vuoto Lo spazio vuoto, privo di qualsiasi materia, anche dell’aria.
Il concetto di v. e il termine corrispondente nelle varie lingue europee è talora usato erroneamente per indicare lo stato primordiale anteriore all’origine del mondo, descritto in molte cosmogonie arcaiche con altre espressioni non equivalenti; così i narratori si avvalgono talora di enunciati negativi, come, per es., nell’Edda germanica: «all’alba dei tempi ... non v’era sabbia, né mare ... non esistevano né la terra né l’alto cielo ...» (Voluspa 9 e seg.). Talora come enunciato positivo sono usate espressioni che si possono rendere con «abisso», «voragine»: per es., Esiodo (Theog. 116): «al principio vi fu Chaos». Da questo tipo di espressioni trae origine l’uso del concetto di v. universale che però è estraneo alle civiltà alle quali quei racconti si riferiscono; infatti, Chaos rimanda a uno «spalancarsi» che è la condizione primordiale dell’«essere spalancato» del mondo prima di prendere consistenza, non identificabile con un v. come assenza di cose che è concezione successiva e moderna. Alla stessa concezione rimanda il Ginnungagap germanico (ant. islandese gap «abisso»), che compare anche in Adamo da Brema ed è glossato «immane baratrum abyssi», ma che si presenta come nozione più articolata dato che nella prima parte della parola si individua la stessa radice che dà luogo all’antico islandese ginna «far incantesimi»; l’espressione equivale ad «abisso di forze magiche»: immagine del tutto pertinente a un modo arcaico di sperimentare la realtà, per il quale il mondo è percorso da una permanente tensione dovuta a ‘forze magiche’ in attesa della manipolazione cosmogonica.
Il v. come ‘nulla di cose e di essenze’ è invece valorizzato religiosamente nell’ambito di religioni superiori quali il buddhismo, che nella speculazione mahayanica e tantrica (➔ tantrismo) lo assume quale termine finale dell’itinerario iniziatico.
Il problema filosofico del v. sorge, nel più antico pensiero greco, per reazione alla dottrina eleatica dell’essere, la quale, concependo la realtà-verità come ‘ciò che è’, respinge nel nulla e nel falso ogni entità che si presenti con un aspetto di intrinseca negazione: e tale è lo ‘spazio vuoto’, configurato appunto come ciò in cui nulla è. In polemica con l’eleatismo, l’atomismo respinge anche la dottrina parmenidea dell’assoluta ‘pienezza’ e afferma la positiva realtà del v.: il mondo si presenta costituito «di atomi e di v.». La dottrina democritea verrà ripresa da Epicuro e Lucrezio. Prevale tuttavia nel pensiero antico la negazione del v. la cui non esistenza è dimostrata da Aristotele nella sua Fisica: egli ritiene che il v., lungi dal dar ragione del moto, lo renderebbe impossibile, come resterebbe senza spiegazione l’azione a distanza (ogni azione essendo spiegabile solo per contatto). Motivi legati ai problemi del v. sono ripresi nell’età ellenistica: soprattutto Erone di Alessandria utilizza l’ipotesi dell’esistenza di piccoli spazi vuoti per spiegare i fenomeni di rarefazione e condensazione.
La fisica medievale, prevalentemente legata a quella aristotelica, respinge l’idea del vuoto. Non mancò chi, peraltro, nell’ambito delle discussioni circa la possibilità dell’esistenza di più mondi e riguardo all’onnipotenza di Dio, ammise la possibilità (Riccardo di Middleton, Walter Burley) e probabilità (Nicola d’Autrecourt) del vacuum. Solo con il ritorno della dottrina atomistica democritea ed epicurea e con la sua utilizzazione, nel primo Seicento, contro la teoria aristotelica dei quattro elementi, si ripropone con più insistenza la tesi dell’esistenza del v.: tuttavia la difficoltà a concepirne l’esistenza portava anche i sostenitori delle teorie corpuscolari del Seicento a considerare il v. come uno spazio riempito di materia sottilissima (spiritus). Fra i più rigorosi sostenitori del v. è invece Gassendi, mentre all’opposto, Descartes, pur elaborando una teoria corpuscolare, lo nega radicalmente in base all’identificazione di estensione e sostanza corporea. Sarà E. Torricelli nel 1644 a dimostrare sperimentalmente la possibilità dell’esistenza del v. in natura.
I problemi relativi al v., legati nel Seicento tanto all’ipotesi corpuscolare quanto alle discussioni sui fenomeni pneumatici e a quelli dell’azione a distanza, si modificarono profondamente con gli sviluppi della fisica, in particolare con l’elaborazione della teoria della gravitazione universale. Le discussioni sul v. entrarono quindi più propriamente nei dibattiti di fisica (soprattutto nella struttura della materia), mentre sul piano filosofico furono riassorbite nel problema dello spazio (➔).
fisica
In meccanica classica, il concetto di stato di v. caratterizza un sistema in cui non siano presenti né particelle né campi. Alternativamente, lo stato di v. classico è quello in cui le particelle che compongono il sistema sono tutte ferme, ovvero possiedono quantità di moto ed energia cinetica nulli. Poiché l’energia potenziale, che con l’energia cinetica concorre a formare l’energia meccanica totale, è definita a meno di una costante additiva arbitraria, essa può essere, in particolari condizioni, assunta nulla per questo stato del sistema; ne deriva che lo stato di v. classico coincide con lo stato a energia totale nulla, ove non si consideri l’energia di massa relativistica.
La situazione è del tutto differente nella meccanica quantistica, ove il principio di indeterminazione di Heisenberg vieta la determinazione simultanea di quantità di moto e posizione di una particella (o equivalentemente di energia e tempo di vita di uno stato energetico), impedendo che anche la misura dell’energia dello stato di v. dia come risultato un valore nullo, da intendersi come esattamente zero. Poiché in meccanica quantistica le particelle possono essere descritte come quanti di opportuni campi (per es., del campo elettromagnetico nel caso dei fotoni), anche il campo di v. può non avere stati a energia nulla. È pertanto inevitabile definire lo stato di v. quantistico come quello a energia minima. Tale stato non ha necessariamente energia nulla, ma possiede un’energia di punto zero, detta anche fluttuazione di punto zero del campo. A causa del principio di indeterminazione, il numero di particelle contenute nello stato di v. non è costantemente nullo, ma subisce fluttuazioni casuali: il v. quantistico va quindi immaginato come un’entità dinamica, e non statica, ricca di tutte le particelle che vengono prodotte da fluttuazioni casuali dello stato di vuoto. Non essendo questi processi direttamente osservabili, essi vengono definiti processi virtuali. La presenza di particelle virtuali nello stato fondamentale di un sistema ha conseguenze profonde sulla comprensione di molti fenomeni appartenenti a settori diversi della fisica, spaziando dalla fisica delle particelle alla fisica dello stato solido. Una particella posta nel v. interagirà con tutte le entità virtuali che la circondano, e queste interazioni si rifletteranno sulle caratteristiche della particella stessa. Questo fenomeno, detto autointerazione, è il risultato dell’interazione della particella con lo stato di v. che, modificato, interagisce a sua volta con la particella: il v., cioè, costituisce il mezzo dell’interazione della particella con sé stessa.
Nella fisica e nella tecnica si chiama v. una rarefazione che può ottenersi in un ambiente con vari sistemi. La tecnica del v., cioè la tecnica mediante la quale è possibile ottenere pressioni inferiori a quella atmosferica normale, cioè a circa 105 Pa, in recipienti di dimensioni più o meno grandi, ha rilevante importanza in varie discipline scientifiche e in molti settori industriali, per es., nel campo scientifico, per alcune manipolazioni chimiche, la spettrografia di massa, l’ottica elettronica, gli acceleratori di particelle ecc.
Il grado di v. di un ambiente è la rarefazione più o meno grande che si è riusciti a ottenere nell’ambiente stesso; è misurato, in sostanza, dalla pressione finale regnante nell’ambiente. In relazione al valore della pressione, si parla di basso v. se la pressione finale è compresa nell’intervallo 105-102 Pa; medio-alto v. nell’intervallo 102-10–1 Pa; alto v. (o v. spinto) 10–1-10–5 Pa e ultra-alto v. (o v. ultraspinto o ultravuoto) se è minore di 10–5 Pa. Gli intervalli di pressione di questa classificazione corrispondono a condizioni dei gas estremamente diverse (v. tab.). Il v. viene ottenuto mediante le pompe da v. (o pompe pneumatiche), delle quali esistono vari tipi (➔ pompa). Se il v. richiesto non è molto spinto, è sufficiente l’azione della pompa, che può anche essere del tipo meccanico; per v. spinti è necessario l’uso di pompe a diffusione e il degassamento dell’ambiente: è questa un’operazione effettuata riscaldando con vari mezzi il recipiente nel quale si fa il v., volta al fine di far fuoriuscire i gas occlusi nelle parti metalliche presenti nell’ambiente. Per migliorare il v. finale si ricorre spesso anche all’azione di sostanze assorbenti capaci di includere, e quindi di sottrarre dall’ambiente, una certa parte dei gas e dei vapori in quello presenti. Nella tecnica dell’alto v. e dell’ultra-alto v. assumono poi particolare importanza le sostanze usate lungo il circuito di svuotamento, in particolare i mastici e le guarnizioni nelle varie giunture e i lubrificanti usati negli eventuali rubinetti: queste sostanze debbono essere caratterizzate da tensioni di vapore estremamente basse per evitare che, evaporando, degradino il v. raggiunto. Peraltro, specialmente nel caso di ambienti relativamente grandi (capacità dell’ordine delle decine di litri), è molto difficile, nonostante ogni precauzione, mantenere un v. molto spinto; in questi casi occorre che le pompe rimangano permanentemente in funzione. Assai spesso la pompa (o le pompe), la canalizzazione principale, i dispositivi di misurazione (vacuometri) e quelli accessori (per es., i dispositivi per il degassamento) sono riuniti, per comodità, in un unico complesso che prende il nome di sistema (o banco) da vuoto.
Nelle costruzioni edilizie si dice misurazione o valutazione v. per pieno di una struttura o di un edificio, la misurazione o la valutazione eseguita come se la struttura o l’edificio fossero tutti costituiti di un solo blocco senza aperture o cavità, e ciò generalmente allo scopo di determinarne rapidamente il valore (di costruzione, di vendita ecc.): per es., il valore di un edificio v. per pieno si ottiene moltiplicando il volume dell’edificio stesso in m3, determinato dalle sue dimensioni esterne, per un valore convenzionale del m3, stabilito a seconda delle caratteristiche dell’edificio.
I problemi aeronautici in quello che nel passato era chiamato v., vale a dire nell’altissima atmosfera (oltre i 20 km di quota) e addirittura nello spazio circumterrestre, sono oggetto della superaerodinamica. Nell’atmosfera rarefatta delle quote orbitali vanno determinate le azioni che molecole o atomi esercitano sulla superficie esterna di un satellite per stabilire i coefficienti aerodinamici, e quindi la resistenza totale, da cui dipendono vita orbitale e stabilità intorno al baricentro. Molecole e atomi si considerano neutri (la magnetoaerodinamica studia il moto di correnti ionizzate). Rispetto al numero di Knudsen (➔ Knudsen, Martin Hans Christian), Kn, il campo della superaerodinamica è caratterizzato da Kn≃1 o Kn≫1 per cui le collisioni tra molecole del mezzo e corpo in moto sono preponderanti rispetto a quelle intermolecolari nel gas. La trattazione è svolta in base alla teoria cinetica dei gas, mediante la quale, noti i coefficienti di accomodamento e temperatura superficiale del corpo, si determinano i coefficienti aerodinamici Cr, Cp del corpo e il coefficiente di scambio di energia fra corpo e gas. Il regime con Kn≫1, detto regime delle molecole libere, si studia trascurando le collisioni intermolecolari. Le azioni tra corrente e corpo si determinano dalle variazioni di quantità di moto delle molecole prima e dopo l’urto con il corpo. Con i coefficienti di accomodamento si calcolano le quantità di moto delle molecole dopo l’urto. I regimi con Kn≃1 sono di transizione fra regime continuo (Kn≪1) e molecole libere (Kn≫1). In quello di scorrimento (slip flow), non vale la condizione di aderenza (cioè velocità relativa nulla) del gas alla superficie. Il problema è di notevole complessità teorica (campo di validità delle equazioni fondamentali) e sperimentale (corretta interpretazione dei dati). La sperimentazione si esegue in gallerie a bassa densità in cui si ottiene lo slip flow; gli impianti constano di sorgente con gas in pressione (argo, He, N2), camera di ristagno, condotto di accelerazione e camera di prova (dove il grado di v. è dell’ordine di 10–2 mbar). Il modello c è disposto (v. fig.) nella camera di prova a su un supporto b e le forze agenti su di esso (ordine di 10–2 N) si misurano con la bilancia di torsione d. Per Mach superiore a 6 il gas è prima riscaldato con arco elettrico e per evitare condensazione sul modello. Per il campo Kn≫1 si usano gallerie a fascio molecolare in cui si ha un fascio collimato di molecole la cui energia cinetica, relativa alla velocità di volo del corpo, si regola agendo su pressione p0 e temperatura T0 iniziali del gas, mentre il cammino medio molecolare è regolato da diametro dell’orifizio di afflusso e pressione in camera di prova. L’angolo di attacco del modello può variare. Con un tubo di Pitot per bassa densità si rileva inclinazione e velocità delle molecole riflesse, con la bilancia di torsione si misura la forza totale sul modello.
Con v. d’aria si indica la causa apparente di rapide e non volute riduzioni di quota di aeromobili in volo in aria agitata, causate invece dalla brusca riduzione di incidenza aerodinamica (➔ raffica).