Unico satellite naturale della Terra, di cui costituisce anche l’oggetto celeste più vicino, è un corpo opaco che risplende per luce riflessa del Sole.
La L. è, dopo il Sole, l’oggetto più luminoso del cielo: la sua magnitudine (alla L. piena) è −12,7. Per dimensioni, essa si colloca al quinto posto fra i satelliti del Sistema solare: sono più grandi della L. soltanto 3 satelliti di Giove (Ganimede, Callisto e Io) e un satellite di Saturno (Titano). Il suo diametro medio misura 3476 km, cioè ∼27/100 di quello terrestre; la sua forma è quasi esattamente sferica (il diametro polare è inferiore a quello equatoriale medio di soli 2 km). La massa della L. (7,35∙1022 kg) è 81,3 volte più piccola di quella della Terra; la densità media (3,33 g/cm3) circa il 60% di quella terrestre (5,52 g/cm3). L’accelerazione di gravità alla superficie è 1,63 m/s2, cioè ∼1/6 di quella terrestre. La velocità di fuga è 2,38 km/s. La riflettività media della superficie ∼12%.
Il moto della L. rispetto al Sole risulta dalla composizione di due principali moti diversi, uno di rivoluzione intorno alla Terra e uno, insieme alla Terra, di rivoluzione intorno al Sole; la L. è poi animata, come la Terra, di un moto di rotazione. Il moto proprio della L. sulla volta celeste è in senso diretto, cioè da O verso E, con una velocità di circa 13°11′ al giorno; la L. compie il giro completo della volta celeste in riferimento alle stelle fisse in 27d7h43m11,5s (rivoluzione siderale o mese siderale). Il periodo di rotazione della L. intorno al suo asse uguaglia esattamente quello della rivoluzione intorno alla Terra. Questa configurazione dinamica, chiamata rotazione sincrona, è stata prodotta dalle forze mareali esercitate dalla Terra: pertanto la L. rivolge sempre lo stesso emisfero verso la Terra. Tuttavia, a causa dei moti di librazione della L. in longitudine e in latitudine, i contorni dell’emisfero visibile cambiano leggermente nel tempo, sicché, nel complesso, dalla Terra si riesce a osservare quasi il 60% della superficie lunare. Durante la rivoluzione della L. intorno alla Terra, il Sole si muove lungo l’eclittica, per cui il tempo impiegato dalla L. per ritornare nella medesima posizione rispetto alla Terra e al Sole è maggiore del mese siderale, e precisamente uguale a 29d12h44m2,8s (rivoluzione sinodica o mese sinodico, o lunazione). Nel corso del mese sinodico varia la posizione reciproca della L. rispetto al Sole e alla Terra (fig. 1), sicché l’emisfero visibile della L. passa con continuità dalla fase di completo oscuramento (L. nuova o novilunio: la L. è in congiunzione col Sole, nasce e tramonta con esso) alla fase di completa illuminazione (L. piena o plenilunio: la L. è in opposizione col Sole, nasce al tramonto, tramonta all’alba), attraverso fasi intermedie (primo quarto, quando è illuminata solo la metà occidentale del disco e ultimo quarto quando è illuminata solo la metà orientale); le quattro fasi lunari sono spaziate regolarmente tra loro di circa una settimana. Va notato che al novilunio il disco lunare appare debolmente luminoso per la luce su di esso rinviata dalla Terra (luce cinerea); 12 lunazioni formano un anno lunare, corrispondente 354 giorni, 8 ore, 48 minuti e 36 secondi. La rivoluzione sinodica ha una grande importanza pratica, poiché dipendono da essa le fasi lunari e quindi le feste mobili del calendario.
Il punto dell’orbita lunare più vicino alla Terra è detto perigeo, il più lontano apogeo. A causa delle perturbazioni gravitazionali dovute al Sole e ai pianeti, le distanze della L. al perigeo e all’apogeo non rimangono costanti nel tempo: i loro valori estremi, nel corso dell’ultimo millennio, sono stati rispettivamente 356.371 km e 406.720 km. La distanza media Terra-L. è ∼384.400 km. Il diametro angolare (apparente) della L. varia fra ∼33′30″ al perigeo e ∼29′30″ all’apogeo. La retta che congiunge il perigeo e l’apogeo (detta linea degli absidi) subisce, a motivo delle perturbazioni, un moto nel senso diretto con periodo di circa 9 anni.
La L. è stata osservata con grande interesse fin dalla più remota antichità. I Greci furono fra i primi a indagare sulla natura di questo corpo celeste. Già i filosofi della Scuola eleatica (5° sec. a.C.) e forse, ancor prima di loro, Anassimene da Mileto (6° sec. a.C.) si erano resi conto che la L. non brilla di luce propria, ma si limita a riflettere quella del Sole. Uno dei risultati più brillanti dell’astronomia greca fu ottenuto da Ipparco (2° sec. a.C.); questi, con un metodo proposto in precedenza da Aristarco di Samo, riuscì a misurare la distanza Terra-L., ottenendo un valore (386.000 km) che differisce di appena 1400 km da quello oggi accettato. Tra i romani va ricordato Plutarco (2° sec. d.C.) che, osservando le macchie che appaiono sul disco lunare, capì che la L. rivolge verso la Terra sempre lo stesso emisfero e che la sua superficie non è ‘liscia’, ma tormentata da valli e montagne.
Furono le osservazioni al telescopio, iniziate da Galileo nel 1609, a rivelare in modo inequivocabile le caratteristiche del suolo lunare. Galileo stesso vi individuò catene montuose, vallate, crateri e vaste regioni oscure, che chiamò mari (lat. maria), per la loro apparente rassomiglianza agli oceani terrestri. Nei secoli successivi, gli astronomi, servendosi di telescopi sempre più potenti, giunsero a produrre carte notevolmente dettagliate della topografia lunare. Venne anche introdotta, a cominciare da G.B. Riccioli (1651), la nomenclatura, usata ancora oggi, per indicare le varie strutture lunari: i nomi latini dei mari (per es., Mare Imbrium, Oceanus Procellarum, Mare Serenitatis, Mare Tranquillitatis) e dei crateri (questi ultimi scelti, in generale, fra nomi di scienziati famosi: Aristarco, Copernico, Ipparco, Keplero ecc.). Le osservazioni telescopiche si rivelarono però inadeguate per stabilire la reale natura e l’origine di molte strutture osservate, come i mari e i crateri. Progressi sostanziali in questa direzione si ebbero soltanto con l’avvento dei veicoli spaziali.
L’esplorazione diretta della L. fu iniziata dall’Unione Sovietica. Le prime sonde a visitare la L. furono Lunik I (il primo oggetto fabbricato dall’uomo a sfuggire all’attrazione terrestre), Lunik II e Lunik III. Ai successi sovietici fece, inizialmente, riscontro una serie di fallimenti delle missioni spaziali statunitensi: solo fra il 1964 e il 1965 la L. venne raggiunta dalle sonde Ranger VII, Ranger VIII e Ranger IX che, prima di schiantarsi al suolo, trasmisero fotografie della superficie lunare da distanza ravvicinata, esami poi approfonditi nel 1966-67 dalle sonde Lunar Orbiter. Intanto gli USA fin dal 1961 si erano impegnati nel progetto Apollo, che avrebbe dovuto portare, entro la fine degli anni 1960, un uomo sulla Luna. Ci limitiamo qui a ricordarne le tappe essenziali (➔ Apollo, Programma). Dopo alcuni voli di prova senza uomini a bordo e un volo circumterrestre con 3 astronauti (Apollo 7, ottobre 1968), nel dicembre del 1968 fu lanciato Apollo 8, che portò per la prima volta 3 astronauti in orbita intorno alla Luna. Seguirono altri 2 lanci di prova e il 20 luglio 1969 il modulo lunare dell’Apollo 11 si posò sul Mare Tranquillitatis; da esso scesero 2 astronauti (N. Armstrong e poi E. Aldrin) che, nel corso della loro ‘passeggiata’ lunare, durata circa 2 ore e mezzo, scattarono fotografie, raccolsero campioni di rocce e misero in opera esperimenti scientifici, destinati a funzionare anche dopo la loro partenza. Le missioni successive portarono astronauti in zone diverse della L. e permisero esperimenti sempre più complessi. Col rientro dell’equipaggio di Apollo 17 (19 dicembre 1972), si concluse il programma esplorativo delle missioni Apollo. Nel 1994 la sonda americana Clementine ha ottenuto la mappa topografica di quasi tutta la superficie lunare.
Una nuova fase di esplorazione lunare è iniziata nei primi anni del 21° sec., con l’invio di missioni, oltre che dagli Stati Uniti, dalla Cina, dal Giappone e dall’India. Nel 2003 è stata lanciata la sonda spaziale europea SMART, che ha concluso la sua attività nel settembre 2006: è stata ottenuta una mappa della superficie lunare nella banda dei raggi X e dell’infrarosso, ed è stata analizzata la composizione chimica della superficie del satellite tramite spettroscopia a raggi X. Nel 2009 gli strumenti montati a bordo di tre sonde (l’indiana Chandrayaan-1 e quelle della NASA Cassini ed Epoxi) hanno rivelato sulla superficie del satellite, in particolare nelle zone vicine ai poli, molecole d’acqua allo stato solido e di idrossile.
Mari e altopiani. - La superficie della L. (fig. 2) consiste essenzialmente di due tipi di terreno: uno, relativamente chiaro, che riflette il 15-18% della luce solare; l’altro, più scuro, che ha una riflettività del 7-8%. Le zone chiare, che coprono circa il 70% dell’emisfero visibile da Terra, sono in generale più elevate e vengono perciò chiamate altopiani. Le zone oscure, più levigate, sono dette mari. Esse si trovano quasi esclusivamente nell’emisfero rivolto verso la Terra, sicché, nel complesso, costituiscono poco più del 15% della superficie lunare. La diversa riflettività degli altopiani e dei mari dipende dalla loro differente composizione chimica. Le rocce tipiche degli altopiani sono le anortositi, costituite principalmente da ossidi di silicio, alluminio, calcio e magnesio. I mari sono costituiti da basalti, simili ai loro analoghi terrestri (salvo il fatto di essere più poveri di elementi volatili e più ricchi di ferro, titanio e magnesio).
I crateri. - La superficie lunare è costellata da crateri di ogni dimensione. In passato sulla loro origine sono state formulate due ipotesi: l’ipotesi vulcanica, secondo cui i crateri si sarebbero formati (come le caldere terrestri) in seguito allo sprofondamento di vulcani spenti; e l’ipotesi degli impatti, secondo cui essi sarebbero stati scavati da meteoriti. Le missioni spaziali hanno dimostrato che i crateri da impatto costituiscono l’enorme maggioranza dei crateri lunari; ciò è indicato dalle caratteristiche morfologiche di molti di essi: per es., dalla loro struttura a ‘raggi’ (prodotta dai detriti scagliati intorno nell’impatto) e dalla presenza, intorno ai crateri maggiori, di crateri secondari più piccoli, scavati dai materiali espulsi nell’urto principale. I crateri aventi diametri maggiori di 300 km vengono più propriamente chiamati bacini: ne sono stati identificati una trentina, anche se molti di essi sono strutture assai antiche, quasi completamente cancellate dagli impatti successivi. Nelle regioni polari sono stati individuati alcuni crateri, il cui fondo, per la posizione geografica e la profondità, non è mai illuminato dal Sole. Alcuni studiosi ritengono che qui, nel suolo, possano trovarsi quantità considerevoli di acqua ghiacciata (che altrove, come è noto, è del tutto assente). Si tratterebbe di acqua depositata, attraverso centinaia di milioni di anni, dagli impatti delle comete (corpi ricchi di acqua e altre sostanze volatili), che non sarebbe sublimata, disperdendosi nello spazio, a causa delle bassissime temperature ivi esistenti.
Il suolo lunare. - L’intera superficie della L. è ricoperta da uno spesso strato di pietre e polvere, chiamato regolite. La regolite è derivata dalla frammentazione delle rocce originarie a opera delle meteoriti. Pur essendo incoerente, questo materiale è abbastanza resistente (gli scarponi degli astronauti vi affondavano solo per qualche centimetro). Lo spessore del manto di regolite varia da una regione all’altra: nei mari esso è di 5-10 m, mentre negli altopiani può raggiungere i 100 m. Il rimescolamento del suolo lunare è un processo lentissimo: data l’assenza di agenti atmosferici esso è prodotto soltanto dalla caduta delle meteoriti; in media, l’accumulo di 2 m di regolite, data l’attuale intensità della ‘pioggia’ meteoritica, richiede circa un miliardo di anni. La componente più fine della regolite è una polvere consistente essenzialmente di minuscoli granelli di vetro. Il vetro, come è noto, si forma da un silicato fuso, che si raffreddi abbastanza rapidamente da non riuscire a cristallizzare. Nel caso della L., sono i continui impatti delle micrometeoriti a provocare la fusione di frammenti di roccia, che poi subito solidificano trasformandosi in vetro (sulla Terra questo fenomeno non si verifica per l’azione protettiva dell’atmosfera nella quale si dissolvono tutte le meteoriti più piccole).
La L. è praticamente sprovvista di atmosfera. D’altra parte, ha un campo gravitazionale troppo debole per aver trattenuto intorno a sé, durante la sua lunga vita, quantità apprezzabili di gas. Nonostante queste considerazioni, si riteneva (e le missioni Apollo hanno confermato) che intorno alla L. vi fossero delle tenui tracce di atmosfera. La densità dei gas atmosferici (essenzialmente l’argo, il cripto e lo xeno) è soggetta a una forte escursione giornaliera (da ∼500.000 atomi/cm3 durante la notte a ∼10.000.000 di atomi/cm3 durante il giorno). Si tratta, comunque, di valori piccolissimi: la pressione al suolo è, infatti, dell’ordine di appena 10–14-10–13 bar. La debole intensità del campo gravitazionale della L. spiega anche perché questa sia priva di acqua: tutte le rocce lunari sono completamente disidratate, né, intorno alla L., vi è traccia di vapore acqueo.
Sulla superficie lunare vi è una fortissima escursione termica giornaliera. Ciò dipende da due fattori: la mancanza di atmosfera e la lunghezza del giorno e della notte (che durano circa due settimane ciascuno). Nella fascia equatoriale, esplorata nelle missioni Apollo, la temperatura, durante il giorno, sale fino a ∼110 °C mentre, durante la notte, scende a ∼−170 °C. Intorno ai poli, dove i raggi del Sole giungono sempre molto bassi sull’orizzonte, la temperatura è relativamente mite e costante.
L’esplorazione diretta ha confermato che sulla L. non vi sono organismi viventi, nemmeno fossili. Non è stata trovata traccia neanche di molecole organiche complesse, che possano essere considerate precursori della vita. La mancanza di atmosfera e di acqua, insieme alle fortissime variazioni di temperatura, rendono l’ambiente lunare del tutto inospitale per qualsiasi forma di vita.
La struttura interna della L. è rappresentata schematicamente nella fig. 3. In essa si distinguono i tre strati principali: la crosta, il mantello e l’astenosfera. La crosta è più sottile dalla parte della Terra, dove in media è spessa ∼60 km, che non sul lato opposto, dove è spessa ∼100 km; in essa sono inglobati i mari, aventi uno spessore di 5-20 km. Il mantello, di uno spessore medio di poco inferiore a circa 1000 km, è costituito da materiali (peridotiti) di maggiore densità (3,3 g/cm3). Sotto il mantello è l’astenosfera, che probabilmente ha una composizione chimica simile a quella del mantello, ma dove le rocce si trovano in uno stato semifuso (ciò è dimostrato dal fatto che le onde sismiche trasversali subiscono forti attenuazioni quando attraversano questo strato). Le incertezze maggiori riguardano la regione più interna della Luna. Non è chiaro, infatti, se questa possieda, come la Terra, un nucleo di ferro e nichel; se esiste, esso è certamente molto piccolo, dato il basso valore della densità media.
La L. è stata sede, nel passato, di una intensa attività vulcanica. I mari, infatti, altro non sono che immense colate laviche, che hanno riempito i grandi bacini, scavati in precedenza dall’impatto delle meteoriti. L’attività vulcanica più intensa ebbe luogo fra 3,9 e 3,2 miliardi di anni fa, come testimoniato dall’età delle rocce basaltiche che costituiscono i mari. All’azione della lava viene anche attribuita la formazione delle valli sinuose, dette rill. Probabilmente si tratta di canali di lava sotterranei che, svuotatisi, sarebbero crollati dando origine alle valli. Riguardo all’origine del vulcanismo lunare, si pensa che il magma eruttato provenisse da zone situate a profondità di 100-400 km.
La L. costituisce un caso anomalo nel Sistema solare. La Terra, infatti, è l’unico pianeta interno a possedere un satellite così grande: Mercurio e Venere non ne hanno, mentre Marte ne ha due, ma piccolissimi. Solo corpi giganteschi come Giove, Saturno o Nettuno, hanno satelliti grandi quanto la Luna. Già da lungo tempo sono state proposte tre diverse teorie per spiegare l’origine del nostro satellite: a) l’ipotesi della fissione, secondo la quale in origine si sarebbe formato un unico pianeta, la Terra; la L. si sarebbe poi distaccata dalla Terra, mentre questa ruotava più velocemente di oggi ed era ancora in uno stato semifluido; b) l’ipotesi del pianeta doppio, secondo la quale la Terra e la L. si sarebbero formate in modo autonomo e simultaneamente, nel luogo ove oggi si trovano, per ‘accrezione’ (cioè aggregazione) del materiale della nebulosa primordiale; c) l’ipotesi della cattura, secondo la quale la L. si sarebbe formata in qualche altra regione del Sistema solare (o addirittura al di fuori di esso) e sarebbe poi passata nelle vicinanze della Terra, facendosi catturare dal campo gravitazionale di questa. Ciascuna di queste teorie si imbatte in serie difficoltà. Per esempio, l’ipotesi della fissione, proposta da G. Darwin nel 1898, sembrò inizialmente essere avvalorata da due fatti: la quasi coincidenza fra la densità della L. e quella degli strati esterni della Terra e il lento moto di allontanamento della L. dalla Terra (moto causato dalle forze mareali che agiscono fra i due corpi). Tuttavia, ricerche più recenti hanno messo in evidenza che la L. ha una composizione chimica significativamente diversa da quella del mantello terrestre (per es., è più ricca di titanio). Un’ipotesi che ha guadagnato parecchi consensi è una variante della teoria della fissione proposta da A.E. Ringwood nel 1986. Ringwood suggerisce che la Terra, ai primordi della sua storia, sia stata investita da una gigantesca meteorite. Parte dei materiali espulsi nell’impatto (specie quelli più volatili) sarebbero andati dispersi nello spazio; altri invece, rimasti in orbita intorno alla Terra, si sarebbero successivamente aggregati, formando la Luna (fig. 4)
1.1. Influenza lunare sulla Terra
La L. provoca sulla Terra le maree marine, atmosferiche e della crosta solida (➔ marea). L’interazione mareale ha avuto l’effetto di rallentare, attraverso il tempo, sia la rotazione della Terra sia quella della L.: il giorno terrestre si allunga di ∼2 millesimi di secondo ogni secolo; quello lunare si è allungato assai di più fino a portare il nostro satellite nell’attuale stato di rotazione sincrona, in cui il suo periodo di rotazione uguaglia quello di rivoluzione intorno alla Terra. Un’ulteriore conseguenza dinamica di questo fenomeno è che, dovendosi conservare il momento angolare complessivo del sistema Terra-L., questi due corpi si allontanano lentamente l’uno dall’altro (alla velocità di ∼2 cm all’anno).
1.2. La L. nel mito e nel culto
La periodica crescita, diminuzione, scomparsa e ricomparsa della L. è alla base di importanti miti e culti presso i più diversi popoli. La riapparizione della L. è considerata come promessa di immortalità o risurrezione anche presso popoli primitivi di cacciatori (per es., boscimani del Sudafrica) e d’altra parte presto si forma l’antitesi tra la L. immortale e l’uomo mortale: perciò spesso i miti dell’origine della morte hanno per protagonista la Luna. Alle stesse radici risalgono le credenze, in certe religioni, secondo cui le anime dei morti dimorano nella Luna. A queste e simili idee è dovuta presso numerosi popoli primitivi la regolare celebrazione del novilunio e del plenilunio, per mezzo della quale la L. diventa un elemento fondamentale del computo del tempo (➔ calendario).
L’importanza e la complessità delle idee religiose legate alla L. traspare anche nelle figure, a volte solo mitologiche, a volte venerate anche nel culto, il cui nome significa «luna» (per es., la greca Selene), ma non indica semplicemente un corpo celeste. I grandi temi mitologici suggeriti dalla L. spesso si intrecciano con altri e nel caso di divinità complesse – come l’egiziano Thot, la greca Artemide, l’italica Diana, o Giunone Lucina, il vedico Soma – si può parlare solo di uno sfondo o di elementi lunari, non di una loro identità con la Luna. Di una dea L., di origine sabina secondo Varrone, le più antiche tracce sembrano riscontrabili sul verso di denari di età annibalica; un tempio, sull’Aventino, è menzionato per la prima volta per il 182 a.C., ma secondo Tacito risalirebbe all’età di Servio Tullio. Diverso, il templum Solis et Lunae dell’XI regione di Roma augustea; sul Palatino esisteva un antichissimo luogo di culto di Luna noctiluca.
In buona parte per reazione alla scuola di mitologia comparata di M. Müller, secondo cui la maggior parte dei miti sarebbero sorti da metafore relative al Sole, alla fine del 19° sec. si affermò temporaneamente la tendenza a spiegare i miti con le vicende della Luna.
La mitologia lunare operava con il simbolismo dei numeri, spiegato dalle fasi della Luna. Tra i rappresentanti dell’indirizzo vi furono E. Siecke e, in parte, W. Roscher.