Rapporto che collega, in maniera essenziale o accidentale, due o più cose, fatti, concetti.
Esposizione, orale o scritta, con cui si danno informazioni intorno allo stato di una questione, ai risultati di una perizia, ai lavori compiuti da una commissione, da un organo collegiale.
Si parla di vita di r. per indicare il complesso delle funzioni, dette funzioni di r., che si esplicano nelle r. delle piante con l’ambiente esterno, per es. in rapporto all’impollinazione e alla disseminazione, alle difese delle piante dai parassiti vegetali e animali, ai movimenti ecc.
R. diplomatiche Il modo di essere che, in base a un accordo tra due Stati, i rapporti tra di essi assumono per il fatto che uno Stato (Stato inviante o accreditante) istituisce nel territorio dell’altro (Stato ricevente o accreditatario) un organo (rappresentanza o missione diplomatica) preposto in modo normale e permanente allo svolgimento dei rapporti stessi. Di regola, ma non necessariamente, l’istituzione dell’organo delle r. diplomatiche è reciproca, nel senso che ciascuno dei due Stati accredita presso l’altro il proprio agente. Normalmente tale organo delle r. diplomatiche è diretto da un agente che risiede in modo permanente nel territorio dello Stato presso il quale è accreditato; in linea eccezionale, l’organo stesso può essere costituito da un agente che risiede di solito nel territorio di un terzo Stato, presso il quale è contemporaneamente accreditato. Nello svolgimento delle r. diplomatiche, gli Stati agiscono come soggetti di diritto internazionale, cioè pongono in essere atti destinati a produrre effetti di diritto internazionale. L’esistenza di regolari r. diplomatiche presuppone quindi, e conferma: la personalità di diritto internazionale dell’uno e dell’altro Stato; il reciproco riconoscimento; la reciproca indipendenza; la titolarità in entrambi del diritto di legazione attiva e passiva; l’esistenza di relazioni pacifiche tra i due Stati. Le r. diplomatiche possono avere per contenuto tutte le forme che i rapporti tra i due Stati sono suscettibili di assumere (politica, economica, militare, culturale ecc.). Le r. diplomatiche possono subire, infine, crisi di varia portata: estinzione (per il venir meno della personalità di diritto internazionale dello Stato inviante o dello Stato ricevente); rottura (per il richiamo dell’una e dell’altra missione diplomatica nel suo complesso, in seguito a una grave tensione dei rapporti politici tra i due Stati o per l’instaurarsi dello stato di guerra); affievolimento (l’avvenuto richiamo del capo missione titolare da parte dello Stato inviante o la sua espulsione da parte dello Stato ricevente per ragioni di carattere politico). La disciplina consuetudinaria della materia è stata codificata con la Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961 sulle r. diplomatiche. R. esterne dell’Unione Europea La UE, in quanto organizzazione internazionale avente personalità giuridica (art. 281 TCE), ha la capacità di instaurare relazioni con Stati terzi e di stipulare accordi internazionali. Le relazioni esterne della UE sono coordinate e devono svolgersi in cooperazione tra Stati membri e UE, secondo la disciplina dei trattati in materia di politica estera e di sicurezza comune (art. 11 TUE e s.) e in materia di conclusione di accordi. Tale disciplina è oggetto di norme dei trattati (art. 300 TCE e s.), mentre gli accordi sono regolati dal diritto internazionale; altresì regolata dal diritto UE è la determinazione delle competenze della Comunità e degli Stati nell’ambito della stipula degli accordi, le modalità di istituzione delle rappresentanze, il mantenimento delle relazioni e dei rapporti diplomatici. Nell’ambito delle competenze esterne, la UE può concludere diverse tipologie di accordi. Tra questi rientrano gli accordi in materia di politica commerciale (art. 133 TCE), e cioè relativi a modificazioni tariffarie, misure di aiuti all’esportazione, misure di difesa commerciale. Altra categoria di accordi che la UE può concludere è quella degli accordi di associazione (art. 310 TCE). Sono tali gli accordi che istituiscono un’associazione tra organizzazioni internazionali caratterizzata da diritti e obblighi, azioni in comune e procedure particolari; possono avere ad oggetto un numero ampio di materie, incluse quelle che non rientrano nella competenza della UE. Nella stipulazione degli accordi di associazione la UE ha competenza esclusiva. L’Unione Europea ha una più generale competenza a concludere accordi con Stati terzi nelle materie in cui esercita il potere di adozione di atti normativi, e ciò al fine di garantire un’efficace attuazione delle politiche comunitarie. Quando l’oggetto di un accordo rientra nella competenza sia dell’UE che degli Stati membri, per la sua conclusione occorre la partecipazione dell’UE e degli stessi Stati (cosiddetti accordi misti).
R. industriali L’insieme delle norme (formali o informali) dirette alla gestione delle politiche del lavoro e delle relazioni sindacali. Il sistema delle r. industriali si è affermato nelle democrazie capitalistiche di pari passo con l’estensione dei meccanismi del welfare State (➔), venendo a costituire un contesto di r. specifiche e differenziate, all’interno del sistema politico, nel quale si svolgono processi di scambio e di decisione in materia di politiche economiche e sociali rilevanti per l’intera collettività. Principali attori delle r. sindacali sono le cosiddette parti sociali, termine che identifica le organizzazioni rappresentative dei lavoratori, da un lato, e dei datori di lavoro, dall’altro, ai quali si aggiunge, sempre più di frequente, lo Stato in funzione di mediatore o di portatore di interessi. Questo confronto – bilaterale o trilaterale – si svolge normalmente distinto in almeno due fasi: negoziazione e regolazione. La prima fase è regolata a livello comunitario dagli art. 138 e 139 del TCE (come modificato dal Trattato di Amsterdam del 1997), che hanno individuato nel metodo del «dialogo sociale» lo strumento di gestione, da parte della Commissione Europea, della politica sociale. Essa si svolge, in Italia, principalmente sotto forma di concertazione triangolare – tra Stato e parti sociali – e di concertazione locale – mediante patti di integrazione sociali, patti di sperimentazione organizzativa e patti di innovazione regolativa. La fase della regolazione, invece, riguarda la decisione e, spesso, la formalizzazione di tutte quelle norme che andranno a governare i rapporti di lavoro dipendente.
In dottrina, con particolare riferimento alle esperienze europee e nordamericane sono stati individuati tre modelli fondamentali di r. industriali. Nel cosiddetto modello pluralista lo strumento di regolazione tipico è la contrattazione collettiva, la cui struttura presenta gradi notevoli di autonomia e scarsa centralizzazione; i criteri di regolazione dominanti sono quelli del mercato, anche se possono continuare a operare, in luoghi e settori particolari, criteri legati alla tradizione. Un secondo modello, sotto molti aspetti speculare rispetto al primo, è quello statalista (rispetto al quale, in realtà, è improprio parlare di r. industriali), in cui la contrattazione collettiva è sostituita dall’intervento legislativo, oppure opera entro strutture totalmente eteronome e con forte centralizzazione (almeno per quanto attiene alla contrattazione formale e ufficiale); in questo caso dominano i criteri politici di regolazione – in versione autoritaria – che filtrano anche le possibili esigenze del mercato. Infine, il modello partecipativo o del pluralismo fortemente organizzato, storicamente nato dalla reazione alla crisi del modello pluralista puro nelle società industriali europee con assetti socialdemocratici; qui la contrattazione collettiva continua a svolgere un ruolo decisivo – pur affiancandosi a forme di partecipazione nelle imprese e nella gestione delle politiche economiche e sociali – e può mantenere una struttura autonoma, ma è fortemente controllata al suo interno dai livelli centrali di negoziazione. I criteri politici si affiancano a quelli di mercato, con effetti di moderazione o di composizione dei contrasti di interesse. Possono diffondersi criteri di regolazione di carattere associativo-collaborativo.
R. generale sulla situazione economica del paese Documento fondamentale, che deve essere presentato al Parlamento entro il mese di marzo dal ministro dell’Economia e delle Finanze e che analizza le vicende della situazione economica nell’anno precedente. Con il bilancio di previsione e con la relazione annuale della Banca d’Italia costituisce uno dei principali schemi analitici di valutazione del panorama economico nazionale. R. umane Indirizzo di ricerca sull’organizzazione di lavoro nelle imprese che studia l’insieme delle r. di gruppo, sostanzialmente informali, che si instaurano nei luoghi di lavoro fra i diversi soggetti coinvolti nel processo produttivo, dando luogo di norma a dinamiche integrative e cooperative fra gli stessi membri del gruppo. Il termine fu coniato negli anni 1930 da E. Mayo, un docente di filosofia sociale incaricato dalla Western Electrics di Chicago di elaborare un piano di riorganizzazione del lavoro interno all’azienda che consentisse di massimizzare le quote di produttività e di profitto. Le ricerche di Mayo inaugurarono una vera e propria scuola di pensiero che tendeva a dimostrare come, introducendo elementi di forte motivazione personale e di identificazione con gli obiettivi aziendali nell’azione dei lavoratori, si potesse ottenere un’autoregolamentazione spontanea dei gruppi con logiche di r. diverse da quelle codificate, e fortemente orientate in senso cooperativo e integrativo.
Una delle categorie aristoteliche, intesa come ciò «il cui essere consiste nel comportarsi in un certo modo verso qualcosa». Essa è tuttavia, in quanto presuppone i termini che mette in r., la categoria più lontana dalla sostanza. Platone nella sua teoria delle idee aveva esplicitamente sostenuto l’oggettività delle r., ma è controverso di che tipo di esistenza esse godessero. Secondo Aristotele è escluso che le sostanze prime possano mai essere r., ed è problematico attribuire questa caratteristica alle sostanze seconde. L’ammissione, peraltro, da parte di Aristotele di altri tipi di r., per es., di quelle legate al concetto di potenza, prospetta come plausibile una loro realtà. Gli stessi problemi si ritrovano in Plotino, in cui si tenta una conciliazione tra teoria aristotelica delle r. e dottrina platonica delle idee. Questa problematica fondamentale sarà successivamente sviluppata ancora in chiave metafisica nel pensiero medievale, e in chiave gnoseologica, poi, nel pensiero moderno: realtà cioè della r. rispetto ai suoi termini e oggettività della stessa. La speculazione medievale riprende gli spunti aristotelici, distinguendo tra r. reali e r. come enti di ragione.
Nell’ambito dell’empirismo, J. Locke concepì la r. come idea complessa e innanzitutto quindi come soggettiva, mentre ipotetica rimane una conformità reale dei suoi referenti. D. Hume sostenne l’assoluta soggettività delle r., negando quindi loro necessità oggettiva e universalità. I. Kant affermò invece la validità oggettiva delle r., intendendole come categorie o forme secondo le quali l’intelletto opera a priori la sintesi in virtù della quale il molteplice, intuitivamente dato, è unificato in oggetti. La realtà delle r. fu di nuovo messa in questione dal neoidealismo di F.H. Bradley, che attribuì a tutta la realtà natura relazionale, considerandola per questo mera apparenza.
Nella filosofia della matematica e nella logica ottocentesca il concetto di r. fu utilizzato per l’elaborazione di una teoria dell’influenza in grado di superare l’ambito della sillogistica aristotelica, limitata alle proposizioni soggetto-predicato. Sviluppata tecnicamente sia da E. Schröder sia da C. Peirce, la nozione di r. fu largamente utilizzata da B. Russell e A.N. Whitehead.
Nella teoria degli insiemi il concetto di r. tra due o più insiemi E, F, G, … equivale alla nozione di sottoinsieme dell’insieme prodotto E×F×G× … Se gli insiemi sono in numero di n la r. si dice r. n-aria, in particolare binaria, ternaria, quaternaria, se n=2, 3, 4 rispettivamente. Una r. unaria o proprietà individuale di elementi di un insieme I è un sottoinsieme di I. Segue che l’insieme delle parti di I, P(I), rappresenta tutte le possibili proprietà degli elementi di I. Inoltre, i singoli elementi di I possono essere considerati come r. nullarie su I. Si considerano spesso r. in cui gli n insiemi fattori del prodotto cartesiano sono identici; in questi casi si usa parlare di r. n-arie su un insieme. Quando poi una r. R su un insieme risulta binaria, oltre alla forma insiemistica si usa anche indicarla scrivendo il simbolo R tra gli elementi di ciascuna coppia. Per es., per indicare la r. binaria < (minore), definita sull’insieme I = {0,1,2}, oltre alla forma insiemistica {(0,1), (0,2), (1,2)} si usa scrivere 0<1, 0<2, 1<2. Cioè, per indicare che due elementi a, b sono nella r. R si usa scrivere a R b.
Una r. binaria su un insieme I è un sottoinsieme dell’insieme I2. Il sottoinsieme improprio I2 si dice r. totale, quello contenente tutte e solo le coppie costituite da elementi uguali di I si dice r. diagonale e corrisponde alla r. di identità. Si dice dominio (o prima proiezione) di R su I il sottoinsieme di I costituito dagli elementi di I che compaiono al primo posto in qualche coppia appartenente a R; si dice codominio (o seconda proiezione) il sottoinsieme di I costituito dagli elementi di I che compaiono al secondo posto in qualche coppia di R; si dice campo di R l’unione del dominio e del codominio.
Una r. R sull’insieme I si dice riflessiva, se, per ogni x ∈ I, x R x; ariflessiva se, per ogni x ∈ I, non è x R x; simmetrica se, per ogni x, y ∈ I, x R y implica y R x; asimmetrica se, per ogni x, y ∈ I, x R y non implica y R x; antisimmetrica se, per ogni x, y ∈ I, x R y e y R x implicano x = y; transitiva se per ogni x, y, z ∈ I, x R y e y R z implicano x R z; connessa se, per ogni x, y ∈ I, x R y o y R x o x = y; densa se, per ogni x, y ∈ I, x R y e x≠y implicano l’esistenza di un elemento z ∈ I, distinto da x e da y, tale che x R z e z R y; idempotente qualora, per ogni x, y ∈ I, x R y se e solo se esiste un elemento z ∈ I, tale che x R z e z R y; nilpotente se, per ogni x, y ∈ I, non esiste un elemento z ∈ I, tale che x R z e x R y; univoca a sinistra se, per ogni x, y, z ∈ I, x R z e y R z implicano x = y; univoca a destra se, per ogni x, y, z ∈ I, x R y e x R z implicano y = z; biunivoca se è univoca a sinistra e a destra.
Una r. si dice r. di equivalenza se è riflessiva, simmetrica e transitiva; essa induce sul suo campo una partizione in classi di equivalenza. Una r. si dice r. d’ordine parziale se è ariflessiva e transitiva (e quindi anche asimmetrica) ovvero se è riflessiva antisimmetrica e transitiva. Una r. si dice r. d’ordine totale se è d’ordine parziale e, inoltre, connessa. Esempi: la r. ‘minore’ definita sull’insieme dei numeri razionali è ariflessiva, asimmetrica, transitiva, connessa, idempotente, d’ordine totale, densa; la r. ‘divisore’ definita sull’insieme dei numeri naturali è riflessiva, antisimmetrica, transitiva, d’ordine parziale; le applicazioni, come si è già osservato, sono sempre univoche a destra. In generale le proprietà delle r. si traducono in proprietà geometriche dei rispettivi diagrammi e grafi orientati. Inoltre alcune proprietà delle r. possono implicarne altre. Per es., una r. asimmetrica è ariflessiva ecc.
Siccome le r. su un insieme I sono elementi dell’insieme P (I2), è possibile definire tra di esse, in modo ovvio, la r. di inclusione ⊂, l’operazione di intersezione ⋃, quella di unione ⋂, quella di complementazione, nonché i concetti di classe totale e di classe vuota. Per es., si dirà che la R è l’intersezione delle r. S e T, in simboli: R = S ⋃ T, se R è costituita dalle coppie appartenenti a entrambe le r. S e T. Così se S è la r. ‘divisore’ sull’insieme dei numeri naturali e T è la r. ‘minore’ sullo stesso insieme, R = S ⋃ T risulta essere la r. ‘divisore proprio’, sempre sull’insieme dei numeri naturali.
Oltre alle operazioni insiemistiche precedentemente indicate, dette operazioni booleane, tra le r. si possono introdurre altre operazioni specifiche, dette peirciane o schröderiane, dai nomi dei logici C.S. Peirce e E. Schröder che le hanno studiate per primi. Date due r. R ed S sull’insieme I, dicesi loro prodotto relativo o concatenazione e si indica con R×S o con R/S, la r. T costituita da tutte le coppie (x, y) ∈ I2, tali che esista un elemento z ∈ I che verifica le condizioni (x, z) ∈ R e (z, y) ∈ S. In particolare il prodotto relativo di una r. per se stessa dicesi quadrato relativo. Date due r. R ed S sull’insieme I, dicesi loro somma relativa, e si indica con R⊕S, la r. T costituita da tutte le coppie (x, y) ∈ I2, tali che esista un elemento z ∈ I che verifichi almeno una delle due condizioni (x, z) ∈ R, (z, y) ∈ S. Data una r. R sull’insieme I, dicesi suo converso o inverso e si indica Ř o R–1 la r. costituita da tutte le coppie (x, y) ∈ I2, tali che (y, x) ∈ R.
Tra le operazioni peirciane si definiscono anche l’operazione zero-adica di diagonale, già introdotta, e quella, pure zero-adica, di antidiagonale come la r. complementare della diagonale.
Si dicono relazionali le psicoterapie che si fondano sulla r. fra il terapista e il paziente, r. intesa come l’effettivo elemento di modificazione psichica. Padre della terapia relazionale è considerato lo psichiatra statunitense H.S. Sullivan.