Complesso dei riti e delle cerimonie propri di un culto religioso. La formazione della l. è determinata da due motivi: la necessità di fissare in forme adatte la vita e la professione della religione, che per sé non hanno forma né regola per poter essere tramandate; e il desiderio di rappresentare il contenuto religioso in maniera visibile. Complessivamente si può dire che la l. fornisce quelle forme fisse di espressione di cui ha bisogno la religiosità collettiva e quindi essa ha anche una funzione sociale, in quanto unifica la comunità nella pratica religiosa.
Per gli Ebrei lo sviluppo della preghiera pubblica in comune inizia con la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. Inizialmente si svolge due volte al giorno, alla mattina e al vespro; si integra poi di una terza volta alla sera e di volte ulteriori nei giorni festivi o solenni. Elementi essenziali sono la professione di fede e la tĕfillāh, o preghiera in senso stretto, nella quale hanno larga parte le letture bibliche, specie del Pentateuco e dei Profeti. Alle preghiere fondamentali si aggiunge in un secondo momento la poesia liturgica (piyyūṭ), che s’inserisce in modo vario tra le preghiere, con alcune differenze fra i vari riti che si sviluppano sulla base dei due antichi di Palestina e di Babilonia. Alla l. si accompagna un certo numero di azioni simboliche (per es. la benedizione sacerdotale; nel capodanno il suono della shōfār, la buccina; nella festa dei tabernacoli l’uso della lūlāb, la fronda di palma e la circumambulazione del pulpito; il 9° giorno di Āv le cerimonie di lutto in ricordo della distruzione del tempio di Gerusalemme). Alla l. sinagogale si aggiunge quella domestica e familiare, di non minore importanza.
Il centro della l. cristiana è l’eucaristia, che è la rievocazione del mistero pasquale di Cristo, della sua morte e risurrezione. La prima importante descrizione della l. cristiana si trova in Giustino, nel quale sono già definite le due parti essenziali della messa: quella dei catecumeni (con la lettura dei testi sacri) e quella dei fedeli, che comprende il rito eucaristico. Anche per il battesimo Giustino testimonia un rito già definito, che meglio si intende con il De baptismo di Tertulliano; di poco posteriore è il rituale di Ippolito, che conferma e completa le testimonianze di Giustino e Tertulliano. Nel corso del 4° sec., cominciano a formarsi le famiglie liturgiche (l. orientali e l. occidentali), che si differenziano e si definiscono tra il 4° e il 7° secolo.
L. orientali. - Hanno conservato assai fedelmente l’aspetto primitivo. Il nucleo è costituito dall’anafora (preghiera d’oblazione e prefazio), mentre l’influenza dell’anno ecclesiastico si rivela solamente nelle lezioni della Sacra Scrittura e in piccoli brani di cantici. Le più antiche l. orientali sono quella antiochena e quella di Gerusalemme; i Maroniti seguono la l. antiochena interpolata con alcuni elementi del rito romano e di devozioni moderne. La l. siriaco-orientale ebbe il centro in Edessa, e fu adottata poi dai nestoriani. La l. egiziana, anch’essa assai antica, si è in gran parte conservata presso i monofisiti e cattolici copti. Nell’Asia Minore nacque il rito bizantino, che andò poi sostituendosi alle l. orientali ed è oggi il rito dominante, al quale appartengono tutte le Chiese ortodosse. Il rito bizantino è passato agli Slavi cattolici e discendenti, ai Melchiti, ai Georgiani e ai Romeni. Parte a sé fa la l. armena.
Nelle località dell’Asia conquistate dall’Impero romano, la Chiesa, fin dalle origini, celebrava la l. in greco, anche perché il greco era allora la lingua parlata dalla grande maggioranza della popolazione: ma poiché tale lingua non era comune a tutti i battezzati, si dovette provvedere progressivamente ai cristiani che non la conoscevano, prima mediante dei traduttori (che intervenivano oralmente nel corso della celebrazione), poi con una celebrazione poliglotta (alternanza delle diverse lingue nelle letture e nei canti). La Chiesa costituitasi al di là dell’Eufrate, invece, adottò unicamente la lingua siriaca: mentre la Chiesa bizantina si mostrò più benevola verso i paesi a cui portava il cristianesimo, soprattutto con quelli di lingua slava. Attualmente il rito bizantino ammette la traduzione dei testi liturgici in lingue moderne. I Melchiti di Siria o di Egitto, oltre al greco, hanno adottato (10° sec.) anche l’arabo.
L. occidentali. - La maggior parte dei riti e delle formule si stabilizza dal 4° sec., quando Roma abbandona il greco per il latino. Si distingue il tipo liturgico romano, che conserva un nucleo invariato, ossia il canone, per contenuto e forma analogo all’anafora orientale e la cui redazione definitiva si ritiene compiuta da s. Gregorio Magno. Vi è poi il tipo liturgico gallicano, dal quale derivò in Spagna la l. mozarabica, e che nell’Italia settentrionale esercitò influssi su quello romano (l’incontro delle due l. è evidente nel rito ambrosiano).
A differenza delle l. orientali, quelle occidentali a partire dal 6° sec. mutano sotto l’azione di sviluppo dell’anno ecclesiastico: invece dell’unico formulario delle l. orientali hanno un intero libro che contiene le messe giornaliere, il Sacramentarium (orazioni, prefazio, canone, testi per alcuni sacramenti e per varie benedizioni), al quale si affiancano altri libri liturgici: l’Apostolus o Epistolarius (epistole), l’Evangelarius (Vangeli), e l’Antiphonarius missae o Liber gradualis o Cantatorium (parti cantate); tutti furono riuniti verso il 1000 nel Missale plenarium con il formulario completo per ogni messa.
L. della Riforma protestante. - La Riforma protestante cercò di semplificare la struttura della l. tradizionale e di rendere più popolare il culto con l’introduzione del volgare e la più diretta partecipazione dei fedeli al rito. Lutero, proponendosi di purgare la messa latina da ogni accessorio, ne conservò lo schema generale, ma tolse l’offertorio e trasformò il canone; mantenne pure gli indumenti sacri, l’altare con i candelieri, l’accesso alla comunione e la sua amministrazione, ma diede un’interpretazione nuova dell’elevazione. H. Zwingli abbandonò completamente lo schema della messa e separò per principio la predica dalla comunione. G. Calvino costituì un servizio religioso in forma diversa dalla romana e dalla luterana: non altare, ma tavolo; separazione della predica dalla comunione. Il pietismo soppresse per sempre le forme tradizionali. Tentativi di ristabilire l’originario servizio divino si sono avuti fino ai nostri giorni.
Il rituale del servizio divino seguito nella Chiesa anglicana, indicato nel Book of common prayer (1549) e nel quale si sentiva l’influenza luterana, orientale e cattolica romana, è affiancato da un nuovo rituale aggiuntivo, The alternative service book (1980).
La l. cattolica dal Concilio di Trento al Vaticano II.- L’unificazione e la riforma dei libri liturgici furono intraprese da Pio V (1570), attuando i decreti del Concilio di Trento (1545-63); l’opera fu poi continuata dai suoi immediati successori, fino a Paolo V (1614). Nei secoli successivi non vi furono che ritocchi parziali e marginali. Pio X nel 1911 iniziò una seconda fondamentale revisione che, appoggiata da un crescente movimento liturgico, fu poi continuata, con spiccato carattere pastorale e adattamento alle esigenze religiose e culturali moderne, da Pio XII e da Giovanni XXIII.
I grandi principi per una revisione a fondo della l. furono poi demandati da Giovanni XXIII al concilio Vaticano II, che promulgò con Paolo VI la costituzione sulla sacra l. Sacrosanctum concilium (4 dicembre 1963). Il concilio Vaticano II concepisce la Chiesa come «popolo di Dio» (Lumen gentium, 9) che raduna i suoi membri in «assemblea» in modo particolare alla domenica per «ascoltare la parola di Dio e partecipare all’Eucaristia»: in tal modo essi fanno «memoria della Passione, della Risurrezione e della gloria del Signore» e rendono grazie «a Dio che li ha rigenerati nella speranza viva per mezzo della Risurrezione di Gesù dai morti». Questa celebrazione non esaurisce però tutta l’azione della Chiesa. Ogni celebrazione liturgica, «in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza», non è azione privata, ma azione di tutta la Chiesa; i singoli membri della Chiesa vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli stati, degli uffici e dell’attuale partecipazione». La l. «consta di una parte immutabile, perché di istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono o anche devono variare». Di qui la varietà dei riti, nei quali si esprime il culto della Chiesa, e le riforme della l. che si sono realizzate lungo i secoli. La l. si esprime nelle «azioni liturgiche» costituite dai Sacramenti (e Sacramentali) e dall’Ufficio divino. L’anno liturgico celebra il «mistero di Cristo e la storia della salvezza» ripresentati nelle loro diverse fasi.
All’interno della vasta serie degli arredi ecclesiastici, la suppellettile liturgica mobile è storicamente rappresentata da un’ingente quantità di testimonianze, legate, nella stessa codificazione ed evoluzione delle forme, allo svolgimento del rito e alla storia della prassi liturgica. Generalmente di espressione seriale, tali oggetti costituiscono spesso esempi di un ambito di produzione artistica di notevole rilievo, soprattutto nel settore della lavorazione dei metalli, seguendo e interpretando, anche con ruolo creativo di notevole incidenza nella produzione contemporanea, il coevo sviluppo nei diversi campi dell’arte.
In base alle funzioni, nell’ambito del rito cattolico romano, la suppellettile liturgica può essere suddivisa in arredo d’altare, vasi sacri, oggetti liturgici, oggetti devozionali, oggetti processionali, biancheria liturgica e insegne. Svariati oggetti di uso liturgico sono originariamente – o contemporaneamente – anche di uso mondano come, a titolo di esempio, la pisside o i servizi da lavabo.
Nell’ambito dell’arredo d’altare, oltre agli elementi strutturali fissi o mobili, come il paliotto o il gradino d’altare (elemento di collegamento tra mensa e dossale, costituito da un’alzata a uno o più elementi, spesso includente il tabernacolo), rientra la serie dei candelabri, generalmente in connessione con la croce d’altare; spesso a più bracci e di straordinaria ricchezza di materiali, come nel periodo carolingio, romanico e gotico, soprattutto dal Cinquecento si sviluppano tipi con ampia base ornata da elementi architettonico-figurali. In questi come in altri elementi di arredo è straordinario lo sviluppo di un sistema strutturale e decorativo che assume, soprattutto a partire dal Rinascimento e con una notevole fioritura nel 17° e 18° sec., forme e tipologie dal linguaggio architettonico, dall’ornato classico, dal più ampio repertorio figurativo, creando forme e tipologie di grande fortuna. Simile sviluppo caratterizza la cartagloria o il vaso d’altare.
Tra i vasi sacri, elementi di grande importanza sono: il calice e la patena; l’ostensorio, in cui la teca eucaristica assume forme diverse (a coppa, architettonico, raggiato); la pisside, dalla semplice forma a contenitore cilindrico con coperchio, anche a sospensione (13°-16° sec.), a quella su piede comparsa sin dal 13° sec., che già dal gotico assume forme elaborate, spesso con smalti.
Tra i numerosi utensili connessi, le ampolline per la messa, spesso con apposito vassoio, o i vasi per gli oli santi. Elemento di grande importanza, legata al proprio valore devozionale, soprattutto per la varietà e ricchezza delle forme e delle tipologie, è il reliquiario. Dopo le capselle, contenitori o cassette con coperchio per riporre le reliquie nell’altare, noti già dal 4° sec., e le casse-reliquiario in uso dall’età carolingia, la straordinaria rinascita delle arti suntuarie in età preromanica produsse reliquiari di grande pregio artistico, caratterizzati sia dalla preziosità dei materiali – che rendevano manifesta la preziosità della reliquia – sia dalla forma, con la creazione, tra le altre, della particolare tipologia dei reliquiari topici, alludenti al contenuto (tra i quali sono quelli antropomorfi, che riproducono le fattezze del santo in busti o statue o la parte del corpo conservata); grande sviluppo di tali tipologie si ebbe dal 12°-13° sec. all’età barocca. Da ricordare la stauroteca, reliquiario della vera Croce, solitamente di fattura molto preziosa.
Tra gli oggetti relativi a specifiche funzioni liturgiche è il servizio da lavabo, costituito da un recipiente per versare e l’altro per raccogliere l’acqua, come brocca e bacile, acquamanile e vassoio, solo dal Rinascimento codificati come insieme; notevole la produzione degli acquamanili figurati (12°-14° sec.). Il servizio per aspersione è costituito dall’aspersorio e dal secchiello per acqua benedetta, del quale è un’antica tipologia la situla, secchiello troncoconico eburneo, decorato a rilievo su tutta la superficie (10°-12° sec.); successivamente il secchiello fu generalmente metallico, di svariate forme e decorazioni. Tra gli altri oggetti funzionali si ricordano la navicella portaincenso (diffusa soprattutto dal 14°-15° sec.), il turibolo, la pace (tavoletta con immagine sacra per il bacio di pace prima della comunione, in uso tra 13° e 18° sec.), gli oggetti portatili e processionali, gli oggetti devozionali come le insegne di pellegrinaggio, gli ex voto, le insegne di confraternita, e così via.
Per i paramenti della l. cristiana ➔ veste.