Notazione che utilizza simboli e indici per dare informazioni relative alla composizione atomica e alla struttura di una molecola. Infatti a seconda del grado di dettaglio utilizzato è possibile sapere quali atomi sono presenti, i loro rapporti numerici e quali sono le relazioni topologiche e spaziali degli atomi costituenti la molecola stessa. Le più semplici sono le f. brute che indicano il numero degli atomi dei vari elementi che costituiscono la molecola di un composto; tale numero viene posto come deponente a destra del simbolo di ciascun elemento: per es. H2O, Na2SO4, C6H12O6.
Nel processo fra privati praticato in Roma dal 2° sec. a.C. e per tutta l’età del principato, f. è espressione tecnica indicante il documento nel quale sono definiti i termini della lite ed è designata la persona dell’arbitro alla cui decisione i litiganti si rimettono. Queste f. erano schemi astratti di azioni che, elaborati e inseriti nell’editto dal pretore e dagli altri magistrati esercenti attività giurisdizionale, venivano di volta in volta utilizzati dai privati per far valere in concreto le proprie ragioni nei confronti di altri privati. Secondo l’orientamento oggi prevalente fra gli studiosi, avrebbero avuto origine, nella seconda metà del 3° sec. a.C. dalla giurisdizione del pretore peregrino – che regolava in Roma le controversie fra Romani e stranieri, o fra due stranieri – e furono in seguito estese alle liti fra cittadini, prima affiancando e poi definitivamente rimpiazzando il vecchio rito formale delle legis actiones. Il processo formulare, divenuto ordinario in età augustea, fu ufficialmente abolito solo alla metà del 4° sec. d.C., quando ormai l’unica procedura esperibile era quella cognitoria, cui presiedevano non magistrati, ma funzionari imperiali.
Le f. si distinguevano in varie specie a seconda della loro origine (per es., si dicevano in ius quando le pretese fatte valere rientravano nella tradizione del diritto civile, in factum quando avevano ottenuto riconoscimento direttamente dal pretore).
La struttura logica della f., nel suo schema generale, era quella di un giudizio ipotetico alternativo, nel quale il magistrato, previo accordo delle parti in causa, dava ordine a un giudice privato di condannare il convenuto al pagamento di una pena pecuniaria, qualora avesse accertato la fondatezza della pretesa avanzata dall’attore, o di assolverlo, qualora ne avesse accertata la infondatezza. Lo schema-base, contenente nomi e altri dati puramente immaginari, veniva adeguato al caso concreto mediante la sostituzione di quei dati con quelli reali, eventualmente aggiungendo al discorso altre parti o frasi, per meglio rispecchiare le peculiarità della situazione: si formava così il cosiddetto iudicium, su cui sarebbe avvenuta la litis contestatio, vera e propria cesura del processo formulare, dopo la quale il rito, esaurita la prima fase, in iure, sarebbe entrato nella seconda fase, apud iudicem. Sebbene a ogni azione corrispondesse soltanto una f., è possibile individuare, sulla scorta delle fonti, alcune parti ricorrenti della proposizione ipotetica. La intentio conteneva l’enunciazione della pretesa che l’attore intendeva far valere; la demonstratio, solitamente preceduta da un quod, chiariva il fondamento su cui poggiava la intentio; la exceptio opponeva l’operatività di fatti estintivi o modificativi della pretesa attrice, la cui inesistenza formava oggetto di una condizione posta alla condanna; la condemnatio (espressa con verbi all’imperativo, come la speculare absolutio, consistendo essenzialmente in un ordine dato dal magistrato al giudice, apodosi dell’intero discorso ipotetico) era sempre e soltanto pecuniaria o ‘per equivalente’, non ammettendosi nel processo formulare la cosiddetta condanna in forma specifica; la adiudicatio era tipica dei giudizi divisori, nei quali sorgeva spesso l’opportunità di assegnare esclusivamente ad alcuni dei condividenti parti materiali del patrimonio o della cosa divisibile.
F. cristallochimica Riferita alle soluzioni solide o miscele isomorfe, indica a un tempo le sostituzioni isomorfe che in esse si sono verificate. In tali f. gli elementi vicarianti, quelli cioè che nel reticolo cristallino svolgono la stessa funzione, sono separati da virgole, raccolti in parentesi tonde, purché appartengano allo stesso gruppo isomorfogeno. Alcuni elementi, come per es. l’alluminio, possono far parte di due differenti gruppi isomorfogeni potendo giocare nello stesso reticolo cristallino ruoli diversi corrispondenti a diverse coordinazioni. La f. cristallochimica è in tali casi di tipo
che indica la composizione chimica e le sostituzioni che si possono verificare nei termini augitici del gruppo dei pirosseni: i numeri posti a esponente dei raggruppamenti e racchiusi tra parentesi quadre rappresentano i numeri di coordinazione degli elementi vicarianti, facenti parte dello stesso raggruppamento.
Si dice f. un enunciato simbolico di una relazione che colleghi due o più enti matematici. Le f. matematiche prendono il nome o dal problema che risolvono (per es.: f. di addizione, di bisezione ecc., in trigonometria) o dal matematico che per primo le stabilì (per es.: formule di Cardano, di Taylor ecc.).
In logica matematica, f. ben formata (spesso abbreviata in f.b.f. o fbf), espressione di un linguaggio simbolico conforme a particolari regole di formazione.
Frase o insieme di frasi imposte da una norma rituale o legale, da pronunciarsi senza variazioni in determinate circostanze. Nella mentalità religiosa primitiva, l’efficacia attribuita alle f. deriva dalla stretta associazione tra parola e cosa, per la quale ogni alterazione delle frasi nella forma, nell’occasione, nel modo e nel tono prescritti ne invaliderebbe l’efficacia. La f. tuttavia non appartiene esclusivamente al campo della magia, ma è anche una delle forme arcaiche della preghiera. Con una f., inoltre, si statuisce o si sanziona una nuova condizione o rapporto ( f. iniziatica, f. di giuramento). Nel cristianesimo, particolare importanza hanno le f. liturgiche (d’assoluzione, di consacrazione ecc.).