Sistema convenzionale di divisione del tempo: l’intervallo base di tale divisione è di solito l’anno (c. annuale), la cui durata è fissata in modo che si discosti il meno possibile dalla durata media astronomica (➔ anno).
I c. lunari sono basati sul moto della Luna (anno di 12 lunazioni); lunisolari sono invece i c. basati sulla coincidenza dei mesi con le lunazioni, però in modo che le stagioni (dipendenti dal moto del Sole) si ripetano nei medesimi periodi dell’anno.
I c. solari collegano la durata dell’anno con quella dell’anno tropico, cioè con l’intervallo di tempo compreso fra due passaggi consecutivi del Sole a uno stesso equinozio; poiché però detto periodo (giorni 365,242214) non corrisponde a un numero intero, occorre intercalare un certo numero di giorni per ottenere una approssimata coincidenza tra anno civile e anno tropico.
Per le origini del c. si deve in primo luogo osservare che mentre nelle società ‘colte’ la periodicità fu uno strumento al quale si ricorse per tenere il computo del tempo, concepito come durata profana illimitata, nelle società arcaiche essa fu il centro dell’attenzione in sé e per sé e fu scandita con l’istituto della festa (➔). La periodicità legata al manifestarsi ricorrente di eventi naturali, astronomici o terrestri (lunazioni, solstizio, ritorno regolare dei prodotti della terra, selvatici o coltivati) può non consentire un calcolo cronologicamente esatto del tempo, per es. quando per particolari condizioni meteorologiche sia impossibile l’osservazione dei fenomeni astronomici, oppure a causa di un margine di oscillazione dei fenomeni connessi con la stagionalità. Solo quando le civiltà ‘colte’, disponendo di sistemi di scrittura, costruirono c. scritti, questo margine di oscillazione venne progressivamente ridotto; ma in queste stesse civiltà rimasero vive, accanto alle feste (fisse o mobili che fossero) collocate nel c. scritto, anche feste periodiche, indette volta per volta con una certa possibilità di oscillazione.
Dalla considerazione del ripetersi di eventi naturali connessi con il moto annuo apparente del Sole deriva l’introduzione dei c. solari, la cui completa adozione trovò difficoltà a causa della grande importanza della Luna nelle credenze dei popoli; accanto ai c. solari sono stati introdotti anche c. lunari, il cui impiego è di assai poca utilità per scopi pratici, perché la differenza di circa 11 giorni tra l’anno solare e l’anno lunare (12 lunazioni), se tollerabile nel periodo di un anno, sposta completamente, nel giro di pochi anni, il succedersi delle stagioni nel corso dell’anno lunare. Unico, ma certamente impareggiabile merito della misura del tempo in base al moto lunare è stata l’adozione, mai interrotta, della settimana, un ciclo cronologico di origine remotissima, comune alla maggior parte dei popoli. Per riportare in accordo il c. lunare con quello solare e far coincidere l’inizio dell’anno lunare con una stessa epoca dell’anno solare (c. lunisolari) si è fatto ricorso a espedienti vari, come l’aggiunta e l’intercalazione di mesi supplementari embolimi o il ricorso a particolari cicli periodici.
Babilonia e Assiria. - Solo nella prima metà del 2° millennio a.C. fu imposto nella regione un c. unico, lunare, basato su un anno di 12 mesi, di 29 o 30 giorni (che iniziavano alla sera); tra le antiche feste mensili del novilunio e del plenilunio, già sotto Hammurabi si inseriva un sacrificio nel giorno 7° (primo quarto) e nel periodo della egemonia assira si distingueva anche il giorno del terzo quarto della luna, dando così origine alla settimana.
Antico Egitto. - Il giorno era diviso in 24 ore, il mese in 30 giorni e l’anno in 12 mesi. All’anno così composto si aggiungevano cinque giorni (epagomeni) non inseriti nei mesi. L’anno era diviso in tre stagioni: dell’inondazione, dell’uscita della terra dalle acque (o della vegetazione dalla terra) e della raccolta, ognuna di quattro mesi.
Grecia. - L’anno greco constava di 12 mesi lunari, alternativamente di 29 o 30 giorni: per ovviare all’inconveniente di un anno di 354 giorni si escogitò l’introduzione di un mese supplementare che veniva aggiunto con criteri diversi dalle varie pòleis elleniche.
Antica Roma. - L’istituzione di un c. di 12 mesi è attribuita a Numa Pompilio: principalmente regolato sul moto della Luna, comprendeva 355 giorni ed era diviso in 12 mesi, intercalati a intervalli, subito dopo il 23 febbraio, da un periodo di 22 o 23 giorni; dell’alternanza tra gli anni comuni e gli anni intercalari erano responsabili i pontefici, che però lasciarono cadere il c. in estremo disordine. Fu così che nel 46 a.C. Giulio Cesare operò una radicale riforma dell’antico c. lunare romano, istituendo un anno civile di 365 giorni, con un bisestile di 366 giorni dopo ogni tre anni normali (c. giuliano). All’anno di 366 giorni fu dato il nome di bisestile, perché il giorno da intercalare ogni 4 anni fra il 23 e il 24 febbraio si chiamava bis sexto kalendas Martias. L'anno giuliano venne diviso in 12 mesi: gennaio di 31 giorni, febbraio di 28 o 29, marzo di 31, aprile di 30, maggio di 31, giugno di 30, quintile di 31, sestile di 31, settembre di 30, ottobre di 31, novembre di 30, dicembre di 31. I mesi di quintile e sestile presero più tardi i nomi di luglio (iulius) ed agosto (augustus) in onore di Giulio Cesare e di Augusto.
America precolombiana. - I Maya e gli Aztechi computavano il tempo su un anno della durata di 360 giorni che dividevano in 18 mesi di 20 giorni. In seguito vi aggiunsero 5 giorni che venivano intercalati alla fine di ogni anno.
Antico Israele. - Scarse sono le notizie sul c. degli Ebrei. A una fissazione del c. costante, tuttora vigente, non si giunse che assai tardi, nel 4° sec. d.C. e in modo definitivo solo nel 10°. Tale c. è lunisolare, con 12 mesi, della durata, alternativamente, di 30 e 29 giorni. Per quanto riguarda i mesi l’anno può essere comune, se di 12 mesi, ed embolimo, se di 13.
Arabia islamica. - Fu Maometto ad abolire il calendario lunare di 12 mesi, perchè la rozza intercalazione di circa un mese che di tanto in tanto lo rendeva lunisolare era considerata pagana. L’anno musulmano divenne prettamente lunare, basato, nella sua forma definitiva, su un ciclo di 30 anni lunari di cui 19 della durata di 354 giorni (anni normali) e 11 di 355 giorni (anni abbondanti), questi ultimi con un giorno aggiunto all’ultimo mese dell’anno. Nel 637 d.C. il califfo Omar stabilì che la migrazione (ègira) di Maometto dalla Mecca a Medina avvenuta nel 622 costituisse l’inizio dell’era musulmana: Gli anni si calcolano dunque dall’anno 1 della ègira (16 luglio 622).
Estremo Oriente. - Numerose riforme si succedettero in Cina, fino a quella del 1645, dovuta ai gesuiti, i quali perfezionarono il sistema lunisolare, con 12 mesi lunari e inizio dell’anno all’entrata del Sole sotto il segno zodiacale dei Pesci. Il c. gesuita fu affiancato da quello gregoriano nel 1911, e quindi sostituito da questo nel 1930. L’antico c. lunisolare cinese fu introdotto nel 604 d.C. in Giappone; nel 1684 fu qui adottato il c. gesuita e dal 1873 il gregoriano.
È il c. più diffuso nel mondo, introdotto nel 1582 da papa Gregorio XIII, per correggere quello giuliano, annullando la sfasatura che si era prodotta tra anno tropico e anno civile e che creava complicazioni nello stabilire la domenica di Pasqua. Essendo stato accertato che l’anno giuliano era leggermente più lungo di quello solare ed essendo diventato nel frattempo rilevante il numero dei giorni di differenza accumulatisi (esattamente 10), Gregorio XIII, accogliendo le proposte formulate da una commissione formata dai migliori astronomi e matematici del tempo, ordinò che si cancellassero questi giorni in eccesso passando dal giovedì 4 ottobre al venerdì 15 ottobre 1582 (dunque senza alterare la sequenza settimanale) e si riducesse l’entità media dell’intercalazione con l’escludere gli anni secolari che non fossero multipli di 400, cioè togliendo tre giorni ogni 400 anni. Questo non renderà necessaria alcuna altra correzione per almeno altri 4000 anni circa, quando si dovrà togliere una tantum un altro giorno bisestile.
L’adozione del calendario gregoriano non fu né istantanea né universale, in quanto vi si opposero anche questioni religiose: per es., la Gran Bretagna lo adottò soltanto nel 1752 (si passò dal 2 al 14 settembre) e la Russia soltanto nel 1918, subito dopo la vittoria della Rivoluzione bolscevica (si passò dal 31 gennaio al 14 febbraio). La Chiesa ortodossa usa tuttora in gran parte il calendario giuliano.
C. ecclesiastico. - Nella liturgia cattolica scandisce le varie tappe dell’anno liturgico. Quello attuale è frutto della riforma elaborata dando esecuzione alla Costituzione sulla sacra liturgia del Concilio ecumenico Vaticano II e promulgata da Paolo VI con la lettera apostolica Mysterii paschalis celebrationem del 14 febbraio 1969. Un particolare grado di solennità è conferito alla domenica, come ‘giorno festivo primordiale’, commemorativo del mistero pasquale; un netto rilievo viene dato ai tempi fondamentali del ciclo cristologico annuale (Avvento, tempo di Natale, Quaresima, tempo pasquale, tempo per annum); le feste dei santi sono ordinate in modo da comprendervi i santi di significato più universale, rinviando gli altri al culto dei c. locali (diocesani, provinciali, regionali, nazionali).
Calendario rivoluzionario francese. - Fu introdotto dalla Convenzione coi decreti del 5 ottobre e 24 novembre 1793 allo scopo di facilitare la scristianizzazione della Francia e rimase in vigore dal 22 settembre 1793 al 31 dicembre 1805. Fondato sul moto del Sole e sul sistema metrico decimale (giorno di 10 ore, ora di 100 minuti decimali e ogni minuto di 100 secondi), era costituito da 12 mesi di 30 giorni ciascuno, oltre 5 (negli anni bisestili 6) giorni aggiunti alla fine di fruttidoro. I nomi dei mesi (vendemmiaio, brumaio, frimaio, nevoso, piovoso, ventoso, germinale, florile, pratile, messidoro, termidoro, fruttidoro) si ispirarono a un vecchio c. germanico.