Il concetto filosofico di c. è essenzialmente caratterizzato dalla nota dell’assoluta novità che quanto si presenta come ‘creato’ manifesta rispetto alla situazione in cui esso ancora non sussisteva. Il semplice fare presuppone infatti un dato, rispetto a cui esso opera con la sua attività elaboratrice e trasformatrice: il creare non presuppone invece alcun dato, ogni suo prodotto derivando unicamente, in tutto il suo essere, dalla sua stessa azione. C. è quindi essenzialmente ‘c. dal nulla’.
Nelle civiltà del Vicino Oriente antico è attestata l’idea di una c., ma non come c. dal nulla bensì come azione di uno o più esseri divini su qualcosa di preesistente. Il pensiero greco, per cui era inconcepibile l’idea che l’essere potesse nascere dal non essere, escludeva il concetto di c. (lo stesso termine di κτίσις entrò nel linguaggio filosofico greco soltanto tardi, attraverso la tradizione cristiana). Il pensiero cristiano, che concepiva la divinità in primo luogo come azione e potenza (e si contrapponeva in ciò recisamente a quello greco che dalla considerazione dell’agire come eterna insoddisfazione e imperfezione desumeva la concezione di Dio come pura intelligenza, scevra di ogni potenza e amore e azione), pose invece in primo piano il concetto della c. del mondo, che a esso veniva dalla tradizione ebraica: la c. appariva quale massima enunciazione dell’idea dell’infinita potenza divina, soverchiante ogni limite posto all’attività umana. La dottrina della Chiesa cattolica è nelle formule dei simboli apostolico e niceno-costantinopolitano e nel cap. 1° del quarto Concilio lateranense (1216), dove si dichiara che «uno solo è il principio dell’universo, creatore di tutte le cose visibili e invisibili, spirituali e corporali, che, per sua onnipotente virtù, insieme dall’inizio del tempo fece dal nulla entrambe le creature, la spirituale e la corporale».
Il concetto di c. si ritrova anche in indirizzi della filosofia moderna e contemporanea. Alla tradizione cristiana rimase ancora aderente, sotto un certo rispetto, Cartesio, quando pose la conservazione degli esseri identica alla creazione; ma non B. Spinoza, che teorizzò un processo di derivazione razionale, anzi geometrica, del mondo dall’unica e infinita sostanza. L’idealismo tedesco, nella formulazione di J.G. Fichte, F. Schelling e G.W.F. Hegel, più che dal concetto cristiano di c., mosse da quello spinoziano di ‘derivazione’ considerando il mondo della natura, dello spirito e la storia stessa come momenti necessari allo sviluppo dialettico dell’Assoluto. Analogamente all’idealismo, anche il positivismo, che si affermò nella seconda metà del 19° sec., rifiutò come ‘mitica’ la nozione di c. e teorizzò il concetto di evoluzione o sviluppo naturale e, a quella dell’istantaneo fiat divino, sostituì la nozione di formazione graduale e progressiva. Nella filosofia contemporanea un concetto di c. si ripresenta con ogni concezione teistica o deistica del mondo o, comunque, ogni qual volta si vogliono sottolineare nell’evoluzione i caratteri di libertà, novità e imprevedibilità.
Il creazionismo è la concezione filosofica o religiosa che attribuisce l’origine del mondo a un libero atto creativo compiuto da Dio. In particolare, la dottrina teologica cristiana che, opponendosi al traducianismo, ritiene le anime create direttamente e immediatamente da Dio, una per ogni uomo. In una prospettiva scientifica, il creazionismo è la dottrina che nega l’evoluzione delle specie viventi, sostenendo che esse sono state create da Dio così come sono e tali sono rimaste attraverso i secoli.
La c. e la distruzione (o annichilazione) di particelle sono fenomeni comuni in fisica. Quando, per es., un atomo o una molecola, inizialmente in uno stato eccitato, ritornano nello stato fondamentale la differenza di energia si osserva sotto forma di uno o più quanti di luce, i fotoni, creati nella transizione (emissione); all’inverso un fotone può essere distrutto e scomparire nell’interazione con un atomo che in conseguenza passa in uno stato eccitato (assorbimento). Anche particelle con massa di riposo non nulla possono essere create o distrutte. Infatti uno dei principali risultati della teoria della relatività stabilisce la possibilità di trasformare massa in energia e viceversa (E = mc2, dove c è la velocità della luce nel vuoto) quando un tale processo non sia per altre ragioni vietato (conservazione della carica elettrica, del numero barionico, dei numeri leptonici, del momento angolare ecc.). Gli elettroni e i positroni, con massa a riposo di 0,511 MeV/c2, sono le particelle più leggere e quindi occorre relativamente poca energia per crearli. Un fotone con energia di poco superiore a 1 MeV, nel campo di un nucleo, può creare una coppia elettrone-antielettrone (positrone). Nella materia il positrone creato si annichilirà ben presto nell’urto con un elettrone atomico producendo, per es., due fotoni: e+ + e– → γ + γ. Un altro esempio è il decadimento beta nel quale un neutrone (libero o legato in un nucleo) si distrugge e si creano un protone, un elettrone e un antineutrino: n → p + e– + ν̄e (la differenza di massa tra il neutrone e il protone è di 1,29 MeV/c2). Per creare particelle più pesanti occorre proporzionalmente più energia: circa 140 MeV per produrre un pione, circa 2 GeV per una coppia nucleone-antinucleone e così via. Se si ricorda che le energie in gioco nei processi atomici e nucleari sono rispettivamente di qualche eV e di qualche MeV, si comprende come per lo studio della maggior parte dei processi di c. (e dei successivi decadimenti) si debba ricorrere agli acceleratori di particelle. Quando le energie in gioco sono abbastanza elevate da permettere la c. e la distruzione di particelle è necessario ricorrere al complesso formalismo della teoria dei campi quantizzati per una trattazione dei processi di interazione e decadimento.