Ciascuno degli enti astratti che costituiscono una successione ordinata e che, fatti corrispondere ciascuno a ciascun oggetto preso in considerazione, servono a indicare la quantità degli oggetti costituenti un insieme.
Nell’uso comune i n. sono adoperati: a) per indicare il posto occupato da un oggetto in una serie ordinata (per es., il giorno 7 del mese); b) per rispondere alla domanda: di quanti oggetti è costituito un dato insieme?; c) come rapporti tra grandezza della stessa specie, ossia come misura di una grandezza rispetto a un’altra. I n. presi nelle accezioni a) e b) sono i n. naturali, concepiti rispettivamente come ordinali o come cardinali. Invece il significato c) conduce a una prima estensione del concetto di n., per cui accanto ai n. naturali si introducono dapprima i n. fratti, o frazioni, e poi i n. irrazionali (➔ irrazionale).
In senso lato si può qualificare come n. ogni elemento di un insieme nel quale sia assegnata una struttura algebrica: di solito si tratta di una struttura di anello (per es., i n. interi), che peraltro, in molti casi, si arricchisce e si articola maggiormente in quella di corpo (per es., i quaternioni) o addirittura di campo, come i n. razionali, i n. reali, i n. complessi.
N. naturali
Caratteri generali. - Si chiamano n. naturali gli elementi della successione 0, 1, 2, 3, … La nozione di n. naturali è stata presentata in forma assiomatica da vari autori, tra cui G. Peano che, utilizzando le ricerche e i risultati di R. Dedekind e tralasciando ogni indagine sulla genesi del concetto di n., assume come nozioni primitive quelle di n., di zero e di successivo di un n. e pone i seguenti 5 postulati: 1) lo zero è un n.; 2) ogni n. a ammette un successivo a′; 3) se a e b sono due n. e se i loro successivi sono uguali, a e b sono uguali; 4) lo zero non è il successivo di nessun n.; 5) se A è una classe di n. contenente lo zero, e se la classe formata dai successivi degli elementi di A è contenuta in A, allora ogni n. è contenuto in A (postulato di induzione matematica). Si definiscono poi, con procedimento induttivo, le nozioni di somma e di prodotto; per la somma (simbolo +) si pone a+0=a e a+1=a′ (successivo di a) e poi, in generale, a+b′=(a+b)′; per il prodotto (simbolo ∙) si pone a ∙ 0=0, a ∙ 1=a, a ∙ b′=a∙b + a. Valgono, per le operazioni così definite, le seguenti proprietà:
a + b = b + a
a ∙ b = b ∙ a }(commutativa);
a + (b + c) = (a + b) + c
a ∙ (b ∙ c) = (a ∙ b) ∙ c }(associativa);
da a+b=a+c segue b=c (legge di cancellazione della somma);
da a∙b=a∙c e a≠0 segue b=c (legge di cancellazione del prodotto);
da a∙b=0 segue a=0 oppure b=0 (legge di annullamento del prodotto);
a∙ (b+c)=a∙b+a∙c (proprietà distributiva del prodotto rispetto alla somma). Le due proprietà associative permettono di definire la somma e il prodotto di più di due n. e per tali operazioni seguitano a valere le proprietà indicate. Ciascuna delle operazioni descritte applicata a n. naturali dà come risultato ancora un n. naturale, cosa che si esprime affermando che l’insieme dei n. naturali è chiuso rispetto alle operazioni di somma e prodotto.
Estensione del sistema dei n. naturali. - Il sistema dei n. naturali può essere ‘esteso’ a quello dei n. interi, razionali, reali, complessi. Denotiamo con N il sistema dei n. naturali. Definiamo innanzitutto la seguente relazione R tra coppie ordinate qualsivoglia di n. naturali, (a, b), (c, d):
R[(a, b), (c, d)] def a+d = b+c.
Attraverso la relazione R si esprime l’idea intuitiva del sussistere o meno di ‘una stessa differenza’ fra il primo e il secondo elemento di ogni coppia di n. naturali, senza fare appello all’operazione di sottrazione, che non è definita su tutti i n. naturali. Si dimostra che R è una relazione di equivalenza; come tale indurrà sulla classe di tutte le coppie ordinate di n. naturali una partizione in classi di equivalenza; data una coppia (a, b), denotiamo con [(a, b)]R la classe di equivalenza modulo R corrispondente. Identifichiamo allora ogni n. intero con un’opportuna classe di equivalenza, e la classe dei n. interi con la classe di tutte le classi [(a, b)]R, per ogni n. naturale (a, b). Per es., l’intero −1 corrisponderà a [(0, 1)]R, l’intero +3 corrisponderà a [(3, 0)]R, l’intero 0 corrisponderà a [(0, 0)]R e così via. A questo punto, a partire dall’addizione e moltiplicazione fra n. naturali (operazioni che abbiamo ipotizzato note), si riescono a definire operazioni con analoghe proprietà fra i n. interi, intesi nel modo suindicato. S’introducono inoltre i concetti di «inverso additivo» e di «sottrazione», che risultano godere delle proprietà volute, e la relazione di «essere minore», che viene a determinare sull’insieme dei n. interi un ordinamento senza primo né ultimo elemento. Chiamiamo Z il sistema dei n. interi così ottenuto; in che senso Z è un’‘estensione’ di N? Non in senso ontologico, poiché Z non contiene, per la sua definizione, n. naturali; Z è invece «estensione di N a meno di isomorfismi»: si dimostra cioè che Z contiene una sottostruttura che è isomorfa a N nel senso che i suoi elementi, rispetto alle operazioni e relazioni che ci interessano, si comportano esattamente come i n. naturali, e quindi possono, sotto questo aspetto, essere identificati con essi. È ovvio che Z, pur essendo più ampio di N, può essere messo in corrispondenza biunivoca con N; il ‘grado di infinità’ di Z non è cioè maggiore di quello di N; si usa dire che la cardinalità di Z e di N coincidono. Per quanto riguarda i n. razionali, essi sono introdotti come classi di equivalenza di coppie ordinate di n. interi; precisamente, le coppie (a, b) e (a′, b′) (con b e b′ differenti da zero) si dichiarano equivalenti se ab′=a′b: la totalità delle coppie tra loro equivalenti è un n. razionale e ciascuna delle coppie fornisce, con il suo primo e il suo secondo elemento, il numeratore e rispettivamente il denominatore di una delle frazioni con le quali si rappresenta usualmente il n. razionale stesso. In definitiva, l’insieme dei n. razionali ha come elementi le suddette classi di equivalenza. Definiremo la classe Q dei n. razionali come la classe di tutte le classi di equivalenza sopraindicate. Anche in questo caso risultano definibili le operazioni di addizione, moltiplicazione, sottrazione, e inoltre Q sarà chiuso rispetto alla divisione. Si introdurrà in Q una relazione d’ordine, a partire da quella di minore fra n. naturali; anche tale ordine risulta essere senza primo né ultimo elemento. Si dimostra poi che Q, come già Z, è un’estensione di N a meno di isomorfismi; malgrado ciò, anche Q ha la stessa cardinalità di N (➔ razionale).
Come la fondazione del sistema dei n. naturali, anche la sua estensione ai n. reali ha costituito un punto estremamente critico delle indagini matematiche, fin dalla metà dell’Ottocento; il problema è stato risolto grazie a G. Cantor e R. Dedekind, che intorno al 1872 hanno elaborato due metodi diversi e indipendenti; qui accenneremo al secondo. Dedekind parte dalla considerazione dell’insieme Q, ordinato dalla relazione di minore; se Q si pensa disposto su di una retta, ogni n. razionale divide la retta in due parti, A e B, tali che: 1) né A né B sono vuote; 2) ogni n. razionale appartiene ad A o a B, ma A e B non hanno elementi in comune; 3) ogni elemento di A è minore (nel senso dell’ordine definito fra i n. razionali) di ogni elemento di B. Chiameremo in generale partizione o sezione dedekindiana, e indicheremo con (A, B), ogni suddivisione di Q che goda delle proprietà 1) 2) 3). In Q saranno possibili tre casi: a) A ha un elemento massimo e B non ha un elemento minimo; la sezione (A, B) è detta punto di continuità di prima specie; esempio: A = classe dei n. razionali minori o uguali a 7; B = classe dei n. razionali maggiori di 7; b) A non ha massimo e B ha minimo: (A, B) è detta punto di continuità di seconda specie; esempio: A = classe dei n. razionali minori di 7; B = classe dei n. razionali maggiori o uguali a 7; c) A non ha massimo e B non ha minimo: (A, B) è detta lacuna; esempio: A = classe dei n. razionali il cui quadrato è minore o uguale a 2; B = classe dei n. razionali il cui quadrato è maggiore di 2; non esiste un n. razionale il cui quadrato sia uguale a 2 e non esiste un massimo razionale a in A tale che a2 sia minore di 2, né un minimo razionale b in B tale che b2 sia maggiore di 2. Ora, mentre, come abbiamo visto, a ogni n. razionale corrisponde una partizione su Q, non vale l’inverso: non a ogni partizione di Q corrisponde un n. razionale, che funga da elemento divisorio; non si ha in Q un tale n., nel caso di una partizione che sia una lacuna. Dedekind identifica sostanzialmente i n. razionali con i punti di continuità di prima e di seconda specie, e i n. irrazionali con le lacune; definisce dunque l’insieme R dei n. reali come la classe di tutte le partizioni (A, B) sul sistema Q (ordinato dalla relazione di minore). Di nuovo possono essere date in Q le operazioni di addizione, moltiplicazione, sottrazione, divisione; inoltre l’insieme, indicato di solito con R+, dei n. reali positivi o nulli è chiuso anche rispetto all’estrazione di radice. Si dimostra anche che R, con le operazioni e relazioni di cui sopra, contiene un sottoinsieme isomorfo a Q e che la sua cardinalità è maggiore di quella di N; R è cioè «più che numerabile». La costruzione dei n. complessi a partire dai n. reali si può effettuare, invece, senza bisogno di ricorrere a relazioni di equivalenza, definendo direttamente il n. complesso a+ib tramite la coppia ordinata di n. reali (a, b).
N. amicabili. - Sono così chiamati due n. naturali quando ognuno dei due è uguale alla somma di tutti i divisori, primi e non, dell’altro (eccettuato il n. stesso). Si conoscono coppie di n. amicabili entrambi dispari e coppie di n. amicabili pari (per es., 220 e 284), ma non si conosce nessuna coppia formata da un n. pari e da un n. dispari. Così pure non si sa se le coppie di n. amicabili siano infinite.
N. interi. Costituiscono un’estensione dei n. naturali, comprendendo, oltre a essi, i n. interi negativi. Il sistema dei n. interi (detti anche n. interi relativi) costituisce perciò una successione
…−4,−3,−2,−1, 0, 1, 2, 3, 4, …
illimitata nei due sensi.
Da un punto di vista algebrico, i n. interi costituiscono un anello commutativo, denotato di solito con il simbolo Z (iniziale della parola tedesca Zahl «numero») e contraddistinto come il più piccolo anello che contiene un insieme isomorfo allo pseudogruppo N dei n. naturali. Tra le proprietà di Z vi è il fatto di essere un anello euclideo (nel senso che per i n. interi vale l’algoritmo, dovuto a Euclide, delle divisioni successive per la ricerca del MCD); inoltre è un anello principale (nel senso che ogni ideale di Z è principale ossia è costituito dai multipli di un elemento di Z); Z è poi anche un dominio di integrità perché è privo di divisori dello zero. Infine Z è un anello ordinato; difatti posto a>b (o anche b<a) se a−b è un elemento di Z+ ossia un n. positivo, valgono le seguenti proprietà: a) la somma di due n. positivi è un n. positivo; b) il prodotto di due n. positivi è un n. positivo; c) ogni elemento di Z o è positivo, o è lo zero, oppure il suo opposto è positivo (legge di tricotomia); d) se a>b, segue ac>bc se c è positivo, e invece ac<bc se c è negativo.
N. interi di Gauss. - Si chiamano così i n. complessi a+ib con a, b n. interi ordinari e i2=−1; sul piano di Argand-Gauss essi si rappresentano mediante i punti di un reticolato. La somma e il prodotto (ma non il quoziente) di due interi di Gauss sono ancora interi di Gauss; più precisamente essi costituiscono, dal punto di vista algebrico, un anello che si indica solitamente con Z[i] per ricordare che esso è ottenibile dall’anello Z degli interi mediante aggiunzione dell’unità immaginaria i.
Gli interi di Gauss hanno notevole interesse sia per le proprietà algebriche dell’anello Z[i], che ricordano molte proprietà dell’anello degli interi, sia perché si ricollegano a vari problemi di teoria dei numeri.
N. decimali. - Sono i n. costituiti da una parte intera e da una parte decimale, separate da una virgola (sostituita con un punto nei paesi anglosassoni). Nella parte decimale si distinguono, nell’ordine, le cifre dei decimi, dei centesimi, dei millesimi ecc. Ogni n. decimale con un numero finito di cifre proviene da una frazione decimale; i n. decimali con infinite cifre possono essere periodici oppure irrazionali.
N. figurati. - Sono n. associati a una distribuzione di punti disposti a formare poligoni (o anche poliedri) regolari; si distinguono in n. triangolari, quadrati ecc. Ciascun tipo di n. figurato si concreta in una successione di n. naturali il cui termine generico esprime il n. di punti necessari per formare il poligono (o il poliedro) di quel particolare tipo. I n. figurati si collegano a vari risultati e problemi di teoria dei numeri.
I n. triangolari t1, t2, …, tn, … (fig. 1) sono dati dalla formula tn=n(n+1)/2; infatti, l’n-esimo n. triangolare tn è uguale, come indica la figura, alla somma dei n. naturali da 1 a n, cioè appunto a n(n+1)/2.
I n. pentagonali sono illustrati in fig. 2. Si dimostra che l’n-esimo n. pentagonale è uguale alla somma dell’n-esimo n. triangolare e di due volte l’(n–1)-esimo n. triangolare; se ne deduce che l’n-esimo n. pentagonale è n(3n–1)/2. Il teorema dei n. pentagonali, dovuto a Eulero esprime la funzione
Φ(x) = (1−x) (1−x2) (1−x3) … (1−xn) …
(introdotta anch’essa da Eulero e che sembra il primo esempio di funzione theta attraverso una serie nella quale compaiono appunto i n. pentagonali:
N. perfetti. - Un n. naturale diverso da 1 si chiama n. perfetto se è uguale alla somma dei suoi divisori (eccettuato il n. stesso). Il più piccolo n. perfetto è 6 (= 1+2+3). Lo studio dei n. perfetti, iniziato da Euclide, fu poi ripreso e sviluppato nel Medioevo, suscitando curiosità e interesse anche da parte di astrologi e filosofi. La teoria dei n. perfetti non è ancora del tutto chiarita: non si sa, per es., se esistano n. perfetti dispari. È invece dimostrato che i n. perfetti pari sono dati tutti dalla formula 2n–1(2n−1) nella quale però sia n sia 2n−1 debbono essere n. primi. I n. primi del tipo 2n−1 si chiamano n. primi di Mersenne e non si sa se essi, e quindi i n. perfetti pari, siano in n. finito o viceversa infiniti. I più piccoli n. primi di Mersenne si ottengono per n = 2, 3, 5, 7, 13; a essi corrispondono, rispettivamente, i n. perfetti 6, 28, 496, 8128, 33.550.336.
N. primi. Un n. primo è un intero maggiore di 1 che non ha altri divisori positivi che 1 e sé stesso. I più piccoli n. primi sono 2, 3, 5, 7, 11, 13, 17, 19 … N. composto è ogni n. che si possa ottenere moltiplicando due altri numeri. A eccezione di 2, che è primo, tutti i n. pari sono composti, perché divisibili per 2. Sono anche composti, in quanto divisibili per 5, tutti i n. che terminano con questa cifra, eccettuato però lo stesso 5. Uno dei teoremi fondamentali dell’aritmetica afferma che ogni n. composto può ottenersi come prodotto di n. primi e ciò in modo unico (unicità della scomposizione in fattori primi). Questo risultato si trova già negli Elementi di Euclide insieme con molte altre osservazioni, tra cui il risultato di fondamentale importanza che i n. primi sono infiniti.
I n. primi da 1 a 25 miliardi sono circa un miliardo, ma la loro distribuzione fino a grandi primi è molto irregolare: da un lato compaiono improvvisamente delle grandi lacune e si dimostra che esistono n. primi consecutivi la cui differenza è maggiore di m, per quanto grande si scelga m, d’altra parte si presentano spesso coppie di n. primi gemelli ossia che differiscono tra loro di due unità (così 41 e 43, 7127 e 7129, 299.471 e 299.473, e tra i più grandi n. primi gemelli conosciuti 1.000.000.009.649 e 1.000.000.009.651). Non si sa ancora se i n. primi gemelli siano infiniti. A tutto il 2008 il più grande n. primo noto è 243.112.609−1, che è un n. primo di Mersenne.
Un altro ordine di ricerche tende a costruire una funzione, e anzi preferibilmente un polinomio, che assuma solamente valori primi (anche se non è possibile che tali valori esauriscano l’insieme dei n. primi). I risultati più espressivi a tutt’oggi noti riguardano le funzioni n2−n+1 e n2−79n+1601 che danno valori primi rispettivamente per n intero e minore di 41 e per n intero e minore di 80.
La congettura di Goldbach, enunciata nel 1742 in una lettera a Eulero, afferma che ogni n. pari si può ottenere come somma di due n. primi (eventualmente in più modi). Essa non ha ancora ricevuto una dimostrazione generale ma non è stata neppure confutata. La congettura di Goldbach non si estende ai n. dispari: si è tuttavia dimostrato (P.V. Vinogradov, 1937) che ogni n. dispari abbastanza grande è somma di tre n. primi dispari. Una celebre identità, scoperta da Eulero, è la seguente
dove s è un qualsiasi n. reale maggiore o uguale a 2 e, a secondo membro, il prodotto infinito è calcolato per tutti i valori primi di p. La [1] riassume, in realtà, infinite relazioni (una per ogni valore di s) ed è tanto più sorprendente perché in essa i n. primi compaiono al secondo membro ma non al primo. Allo stesso Eulero è dovuto il teorema che la serie Σ 1/p degli inversi dei n. primi è divergente.
La funzione di s espressa da ciascuno dei due membri della [1] fu poi considerata da B. Riemann anche per valori complessi della s: si tratta della funzione zeta di Riemann definita appunto, per Re[s]>1, da ζ(s)= ∑∞n=1n−s. La funzione ζ(s) può essere prolungata analiticamente fino a ottenere una funzione, detta ancora ζ(s), olomorfa in tutto il piano complesso escluso il punto s = 1. Quest’ultima funzione è l’oggetto della cosiddetta ipotesi di Riemann, uno dei più importanti problemi aperti della matematica. La funzione ζ(s) ha degli zeri banali in corrispondenza dei n. interi pari negativi, cioè ζ(s) = 0 per s = −2, −4, …; tutti gli zeri non banali invece hanno, secondo l’ipotesi di Riemann, parte reale uguale a 1/2. Dato lo stretto legame tra la funzione zeta e i n. primi, evidenziato dalla [1], dimostrare l’ipotesi di Riemann significherebbe avere informazioni sulla distribuzione dei n. primi.
È classica la funzione π(x) così definita: per ogni valore reale di x, π(x) uguaglia il n. dei n. primi non superiori a x. Conoscere la funzione π(x) equivale perciò a conoscere la distribuzione dei n. primi. Il problema è uno dei più difficili e a tutt’oggi un’espressione analitica della π(x) non è stata trovata. Si conosce però il comportamento asintotico della funzione π(x) che è messo in luce dal famoso teorema fondamentale dei n. primi:
che fu congetturato da Gauss e dimostrato poi, nel 1896, da J. Hadamard e C.-J. De la Vallée-Poussin. Un’altra interessante relazione asintotica, studiata da De la Vallée-Poussin e da J.E. Littlewood, è la seguente
ove si è posto Li(n) = li(n) −li(0) = li(n)+1,04 … e li(n) indica la funzione logaritmo integrale (➔ logaritmo).
N. primi tra loro. - Due n. si dicono primi tra loro quando essi non hanno nessun divisore comune (eccettuato il numero 1). Sono, per es., tali 100=22∙52 e 81=34.
Caratteri generali.- Indicata una volta con il nome di aritmetica superiore, è lo studio delle proprietà dei n. naturali, come per es. la scomponibilità in fattori primi, le congruenze di primo grado e di grado superiore, la ricerca delle soluzioni intere di equazioni, o di sistemi di equazioni, lineari o algebriche a coefficienti interi (cioè quella parte dell’aritmetica che prende il nome di analisi indeterminata). Molte questioni riguardanti proprietà dei n. interi vengono però usualmente studiate ricorrendo alla teoria delle funzioni di variabile reale o di variabile complessa e ad altri elevati capitoli di analisi. Tali questioni si inquadrano in quel ramo della matematica che si chiama perciò teoria analitica dei numeri. D’altra parte molti capitoli di teoria dei n. si possono collegare a questioni di carattere prettamente algebrico e anzi da un punto di vista storico svariate nozioni di algebra, come per es. quella di ideale, sono sorte proprio dallo studio dell’aritmetica: si parla perciò di una teoria algebrica dei numeri. Si dà, infine, il nome di teoria elementare dei n. al complesso di dottrine che si propone lo studio dei n. interi senza l’uso di tecniche di natura particolarmente elevata.
Gli sviluppi della teoria dei n. hanno condotto alla soluzione di problemi fondamentali e alla costruzione di nuovi metodi nel campo dell’aritmetica. I progressi più notevoli sono stati ottenuti nella teoria delle congruenze, nella teoria delle equazioni diofantee, nell’introduzione di nuovi metodi in aritmetica analitica e nella teoria dei n. primi. In questo campo sono di particolare importanza i risultati conseguiti da E. Bombieri. Progressi altrettanto notevoli nella teoria dei n. si sono avuti con l’introduzione di metodi di geometria algebrica soprattutto in quelle questioni che hanno impegnato per lunghi periodi i matematici, quali per es. le equazioni diofantee e, in partic., il grande teorema di Fermat (➔ Fermat, Pierre de). A seguito della dimostrazione del grande teorema di Fermat da parte di A. J. Wiles (1995), sono stati infatti ottenuti altri importanti risultati; uno dei più rilevanti è la dimostrazione (1999) della congettura di Shimura-Taniyama-Weil, ora nota come teorema di modularità, che collega le funzioni ellittiche sul campo dei razionali con le forme modulari.
Teoria elementare dei numeri. I punti di partenza sono le nozioni di multiplo e di sottomultiplo (o divisore) di un n. intero che permettono di svolgere la teoria della divisibilità (massimo comun divisore, minimo comune multiplo, scomposizione in fattori primi) e che segnano il passaggio dall’aritmetica elementare alla teoria dei numeri. Si perviene così alla nozione fondamentale di congruenza: due interi a, b si dicono congrui tra loro secondo un intero non nullo m (che si dice modulo della congruenza) se a−b è divisibile per m ossia se essi sono, per così dire, «uguali a meno di un multiplo di m» e si scrive in tal caso a≡b (mod. m).
La relazione di congruenza gode di molte proprietà in parte analoghe a quelle dell’ordinaria uguaglianza. Una loro conseguenza importante è che se P(x) è un polinomio a coefficienti interi nell’indeterminata x, da a≡b (mod. m) segue P(a)≡P(b) (mod. m); da questo teorema si deducono i ben noti criteri di divisibilità per i n. interi. Di notevole importanza sono poi le seguenti proprietà: se a è primo con m allora aϕ(m)≡1 (mod. m) ove ϕ(m) è l’indicatore di m (teorema di Eulero); se p è primo e a non è multiplo di p si ha ap–1≡1 (mod. p) (teorema di Fermat); se a è primo con m è aψ(m)≡1 (mod. p) dove ψ(m) è il cosiddetto indicatore ridotto (teorema di Lucas). I seguenti teoremi, infine, danno delle condizioni necessarie e sufficienti affinché un numero n sia primo: deve risultare a tale scopo (n–1)!≡−1 o anche (n−2)!≡1 (teoremi di Wilson e di Leibniz rispettivamente; entrambe le congruenze hanno modulo n); il loro interesse è però più che altro limitato a questioni di carattere teorico, data la rapidità con la quale cresce la funzione fattoriale.
Le congruenze di primo grado sono le più semplici e si possono ricondurre alla forma ax≡b (mod. m). Una prima osservazione è che la congruenza scritta equivale all’equazione di analisi indeterminata ax−my=b. Inoltre, è evidente che se un intero soddisfa alla congruenza soddisfano a essa anche tutti gli interi congrui al mod. m; si chiama allora soluzione una classe di numeri congrui mod. m che soddisfano alla congruenza, mentre si chiamano talvolta radici i minimi interi positivi di ciascuna classe costituente una soluzione. Il risultato fondamentale è il seguente: affinché vi siano soluzioni occorre e basta che il massimo comun divisore d tra a e m sia divisore di b. Se tale condizione è soddisfatta le soluzioni della congruenza sono esattamente d e possono ottenersi nel seguente modo. Si considera la nuova congruenza (a/d) x≡(b/d) (mod. m/d) e se ne determina una radice x0: le soluzioni della congruenza assegnata sono allora date dalle classi contenenti i numeri x0, x0+m/d, x0+2m/d, …, x0+(d−1)m/d.
Lo studio e la classificazione delle congruenze di secondo grado sono legati alla difficile teoria dei residui quadratici (➔ residuo) dovuta a A.M.Legendre. Per quanto si riferisce alle congruenze che hanno per grado un numero primo p si ha il teorema di Lagrange secondo il quale il n. delle soluzioni della congruenza f(x) ≡ 0 (mod. p) non può superare il grado della congruenza, ossia il grado del polinomio f(x), salvo il caso che tutti i coefficienti di f(x) siano divisibili per p.
Teoria algebrica dei numeri. - Si definiscono n. algebrici su un campo C tutti i n. che siano soluzione di un’equazione algebrica del tipo f(x)=0 con coefficienti in C. Nella teoria algebrica dei n. è fondamentale il concetto di n. algebrico sul campo razionale, e i corpi da essi costituiti; in particolare, il corpo quadratico Q(√‾‾‾d) con α=√‾‾‾d (n=2) radice dell’equazione x2−d = 0 e il corpo che prende nome dall’equazione ciclotomica (➔ circonferenza). Dato un corpo F=Q(α), l’insieme di tutti gli interi algebrici di F costituisce un anello indicato con OF. Per es., l’anello degli interi del corpo quadratico Q(√‾‾‾‾−1) è quello degli interi di Gauss. In OF si possono avere più unità e la fattorizzazione dei suoi elementi può, in generale, non essere unica, ma si dimostra che OF è a fattorizzazione unica se e solo se ogni suo ideale è principale.
Teoria analitica dei numeri. Si inquadrano in essa molti elevati problemi, per es. varie questioni sulla distribuzione dei n. primi, questioni che appunto si ricollegano a proprietà di funzioni di variabile complessa come la funzione zeta di Riemann. Altri problemi studiati nella teoria analitica dei n. riguardano la funzione p(n) che per ogni n. naturale n dà il numero delle partizioni di n ossia il numero di modi in cui n può ottenersi come somma di n. naturali: per es. g5 = 7 perché 5 può ottenersi in 7 modi: 5 = 4+1 = 3+2 = 3+1+1 = 2+2+1 = 2+1+1+1 = 1+1+1+1+1. È stato tra l’altro dimostrato che i numeri p(n) sono uguali ai coefficienti dello sviluppo in serie
di Mac Laurin della funzione Π∞n=1 (1−xn)−1
e crescono molto rapidamente con n; una loro stima approssimativa è data dap(n)≅(4n√‾‾‾3)−1 e π√‾‾‾‾‾‾2n/3. Citiamo ancora, a titolo di esempio, il problema di stabilire quanti siano i punti del piano cartesiano aventi coordinate intere e situati all’interno di una curva chiusa della quale sia nota l’equazione e, per finire, varie questioni assai difficili e non tutte risolte (sulle quali I.M. Vinogradov avanzò alcune congetture) relative alla distribuzione dei residui non quadratici modulo un n. primo p.
In contabilità, n. commerciale (o semplicemente n.) il prodotto del capitale per i giorni d’impiego dello stesso, che viene usato per il calcolo d’interesse con il metodo dei divisori fissi o dei moltiplicandi fissi e nella liquidazione degli interessi sui conti correnti.
In statistica economica, n. indici, i rapporti aritmetici, moltiplicati per 100 o per altra potenza di 10, tra dati statistici quantitativi (detti anche indici). Tali valori sono largamente impiegati per rendere evidenti le variazioni che si osservano nelle intensità di un fenomeno nel tempo, nello spazio o nei settori economici. I n. indici possono essere semplici o composti, a seconda che il confronto sia istituito fra dati relativi a un solo fenomeno (per es., l’indice del prezzo del carbone nel tempo) o fra dati relativi a più fenomeni (per es., l’indice del costo della vita). Fra questi ultimi vanno ricordati: gli indici di F.-J.-M. Divisia (che misurano le variazioni tra l’istante O e l’istante T di un insieme di quantità e del corrispondente insieme di prezzi); l’indice di I. Fisher (indice di prezzo rappresentato dal rapporto tra la media dei prezzi del periodo considerato e la media dei prezzi di un altro periodo assunto come base); o, per la loro applicazione gli indici di E. Laspeyres e H. Paasche. Le serie di n. indici possono essere a base fissa o a base mobile: nel primo caso il divisore è lo stesso in tutti i rapporti, nel secondo è variabile; quando il dividendo di un rapporto diventa divisore del successivo, si parla anche di n. indici a catena. N. indici molto usati sono quelli (in genere a scadenza mensile) dei prezzi, distinti, a seconda del mercato cui si riferiscono, in indici dei prezzi all’ingrosso e dei prezzi al consumo, di cui una sottospecie è costituita dagli indici del costo della vita. Si tratta di indici composti, a base fissa, la cui costruzione presenta vari e delicati problemi teorici e pratici, riguardanti principalmente la scelta dei dati da utilizzare, la determinazione del periodo-base, i criteri di ponderazione e il metodo di aggregazione, ossia il tipo di media da impiegare per passare dagli indici semplici a quelli composti ai vari livelli di aggregazione. Fra i criteri di ponderazione i più noti, per quanto riguarda, per es., gli indici dei prezzi, sono: gli indici semplici (detti anche elementari) vengono ponderati con i valori (cioè con i prodotti dei prezzi per le quantità scambiate) del periodo-base (indici di Laspeyres), oppure con i valori del periodo corrente (indici di Paasche). Poiché, in generale, vi è una correlazione negativa tra prezzi e quantità, si dimostra facilmente che gli indici di Laspeyres danno valori più elevati di quelli «veri», mentre gli indici di Paasche danno valori più bassi. In pratica viene preferito il primo criterio di ponderazione, in quanto si presta meglio ai calcoli. Per quanto riguarda, infine, il tipo di media, si usano in generale la media aritmetica e quella geometrica ponderate con i pesi suddetti.
Nell’ambito della speculazione antica sono state formulate varie concezioni del n., concezioni che hanno in comune un carattere realistico; sia che il n. sia definito come elemento costitutivo della realtà (in luogo delle ἀρχαί dei naturalisti) dalla scuola pitagorica, sia che esso rappresenti invece, come avviene in Platone, il ‘limite dell’illimitato’, nonostante la sua esitenza non sensibile (sicché si eviterà di confonderlo col n. usato a fini pratici), è concepito come qualcosa di reale. I platonici pitagoreggianti, introducendo la tesi delle idee-n., procedettero su questa via, mentre una posizione più articolata fu quella di Aristotele, che annetteva al n. una forma speciale di esistenza, analoga all’esistenza delle cose fisiche (il n., come entità matematica, è astratto dal sensibile, ma non separato da esso). A partire da R. Descartes il n. fu concepito invece come legato a un’operazione di astrazione, con una sua esistenza puramente soggettiva, un’esistenza, cioè, nel pensiero. T. Hobbes, J. Locke, G. Leibniz, G. Berkeley, I. Newton, C. Wolff si adeguarono in vario modo a questa concezione, cui si riallaccia anche la dottrina kantiana del n. come schema, cioè come ‘rappresentazione che comprende la successiva addizione di uno a uno (omogenei)’. J. Stuart Mill propenderà invece a ritenere il n. come il risultato di una generalizzazione empirica, pur rimanendo sul piano soggettivo. Una ridefinizione di n. in direzione diversa si ha con G. Frege e successivamente con B. Russell e A.N. Whitehead: sottolineando l’assoluta irrilevanza dell’approccio psicologico, Frege rileva il carattere di oggettività del n., considerandolo un’entità astratta dotata di un’esistenza sui generis; in questa prospettiva egli fornisce una definizione estensionale di numero.
Nella retorica classica, n. oratorio (conformemente al significato del lat. numerus di «ritmo, armonia») è l’armonia del periodo quale risulta dalla sua suddivisione in cola (➔ colon), più o meno simmetrici, e in commi, e soprattutto dall’ordinata successione di sillabe brevi e lunghe. Teorizzato per la prima volta in Grecia dai sofisti, il n. oratorio è stato un elemento caratteristico della prosa letteraria greca e latina (Gorgia, Trasimaco, Demostene, Isocrate e, a Roma, Cicerone). Nella tarda antichità al n. venne progressivamente sostituendosi una nuova composizione ritmica, fondata sulla successione di sillabe toniche e atone, il cursus.
Categoria grammaticale che ha la funzione di distinguere, nella flessione dei pronomi, dei sostantivi, degli aggettivi e dei verbi, la quantità numerica. Il n., nella maggior parte delle lingue, distingue il singolare, che può essere anche collettivo e generico, dal plurale; in alcune lingue, tuttavia, il n. distingue ulteriormente anche il duale, che designa due esseri o cose o più spesso una coppia di esseri o cose, il triale, che indica tre persone o cose, o anche estensivamente il plurale, e infine il quattrale, per lo più con funzione di plurale. Il duale è presente nelle lingue indoeuropee (greco, indiano, paleoslavo, lituano, irlandese) e semitiche (accadico, arabo); il triale e il quattrale si riscontrano, per es., nelle lingue indigene dell’Australia e della Malesia.
N. sacri In tutte le culture il n. assume particolare significato in un ambito di esperienza religiosa, magica, teurgica: alcuni n. risultano investiti di carattere sacro in quanto assumono un’efficacia tutta propria o in quanto descrivono processi attinenti la sfera del divino. La possibilità di esemplificazione è amplissima e varia nelle diverse aree culturali. Si può notare il presentarsi costante di certi n.: per es., il 3 ha un particolare valore presso molti popoli e religioni (triadi divine, atti e formule rituali iterati tre volte). Sono stati sentiti come n. sacri anche il 4, il 7, l’8, il 10, il 12, il 40, il 70 ecc. Tali credenze si riflettono nel folclore, dove certi n. (il 13, il 17) sono comunemente ritenuti di cattivo o di buono augurio (e talvolta di buono).