F. biologica Insieme di piante che, anche se sistematicamente lontane, hanno in comune caratteri ecologici e di adattamento. Tra i vari sistemi di classificazione delle f. biologiche, il più noto è quello di C. Raunkiaer, basato sull’adattamento delle piante alle condizioni ambientali nel periodo sfavorevole alla vita; questo sistema raggruppa le f. biologiche in 6 classi: fanerofite, camefite, emicriptofite, geofite, igrofite e terofite, le quali si distinguono per la posizione e la protezione che hanno gli organi, e in primo luogo le gemme, che superano vivi il periodo più sfavorevole. Così le fanerofite, come gli alberi, hanno le gemme a una certa altezza dal suolo, mentre le geofite (piante bulbose, ecc.) le conservano nel terreno a varia profondità.
F. degli atti Veste esteriore di un atto, necessaria affinché l’ambiente sociale ne venga a conoscenza e l’ordinamento giuridico gli attribuisca rilevanza. Data l’esistenza di tipi legali astratti, corrispondenti a determinati atti o manifestazioni di volontà, la f. può essere considerata come un onere incombente sulla persona interessata, perché il suo atto o la sua manifestazione di volontà ottengano efficacia giuridica in seguito alla loro sussunzione sotto quei tipi astratti. Poiché alla maggiore importanza sociale di un atto fa riscontro un maggior rigore per quanto concerne la sua f., si può dire che tra contenuto ed efficacia di un atto giuridico deve esistere un rapporto di congruità (o di adeguatezza) che è in generale già posto dalla legge sul tipo astratto come requisito (formale) dell’atto medesimo. Ciò avviene in due sensi. Talora una f. particolare è prescritta per la stessa esistenza giuridica dell’atto relativo: e si dice allora che la prima è voluta ad substantiam e che il secondo non può trovare rilevante estrinsecazione in alcun altro modo (per es., l’atto pubblico è richiesto sotto sanzione di nullità per le donazioni; la f. scritta per le alienazioni di immobili, per la costituzione o il trasferimento di diritti reali sui medesimi, ecc). In altri casi, invece, una f. determinata dell’atto è richiesta non perché esso possa dirsi esistente o rilevante per il diritto, ma perché abbia valore di prova in un giudizio, quando fosse impugnato in tutto o in parte: e si dice allora che quella f. è voluta ad probationem (per es., il contratto di affitto di azienda). Le parti possono anche convenire l’adozione di una determinata f. per la futura conclusione di un contratto (per es., se si impegnano a stipulare per atto pubblico futuri contratti di vendita immobiliare, per la cui validità è richiesta soltanto la f. scritta), ma non possono derogare ai requisiti minimi prescritti dalla legge (per cui sarebbe nullo, per es., un impegno a stipulare verbalmente un contratto di vendita immobiliare).
In particolare, l’art. 26 delle Disposizioni preliminari al codice civile del 1942 disponeva che la f. degli atti tra vivi e degli atti di ultima volontà fosse regolata dalla legge del luogo ove era compiuto l’atto, o da quella che regolava la sostanza dell’atto, ovvero dalla legge nazionale del disponente, o da quella dei contraenti qualora fosse comune. Il 2° comma della suddetta disposizione assoggettava inoltre le forme di pubblicità degli atti di costituzione, di trasmissione e di estinzione dei diritti sulle cose alla legge del luogo in cui esse si trovavano. La l. 218/1995 di riforma del diritto internazionale privato non contiene una disposizione generalista al riguardo ma, al contrario, una serie di disposizioni che regolano alcune tipologie di atti. Così, l’art. 28 stabilisce che il matrimonio è valido, quanto alla f., se considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione o dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi o dalla legge dello Stato di comune residenza al momento della celebrazione. Per il testamento l’art. 48 afferma che esso è valido, quanto alla f., se considerato tale dalla legge dello Stato in cui il testatore ha disposto o dalla legge dello Stato di cui lo stesso, al momento del testamento o della morte, era cittadino o in cui aveva domicilio o residenza. Per la donazione, l’art. 56 co. 3 stabilisce che essa è valida, quanto alla f., se è considerata tale dalla legge che ne regola la sostanza o dalla legge dello Stato nel quale l’atto è compiuto. Nel caso in cui la legge di riforma nulla preveda espressamente, è ritenuta applicabile alla f. degli atti la stessa legge richiamata, in base alle norme di diritto internazionale privato, a disciplinare la materia. Per quanto riguarda la pubblicità degli atti l’art. 55 della l. 218/1995 riproduce il 2° co. del sopracitato art. 26, stabilendo che essa è regolata dalla legge dello Stato in cui l’atto è compiuto.
F. d’onda Per una grandezza variabile, funzione di un certo parametro, è la f. del grafico rappresentante tale funzione. Il termine è più frequentemente usato quando il parametro è il tempo; si hanno f. d’onda per funzioni del tempo non periodiche (come f. d’onda a impulso) e per funzioni periodiche (f. d’onda sinusoidale, a denti di sega ecc.).
Coefficiente di f. Per un corpo assialsimmetrico che si muove con velocità u, parallela al suo asse, in un fluido di densità ρ è il fattore di proporzionalità k che compare nell’espressione della resistenza del mezzo: R=kAρu2/2, dove A è una superficie di riferimento (generalmente la sezione maestra del corpo). Fattore di f. Detto anche coefficiente di f., per una grandezza alternata, è il rapporto tra il valore efficace e il valor medio del valore assoluto. Se la grandezza è una funzione sinusoidale pura, il fattore di f. vale π√‾‾8≌1,11.
Fattore di f. Nelle costruzioni meccaniche, rapporto fra tensione massima effettiva in corrispondenza di un intaglio e tensione massima ivi calcolata con l’ipotesi di Saint-Venant (➔). Fattore di f. atomico Nella diffusione di un fascio di particelle da parte di un atomo, è un fattore minore dell’unità che compare nell’espressione della sezione d’urto per tener conto degli effetti di schermo degli elettroni (diffusione di particelle cariche) ovvero della f. della configurazione elettronica dell’atomo (diffusione di raggi X). Fattore di f. nucleare Nella diffusione di elettroni di alta energia da parte di un nucleo, è il fattore per cui occorre moltiplicare la sezione d’urto per diffusione, calcolata nell’ipotesi di un nucleo puntiforme, per tener conto delle dimensioni finite del nucleo. Particolare importanza riveste lo studio dei fattori di f. del protone e del neutrone, dai quali è possibile risalire alla struttura elettromagnetica di queste due particelle fondamentali.
Fattore di f. elettromagnetico dei nucleoni La struttura elettromagnetica dei nucleoni (protone e neutrone) può essere esplorata mediante esperimenti nei quali si studiano le interazioni tra i nucleoni e l’elettrone. Un primo tipo di esperimenti (iniziati da R. Hofstadter a Stanford, USA, nel 1953) è concettualmente simile all’esperimento di E. Rutherford che permise, nel 1910, di determinare la struttura dell’atomo e le dimensioni del nucleo atomico. Negli esperimenti destinati a determinare la struttura del protone, un fascetto di elettroni di elevata energia (almeno qualche centinaio di MeV) incide su un bersaglio costituito da idrogeno liquido contenuto in un recipiente a pareti sottili; si misura il numero degli elettroni deviati in una certa direzione ϑ in seguito a urti elastici con un protone (e dotati, quindi, di un’energia totale ben definita, E). L’esperienza permette così di determinare la sezione d’urto differenziale elastica (ossia riferita all’angolo solido dΩ nella direzione ϑ). Essa è descritta da una formula (M.N. Rosenbluth, 1950) in cui la sezione d’urto che si avrebbe se il protone fosse puntiforme, è moltiplicata per una quantità che congloba l’effetto della sua struttura elettromagnetica. In essa figurano fattori di f. elettrico, GpE(q2) e magnetico, GpM(q2), che sono funzioni del quadrimomento q2 trasferito dall’elettrone al protone. Più precisamente i due fattori di forma sono le trasformate di Fourier delle distribuzioni spaziali di carica ρpE(r), e di magnetizzazione ρpM(r). Dalla misura della sezione d’urto per vari valori di q2 e di Ω si possono determinare i fattori di forma, e da questi ricavare le distribuzioni spaziali di carica e di magnetizzazione. Per es., per il protone si trova una densità di carica
con r espresso in fermi (1 fermi=10−15 m). Si trova inoltre il raggio quadratico medio del protone
Gli esperimenti di questo tipo relativi ai neutroni sono di più complessa interpretazione, perché qualunque bersaglio contenente neutroni contiene anche protoni.
Oltre a tali esperimenti ne sono stati effettuati altri in cui si determina la sezione d’urto totale elastica, contro gli elettroni di un atomo di elevato numero atomico, di un neutrone così lento che la sua lunghezza d’onda sia dello stesso ordine di grandezza o maggiore delle dimensioni atomiche. Fin dai primi esperimenti di questo tipo (E. Fermi e L. Marshall, Chicago 1947; I.I. Rabi e collab., New York 1947) è stata dimostrata l’esistenza di una debole interazione elettrone-neutrone. Misure successive basate su questo metodo hanno dato per il raggio quadratico medio (della distribuzione di carica) del neutrone
Nello studio sperimentale della diffusione profondamente anelastica di elettroni di altissima energia (fino a 20 GeV) su nucleoni, eseguito intorno al 1970 presso lo Stanford Linear Accelerator Center, sono state osservate sezioni d’urto maggiori (fino a 40 volte, in talune situazioni) di quelle prevedibili nel caso che la carica elettrica dei nucleoni fosse distribuita con continuità. Questo risultato è compatibile con l’ipotesi che la struttura interna del protone e del neutrone, alla quale è dovuta la diffusione anelastica, sia costituita da particelle cariche (chiamate partoni da R.P. Feynman che ha proposto questa spiegazione) molto più piccole dei nucleoni stessi. I partoni possono essere identificati con i quark (➔ forti, interazioni), tre dei quali costituiscono un nucleone; questa identificazione ben si accorda con il fatto che sono state osservate notevoli diversità tra le diffusioni anelastiche su protoni e su neutroni, i quali hanno una diversa composizione quarkica (con carica elettrica rispettivamente −1/3, 2/3, 2/3 e −1/3, −1/3, 2/3).
Il termine acquista particolare significato con Platone, per il quale la f. (εἶδος, ἰδέα) è l’essere vero, l’essenza delle cose, realtà che trascende i fenomeni sensibili. Aristotele, attraverso la critica del dualismo platonico, cala nella realtà sensibile le f. separate platoniche che, divenute immanenti al molteplice empirico, lo riducono a unità e lo rendono intelligibile. La f., che è la sostanza secondo ragione, principio d’intelligibilità, diviene così anche il principio dal quale sgorgano le proprietà di ogni singolo essere. Solo la stretta unità di f. e materia costituisce per Aristotele la realtà concreta, sinolo, che riceve il suo essere in atto dalla prima e la sua determinazione spazio-temporale dalla seconda; in tal modo la distinzione tra materia e f. si congiunge con altri due binomi fondamentali della metafisica aristotelica: potenza e atto, causa materiale e causa formale; quest’ultima può essere intesa come principio intrinseco, entelechia, che si unisce alla materia per ridurne in atto la potenzialità; oppure come principio estrinseco, quale esemplare archetipo di tutta la realtà.
Questo secondo aspetto più spiccatamente platonico della f. (o causa formale) è quello che domina nella patristica e nella scolastica svoltasi sotto l’influenza del pensiero platonico-agostiniano: le f., principi eterni della realtà, che Platone aveva immaginato nell’iperuranio, e Plotino nel νοῦς, sono dai teologi cristiani unificate nel Verbo come pensieri divini, paradigmi secondo i quali si è svolta l’opera di creazione. Parallelamente, l’anima non è concepita come f. della materia corporea (Aristotele), ma come principio immortale a questa dualisticamente contrapposto (Platone). Nella filosofia medievale il concetto di f. assunse rilievo con il ritorno dell’aristotelismo: se tutta la cultura scolastica, dalla seconda metà del 13° sec., accettava le fondamentali strutture della metafisica aristotelica, e tra queste il concetto di f., diverse ne furono le correzioni (in senso platonico-agostiniano) soprattutto per la dottrina dell’anima umana, delle sostanze separate, della potenzialità della materia; è la scuola francescana, più legata all’agostinismo, a essere la più cauta nell’accoglimento dell’aristotelismo.
Di particolare rilievo per una ripresa del concetto aristotelico di f. è la posizione di Tommaso d’Aquino. Egli concepisce l’anima come f. del corpo, che costituisce con questo un tutto inscindibile (la resurrezione dei corpi viene così a completare lo stato temporaneamente incompleto in cui l’anima vive dopo la morte dell’individuo). Correggendo secondo preoccupazioni teologiche l’aristotelismo, Tommaso accentua la divisione tra f. spirituale, che può avere un’esistenza indipendente dalla materia (pur restando sostanza incompleta come l’anima umana dopo la morte), e f. materiale, che esiste solo in ragione del sinolo.
Nella filosofia moderna è stata ampiamente criticata – a partire dal Rinascimento soprattutto dai fisici – la dottrina aristotelica delle f. sostanziali, respinte come un principio inspiegabile e ingombrante per la nuova fisica sperimentale. Resta invece operante l’idea di f. come principio intelligibile unificatore del molteplice empirico. In G. Leibniz il concetto di f. o entelechia, principio individuale e irripetibile, è il fondamento della teoria delle monadi.
Un ulteriore sviluppo subisce l’idea di f. con I. Kant: liberata dal presupposto oggettivistico e naturalistico per cui essa costituiva un principio sussistente nella realtà extracoscienziale, la f. è l’attività con cui il soggetto, sintetizzando la materia, o contenuto, della conoscenza, l’organizza in un oggetto, dà a essa universalità e necessità.
Per G.V.F. Hegel la f. è il carattere proprio del pensiero in quanto tale e cioè in quanto si distingue dal sentimento, dall’intuizione e dalla rappresentazione, che sono i modi con cui il contenuto umano della coscienza, prodotto dal pensiero, dapprima si manifesta. In questo senso B. Croce e G. Gentile hanno parlato di f. dello spirito.
Al significato e allo sviluppo del termine f. va strettamente connesso il valore dell’aggettivo formale. Nella distinzione aristotelica delle quattro cause, la causa formale è ciò per cui una cosa è quella che è ( principio formale) ossia la sua essenza; indica anche l’esemplare, il modello, l’essere ideale di una cosa (accezione che deriva direttamente dalla f. di Platone).
Logica formale si dice la logica classica, in quanto studia le f. dei concetti, giudizi e ragionamenti, prescindendo dalla materia a cui si applicano, al fine di determinarne le proprietà, la validità e la loro connessione.
Morale formale si dice la morale kantiana, in quanto fa consistere l’esser morali nella f. del volere, ossia nell’autodeterminarsi della volontà secondo la legge della ragione (autonomia), e non già nel suo lasciarsi condizionare da un fine oggettivo o legge esteriore (eteronomia).
Per la psicologia della f. ➔ Gestalttheorie e psicologia.
Nello strutturalismo moderno, la nozione di f. è stata utilizzata da F. de Saussure per definire la lingua come oggetto specifico della linguistica e per riconoscere e sottolineare il carattere non concreto, formale, delle entità linguistiche. La linguistica, pertanto, ha per oggetto non le due sostanze, quella ‘fisica’ e quella ‘psichica’, di cui pure è composta la lingua nella sua concreta efficacia e nelle sue realizzazioni effettive, ma, appunto, la descrizione scientifica della lingua come pura forma.
L.T. Hjelmslev ha ripreso e sviluppato tale nozione, ipotizzando una f. dell’espressione e una f. del contenuto, da analizzarsi separatamente.
Ogni polinomio omogeneo, in quante si vogliano variabili, ossia un polinomio in cui tutti i monomi hanno lo stesso grado. In particolare, una f. quadratica è un polinomio omogeneo di 2° grado. Una f. si chiama definita positiva se assume sempre valori positivi salvo il caso in cui tutte le variabili siano nulle: è tale, per es., x2+2y2; si chiama semidefinita positiva se i valori che essa assume sono o positivi o nulli, restando esclusi i negativi: così avviene per x2+y2−2xy (analoghi sono i concetti di f. definita negativa e semidefinita negativa). Infine, si chiama indefinita se può assumere valori sia positivi sia negativi: è tale, per es., x2−y2. F. differenziale Polinomio omogeneo, in uno o più differenziali, i cui coefficienti sono in generale funzioni delle variabili. Per es., il differenziale di una funzione di due variabili f(x, y),
cioè ∂f‾‾‾∂x dx+ ∂f‾‾‾∂y dy, è una f. differenziale
lineare (di primo grado). Non ogni f. differenziale lineare, del tipo A (x, y) dx+B (x, y) dy, è però il differenziale di una funzione f (x, y): affinché ciò accada, deve essere soddisfatta la cosiddetta condizione d’integrabilità di una f. differenziale, cioè
∂A‾‾‾‾∂y = ∂B‾‾‾‾∂x (che vale però come condizione
sufficiente soltanto se il campo in cui sono definite A e B è semplicemente connesso). Nel caso, poi, di una f. differenziale in n variabili (n≥3) A1 (x1, ..., xn) dx1+...+An (x1, ..., xn) dxn, le condizioni d’integrabilità sono in numero di n(n−1)/2 e sono espresse da
Si possono prendere in considerazione anche f. differenziali non lineari, ma di grado superiore (in particolare per la 1ª e 2ª f. quadratica fondamentale di una superficie, ➔ superficie).
Lo studio generale delle f. differenziali, anche in vista delle applicazioni alle equazioni differenziali e alle varietà differenziabili, dà origine alla teoria delle f. differenziali esterne di grado r qualunque. Questa teoria viene presentata e sviluppata in forma algebrica. A partire da un anello commutativo A (anello dei coefficienti) si costruisce un nuovo anello, il cosiddetto ampliamento, alternante di A, ottenuto – secondo un’idea dovuta a H. Grassmann – aggiungendo ad A un certo numero di indeterminate ξ1, ξ2, ..., ξn (cioè formando le espressioni polinomiali nelle ξ1, ξ2, ..., ξn con coefficienti in A), con l’intesa che gli elementi di A e le ξ1, ξ2, ..., ξn si combinino tra loro per addizione, sottrazione e moltiplicazione secondo le regole usuali, salvo che il prodotto di due delle ξ non è commutativo ma alternante, cioè obbedisce a regole del tipo ξiξj=−ξjξi. Gli elementi del nuovo anello, che siano espressioni omogenee nelle ξ1, ..., ξn, sono le f. esterne; se r (〈n) è il grado di una tale espressione, la f. esterna corrispondente si dice di grado r. Se ora gli elementi dell’anello A sono funzioni definite in un opportuno insieme di uno spazio euclideo a n dimensioni, aventi una certa classe di differenziabilità, e se si attribuisce alle indeterminate ξ1, ..., ξn il valore di differenziali, le f. esterne prima definite astrattamente divengono f. differenziali esterne di grado r. Per queste, oltre alle operazioni algebriche dell’anello, si definisce una fondamentale operazione di differenziazione esterna, la quale, applicata a una f. di grado r, dà come risultato una f. di grado r+1: in simboli, indicando con d tale operazione e con ωr una generica forma di grado r, si ha dωr=ωr+1. L’operazione di differenziazione esterna è così definita che, applicata a una forma di grado 0, cioè a una funzione, ne fornisce l’ordinario differenziale totale.
Tutto lo sviluppo della teoria delle f. differenziali esterne, e la relativa classificazione, è imperniata su tale operazione fondamentale: così una f. esterna di grado r, ωr, si dice chiusa se dωr=0; una f. ωr che sia il differenziale esterno di una f. ωr–1, si dice esatta (o anche f. totale, o differenziale esatto); un teorema assicura che una forma esatta è sempre chiusa. In altri termini, la differenziazione esterna, è un’operazione a quadrato nullo; in simboli, d2=0. Introdotta, per una f. differenziale esterna, la nozione di integrale esteso a un conveniente campo di Sn, si dimostrano importanti relazioni e teoremi, come per es., la formula di Stokes generalizzata.
La teoria delle f. differenziali esterne è uno strumento essenziale nella ricerca matematica, efficace anche per i collegamenti che ha con l’algebra e la topologia; ha dato origine a teorie collaterali molto sviluppate, come per es., quella degli integrali armonici.
In geometria proiettiva, si chiamano f. di 1ª specie (o a una coordinata) la retta considerata come luogo dei suoi punti (punteggiata), il fascio di rette e il fascio di piani che dalla punteggiata si ottengono per proiezione, rispettivamente, da un punto e da una retta; f. di 2ª specie i sistemi lineari a due coordinate i cui elementi sono punti, rette o piani, ossia il piano punteggiato (cioè la totalità dei punti di un piano fisso), la stella di rette (totalità delle rette dello spazio passanti per un punto fisso), il piano rigato (totalità delle rette di un dato piano), la stella di piani (totalità dei piani passanti per un punto).
Schema sul quale si articola il discorso musicale. Si distinguono f. chiuse, come per es. le f. strofiche (aria ecc.), che si concludono in una sola formulazione o nella varia ripetizione della formula iniziale; f. continue o aperte, quelle che, come le tematiche (sonata ecc.), corrispondono a un pensiero fecondo di induzioni e sviluppi capace di strutturare l’intera composizione; f. libere quelle prive di uno schema predefinito (per es. il poema sinfonico).
Con l’espressione storia delle f. (ted. Formgeschichte) si designò un indirizzo prevalso nel campo degli studi neotestamentari in Germania, per opera soprattutto di K.S. Schmidt, M. Dibelius, R. Bultmann, G. Bertram, specialmente tra il 1919 e il 1930. Si proponeva di studiare appunto le f. o generi letterari in cui rientrerebbero le varie parti dei Vangeli, specie i sinottici: paradigmi e novelle, o apoftegmi e racconti di miracoli e simili, o leggende (termine quest’ultimo usato senza implicare un giudizio sull’attendibilità del racconto, ma guardando alla sua ampiezza e complessità). Il metodo in qualche misura è stato accolto anche dagli studiosi cattolici.
Oggetto che serve a sagomare qualche cosa, e che può essere costituito da un corpo cavo che riceve in sé la materia da formare, o da un solido sul quale la materia si adatta e si tende.
Nella scultura, mezzo per trasferire la statua da una materia a un’altra con fedeltà meccanica di procedimento. A tale fine si adopera usualmente il gesso, in casi speciali la gelatina o la stessa argilla. Le f. si distinguono in f. perse, che vanno cioè distrutte per liberarne il calco, e in f. buone o tasselli, che, essendo smontabili e ricomponibili, possono servire per parecchi calchi, specialmente per quelli in cera destinati alla fusione in bronzo.
Nell’industria cartaria, utensile fondamentale della fabbricazione a mano, costituito da tre parti: un telaio di fondo rettangolare corrispondente al formato del foglio; una tela o grata a maglie sottili fatta di fili di ottone (vergelle) rinforzati da bacchettine di maggior spessore (filoni); un bordo (o cascio), che col suo spessore determina la quantità di pasta trattenuta e quindi lo spessore del foglio di carta.
In fonderia si indicano con il termine formatura sia le parti della f. che corrispondono alla parte esterna di un getto, sia l’insieme delle operazioni con cui si fabbricano tali parti e le anime, per poi riunirle a costituire la f. completa. La formatura, intesa come f., si ottiene per mezzo di modelli e di sagome e comprende eventualmente le cosiddette portate d’anima e gli accessori. Normalmente consta di un fondo, che serve come base di sostegno, di una fascia intermedia che è realizzata in una o più parti, e di un coperchio, recante il canale di colata, per la chiusura della forma. Se il pezzo da produrre per fusione presenta delle cavità interne, si fa uso di anime (ossia di parti che riproducono le cavità), formate entro apposite casse d’anima, e collocate nelle esatte posizioni della f. per mezzo delle portate d’anima. Messe in opera le anime, gli eventuali raffreddatori e le spie, e scavati gli sfiatatoi per l’aria, la f. è pronta per la colata. La formatura può essere classificata a seconda che vengano utilizzate f. permanenti o f. da demolire. Nel primo caso il metallo viene colato entro una parete metallica ( conchiglia), o entro f. di materiali terrosi o cementizi. Nel caso vengano utilizzate f. da demolire, che vengono perse dopo l’estrazione del pezzo, è necessaria la realizzazione dello stampo, successivamente usato per la colata del metallo, mediante un modello avente la f. del getto che si vuole ottenere. La formatura più economica è quella cosiddetta a verde, eseguita con terra umida, la quale, dopo che le pareti sono state spalmate con polveri di grafite, non viene essiccata prima della colata. La formatura a secco, più costosa, richiede l’essiccamento in stufa a 150-200 °C preceduto dall’applicazione di una vernice (tinta) che, formando una pellicola, protegge la terra della formatura e conferisce levigatezza e uniformità alla superficie del getto; formatura a secco è anche la formatura Croning, eseguita per getti di piccola massa ma di grande precisione dimensionale, e realizzata con sabbie fini quarzose miscelate e resine termoindurenti che polimerizzano a temperature di 300-400 °C. Altri importanti tipi di formatura sono quelli in cemento, per getti in acciaio e in ghisa, adoperando, anziché terra o sabbia, una miscela di sabbia e cemento che indurisce rapidamente; in cera perduta, per getti artistici, specie statue in bronzo, con modello di cera e con terra grassa; la f. è poi scaldata per fondere la cera che così si elimina; in grappolo, se si fa un’unica colata verticale per alimentare diversi elementi sovrapposti; in motta, completamente in terra, entro staffe che poi vengono rimosse, usata per piccoli pezzi in serie; in terra o in fossa, direttamente nel suolo della fonderia.
La formatura a mano è generalmente usata per pezzi singoli. Quella a macchina è invece eseguita per produzioni di serie: ha il vantaggio di produrre getti molto precisi, per cui la successiva lavorazione meccanica può essere ridotta o addirittura eliminata.
La macchina impiegata per preparare le parti di una f. si chiama formatrice: tale macchina costipa la sabbia nelle staffe (appositi telai metallici), estrae il modello e talvolta ricompone anche la f. pronta per la colata.
Approfondimento:
Sulla forma della procura ad intimare l’adempimento di Alessandro Galati