Sensazione fisiologica che si prova sotto l’effetto di luci di diversa composizione spettrale ( c. soggettivo) e la luce stessa ( c. oggettivo), costituita da radiazioni elettromagnetiche di determinate lunghezze d’onda.
Le radiazioni elettromagnetiche, la cui lunghezza d’onda λ è compresa tra 0,4 μm circa e 0,75 μm circa, danno luogo nell’occhio umano a una particolare sensazione di c. (colore c. semplici oggettivi). I c. semplici oggettivi sono infiniti, stante la continuità con cui varia la lunghezza d’onda; tuttavia, per comodità di riferimento, è solito tra questi fissare sette c. fondamentali: il rosso (λ~0,7-0,64 μm), l’aranciato (λ~0,64-0,58 μm), il giallo (λ~0,58- 0,57 μm), il verde (λ~0,57-0,49 μm), l’azzurro (o blu) (λ~0,49-0,45 μm), l’indaco (λ~0,45-0,42 μm), il violetto (λ~0,42-0,4 μm). Questi c. si dicono anche colore c. (o componenti) dello spettro solare perché dalla loro fusione (come si prova con l’esperienza del disco di Newton) si ha luce solare (o bianca); altra denominazione di tali c., nel linguaggio della cromatica, è quella di colore c. spettrali saturi. Una luce policromatica si dice invece colore c. oggettivo composto. I c. dalla cui sovrapposizione si ha luce bianca si dicono colore c. complementari.
Quando si parla di c. come sensazione prodotta sulla retina dalle radiazioni visibili, ed è questo l’uso corrente del termine, esso viene detto anche colore c. soggettivo. Si ammette (teoria di T. Young, 1807, e di H. von Helmholtz, 1852), e l’ipotesi è confermata dai fenomeni di daltonismo e di acromatopsia, che la sensazione di c. dovuta a una luce qualunque possa essere considerata come una risultante di tre più o meno intense sensazioni elementari provocate in tre gruppi di coni retinici da altrettante radiazioni monocromatiche che darebbero luogo a specifici effetti fotochimici. Tali sensazioni si dicono anche, naturalmente con un significato del termine differente da quello precedentemente indicato, colore c. fondamentali. Lo studio dei c. e delle luci colorate può essere fatto sia dal punto di vista fisico, in base alla composizione spettrale, sia da un punto di vista fisiologico, in base alle sensazioni che essi danno (➔ cromatica). L’analisi spettrale può non portare alla medesima classificazione cui porta quella fisiologica, perché luci di composizioni spettrali differenti possono dare la medesima sensazione (colore c. metameri).
Si parla pure, nel linguaggio corrente, di c. di un corpo, ma la locuzione è vaga perché un corpo può apparire di c. diverso a seconda della luce da cui è investito e delle radiazioni che esso è capace di rinviare o dalle quali si lascia attraversare se è trasparente. In generale, si può dire che un corpo illuminato con luce bianca appare di un c. corrispondente alle radiazioni che esso è capace di diffondere, e un corpo osservato per trasparenza con luce bianca appare di un c. corrispondente alle radiazioni che esso è capace di trasmettere. Un corpo capace di diffondere ugualmente bene tutte le radiazioni dello spettro visibile apparirà quindi bianco se illuminato con luce bianca, rosso se illuminato con luce rossa e così via; un corpo che invece non diffonde alcuna radiazione, cioè le assorbe tutte, apparirà nero qualunque sia il c. della luce che lo investe. Un corpo che non sia né bianco né nero, nel senso ora detto, apparirà peraltro nero se la luce che lo illumina non contiene le radiazioni che il corpo è in grado di diffondere: per es., se un corpo investito da luce bianca (luce solare) appare rosso, apparirà quasi nero se investito da una luce che non contenga il rosso.
In fisica delle particelle elementari, il c. è un numero quantico con tre possibili valori (rappresentati generalmente mediante i c. rosso, verde e blu), introdotto da M.Y. Han e Y. Nambu per far sì che tutti i quark di un barione siano in un differente stato.
colore Falso c. Tecnica usata in astrofisica, in medicina o in meteorologia per elaborare e visualizzare immagini di un soggetto ottenute in una o più bande di frequenza. Consiste nell’associare, alle diverse intensità luminose delle immagini di partenza, opportuni valori di tre c. fondamentali (generalmente rosso, blu e verde): si ottiene una ricostruzione sintetica e in una sola visione (immagine a falsi c.) dell’informazione contenuta nelle immagini di partenza.
Nei vegetali, le colorazioni sono determinate dalla presenza di pigmenti, o da fenomeni di riflessione, interferenza, rifrazione, o dalle due cause insieme. Raramente sono dovute a incrostazioni di sostanze di natura organica o minerale, depositate alla superficie. Il c. caratteristico dei vegetali è il verde, dovuto al sistema clorofilliano; alcuni gruppi di piante appaiono di c. azzurro (Cianobatteri), giallo o giallo-bruno (Diatomee, Feoficee), rosso o violaceo (Rodoficee) per la presenza di pigmenti (ficocianina, ficoeritrina, ficofeina ecc.). Il giallo o l’aranciato dei fiori e dei frutti (rose, pomodori) o di altri organi (radice della carota) dipende dai carotenoidi (caroteni, xantofille) contenuti nei plastidi. Alcuni pigmenti sono sciolti nel succo cellulare, come le antocianine che colorano di rosso, azzurro o violetto molti fiori, frutti ecc., e le antoclorine che colorano di giallo; i carotenoidi sciolti in goccioline di grasso rendono gialli o aranciati il ricettacolo e le spore di vari funghi. Il bianco, dei fiori, della polpa dei frutti ecc., va attribuito alla riflessione della luce, o a depositi di cere sull’epidermide. Il c. nero è determinato dall’assorbimento totale della luce incidente: per es. le macchie nere del tulipano risultano dal sovrapporsi dell’epidermide, ricca di antocianina violetta, a uno strato opaco di tessuti sottostanti.
colore Problema dei quattro c. Problema nato dalla colorazione delle carte geografiche. Una carta è da considerarsi convenientemente colorata quando non vi sono due regioni confinanti (lungo un intero arco di curva, e non in un solo punto) contrassegnate dallo stesso c.: il problema consiste nel dimostrare se è possibile o no colorare convenientemente un globo (o regione di globo) con quattro c. al più. Gli Americani K. Appel e W. Haken, utilizzando un elaboratore elettronico, sono giunti nel 1976 alla conclusione che ciò è sempre possibile. Successivamente sono state indicate dimostrazioni più semplici, per es., da D.I.A. Cohen.
Il problema dei c. si pone più in generale per una superficie qualunque nel modo seguente: qual è il minimo numero di c. occorrenti per colorare convenientemente (nel senso sopra specificato) una qualunque carta geografica disegnata su tale superficie? Tale numero, che è un invariante topologico, prende il nome di numero cromatico della superficie considerata. È dimostrato, per es., che 7 è il numero cromatico di una superficie torica.
La percezione del c. non è la semplice registrazione di un attributo della radiazione fisica, ma avviene con la mediazione di processi fisiologici, la cui complessità ha dato luogo a numerose teorie. Dal punto di vista psicologico, i problemi più importanti posti dai c. riguardano l’ordinamento delle impressioni cromatiche. Nell’ordinamento si tiene conto anzitutto della tonalità (circa 200-250 quelle distinguibili da un occhio umano normale), della chiarezza o luminosità e della saturazione (cioè il grado di pienezza di un’impressione cromatica). L’occhio umano riesce a individuare complessivamente circa 350.000 qualità cromatiche (consistenti nel rapporto tra i tre paramentri sopra riportati). Sul problema centrale della costanza relativa del c. si sono cimentati molti studiosi della percezione e la letteratura sull’argomento è ricchissima. Si ritiene per lo più che la costanza cromatica (risultante di una trasformazione a livello del sistema nervoso centrale) consentirebbe di agire con sicurezza in un mondo di cose familiari che non mutano continuamente d’aspetto: entrerebbero in gioco dei fattori di campo, per cui l’aspetto cromatico di una zona del campo visivo dipenderebbe dai rapporti con le zone adiacenti.
Vi può essere una cecità totale o parziale al c. (discromatopsia); molto studiata, ma ancora ben poco spiegata, è l’audizione colorata, che è una sinestesia per cui ai suoni vengono associati specifici c., sia solo pensati sia addirittura visti.
Da sempre i c. hanno un significato simbolico, senza che ci sia però uniformità di associazione nelle diverse culture.
Si dicono c. liturgici quelli che la Chiesa prescrive, secondo l’occasione e il carattere del giorno, nelle funzioni sacre. Secondo l’uso della Chiesa romana sono quattro: bianco, rosso, verde, viola. L’oro può sostituire il bianco, il rosso e il verde; l’argento il bianco.
I c. caratterizzano il tegumento sia dei Vertebrati sia degli Invertebrati e nella loro straordinaria varietà, in dipendenza del sesso, dell’età, delle condizioni ambientali, stagionali, fisiologiche, rappresentano uno dei fenomeni più complessi dai punti di vista della fisico-chimica, della fisiologia, dell’ecologia. Vanno distinte le colorazioni dovute alla presenza nell’organismo di speciali pigmenti, che sono più largamente diffuse, da quelle che dipendono invece da fenomeni essenzialmente fisici. Colorazioni rosse, aranciate, gialle sono dovute ai carotenoidi, quelle verdi al gruppo delle porfirine; l’unico pigmento cutaneo dei Mammiferi è rappresentato dalle melanine. Le colorazioni bianche e argentee di molti Insetti, ma soprattutto di Pesci, sono dovute a basi puriniche, guanina e acido urico. La sede elettiva di queste sostanze è il tegumento, ma esse sono diffuse anche nei liquidi circolanti. Nei casi più frequenti i pigmenti si trovano contenuti in particolari cellule del derma (cromatofori) che li elaborano e che, con particolari meccanismi, ne fanno spostare i granuli variamente concentrandoli o espandendoli nella cellula. Si determinano così cambiamenti di c. dell’animale, fenomeno di natura riflessa legato a stimoli visivi, tattili, cutanei ecc. Nei Vertebrati superiori, i cromatofori mancano e le colorazioni cutanee sono di origine essenzialmente epidermica. Nei Mammiferi, per es., e così anche negli Uccelli, le melanine si trovano nelle cellule epidermiche dello strato del Malpighi e nello strato corneo. Dal contrasto dovuto all’ineguale distribuzione del pigmento epidermico, nonché alla ineguale distribuzione dei cromatofori e alla loro espansione e retrazione, derivano tutti gli svariati disegni cutanei sia caratteristici di certe condizioni fisiologiche, sia costanti e anatomicamente definiti. La formazione e distribuzione dei pigmenti negli animali è definita dall’azione trofica del sistema nervoso sui cromatofori, e da influenze ormonali e sessuali.