La volta emisferica che sembra limitare verso l’alto la nostra visione e la cui base circolare sembra posare sull’orizzonte.
La volta celeste appare emisferica, ma alquanto appiattita in conseguenza del fatto che le distanze si apprezzano in modo differente, secondo che la visuale sia diretta verso l’alto o verso l’orizzonte.
Il colore del c. diurno senza nubi è in generale azzurro, più carico nelle regioni lontane dal Sole, più sbiancato in quelle vicine al Sole e in basso, specialmente verso l’orizzonte; esso è dovuto alla diversa diffusione della luce solare da parte delle molecole dei gas atmosferici e di minutissimi corpi solidi in sospensione a seconda dell’angolo tra le direzioni molecole-osservatore e molecole-Sole. La diffusione avviene secondo la legge di Rayleigh (intensità della luce diffusa inversamente proporzionale alla quarta potenza della lunghezza d’onda della radiazione): le radiazioni azzurre e violette sono diffuse in ragione 16 volte maggiore delle rosse. Da questo fatto, deriva la caratteristica colorazione giallo-rossa del c. nelle zone vicine al Sole che tramonta o che sorge. Alla medesima causa fondamentale della diffusione molecolare della luce (complicata però da altri fattori, come la diffusione secondaria, la riflessione parziale ecc.) si deve anche attribuire la polarizzazione parziale della luce del c. sereno.
Il c. notturno, in assenza di nubi, appare come un’immensa cupola nerastra, cosparsa di astri, alcuni dei quali riuniti in gruppi (costellazioni), come se fossero tra loro materialmente collegati. In una notte serena, a occhio nudo, si possono distinguere circa 6000 stelle, ma a causa della loro oscillazione si ha l’illusione di vederne un numero molto maggiore. Per effetto del moto diurno di rotazione della Terra da O verso E, la volta celeste appare rotare in senso contrario, e cioè da E verso O (da qui il sorgere e tramontare degli astri). La visibilità degli oggetti celesti varia anche nel corso dell’anno a causa del moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole. La distribuzione delle stelle sulla volta celeste non è uniforme: in alcune regioni esse sono enormemente agglomerate, in altre molto scarse; la densità è massima nei pressi della Via Lattea. Tra gli oggetti celesti, oltre alle stelle, sono visibili sulla volta celeste, a occhio nudo o con l’aiuto di strumenti ottici, anche i pianeti, gli ammassi globulari, le nebulose planetarie e le nebulose spirali. Il c. notturno risulta illuminato, oltreché dalla debole luce delle stelle e dei pianeti, dalla luce della Luna, se presente, e soprattutto da un debole fondo di luce diffusa: quella diffusa nello spazio interstellare, quella solare diffusa nello spazio interplanetario (luce zodiacale), quella emessa dai gas atmosferici.
Il c., sia concepito come ontologicamente del tutto diverso dall’ordine terrestre sia inteso come intimamente e solidamente legato a quest’ultimo, è universalmente presente negli interessi religiosi di tutte le civiltà. L’essere supremo abita nel c., è dotato dell’attributo dell’onniveggenza (fornitogli ‘naturalmente’ dall’infinito numero di stelle), mediante il quale esercita la sua funzione di controllo sull’andamento della vita della società e delle azioni umane; conseguentemente, punisce le trasgressioni soprattutto con mezzi meteorici provocatori di catastrofi (uragano, folgore, grandine ecc.; ovvero con la sospensione dell’intervento meteorico nel suo aspetto positivo: siccità in luogo della pioggia fecondatrice ecc.); spesso il suo nome proprio è tutt’uno con la parola cielo. Nelle religioni politeistiche delle civiltà superiori, al vertice dei singoli pantheon c’è, nella maggioranza dei casi, una divinità celeste. Momento saliente della mitologia celeste è il tema dell’originaria prossimità del c. alla terra, dall’amplesso dei quali furono generati gli uomini; il modo in cui avvenne il distacco è argomento di numerosi miti cosmogonici. Ma il c. continua a essere collegato alla terra, unito a essa dall’arcobaleno, concepito come un ponte (il ponte di Bifröst nella mitologia germanica, quello di Cinvat nelle tradizioni iraniche ecc.) o come fune, oppure raggiungibile mediante la ‘catena di frecce’, di cui la prima conficcata nella volta celeste, la seconda nella cocca della prima, la terza in quella della seconda e così via. Per tale via dal c. possono scendere sulla terra gli esseri divini che in esso dimorano o dalla terra ascendere al c. gli eroi divinizzati. Il c. può essere considerato esso stesso come divino, o dare qualche carattere alla divinità. Presso i Romani antichi, personificazione del c. fu Caelus, divinità corrispondente all’Urano dei Greci.
Nella Bibbia, il c. è spesso presentato come la dimora di Dio. Data l’osservanza estremamente rigorosa del precetto di non nominare il nome di Dio, c. divenne presso gli Ebrei metonimia comune per Dio: onde l’equivalenza nelle due espressioni «Regno di Dio» e «dei Cieli» (malkùth shammàim, βασιλεία τῴν οὐρανών). Analogamente nel linguaggio cristiano corrente c. può significare Dio stesso, o, con evidente antropomorfismo, la sua ‘dimora’, oppure lo stato glorioso di vita e di beatitudine eterna degli uomini redenti da Cristo e morti nell’amicizia con Dio.