata in un intervallo chiuso, per es. [0, 1], è la funzione m(δ) definita, per ogni δ in [0,1], dal massimo delle differenze |f(x)−f(y)| con |x−y|<δ. Il m. di continuità trova applicazioni nei problemi in cui si deve approssimare mediante polinomi una funzione assegnata.
M. mentali, secondo la teoria elaborata nel 1983 dallo scienziato cognitivista J.A. Fodor, sono i meccanismi che presiederebbero alla ‘computazione’ degli input sensoriali. Ciascuno di questi meccanismi, e in particolare l’insieme specializzato dei m. preposti alla comprensione del linguaggio, sarebbe dotato di specifiche funzionalità algoritmiche, di una sorta di ‘teoria interna’ tramite la quale elaborare, in forma separata, le caratteristiche dell’informazione sensoriale. Tale teoria interna sarebbe un prodotto dell’evoluzione e si sarebbe costituita in modo tale da rendere accessibili le varianti dell’informazione percettiva afferente a ogni modulo. Così, per es., i m. di apprendimento del linguaggio recherebbero impressi universali linguistici con i quali operare in domini sensoriali appropriati, nei quali le proprietà di tali universali possano risultare applicabili.
Nelle tecnologie elettroniche e spaziali, parte di un apparecchio, ben individuabile e adempiente a una specifica funzione.
Nella teoria dell’elasticità e in particolare nella scienza delle costruzioni e nelle costruzioni meccaniche, si chiamano m. di elasticità longitudinale e m. di elasticità trasversale due costanti caratteristiche di ogni materiale supposto perfettamente elastico; esse intervengono nelle relazioni fondamentali che legano le deformazioni (allungamento e scorrimento unitari) alle tensioni normale e tangenziale. Il m. di elasticità longitudinale o m. di Young viene di solito contrassegnato con la lettera E; quello di elasticità trasversale con la lettera G. I due m. sono poi tra loro legati dalla relazione E=2G(ν+1)/ν, con ν coefficiente di Poisson. Il valore del m. di Young di un materiale può essere ricavato sperimentalmente da una prova di trazione o da una prova di flessione; altri metodi per determinare il valore di E sono basati sulla misurazione della frequenza di risonanza di un elemento opportunamente vincolato (per esempio, di una lamina incastrata), o sulla misurazione della velocità di propagazione delle onde acustiche nel materiale stesso. Il valore del m. di elasticità trasversale può essere ricavato da una prova di torsione.