Area di d. (o d. areale) La superficie geografica su cui è distribuita una data specie animale o vegetale; può essere più o meno ampia o ristretta, continua o interrotta.
1. D. materiale
Per d. materiale s’intende il trasporto di materia nello spazio per effetto di un gradiente di concentrazione; meccanismi meno frequenti di d. materiale trovano origine in un gradiente di temperatura o in forze applicate esternamente, per es., per azione di un campo elettromagnetico.
1.1 D. molecolare. - È il trasporto di materia che avviene per effetto del moto individuale delle singole molecole, soggette, per agitazione termica, a spostamenti nello spazio spontanei e disordinati (cioè in tutte le direzioni). In condizioni non stazionarie, l’equazione generale della d. molecolare assume la forma:
dove c è la concentrazione (numero di molecole per unità di volume), in corrispondenza del generico istante t, D rappresenta il coefficiente di d., o diffusività. Se per es. all’istante iniziale sono presenti N molecole, tutte nel punto O, risolvendo l’equazione della d. si ottiene
dove r è la distanza dal punto O; la distanza media da O a cui si trova una molecola dopo un intervallo di tempo t è data pertanto da r2−− =6Dt.
Se il trasporto di materia è unidirezionale (per es. nella direzione x), l’equazione della d. assume l’espressione semplificata, conosciuta come seconda legge di Fick
La variazione di concentrazione nel tempo risulta, pertanto, proporzionale alla variazione del gradiente di concentrazione con la posizione nello spazio secondo la direzione di trasporto. In condizioni stazionarie (∂c/∂t=0), per integrazione condotta nell’ipotesi che D sia costante al variare della concentrazione, si ha:
Un semplice bilancio di materia rende esplicito il significato fisico della costante che compare nell’equazione precedente; si ottiene così la prima legge di Fick:
dove ϕ è il flusso netto di materia, che dà il numero di molecole trasportate per unità di tempo e per unità di superficie perpendicolare alla direzione di trasporto.
La d. molecolare è grandemente influenzata dalla natura del mezzo in cui avviene il trasporto; nei gas le molecole rappresentano la fase discontinua inserita in una fase continua data dallo spazio vuoto in cui esse possono muoversi liberamente; questo modello non è applicabile allo stato liquido, in cui invece le molecole costituiscono la fase continua nella quale sono presenti spazi vuoti (fase discontinua) di dimensioni dell’ordine del diametro molecolare. La d. nei liquidi può avvenire soltanto se una molecola migra in uno spazio vuoto adiacente, rendendo così disponibile un nuovo spazio libero in corrispondenza della regione occupata originariamente dalla molecola. La diversità dei due meccanismi di trasporto giustifica, pertanto, la minore velocità con cui avviene il trasporto di materia nei liquidi rispetto ai gas. Nei solidi la d. è praticamente trascurabile: alcuni gas tendono a diffondere lentamente nei metalli (è il caso, per es., dell’idrogeno nel palladio).
1.2 D. con produzione o assorbimento. - È detta anche d. con generazione interna e si verifica nei sistemi in cui sono presenti sorgenti (o ‘pozzi’) per le molecole o più in generale per le particelle che diffondono, cioè nei sistemi in cui non è costante nel tempo il numero totale delle particelle presenti; in tal caso la seconda equazione di Fick diventa
dove P e A sono rispettivamente il numero di particelle prodotte e assorbite per unità di volume e di tempo. L’equazione della d. con produzione e assorbimento riveste particolare importanza nello studio della d. dei neutroni in un reattore nucleare, nel quale i neutroni vengono prodotti per fissione nel materiale combustibile e assorbiti per cattura nel materiale moderatore.
2. D. turbolenta
È il trasporto di materia che avviene con il concorso del moto d’insieme di gruppi di molecole soggetti a moti caotici casuali presenti nel moto turbolento. In condizioni stazionarie, l’equazione generale della d. turbolenta assume la forma:
,
dove EN prende il nome di coefficiente di d. (o diffusività) turbolenta. L’equazione precedente, se pur evidenzia bene come al trasporto di materia concorrano, in presenza di vortici, i due meccanismi fondamentali, l’uno molecolare e l’altro turbolento, non è suscettibile di applicazioni dirette, in quanto è rappresentativa delle condizioni ‘puntuali’ del sistema. Occorre, pertanto, eseguire un processo d’integrazione che riconduca l’esame del fenomeno alle proprietà medie e alle dimensioni geometriche macroscopiche del sistema. Al posto del prodotto del gradiente di concentrazione per la somma dei coefficienti di d. si sostituisce il prodotto della differenza delle concentrazioni, calcolate fra massa del fluido e interfaccia, per un unico coefficiente di trasporto di materia, calcolabile correlando, per mezzo dell’analisi dimensionale (o dell’analisi dei meccanismi), le variabili (o i meccanismi) da cui è stata riconosciuta la dipendenza e determinando sperimentalmente i coefficienti dell’equazione risultante (➔ anche trasporto). La d. turbolenta, che si stabilisce in presenza di vortici e cioè nei casi di stato di moto turbolento, è caratterizzata dal fatto che gran parte del salto motore, cioè della differenza di concentrazione fra la superficie limite e la massa del fluido, resta concentrato praticamente in uno strato limite, o film, aderente alla superficie limite, o interfaccia, attraverso la quale avviene il trasferimento di materia tra le fasi.
3. D. di radiazioni
Per d. di radiazioni s’intende lo sparpagliamento di un fascio di radiazioni ondulatorie o corpuscolari nella propagazione all’interno di un mezzo.
3.1 D. della luce. - Fenomeno che viene a determinarsi quando un fascio di raggi luminosi batte su una superficie che non sia perfettamente assorbente e, al tempo stesso, non sia così pulita e regolare da dare luogo alla riflessione ordinaria: in queste condizioni i raggi non assorbiti vengono rinviati indietro, in tutte le possibili direzioni (è questo il motivo per cui una superficie bianca, ma non lucida, appare pressoché uniformemente illuminata comunque si diriga su di essa un fascio di luce). Accanto a questa, nota come d. per riflessione (o d. superficiale; fig. A), vi è anche una d. per trasparenza (o d. di volume; fig. B), che si determina quando la luce si propaga in un mezzo disseminato di particelle estranee o, più in generale, caratterizzato da discontinuità locali dell’indice di rifrazione: tali particelle o discontinuità, note come centri diffusori, rinviano la luce in tutte le direzioni. In un mezzo del genere, per es. aria polverulenta, il percorso del fascio è ben visibile, e i centri diffusori più grossi, per es. grosse particelle di pulviscolo, appaiono come punti brillanti. Com’è naturale, l’intensità della luce diminuisce, a causa della d. laterale e all’indietro, via via che si procede lungo il fascio; detta I0 l’intensità in un certo punto, l’intensità I in un punto a distanza x nella direzione di propagazione del fascio vale I0e–kx, dove k è il coefficiente di d.: per l’attenuazione da d. vale cioè una legge formalmente identica a quella che governa l’attenuazione per assorbimento. L’espressione esplicita del coefficiente di d. e, in definitiva, le modalità con cui il fenomeno si presenta, dipendono dalla natura, dalla densità e dalle dimensioni dei centri diffusori.
Se i centri hanno dimensioni molto minori della lunghezza d’onda λ della luce, la d. risulta molto più elevata per le brevi lunghezze d’onda, cioè si presenta con carattere selettivo rispetto a λ. Se i centri diffusori sono indipendenti, cioè la loro posizione mutua è casuale, come si dà, per es., se i centri in questione sono le molecole di un gas ( d. molecolare), la d. è governata dalla legge di Rayleigh (1871), secondo la quale detta I0 l’intensità della luce incidente, l’intensità I (ϑ, r) della luce diffusa vale
,
essendo n l’indice di rifrazione del gas, N il numero di molecole per unità di volume, r la distanza del punto in cui si valuta I dal punto in cui si valuta I0, ϑ l’angolo ( angolo di d.) che il raggio diffuso considerato forma con i raggi incidenti. La quantità I(ϑ, r)r2/I0 = R(ϑ) è detta rapporto di Rayleigh; ogni processo di d. per il quale valga tale relazione è detto genericamente d. alla Rayleigh. Un esempio si ha nella propagazione della luce solare nell’atmosfera terrestre: dello spettro solare sono prevalentemente diffusi i componenti verso l’azzurro, e ciò dà conto della colorazione azzurra del cielo diurno. Se la posizione dei centri diffusori è ordinata, o quanto meno non varia casualmente nel tempo (per es. nei solidi), le onde diffuse dai vari centri sono in una relazione di fase tra loro abbastanza regolare: si ha d. coerente. Come si dimostra, se i centri diffusori fossero fermi, le onde diffuse interferirebbero tra loro in modo da dar luogo a un’intensità risultante non nulla soltanto nella direzione di propagazione della luce incidente, cioè non si avrebbe diffusione. In realtà, i centri diffusori sono animati da moti di vibrazione per agitazione termica, così l’estinzione per interferenza in direzioni diverse da quelle del fascio incidente non è completa: l’intensità della debole luce diffusa lateralmente e all’indietro risulta, a parità di altre condizioni, direttamente proporzionale alla temperatura e, come nella d. alla Rayleigh, inversamente proporzionale a λ4. Il fenomeno è molto più complesso se le dimensioni dei centri diffusori non sono molto minori di λ. I centri diffusori, allora, non possono più essere considerati puntiformi, e va tenuto conto della fase relativa delle onde diffuse da porzioni diverse di uno stesso centro diffusore: si ha diffrazione e, per centri molto grossi, semplice riflessione diffusa. La teoria della d. in tali circostanze è dovuta a G.A. Mie. La dipendenza da λ dell’intensità I della luce diffusa non risulta così semplice come nella d. alla Rayleigh; tra i parametri che determinano il rapporto I/I0 compare anche il volume dei centri diffusori. Se i centri diffusori sono non molto numerosi e piuttosto grossi, come accade, per es., nelle soluzioni colloidali, i singoli centri sono osservabili separatamente grazie alla luce da essi diffratta; se la luce incidente è bianca, quella diffusa, anziché essere azzurrina, è biancastra, con un debole tono cromatico dipendente dalle dimensioni dei diffusori. La d. della luce da parte di particelle relativamente grandi è nota anche come d. alla Tyndall. A una d. del genere è dovuta, per es., la luminosità delle nebulose (➔) diffuse lucide e la luce zodiacale. Nel cosiddetto effetto Raman (➔ Raman, Chandrasekhara Venkata) la luce diffusa presenta componenti di debole intensità che non compaiono nella luce incidente.
3.2 D. delle onde elastiche. - Fenomeno che si presenta con modalità analoghe a quelle della d. della luce, pur se, per le diverse lunghezze d’onda in gioco, mezzi diffondenti per la luce non lo sono per le onde elastiche e viceversa; così, per es., la nebbia diffonde la luce ed è trasparente al suono, mentre un bosco può dar luogo a d. del suono ma non della luce.
3.3 D. di radiazioni ondulatorie e corpuscolari. - È lo sparpagliamento che un fascio di onde elettromagnetiche o di particelle subisce nell’attraversare un mezzo materiale in virtù delle interazioni con le particelle del mezzo stesso (molecole, atomi, elettroni, nuclei atomici): un caso particolare, di rilevante importanza storica e fenomenologica, è la d. della luce. Lo studio dei fenomeni di d. costituisce uno dei mezzi più cospicui per indagare la struttura delle molecole, degli atomi e dei nuclei; proprio con un esperimento di d. di particelle α in lamine metalliche, E. Rutherford dimostrò l’esistenza dei nuclei atomici. Si parla di d. isotropa oppure anisotropa a seconda che, a parità di altre condizioni, l’intensità dei raggi diffusi non vari oppure vari al variare dell’ angolo di d. ϑ, che è l’angolo fra la direzione x lungo la quale si propaga il fascio incidente e la direzione in cui si raccolgono o si osservano i raggi diffusi. Le caratteristiche con cui la d. ha luogo, e, in particolare, l’isotropia o l’anisotropia, dipendono dalla natura della radiazione incidente e del mezzo diffondente, e quindi dal tipo d’interazione tra la radiazione e il mezzo in questione. Per le radiazioni elettromagnetiche (radioonde, luce, raggi X, raggi γ) propagantisi in corpi solidi cristallini, l’interazione consiste nel fatto che la radiazione pone in regime di vibrazione forzata gli elettroni del mezzo. Se la lunghezza d’onda λ della radiazione incidente è relativamente grande, ed è il caso delle radioonde, le radiazioni diffuse, vale a dire le radiazioni emesse dai singoli elettroni vibranti, interferiscono tra loro in maniera semplice, dando luogo complessivamente a raggi che si riflettono e si rifrangono sulla superficie del mezzo e, eventualmente, si trasmettono nel mezzo stesso: d. in senso proprio si ha soltanto se il mezzo non è omogeneo.
Assai più interessante è il caso di radiazioni di breve lunghezza d’onda, per es. raggi X. L’esperienza mostra che la propagazione del fascio incidente nel mezzo è accompagnata da una radiazione diffusa nella quale sono distinguibili 4 componenti: radiazione diffratta, radiazione diffusa propriamente detta, radiazione Compton, radiazione di fluorescenza.
Radiazione diffratta Si origina dalla diffrazione della radiazione incidente; ha la stessa lunghezza d’onda della radiazione incidente e si presenta con una marcata anisotropia. Radiazione diffusa Deriva da interazioni che possono essere descritte come urti anelastici tra i fotoni incidenti e i fononi nel mezzo (vale a dire, energia della radiazione incidente viene convertita in energia di vibrazione degli atomi del cristallo); la lunghezza d’onda di essa risulta leggermente diversa (qualche unità su 104 per i raggi X) da quella della radiazione incidente, e l’intensità aumenta all’aumentare della temperatura.
Radiazione Compton Così chiamata in quanto originantesi per effetto Compton (➔ Compton, Arthur Holly), vale a dire per urti elastici tra fotoni incidenti ed elettroni; la lunghezza d’onda λ′ di essa è maggiore di λ, da cui differisce per una quantità che dipende dall’angolo di diffusione.
Radiazione di fluorescenza Con lunghezza d’onda maggiore di λ, deriva da atti di emissione da parte di atomi eccitati dalla radiazione incidente; a differenza delle precedenti, è isotropa e per tale sua caratteristica non è utilizzabile per ottenere informazioni sulla struttura del mezzo.
I fenomeni di d. a cui in un solido cristallino dà luogo un fascio di radiazioni corpuscolari sono analoghi, salvo il fatto che, in questo caso, come centri diffusori vanno considerati anche i nuclei atomici. Così, per es., per particelle cariche si può avere d. per interazione con il campo elettrostatico delle cariche nucleari ( d. coulombiana).
3.4 D. di radioonde. - Importanti fenomeni di d. delle radioonde hanno luogo nell’atmosfera terrestre a causa di variazioni locali, su scala relativamente piccola, dell’indice di rifrazione radioelettrico dell’atmosfera. Nella troposfera, inomogeneità dell’indice di rifrazione si hanno essenzialmente a causa della turbolenza; si formano in continuazione, e in continuazione si dissolvono, piccole zone in cui la pressione, l’umidità, la temperatura, e quindi anche l’indice di rifrazione, hanno valori sensibilmente diversi da quelli delle zone circostanti: le radioonde, se di lunghezza λ molto minore della dimensione massima l di tali zone, subiscono sulla superficie di queste ultime una riflessione diffusa, sparpagliandosi tutt’intorno. L’esperienza dà per l valori dell’ordine di 50-80 m: la d. troposferica è quindi particolarmente importante per le onde ultracorte e per le microonde, la cui portata, di per sé poco maggiore dell’orizzonte dell’antenna trasmittente, può estendersi ben oltre l’orizzonte, sino a centinaia di kilometri.
Nella ionosfera, disomogeneità su piccola scala dell’indice di rifrazione si hanno a causa della turbolenza elettronica e di ionizzazioni concentrate (per es., le scie ionizzate delle meteore). L’esperienza mostra che la quota media delle regioni ionosferiche più fortemente diffondenti è intorno a 80 km, cioè coincidente all’incirca con la quota di massima ionizzazione da meteore, e che la d. diminuisce, a parità di altre condizioni, al diminuire di λ. Questo fa sì che la d. ionosferica sia molto importante per onde di lunghezza intorno a 6 m (f=50 MHz); onde più corte sono poco diffuse, mentre onde più lunghe (f≤30 MHz) subiscono la normale riflessione ionosferica.
4. D. del campo magnetico
In un fluido di resistività elettrica non nulla, un campo magnetico, inizialmente localizzato in una certa regione, tende a diffondere con il passare del tempo, fino a raggiungere una distribuzione uniforme. Questo fenomeno, noto come d. del campo magnetico, è descritto dalla equazione di d.:
dove B è l’induzione magnetica, μ la permeabilità magnetica e σ la conducibilità elettrica del fluido. Questa equazione rientra, come caso particolare, nell’equazione dell’induzione magnetica (➔ magnetofluidodinamica): ∂B/∂t=rot (v × B)+(μσ)–1 ∇2B, da cui discende se la velocità v del fluido è nulla.
Risolvendo l’equazione di diffusione, si trova che un campo magnetico, inizialmente localizzato in un punto O, assume un valore sensibilmente costante entro una sfera di centro O e raggio L, dopo un tempo τ=μσL2; τ è il tempo di d. del campo magnetico. In generale τ aumenta al crescere della conducibilità elettrica del fluido e delle sue dimensioni. In molti processi astrofisici, nei quali si ha a che fare con corpi di dimensioni assai grandi, il tempo di d. diviene lunghissimo: per es., esso è 105 anni per la Terra e 1010 anni per il Sole.
In elettrochimica, la corrente di d. rappresenta una delle tre componenti della corrente di elettrolisi (le altre due sono la corrente convettiva e quella di campo elettrico).
5. Aspetti tecnici
Fenomeni di d. intervengono, talora in maniera determinante, in vari processi metallurgici. Così, nel corso di processi ossidativi di metalli o di leghe metalliche, rivestono particolare importanza i fenomeni di scambio gas-solido, che dipendono largamente da meccanismi di diffusione. L’importanza della d. è notevole anche nei fenomeni di corrosione e di elettrodeposizione; grazie ai fenomeni diffusivi di scambio solido-solido, si rende possibile la saldatura fra materiali diversi, sia direttamente per pressione, sia previa inserzione fra le parti da saldare di un metallo, o lega, portati temporaneamente allo stato liquido per favorirne appunto la diffusione.
Altri processi di d. interessano la cementazione, la nitrurazione, e alcuni sistemi di metallizzazione.
D. è il processo dinamico opposto a quello di concentrazione, cioè l’aumento del numero dei possidenti, dei redditieri, delle imprese ecc., restando fermo il rispettivo ammontare globale della ricchezza, del reddito o del capitale investito.
D. dell’imposta Processo di propagazione degli effetti indiretti prodotti dall’imposta alle economie connesse con quelle dei contribuenti. Tali effetti possono comportare un’alterazione anche profonda dell’equilibrio economico.
D. del valore Secondo la teoria del valore (➔), ricezione, da parte del mercato, del valore economico di un’impresa. Un’impresa diffonde il proprio valore quando i progressi realizzati trovano espressione nei valori di mercato delle azioni.