Stato dell’Africa nord-orientale, che si estende anche in territorio tradizionalmente considerato asiatico, a E dell’istmo di Suez (penisola del Sinai). Il nome deriva da quello dell’antica città di Menfi, in babilonese Hikuptah, divenuto in greco Αἴγυπτος. Confina a NE con Israele e, per un brevissimo tratto (11 km), con la Striscia di Gaza, territorio amministrato dall’Autorità Nazionale Palestinese, a S con la Repubblica del Sudan e a O con la Libia: frontiere, le ultime due, del tutto convenzionali, segnate rispettivamente per lunghi tratti dal parallelo di 22° N e dal meridiano di 25° E e stabilite nel periodo del protettorato britannico. A N il paese è bagnato dal Mediterraneo e a E dal Mar Rosso.
Il territorio è un lembo dei grandi tavolati africani, il cui imbasamento è costituito da rocce endogene e metamorfiche affioranti largamente, specie nel Sud-Est; altrove esso è coperto da una poderosa coltre sedimentaria di calcari e arenarie, di origine sia continentale sia marina, stratificatisi in epoche successive. Le vicende geotettoniche hanno avuto larga parte nella formazione del territorio egiziano, ma il suo paesaggio attuale è dovuto prevalentemente agli agenti esogeni, in particolare al vento.
Dal punto di vista morfologico, l’E. è costituito da quattro regioni diverse: il Deserto Occidentale, il Deserto Orientale, la Valle e il Delta del Nilo, il Sinai. Il Deserto Occidentale, ampio poco meno di 700.000 km2 ed esteso a O del corso del Nilo, è parte del grande Deserto Libico (e dunque, in definitiva, del Sahara) e si presenta come una successione di tavolati costituiti da banchi orizzontali in prevalenza calcarei o arenacei, allo scoperto o nascosti sotto una coltre sabbiosa. La monotonia morfologica è interrotta, oltre che da alcuni rilievi posti all’estremo sud-occidentale, talvolta superiori ai 1000 m, dalle alte e lunghe scarpate dei tavolati; e anche da profonde e ampie depressioni, in più casi occupate da oasi. Dalla Valle del Nilo al Mar Rosso si estende il Deserto Orientale (talora denominato Deserto Arabico, in quanto prosecuzione, a O del Mar Rosso, dei deserti dell’Arabia), esso pure formato da una serie di tavolati, profondamente incisi dall’erosione torrentizia degli uidian (➔ uadi). Il bordo orientale di questi tavolati si innalza oltre i 2000 m (Gebel Shā’ib, 2087 m) e incombe con pareti ripidissime sull’esigua cimosa litoranea. Il tratto egiziano della Valle del Nilo è un corridoio alluvionale che a monte, dal confine sudanese ad Assuan, è stato totalmente sommerso in seguito alla costruzione di una poderosa diga e alla realizzazione del Lago Nasser; oltre Assuan, la Valle si svolge assai angusta fino a Luxor, poi si amplia a larghezza di 20 e più kilometri fino in prossimità del Cairo, dove si pone tradizionalmente il limite tra Alto E. e Basso E.; poco più avanti essa si apre a ventaglio formando il Delta, che misura oltre 20.000 km2. Il Sinai è una tozza penisola triangolare, individuata dalla biforcazione del Mar Rosso, verso N, nei due golfi di Suez e di Aqabah; è un lembo dei tavolati arabici, molto elevato a S, dove, nel Gebel Katherina, si raggiunge la massima vetta dell’intero territorio egiziano. L’E. ha uno sviluppo costiero di 2450 km, di cui quasi 1000 spettano al Mar Mediterraneo, litorale prevalentemente piatto, mentre quello del Mar Rosso è orlato da una stretta cimosa, chiusa alle spalle dalla ripida scarpata del Deserto Orientale.
L’E. è un lembo di Sahara che si spinge, a N, fino alle rive del Mediterraneo; e il suo clima è tipicamente sahariano. Benché i valori pluviometrici e termometrici rivelino qualche differenza tra le località settentrionali, esposte a una modestissima influenza mediterranea, e le località meridionali e interne, tali valori rientrano tutti tra quelli caratteristici del clima desertico tropicale: piogge scarsissime o pressoché nulle (Alessandria: 170 mm annui; Il Cairo: 20; Assuan: 0), sia pure con episodi eccezionali di grande violenza; temperatura elevata (20-27C°); forti escursioni termiche annuali e giornaliere. Richiamate dalle basse pressioni dell’interno, spirano frequenti brezze da N, note fin dall’antichità come venti etesi; da S-SO soffia invece spesso impetuoso il khamsin, vento caldo, carico di polvere proveniente dalle sabbie desertiche.
L’idrografia dell’E. si identifica di fatto con il Nilo, il quale entra nel paese provenendo dalla Repubblica del Sudan e vi scorre, in senso S-N, per quasi 1500 km, con debolissima pendenza e senza più ricevere, date le caratteristiche climatiche, alcun tributo d’acqua. Le piene, che si verificavano nel periodo estivo e fino a ottobre, si sono sensibilmente attenuate, così come si è modificato tutto il regime del fiume, dopo la costruzione del Lago Nasser.
Fra gli abitanti neolitici ed eneolitici della Valle del Nilo (tombe predinastiche) l’antropologo G.E. Smith ha descritto come prevalente un tipo da lui detto proto-egiziano, piccolo di statura (163 cm in media), a cranio allungato, stretto e piuttosto alto; i capelli erano lisci o ondulati, di color bruno scuro come le iridi, la pelle brunastra, la faccia ovale, con grandi occhi e naso a dorso rilevato e pinne un po’ larghe. Questo tipo continua nelle età successive a formare il nucleo essenziale della popolazione dell’Egitto. Dal punto di vista etnico, la popolazione odierna dell’E. è il frutto di un antico mescolamento di gruppi autoctoni con altri provenienti dall’Asia e dall’Europa. I nomadi Beja e gruppi di origine nubiana si sono da tempo insediati nelle zone desertiche dell’E. meridionale. In tempi più recenti, si è registrato l’arrivo di gruppi beduini dalla penisola arabica contestualmente alla diffusione dell’Islam (dal 7° sec. d.C.). Meno importante numericamente rispetto alle componenti arabe è risultata l’incorporazione di individui sudanesi e subsahariani, conseguente all’antica istituzione della schiavitù e ai commerci con le popolazioni africane.
La lingua ufficiale è l’arabo, ma nelle città, per scopi commerciali e turistici, sono diffusi la conoscenza e l’uso dell’inglese e del francese; l’antico copto sopravvive solo come lingua liturgica.
La religione di gran lunga prevalente è quella islamica sunnita (90%); il rimanente 10% è formato da cristiani, in maggioranza copti, per il resto cattolici di vari riti e greco-ortodossi. Esistono varie minoranze etnico-culturali: alcune di esse si distinguono anche per la conservazione delle proprie lingue, come i Nubiani nel Sud del paese, i Beja a E, tra il Nilo e il Mar Rosso, e vari gruppi di origine europea o vicino-orientale (Greci, Armeni ecc.) insediati nelle maggiori città; altre, invece, come i beduini, pastori nomadi, sono divenute pressoché totalmente arabofone, pur mantenendo il loro genere di vita. La consistente minoranza ebraica è persistita fino al primo conflitto arabo-israeliano.
Pare che nell’antichità, specialmente nei periodi più fulgidi dell’età faraonica, il paese ospitasse già 7 milioni di abitanti. Successivamente vi furono ripetuti momenti di calo demografico, con conseguente ristagno della popolazione. Soltanto a partire dalla seconda metà del 20° sec. si avviò una netta ripresa: dai 6,7 milioni di individui rilevati nel 1882 al primo censimento regolare (dopo l’occupazione britannica), si passò agli 11,2 milioni del 1917, ai 18,9 del 1947 e alla crescita accelerata che caratterizzò il nuovo E. dopo la caduta della monarchia, facendo salire la popolazione dai 22 milioni del 1952 agli oltre 80 stimati nel 2008. A determinare questo incremento esplosivo è stata quasi unicamente la componente naturale, con un tasso di natalità in progressivo calo, ma sempre piuttosto alto (ancora superiore al 22‰ nei primi anni del terzo millennio), cui fa riscontro una mortalità precipitata al 6‰. Tale situazione di sovraccarico demografico è all’origine di intense correnti emigratorie dirette verso paesi vicino-orientali ed europei, che hanno coinvolto oltre 3 milioni di persone. La densità media della popolazione, circa 81 ab./km2, sembrerebbe indicare una copertura umana piuttosto rarefatta. In realtà si tratta, al contrario, di un valore altissimo, perché la popolazione si addensa straordinariamente (e pressoché esclusivamente) in un’area di 2,4 milioni di ettari, appena il 5% della superficie totale del paese, corrispondente alla stretta e lunga fascia della Valle del Nilo; area in cui la densità raggiunge i 1000 ab./km2 perché la popolazione è stata sempre attratta dalla larga disponibilità delle risorse idriche indispensabili all’agricoltura, di fatto totalmente assenti nel resto del territorio. Al di fuori della Valle e del Delta del Nilo, cui si sono aggiunte dagli ultimi decenni del 20° sec. alcune oasi del Deserto Occidentale, l’E. è soltanto uno squallido deserto. L’addensamento nel Delta è anche all’origine dell’abnorme sviluppo urbano della capitale, Il Cairo, la cui agglomerazione (la prima del continente africano e una delle maggiori del mondo) nel 2007 ospitava 15.900.000 ab.: sviluppo che ha reso necessari interventi di decentramento e decongestionamento (città-satelliti con funzione di poli di crescita) e ha costretto parte della popolazione a rifluire all’esterno dell’agglomerazione stessa, di fatto addirittura in aree desertiche.
Un primo tentativo di ammodernamento dell’apparato produttivo, da millenni fondato sull’agricoltura, fu avviato durante il protettorato britannico, con risultati però che andavano a vantaggio di pochi privilegiati, in prevalenza stranieri. Il problema, accentuandosi sempre più lo squilibrio tra produzione agricola e aumento demografico, si ripropose a partire dagli anni 1950, con l’instaurazione del dirigismo nasseriano. Pur tra notevoli difficoltà, il nuovo regime raggiunse traguardi concreti con la nazionalizzazione del Canale di Suez (1956) e la costruzione della ‘diga alta’ di Assuan. Contemporaneamente si decidevano radicali riforme di struttura, che comportavano il frazionamento della proprietà fondiaria, la cooperativizzazione dell’agricoltura, il passaggio sotto il controllo pubblico dell’industria, degli istituti di credito, dei servizi essenziali e, nel 1961, perfino la nazionalizzazione di tutte le proprietà estere. Inoltre, negli anni 1950 e 1960 vennero varati piani di sviluppo economico, vanificati però dalla guerra arabo-israeliana del 1967 che comportò un drastico rallentamento dell’espansione economica.
L’epoca postnasseriana è stata distinta da un nuovo corso economico (la cosiddetta politica della ‘porta aperta’, avviata nel 1974) che, pur con palesi condizionamenti culturali e religiosi, ha sollecitato la collaborazione dei paesi capitalisti attirandone gli investimenti con i bassi salari della manodopera locale e con varie agevolazioni fiscali. Tale orientamento, durato fino ai primi anni 1980, ha consentito realizzazioni rilevanti nel settore industriale, con intervento diretto o indiretto di imprese multinazionali; ma non ha certo risolto i problemi sociali del paese (veloce aumento demografico, deficit alimentare, squilibrio tra grande e piccola proprietà terriera, frenetico processo d’inurbamento, ipertrofia del terziario pubblico, disoccupazione, debito estero, inflazione). Di conseguenza, la politica della ‘porta aperta’ è stata notevolmente ridimensionata, a partire dal 1981, dai governi presieduti da M.H. Mubārak, che sono tornati a un maggior controllo del mercato produttivo e finanziario e hanno impostato un vasto piano di riforme strutturali per dare nuovo impulso all’economia e raggiungere un migliore equilibrio tra popolazione e territorio. Tuttavia, l’economia egiziana continua a dipendere dal sostegno finanziario internazionale e risente della crisi interna innescata dal risorgente integralismo islamico che a partire dagli anni 1990 condiziona negativamente la vita politica, economica e sociale del paese.
Gli indicatori che esprimono il livello di sviluppo socioeconomico (speranza di vita alla nascita: 70,02 anni; tasso di alfabetizzazione: 71,4%; prodotto interno lordo pro capite: 4211 dollari a parità di potere d’acquisto) collocavano nel 2006 l’E. intorno al 110° posto nella graduatoria mondiale dell’indice di sviluppo umano elaborato dalle Nazioni Unite, una cinquantina di posti più in basso della vicina Libia.
L’agricoltura fornisce (2007) oltre il 20% del prodotto interno lordo, occupa il 32% della popolazione attiva e contribuisce in larga misura alle esportazioni. Le speranze nell’utilizzazione delle acque del Lago Nasser sono andate in parte deluse. Infatti il nuovo sistema d’irrigazione ha svincolato l’agricoltura dal regime naturale del Nilo, eliminando inondazioni e siccità alterne e consentendo un impiego più razionale dell’acqua; ma al tempo stesso ha causato una maggiore salinità e una minore produttività del suolo, essendo venuta a mancare l’azione fertilizzante del limo fluviale. Da qui la necessità di un sempre crescente uso di concimi chimici, la cui produzione nazionale risulta insufficiente, per cui non è stato possibile ottenere quel cospicuo aumento di terre coltivabili che ci si augurava; né vanno sottovalutati altri riflessi negativi della diga, nonché la diminuzione delle portate del Nilo a causa delle ricorrenti siccità. Nelle strategie di aumento del suolo coltivabile anche fuori della Valle del Nilo si inquadrano due grandi progetti d’irrigazione: il canale al-Salam nel Nord-Est e il canale Toshka nel profondo Sud. Il primo, che convoglierà acqua del Nilo verso il Sinai, è, alla fine del primo decennio 2000, in avanzata realizzazione: metà delle terre guadagnate sarà destinata a colture agroindustriali, metà a coltivazioni ad alta intensità di manodopera, come la floricoltura. Il secondo prevede l’irrigazione della Nuova Valle, una direttrice che si allunga, collegando varie oasi, nel Deserto Occidentale: progetto ambizioso, più volte accantonato per il suo costo, ma ripreso nel 1997 nel quadro di un piano ventennale, che dovrebbe dar luogo a un ‘E. parallelo’, irrigato con acque in parte provenienti dal Lago Nasser, in parte captate da falde sotterranee profonde. Le coltivazioni sono in parte di sussistenza, e tra esse primeggiano i cereali: mais (6,8 milioni di t nel 2006), grano, riso (nel Delta, con rese tra le più alte del mondo); in parte commerciali: canna di zucchero, nell’Alto E. (la cui superficie però si è drasticamente ridotta a partire dagli anni 1950), agrumi, palma da dattero. L’allevamento soffre della scarsezza di prati e pascoli, come si evince dalla modesta consistenza numerica (4,5 milioni di capi bovini, 9 tra ovini e caprini).
L’energia prodotta è per circa il 35% di origine idrica, derivata, in assoluta prevalenza dagli impianti alimentati dalla diga di Assuan. L’estrazione del petrolio, scoperto nel 1868, fu intrapresa nel secondo decennio del 20° sec., e l’E. è stato il maggior produttore africano fino agli anni 1960, quando vennero emergendo Algeria, Libia e Nigeria. La produzione di greggio supera (2006) i 30 milioni di t annue, quella di gas naturale è di 44 miliardi di m3; gli idrocarburi formano quasi la metà del valore delle esportazioni. Tra le risorse del sottosuolo vanno ricordati pure i minerali di ferro della Nubia e i fosfati, presenti nella Valle del Nilo e lungo la costa del Mar Rosso.
L’industria manifatturiera è decisamente insufficiente ai bisogni del paese: concorre per meno del 20% alla formazione del prodotto interno lordo e occupa appena il 17% della popolazione attiva; ben diversificata dal punto di vista settoriale, è però fortemente concentrata nel territorio egiziano, con predominio assoluto dei principali centri urbani, e in particolare dell’agglomerazione cairota. All’interno di questa assume speciale importanza il polo di Helwan, dove si sono localizzati la maggiore unità industriale egiziana, un grande impianto siderurgico sorto nel 1960, nonché fabbriche di autoveicoli e di fertilizzanti, cementifici. Il comparto tessile, essenzialmente cotoniero, è concentrato in gran parte al Cairo, ad Alessandria e a Mahalla al-Kubra. Quello alimentare prevale nettamente ad Alessandria (pastifici) e a Kom Ombo (zuccherifici alimentati dalle vicine coltivazioni di canna). La produzione di fertilizzanti è notevole, oltre che a Helwan, anche ad Alessandria, Assuan, Suez; le industrie petrolifere e petrolchimiche sono presenti soprattutto al Cairo, ad Alessandria e a Suez.
Le reti stradale (65.000 km) e ferroviaria (5.200) sono relativamente poco sviluppate, limitate alla Valle del Nilo e alla regione costiera mediterranea; notevole è invece quella degli oleodotti e dei gasdotti (oltre 13.000 km). Il Nilo è un’importante via d’acqua interna, alla quale si aggiunge quella dei canali del Delta, tra cui emerge il canale di al-Maḥmūdiyya, che unisce il fiume ad Alessandria, principale porto marittimo egiziano. Grande importanza, non tanto per il traffico che può interessare l’E. quanto per l’apporto finanziario che assicura al paese, ha il Canale di Suez. Massimo scalo aereo internazionale è Il Cairo.
La bilancia commerciale è nettamente deficitaria; le esportazioni sono caratterizzate da una forte prevalenza degli idrocarburi (44% del valore totale); tra le importazioni prevalgono manufatti e prodotti agroalimentari. I principali partner sono i paesi dell’Unione Europea, tra i quali l’Italia occupa una posizione eminente; rilevante è anche l’interscambio con gli Stati Uniti. Nella bilancia dei pagamenti il passivo è parzialmente compensato dagli introiti del passaggio nel Canale di Suez, dalle rimesse degli emigrati e dal denaro apportato dai turisti; questi ultimi sono numerosi (circa 8 milioni di presenze all’anno), richiamati dall’eccezionale patrimonio archeologico, specialmente durante la mite stagione invernale; ma l’organizzazione ricettiva è ancora poco soddisfacente e la domanda turistica nei primi anni 2000 ha risentito negativamente di ripetuti gravissimi episodi terroristici.
Le industrie litiche associate a faune ritrovate negli antichi depositi fluviali della Valle del Nilo hanno permesso una dettagliata ricostruzione dei mutamenti culturali e ambientali che vi si sono prodotti. Nel Paleolitico inferiore i più antichi abitatori della zona occupavano siti di notevoli dimensioni, ai margini della piana alluvionale o sulle colline limitrofe, mentre nel medio sono attestati i complessi culturali Musteriano, Ateriano e Khormusano (600.000-90.000 a.C.). I siti, di dimensioni ridotte rispetto ai precedenti, indicano una continuità culturale di occupazioni e rioccupazioni da parte di gruppi umani con attività di sussistenza basata sulla caccia di grandi mammiferi. Il clima semiarido spinse le popolazioni a stabilirsi lungo il corso del fiume, dove l’ambiente rivierasco, ricco di risorse naturali, favorì l’insediamento stagionale di gruppi di cacciatori. Nel Paleolitico finale (Epipaleolitico) l’ambiente determinò la trasformazione, tipica del periodo, da un’economia di caccia-raccolta a un’economia di caccia-pesca integrata da raccolta di molluschi. Nell’Alto E., nella piana di Kom Ombo, la concentrazione di risorse naturali fu determinante per la coesistenza di culture di tradizioni diverse. Le più antiche, con economia di caccia-pesca, la khormusana (20.000-16.000 a.C.), con industria litica a bulini e denticolati, e l’halfana (18.000-15.000 a.C.), microlitica, furono pressoché contemporanee, determinando uno sviluppo umano assai complesso di tecnologie ed economie differenti. Tra le culture più note è la sebiliana (13.000-9000 a.C.), caratterizzata da industria su lama, in cui accanto all’attività di caccia-pesca si ha raccolta di molluschi e in particolare di grani selvatici, testimoniata da pietre da macina e pestelli, rinvenuti anche nella pressoché coeva cultura menchiana. Nel Paleolitico finale le oasi del deserto occidentale, come quella di el-Kharga e la depressione di al-Fayyum, furono occupate a lungo da gruppi di cacciatori-pescatori-raccoglitori, spinti dal progressivo inaridimento delle zone circostanti.
Nell’Olocene iniziale (8000-5000 a.C.) nella Valle del Nilo si produssero notevoli mutamenti dei modelli di sussistenza. È ipotesi ormai accettata che tali cambiamenti culturali fossero dovuti all’influenza di comunità provenienti dal sud-ovest asiatico, in possesso di un’economia agricola affermata, che trovò in E., data la ricchezza di risorse naturali, un ambiente favorevole ad adottarla. Nel Basso E. gli agricoltori si stanziarono nelle zone più fertili, in prossimità delle bocche degli uidian e ai margini del Delta. Le prime tracce di vita sedentaria in villaggio sono state individuate a Merimde (5° millennio a.C.), dove si sviluppò una cultura in tutto simile a quella contemporanea del Fayyum A, e frutto forse di una stessa popolazione, dedita alla coltivazione dei cereali e all’allevamento di caprovini. Contemporaneamente, la cultura di el-῾Omarī, presso il Cairo, è caratterizzata da un’industria litica simile a quella del Fayyum A e Merimde. A questa cultura possono essere attribuite alcune sepolture, con corpi in posizione contratta e talvolta con corredi costituiti da un unico vaso. Completamente diversa si configura la sequenza culturale predinastica nell’Alto E., dove la ceramica è sempre decorata, i cimiteri (sempre ricchi di corredi) sono separati dai villaggi, e gli insediamenti piuttosto ampi. I resti della cultura badariana (dalla località di el-Badārī) riflettono una semplice vita semisedentaria, senza tracce evidenti di strutture abitative. I siti della successiva cultura naqadiana (o amratiana dalla località di el-‛Āmrah, presso Abido) si trovano prevalentemente nelle vicinanze del Nilo e in insediamenti-chiave come Naqāda e Hieraconpolis. Nonostante l’economia di sussistenza non appaia diversa da quella del badariano, i corredi funerari sono molto più ricchi e costituiti da oggetti di lusso in selce bifacciale finemente lavorati, vasi in basalto di tipo mesopotamico, tavolozze, oggetti in avorio e vasi ornati con linee incrociate bianche e scene di uomini e animali in stile vivace e realistico. Nella successiva cultura gerzeana, che chiude la preistoria egiziana, avviene invece un improvviso cambiamento, sottolineato da più stretti contatti con il sud-ovest asiatico, dall’evoluzione del complesso sociale e delle istituzioni economiche, e dall’acquisizione delle tecniche metallurgiche (oro e rame) di provenienza palestinese: la decorazione vascolare diventa formalmente più curata e la selce viene usata da operai altamente specializzati per l’esecuzione di oggetti da parata e rituali. Le ricche tombe gerzeane a camera riflettono la stratificazione sociale in atto e i contatti con il sud-ovest asiatico, facilitati dall’attività espansionistica della Mesopotamia, attratta dalla presenza dell’oro in Egitto.
Seconda grande civiltà del Vicino Oriente, quella egiziana si sviluppò con caratteristiche per alcuni aspetti affini al modello mesopotamico, nell’economia (agricoltura basata sull’irrigazione, canalizzazione delle acque, intensi rapporti commerciali con i paesi mediterranei e asiatici), nella divisione del lavoro e nella stratificazione sociale, nella struttura piramidale del potere al cui vertice era un re, nell’organizzazione urbana e nella monumentalità architettonica. Ebbe tuttavia alcuni aspetti propri, che originavano dalle tradizioni preistoriche del popoli del Nilo o derivavano dalla sua particolare posizione geografica. Paesi, città e villaggi si snodavano lungo il corso del Nilo. A E e a O si apriva il deserto che, se pur attraversato già in tempi preistorici da piccole carovane di mercanti, costituiva una barriera insuperabile per qualsiasi popolazione volesse passarlo in armi. Questa posizione di isolamento fisico rendeva l’E. un’unità a sé stante, difendibile da ogni penetrazione esterna, protetta da tre ‘porte’ – verso la Libia a O, la Nubia a S, l’istmo di Suez e il massiccio del Sinai a E –, mentre le vie di comunicazione e di scambio si addensavano sul Nilo e sul mare. Da tale dimensione geografica derivano la continuità, la solidità e la durata del regno, e anche il suo conservatorismo culturale.
La storia dell’E. faraonico si suddivide in grandi periodi di stabilità (Antico, Medio e Nuovo Regno), corrispondenti alle 30 dinastie che si avvicendarono nel governo del paese, alternati a periodi di crisi (intermedi), in cui il potere centrale si dissolse e si frammentò, andando a principi locali.
L’E. predinastico si componeva di una moltitudine di minuscoli regni, ciascuno sotto l’autorità di un dio locale, rappresentato da un principe che ne era anche il sommo sacerdote. In seguito, processi di annessione e di conquista portarono alla formazione di organismi politici sempre più vasti, fino alla costituzione di due Stati, l’ Alto e il Basso E., corrispondenti alla Valle e al Delta del Nilo. Parallelamente, al vincolo dell’organizzazione tribale, fondato su legami parentali e sull’immediatezza dei rapporti di vita comunitari, si sostituivano interessi comuni tali da giustificare la dipendenza da un unico reggente. La riunione dei due organismi in un solo Stato nazionale fu compiuta dal re dell’Alto E. Menes, con il quale ha inizio la I dinastia (2850 a.C. circa) e che spostò la residenza regale a Menfi, lungo la linea di separazione delle due terre prima indipendenti (fig. 2). Il nuovo Stato ebbe una legge, una burocrazia e una religione condivisa. Pur consapevoli delle diversità, le due parti del regno si saldarono in virtù della comune dipendenza dal Nilo e della dottrina della natura ultraterrena del sovrano.
L’Antico Regno raggiunse il suo apice tra la III e la V dinastia (2682-2322 ca.). La III ebbe inizio con Nebka , cui seguì Djoser, la cui tomba a Saqqara fu il primo grande edificio d’E. costruito in pietra. Di Snefru, primo faraone della IV, i documenti contemporanei attestano spedizioni in Nubia, in Libia, nel Sinai, mentre i nomi di Cheope, Chefren e Micerino sono legati alle piramidi di Giza. Con la V dinastia il culto di Ra, dio del Sole, divinità suprema, assunse pieno valore dinastico, concludendosi così una tendenza manifestatasi già sotto Djoser e dovuta alla crescente importanza del sacerdozio eliopolitano. Il sovrano si dichiarò figlio del dio, codificando una sporadica iniziativa della precedente dinastia. L’amministrazione si articolò e un visir fu posto accanto al re, mentre numerosi funzionari, personalmente scelti dal sovrano, vennero a costituire una nobiltà che gravitava attorno alla corte, anche se per ragioni d’ufficio era dislocata in provincia.
I tratti salienti della VI dinastia (2322-2191 ca.), originaria di Menfi e avente in Pepi I e Pepi II le due figure più rappresentative, furono un’intensa vita artistica e l’affermarsi dell’influenza egizia in Nubia. Tuttavia, nello stesso periodo esplose una crisi economica e politica che maturava da tempo. La monarchia divina si era appoggiata soprattutto alla casta sacerdotale, che ne aveva ricevuto beni e privilegi; nello stesso tempo il complicarsi dell’amministrazione aveva dato una crescente autorità a funzionari, mentre i nomarchi (i capi dei nòmi, i distretti amministrativi) e le autorità provinciali tendevano a fissarsi sul luogo in cui esercitavano la carica e a trasmetterla in eredità.
Dal tentativo della monarchia, che aveva nella casta sacerdotale e nella nobiltà due forze rivali, di riprendere il controllo delle terre date in beneficio derivò una guerra civile da cui l’E. uscì frazionato e indebolito. Cominciò per il paese un periodo oscuro. Da Menfi i re della VII e VIII dinastia (secondo una tradizione si succedettero 70 faraoni nel giro di 70 giorni) continuarono a pretendere di esercitare un governo, puramente nominale, su tutto il paese, di fatto ignorati dai principi delle varie province. In seguito, una famiglia di Eracleopoli nel Fayyum (IX e X dinastia) dominò per qualche decennio in una zona non ben definita del Delta e nel Medio E., soccombendo poi di fronte al prevalere dei potentati di Tebe.
Con la XI dinastia, a opera di Montuhotep II (2046-1995), si ricomposero le spinte centrifughe e fu ricostituita l’unità territoriale, ma a prezzo del crollo della monarchia di diritto divino. Mentre al faraone si opponevano i nomarchi e altri principi, nella vita economica l’artigianato assunse maggiore indipendenza e si formò una classe borghese e piccolo-borghese. Parallelamente vi fu un rinnovato sviluppo della scienza e dell’arte. Montuhotep e i suoi successori condussero con successo spedizioni in Nubia e viaggi commerciali a oriente e sul Mar Rosso. Il controllo, se non ancora l’occupazione e conquista, della zona costiera della Palestina era essenziale per impedire l’insediamento di potenze straniere ai confini del paese e soprattutto per esercitare una forma di ‘imperialismo mercantile’, assicurando il monopolio dei terminali delle vie commerciali tra Mediterraneo ed entroterra orientale.
Quello della XII dinastia (1976-1794/3) è uno dei periodi meglio noti della storia egiziana. Fondatore ne fu Amenemhat I, che portò Ammone, il dio di Tebe, al grado di divinità principale, verificò le frontiere dei nòmi, costruì nel Delta fortezze di difesa contro i beduini e combatté contro i libi. I suoi successori Sesostris III e Amenemhat III svolsero una politica altrettanto incisiva. Il primo realizzò la conquista della Nubia, il secondo la bonifica del Fayyum. In Nubia fu allestita una catena di fortificazioni e i confini dello Stato vennero spostati fino alla seconda cataratta; nel Fayyum si misero in opera grandiosi progetti di irrigazione, con la costruzione di una diga e il convogliamento delle acque alluvionali in numerosi canali. Fu questa l’età di più raffinata vita dell’E.: una monarchia solida accanto a funzionari efficienti, un popolo impegnato in opere civili, un attivismo bellico che dava sicurezza alle frontiere; e, insieme, il fiorire dell’attività artistica e la stesura delle opere classiche della letteratura egizia. La stabilità sociale e politica non durò a lungo e seguirono anni di confusione poco documentati.
Con la XII dinastia si concluse il Regno Medio. Le dinastie XIII e XIV (1794/3-1670 ca.) furono rappresentate da re in gran parte noti solo di nome, la cui debolezza si manifestava nel rapido succedersi e nella frequenza di usurpazioni. Se l’E. continuava a vivere come società, era in virtù della capacità di azione autonoma delle sue strutture amministrative. A E del Delta s’infiltrarono tribù asiatiche, gli Hyksos («re dei paesi stranieri» e, secondo una falsa etimologia, «re pastori»), che si costruirono una piazzaforte ad Avaris e di là mossero verso il resto del paese. Non riuscirono tuttavia a ottenere il dominio su tutto l’E. se non per un breve periodo, durante il quale i principi locali probabilmente mantennero la loro autorità, benché limitati da un controllo e obbligati a un tributo. Fra le famiglie di dinasti emerse per importanza quella di Tebe, che riunì intorno a sé le altre dell’Alto E. e si pose a capo di un movimento di ribellione contro gli stranieri.
La XVIII dinastia (1550-1292) inaugurò la fase ‘imperiale’ della storia egiziana. Finita la dominazione degli Hyksos, era necessario rimettere in efficienza tutta la macchina dello Stato. Per molti decenni l’E. fu un paese militare. La politica di ampliamento delle conquiste al sud e di espansione in Asia, avviata da Thutmosis I, fu portata avanti da Thutmosis III, che con una serie di spedizioni raggiunse l’Eufrate. Al talento militare si univa l’intelligenza politica: i paesi conquistati (Fenicia, Palestina) conservavano la loro struttura, limitandosi il re a stabilire in loco ispettori egizi e a imporre un tributo annuo e gravami per il mantenimento delle truppe. Grazie alla pratica di condurre i figli dei notabili locali a compiere la loro educazione in E. e all’intenso sviluppo dei traffici, la cultura egizia si diffuse anche per una via diversa da quella delle armi. Si apriva così un’età di grandi scambi, durante la quale le dottrine tradizionali si estesero ad altri territori, mentre l’internazionalismo politico, sociale ed economico e l’universalismo religioso producevano effetti di innovazione e ibridazione anche in Egitto. La nuova società cosmopolita legata ai centri urbani divenne più eterogenea e secolarizzata, rinunciando agli elementi classici e sociali che avevano regolato da sempre la vita degli Egizi.
Una parentesi fu rappresentata dal regno di Amenhotep IV (1351-1334), che abbandonò Tebe trasferendo la capitale in una città nuova, Akhetaton (oggi Tell al-Amarna) e cambiò nome assumendo quello di Akhenaten. Amenhotep varò una radicale riforma religiosa, volta all’adorazione esclusiva di Aton (il disco solare), che fu anteposto ad Ammone, protettore fino allora della dinastia e dell’Egitto. Oltre che religioso, l’atonismo aveva anche un significato politico, mirando da un lato al ridimensionamento economico e politico dei sacerdoti di Ammone e dall’altro alla fondazione di un culto del Sole creatore provvidenziale, nel cui sistema al sovrano era data una funzione demiurgica, e perciò una più assoluta autorità. Nessuno dei due scopi fu raggiunto: Akhenaten fu incompreso anche dal popolo che rimaneva legato alle vecchie tradizioni, e alla sua morte furono ripristinati gli antichi culti, la nuova città fu rasa al suolo e, con Tutankhamon, la capitale tornò a Tebe. Intanto, dietro la pressione della nuova potenza degli Ittiti, l’impero in Asia si andava sgretolando.
Il primo regno importante della XIX dinastia fu quello di Sethi I (1290-1279/8) che avviò una politica di riconquista in Asia, affrontò con un qualche successo gli Ittiti e rese più sicura e funzionale la strada militare attraverso il deserto del Sinai, valendosi di posti di guardia e della sorveglianza dei luoghi di rifornimento d’acqua: ogni fonte lungo la strada era vigilata da una torre, migdol, con un presidio permanente. Il successore Ramesse II (1279 - 1213 a.C.) si trovò a dover affrontare nuovamente gli Ittiti. La battaglia, a Qadesh, fu di esito incerto, ma la minaccia della potenza assira indusse i rivali a concludere un trattato che pose i due imperi su un piano di assoluta parità, stringendo un accordo che assicurò quasi 50 anni di pace in Oriente. In questo periodo assunse particolare importanza Tanis, nel Delta del Nilo: non lontano dall’Asia e dal Mediterraneo, il sito della nuova capitale amministrativa appariva preferibile per gli interessi internazionali dell’E. e per la riconquista dell’impero. Tebe rimase il centro religioso e la residenza di vacanza del sovrano.
Intanto imponenti migrazioni, iniziate verso il 1400, avevano portato popoli di varia origine dalle contrade nord-orientali indoeuropee verso le regioni costiere del Mediterraneo: erano questi i ‘popoli del mare’ che distrussero l’equilibrio esistente nell’Oriente antico, dando inizio a nuove civiltà, tra cui la micenea. Anche se, durante la XX dinastia, Ramesse III (1183/2-1152/1) riuscì a evitare il pericolo di un’invasione dell’E., consolidandosi anche in Palestina e in Siria, il dilagare dei popoli del mare in Anatolia, Cilicia e Siria settentrionale, con l’annientamento dell’impero ittita, costituì per l’E. una grave minaccia, in quanto entrarono in crisi l’antica e sicura procedura dello scambio di grano e oro egizi contro l’argento anatolico, come pure il commercio di ferro che proveniva dal paese degli Ittiti. In una condizione di generale debolezza, sotto gli altri faraoni della dinastia, da Ramesse IV a Ramesse XI, l’E. perse autorità fuori delle frontiere e benessere all’interno. Alla morte di Ramesse XI lo Stato si divise in due regni e solo un compromesso permise la riunificazione.
Tra la XXI e la XXV dinastia (1070-655/3) il processo di decadenza si accentuò. Bande di mercenari libici s’installarono in E., che si andò configurando non più come uno Stato efficiente, ma come un insieme di piccoli Stati legati da rapporti commerciali. Il dominio si riduceva al governo esercitato nel Delta dai principi-mercanti di Tanis e a quello esercitato a Tebe dai principi-sacerdoti di Ammone, mentre emergeva un nuovo fattore di potenza con l’influsso crescente di principi libici originari del Fayyum. L’E. fu assalito dagli Assiri che per due volte saccheggiarono Tebe (nel 666 e 664 a.C.).
Alla crisi seguì ancora un periodo di rinascenza con l’epoca saita (XXVI dinastia, 664-525), di cui fu fondatore Psammetico I, che profittò della ribellione della Lidia contro gli Assiri per liberarsi del loro dominio e con iniziative accorte favorì i traffici commerciali nell’attivissima zona del Delta. Forte all’interno, l’E. tornò a intervenire nell’area asiatica con l’obiettivo di occupare la Fenicia.
Nel secolo successivo, tuttavia, i faraoni non furono in grado di resistere alla nuova potenza affermatasi in Asia, quella dei Persiani. Psammetico III fu sconfitto a Pelusio e Menfi (525) e l’E. divenne una provincia dell’impero persiano. Nell’invasione persiana storicamente si individua l’evento che pose fine alla civiltà egizia. I nuovi regnanti, inizialmente attenti agli usi e culti locali, con il tempo manifestarono intenzioni più consone a una potenza coloniale, facendo esplodere ribellioni a vantaggio di dinastie locali.
La dominazione persiana si concluse con l’occupazione dell’E. da parte di Alessandro Magno (332 a.C.) che, sebbene salutato come un liberatore, non ricostituì però il vecchio E., ma fondò un nuovo regno, connotato da elementi di tipo ellenistico e di cui ormai i protagonisti erano greci e non egizi (fig. 3). L’E. fu governato in un primo tempo da Cleomene di Naucrati, poi, dopo la morte di Alessandro e le spartizioni avvenute tra i suoi generali, fu assegnato a Tolomeo di Lago, il capostipite della dinastia che resse l’E. per circa tre secoli (321-30 a.C.). Come tutti i macedoni, i Tolomei erano largamente permeati di grecità e avviarono un processo di ellenizzazione del paese. L’elemento indigeno però non fu asservito; i sovrani, i generali e i funzionari erano macedoni o greci, ma elementi nativi si mantennero a capo dei nòmi e nei ruoli inferiori.
La storia politico-militare del regno tolemaico fu inizialmente tesa ad affermare, contro gli altri diadochi ed epigoni, l’autorità dei Tolomei. Vi fu poi la secolare contesa con la Siria per il possesso della Celesiria, che ebbe alterne vicende e talvolta parve chiudersi con il successo tolemaico, altre volte mise in pericolo l’esistenza stessa del regno (presa di Menfi a opera di Antioco IV di Siria, 169 a.C.). Le lotte dinastiche si fecero più accese e continue a partire dalla prima metà del 2° sec. a.C. e contribuirono a indebolire le capacità di resistenza dell’E. alle pressioni esterne, tra le quali stava emergendo quella di Roma. Il dominio effettivo dei romani s’istituì in E. dopo la battaglia di Azio (31 a.C.), che vanificò il progetto dell’ultima regina, Cleopatra VII, di ricostituire un grande impero orientale.
La dinastia tolemaica favorì in ogni modo l’incivilimento del paese. L’agricoltura ebbe notevole impulso da opere di bonifica (Delta, Fayyum) e dall’introduzione di nuove colture e specie zootecniche; le attività industriali furono potenziate e protette, il commercio favorito dalla creazione di nuove carovaniere e dallo sviluppo di istituzioni di tipo finanziario. Si ampliò a dismisura il mercato sul quale collocare i prodotti artigianali. L’impero commerciale tolemaico si estendeva fino a Tripoli in Libano, a Cipro, sull’intera costa della Libia e sulle isole dell’Egeo, a eccezione di Creta e Rodi. Agli aspetti positivi della politica mercantile promossa dai Tolomei si contrapponevano tuttavia l’oneroso fiscalismo e l’eccessiva burocratizzazione del paese. Il maggiore ricorso a manodopera servile e la concorrenza delle imprese schiavistiche andarono a svantaggio dei contadini liberi e favorirono la formazione del latifondo, con conseguenze che a lungo andare si sarebbero rivelate rovinose.
Per legittimare il loro potere e ottenere il favore popolare, i Tolomei vollero collegarsi all’antica storia egizia assumendo le prerogative tipiche dei faraoni. Il sovrano era assoluto e da lui dipendevano direttamente tutti i rami dell’amministrazione, compreso l’esercito che, costituito inizialmente di greco-macedoni, verso la fine del 3° sec. accolse anche indigeni che a poco a poco pervennero agli alti gradi.
Dopo la vittoria di Azio e la morte di Cleopatra, Augusto riordinò l’E. come territorio alle dipendenze dell’imperatore, sotto l’amministrazione di un governatore di rango equestre, il praefectus Aegypti, che godeva onori quasi regi. Lingua ufficiale rimase la greca, e l’amministrazione non subì sostanziali mutamenti: accanto al prefetto erano lo iuridicus per gli affari giudiziari e l’idiologus per gli affari finanziari. Le città greche ebbero una limitata autonomia; a capo dei nòmi furono messi strateghi di nomina prefettizia.
Nel periodo romano l’E. non ebbe vita prospera e pacifica, malgrado gli interventi presi a suo favore da alcuni imperatori come Adriano o Settimio Severo. La regione si depauperò notevolmente, soprattutto nelle campagne: gran parte delle ricchezze affluivano a Roma e i magistrati locali esercitavano un pesante fiscalismo, in quanto personalmente responsabili delle somme che dovevano raccogliere dalle rispettive zone o città. Alle difficoltà economiche si aggiungevano altri fattori: i contrasti razziali esplosi più volte in sommosse contro gli ebrei, le ribellioni degli indigeni, le invasioni esterne, le insurrezioni di pretendenti all’impero.
Nella riforma di Diocleziano, l’E. fu diviso in quattro province e incorporato nella diocesi di Oriente. Alla stessa epoca risale il confronto conclusivo fra il cristianesimo in espansione e lo Stato romano politeistico: l’ultima persecuzione (iniziata sotto Diocleziano e conclusa sotto Massimino nel 311) fu più cruenta qui che altrove.
Alla caduta dell’Impero d’Occidente (476) l’E. divenne possedimento bizantino, rimanendo politicamente diviso nelle quattro province dioclezianee, ora rette da duchi di origine egiziana. Furono imposte tasse gravose consistenti in una parte rilevante del raccolto del grano, l’attività industriale si andò limitando alle cave di marmo, il commercio con l’Oriente, prima intenso, diminuì quando Costantinopoli si servì di linee più dirette e si rivolse maggiormente verso l’Etiopia. Con la crisi economica declinò rapidamente anche la vita sociale: i piccoli proprietari diventarono man mano locatari e poi servi dei latifondisti.
Nel 641 gli Arabi sotto il comando di ῾Amr ibn al-‛Āṣ batterono i Bizantini e conquistarono la fortezza di Babilonia d’E.; da qui si sviluppò la città di al-Fusṭāṭ, centro del governo e primo nucleo dell’attuale Cairo. Il paese fu lentamente arabizzato, ma non del tutto islamizzato. Esso era amministrato da governatori dipendenti dal governo centrale. Aḥmed ibn Ṭūlūn (868-884) estese il suo dominio su Palestina e Siria. Il governatore Moḥammed ibn Ṭughǵ al-Ikhshīd e i suoi discendenti regnarono da sovrani autonomi (935-969) ancorché non del tutto staccati dal califfato di Baghdad. Nel 969 la dinastia dei Fatimidi si impossessò dell’E. per mano di Giawhar, generale del califfo al-Mu‛izz che vi trasferì la sua capitale fondando Il Cairo.
Sotto i Fatimidi, sciiti, l’E. divenne il paese più importante dell’Islam; essi furono però spodestati dal governo dai loro generali turchi o curdi. Nel 1171 Ṣalāḥ ad-dīn (Saladino) si proclamò re dell’E.; con lui comincia la dinastia degli Ayyubiti che riprese la Siria, conquistò la Mesopotamia e l’Africa settentrionale fino a Tripoli e occupò gran parte della penisola araba. Presto però gli Ayyubiti perdettero quasi tutti i territori annessi e caddero sotto il potere dei capi delle loro milizie turche composte di schiavi (mamlūk), da cui il nome di Mamelucchi che assunsero le due dinastie dei Bahiriti e Burgiti. Questo periodo è ricco di sovrani di grande valore: Baibars, Qalāwūn, Barqūq, Qā’it Bey. Nel 1517 i Turchi ottomani sconfissero nelle loro guerre d’espansione l’ultimo sultano mamelucco Tūmān Bey e incorporarono l’E. al loro grande Impero.
Nel 16°-18° sec. l’autorità turca sull’E. fu temperata da quella, di fatto perdurante, dei Mamelucchi. La spedizione napoleonica (1798) e l’occupazione francese durata fino al 1801 misero in crisi questo antiquato regime politico-sociale. Qui emerse la grande personalità di Moḥammed ‛Alī, un ufficiale albanese giunto in E. con l’esercito turco alla fine dell’occupazione francese; fattosi nominare governatore nel 1805, annientò i Mamelucchi nel 1811 e iniziò una grandiosa opera di ammodernamento tecnico del paese, di cui divenne l’effettivo padrone. Tra i suoi successori spicca suo nipote Ismā‛īl (1863-79), il primo a portare il titolo di chedivè, colui che promosse la realizzazione del Canale di Suez (1869), dando inizio a una sempre crescente ingerenza europea, che culminò nel 1882 nell’occupazione inglese (durata fino al 1914) in cui l’E. divenne un Protettorato britannico.
L’agitazione nazionalista, condusse nel 1922 alla proclamazione del Regno indipendente d’E., sotto Fu’ād. L’E. s’ispirò per la politica al modello parlamentare europeo, diviso fra la Corona e i partiti politici (in primo luogo il Wafd, fondato da Zaghlūl Pascià e rimasto a lungo in primo piano nella direzione della politica egiziana). I rapporti con la Corona vissero alterne vicende, con atti di forza del sovrano, sospensioni della Costituzione, scioglimenti della Camera e resistenze parlamentari. Quelli con la Gran Bretagna compirono un’importante tappa col trattato del 1936, che ridusse l’occupazione militare nella zona del Canale, ma legò l’E. in un’alleanza militare, che lo coinvolse nella Seconda guerra mondiale.
Con la fine della guerra si ripropose per l’E. il problema dell’acquisizione della piena indipendenza, a cui si sovrappose la questione della Palestina che rendeva incandescente il clima, aggravato da numerosi atti di terrorismo e azioni di guerriglia nella zona del Canale. In Palestina la Lega Araba, della quale l’E. era stato uno dei principali promotori (1945), si dimostrò incapace di mobilitare la solidarietà araba per impedire l’instaurarsi dello Stato di Israele (1948). Al fallimento della politica estera e al generale decadimento della situazione interna reagì nel 1952 l’elemento militare con una rivolta incruenta; il re Fārūq, dispotico e corrotto, fu deposto ed esiliato e il potere fu assunto da una giunta militare capeggiata dal generale M. Negīb. Fu varata una riforma agraria (la terra fu in parte assegnata ai contadini e in parte organizzata in cooperative), la Costituzione vigente fu abrogata, i partiti furono soppressi e fu abolita la monarchia.
Nel 1954 il vice di Negīb, G. ‛Abd an-Nāṣir (Nasser) assunse i poteri del presidente e con lui lo sviluppo dell’E. subì una decisa accelerazione. Il populismo di Nasser promosse i ceti medi emergenti colpendo l’intreccio di interessi feudali e neocoloniali che aveva ritardato lo sviluppo e l’emancipazione del paese. Con la Gran Bretagna venne raggiunta un’intesa (1954) per il definitivo ritiro delle truppe dalla zona del Canale. In politica estera Nasser aderì allo schieramento dei paesi non allineati e del Terzo Mondo. Nel 1956 si aprì una crisi nei rapporti con USA e Gran Bretagna, quando queste potenze e la Banca Mondiale si rifiutarono di finanziare la Diga di Assuan. La nazionalizzazione della Compagnia del Canale di Suez, decisa allora da Nasser, suscitò una reazione particolarmente aspra da parte di Francia e Gran Bretagna, che in concomitanza dell’invasione del Sinai da parte di Israele, diedero inizio a un’operazione militare nella zona di Suez (operazione interrotta dall’intervento ONU). Dopo il fallimento della fusione di E. e Siria nella Repubblica Araba Unita (1958) e dell’accordo con lo Yemen per la costituzione degli Stati Arabi Uniti, anche il tentativo di unione interaraba del partito Ba῾th al potere sia in Iraq sia in Siria non ebbe fortuna (1963) e l’E. entrò in contrasto con l’Arabia Saudita in occasione della guerra nello Yemen. Nel 1967 le tensioni con Israele sfociarono nella fulminea occupazione israeliana del Sinai e della striscia di Gaza (guerra dei Sei giorni), ridimensionando le ambizioni di Nasser.
Alla morte di Nasser (1970) il suo posto fu preso da Anwār as-Sādāt. Nel 1971 fu approvata una nuova Costituzione che ripristinava il nome di E.; nello stesso anno Sādāt allontanò la ‘sinistra’ nasseriana, pur firmando un trattato di amicizia e di cooperazione con l’URSS (in seguito denunciato). Al fine di riconquistare il Sinai, Sādāt si avvicinò agli USA per sfruttare la loro influenza su Israele. Dopo l’attacco a sorpresa di E. e Siria (1973) contro Israele e il successivo contrattacco, furono raggiunti degli accordi (1974-75) che restituirono all’E. una porzione del Sinai con i pozzi petroliferi. Sādāt varò infine alcune riforme liberaleggianti: l’apertura ai capitali esteri e maggiore pluralismo politico (nel 1978 fu fondato il Partito nazionale democratico, in sostituzione dell’Unione socialista araba). Gli accordi di Camp David (1978) fra E. e Israele, raggiunti con la mediazione degli USA, si tradussero in trattato di pace (1979; Israele lasciò il Sinai nel 1982).
Dopo l’assassinio di Sādāt (1981) divenne presidente M.H. Mubārak, che confermò le linee generali della politica di Sādāt, avviando tuttavia un processo di graduale riavvicinamento ai paesi arabi (nel 1998 l’E. fu riammesso nella Lega Araba) e di distensione con l’URSS (ristabilimento nel 1984 delle relazioni diplomatiche interrotte nel 1981). Nel 1998 l’E. diede vita, insieme a Giordania, Iraq e Repubblica Araba dello Yemen (dal 1990 Repubblica dello Yemen), al Consiglio di cooperazione arabo. Anche le relazioni con l’OLP migliorarono (riconoscimento dello Stato di Palestina, 1988) e l’E. assunse il ruolo di mediatore nel conflitto israeliano-palestinese. Con la crisi scaturita dall’invasione irachena del Kuwait (1990), Il Cairo assunse la leadership del fronte anti-iracheno. Le difficoltà economiche del paese, fortemente indebitato, e l’aumento degli squilibri sociali, favorirono però la crescita dei gruppi integralisti islamici.
Il regime di Mubārak (riconfermato nel 1993 e nel 1999) accentuò la repressione contro l’intensificata azione terroristica dei gruppi integralisti islamici che, diretta in particolare contro i turisti e le banche di investimento straniere, minacciava di aggravare la già difficile situazione economica del paese. La crescita del malcontento, oltre che per la grave situazione economica, per le misure illiberali attuate dal governo, convinse infine Mubārak a fare un tentativo di apertura alle forze di opposizione (con l’esclusione della Fratellanza musulmana, al-Ikhwān al-muslimūn, partito fondamentalista islamico ufficialmente non riconosciuto), che però si arenò, mentre la tensione sociale e gli attentati terroristici proseguirono. Dopo un grave attentato del 1997 a Luxor, alcuni leader dei movimenti integralisti Gihād («Guerra santa») e Ǧamā‛a al-islāmiyya («Gruppo islamico») annunciarono l’avvio di una strategia non violenta, cui si accompagnò una politica del governo più conciliante. La tensione fra E. e Sudan, sfociata in scontri armati ad Ḥalā’ib, zona di confine contesa fra i due paesi (1995-96), si allentò, mentre peggiorarono i rapporti con Israele, in seguito alla linea intransigente assunta da questo nei confronti dei Palestinesi. L’E. riprese il ruolo di mediatore nella regione, ma i suoi sforzi per arrivare a una soluzione del problema palestinese furono compromessi dalla ripresa dell’intifāḍa nel corso del 2000, cui fece seguito la condanna del Cairo nei confronti di Israele. Le elezioni legislative svoltesi nel 2000, intanto, ribadirono la vittoria dei candidati del Partito nazionale democratico, vicino al presidente. Dopo gli attentati di New York dell’11 settembre 2001, Mubārak offrì agli Stati Uniti il suo appoggio alla lotta contro il terrorismo, ma dovette fronteggiare il riacutizzarsi dell’opposizione integralista, soprattutto dopo i bombardamenti sull’Afghanistan e la recrudescenza degli scontri in Palestina. Rieletto nel 2005, Mubārak si è impegnato ad attuare riforme politiche liberali che tuttavia non si sono realizzate per la recrudescenza del terrorismo fondamentalista (attentato di Sharm ash-Shaykh, 2005). Al contrario, nel 2007 sono state trasformate in leggi costituzionali le norme speciali antiterrorismo introdotte dopo l’assassinio del presidente Sādāt, e sono state previste restrizioni all’attività politica dei movimenti religiosi, mirate a indebolire l’opposizione dei Fratelli musulmani.
Nel genn. 2011 ha avuto inizio un vasto movimento popolare di protesta nei confronti del regime ormai trentennale di Mubārak. Inizialmente pacifica, la rivolta si è acuita in poco tempo, provocando numerose vittime. L'11 febbr. 2011, dopo fallite trattative e pesanti pressioni, il presidente ha rassegnato le dimissioni, consegnando alle forze armate la gestione degli affari di Stato, e i poteri presidenziali sono stati assunti dal feldmaresciallo M. H. Tantawi. Nel marzo successivo la giunta militare ha posto a capo dell'esecutivo E. Sharaf, ex ministro durante il governo di Mubārak, dal quale aveva preso le distanze partecipando attivamente ai disordini popolari che hanno visto in piazza Tahrir, al Cairo, il centro nodale della protesta. A pochi giorni dalle elezioni parlamentari fissate al 28 novembre 2011, in ragione dell'inasprimento della rivolta che ha assunto ormai i caratteri di una guerra civile e a fronte dell'impossibilità di guidare il Paese verso il passaggio dei poteri a un governo civile così come rivendicato dai manifestanti, Sharaf si è dimesso e ha ceduto pieni poteri al Consiglio supremo delle Forze Armate.
In merito alle consultazioni del 2011, il Supremo consiglio militare ha previsto un meccanismo fondato su un sistema proporzionale per i due terzi del Parlamento, tanto alla Camera bassa che alla Camera alta, mentre il restante terzo dei seggi sarà scelto attraverso un sistema elettorale uninominale secco. La prima tornata delle consultazioni per la Camera bassa, tenutasi il 28 novembre con un'affluenza record del 62%, ha registrato la vittoria delle liste dei partiti islamici, che hanno ottenuto oltre il 65% dei voti: segnatamente, la lista di Libertà e Giustizia (Fratelli musulmani) si è aggiudicata il 36,6% delle preferenze, la formazione salafita El-Nour il 24,3% e gli islamici moderati del partito Wassat il 4,3%. Al ballottaggio del 5 dicembre i partiti islamici hanno confermato la loro predominanza in Parlamento; il ciclo elettorale è proseguito nel mese di gennaio del 2012 con l'ottenimento della maggioranza definitiva di Libertà e Giustizia, che si è aggiudicata 245 seggi, di cui 118 con il sistema maggioritario a doppio turno; si è attestata come seconda formazione quella dei salafiti, che si è imposta a sorpresa ottenendo il 24% dei consensi e 121 seggi. Il 23 gennaio, a un anno dalle prime sollevazioni di piazza Tahrir, si è riunita per la prima volta al Cairo la neoeletta Assemblea del Popolo, mentre il processo elettorale è proseguito nel mese di febbraio con le consultazioni per la Camera alta del Parlamento, alle quali i Fratelli musulmani hanno ottenuto 105 seggi su 180 contro i 45 seggi aggiudicatisi dal El-Nour. Secondo il verdetto della Commissione elettorale egiziana, al primo turno delle elezioni presidenziali svoltesi nel maggio del 2012 – le prime elezioni libere di un presidente nel mondo arabo, che hanno registrato un’affluenza alle urne del 46% – sono stati scelti per il ballottaggio previsto per il mese successivo il candidato ufficiale della lista Libertà e giustizia M. Mursi e A. Shafiq, ultimo premier del governo di Mubārak e persona gradita alla giunta militare. Agli inizi di giugno nuovi disordini di piazza sono scoppiati a seguito della sentenza che ha condannato Mubārak all'ergastolo ritenendolo colpevole dei reati di omicidio plurimo per avere ordinato di sparare sui manifestanti durante le sommosse popolari provocando la morte di oltre 850 persone, oltre che di corruzione, assolvendo però i suoi due figli. Nello stesso mese, alla vigilia del ballottaggio delle presidenziali, il Consiglio supremo delle Forze armate ha sciolto il neoeletto Parlamento, guidato dai Fratelli musulmani, avocando di fatto a sé il potere legislativo. Al ballottaggio, mentre si diffondevano notizie su una presunta morte o uno stato di coma irreversibile di Mubārak, è stato eletto nuovo presidente dell'Egitto il candidato dei Fratelli musulmani Mursi, che ha ottenuto il 51,7% dei voti contro il 48,3% riportato da Shafiq. Nel mese di luglio, pochi giorni dopo la sua elezione, Mursi ha annullato con un decreto lo scioglimento del Parlamento deciso dal Consiglio supremo, e in agosto ha rimosso il generale H. Tantawi, capo delle forze armate e ministro della Difesa, abolendo di fatto le norme che limitavano i propri poteri e accrescevano quelli dei militari. La politica fortemente accentratrice di Mursi, che tende a ridefinire gli equilibri istituzionali del Paese e che a novembre del 2012 è culminata nell'emanazione di un decreto presidenziale che avoca al capo dello Stato alcuni poteri spettanti alla magistratura e all'esercito e nella decisione di sottoporre a referendum una nuova Costituzione, ha generato dure reazioni da parte dell'opposizione liberale, che ha organizzato manifestazioni di piazza chiedendo la revoca di tale decreto e lo scioglimento dell'Assemblea costituente. Agli inizi di dicembre Mursi ha deciso di ritirare il contestato decreto, rifiutandosi però di annullare il referendum sulla Costituzione, che - tenutosi in due tornate il 15 e il 22 dicembre - ha visto la sua approvazione con il 63,8 % dei pareri favorevoli a fronte di un'esigua percentuale di votanti (32,9%). La contestata Costituzione ha una matrice fortemente islamista e, secondo l'opposizione, non tutelerebbe adeguatamente il rispetto dei diritti civili, soprattutto in merito alla libertà religiosa e alla posizione della donna.
Nel giugno 2013 nuove, violente agitazioni di piazza si sono verificate in numerose città del Paese: i manifestanti, stimati in un numero di diciassette milioni, hanno chiesto le dimissioni di Mursi e l'indizione di nuove elezioni. Il 3 luglio, dopo un ultimatum rimasto inascoltato, l’esercito ha assunto il controllo e destituito il presidente, che è stato trattenuto dalle autorità; è stata inoltre sospesa la Costituzione e annunciata la formazione di un governo tecnico che guiderà il Paese fino a nuove elezioni. A Mursi è subentrato ad interim il presidente della Corte costituzionale A. Mansour, e nei giorni successivi - dopo complesse trattative con i salafiti e mentre nel Paese i violenti scontri tra i sostenitori di Mursi e gli esponenti del gruppo di opposizione Tamarrod proseguivano - la neoformata coalizione laico-militare al potere ha conferito l'incarico di premier all'ex ministro delle Finanze ed economista H. El Beblawi e quello di vicepresidente al premio Nobel El Baradei, il quale nel mese di agosto si è dimesso dalla carica a seguito della violenta repressione delle manifestazioni organizzate dai sostenitori dell'ex presidente che ha insanguinato il Paese. Sebbene nel gennaio 2014 il 98,1% dei votanti avesse approvato attraverso un referendum la nuova costituzione, risultato che ha costituito una significativa vittoria per il governo ad interim fornendogli riconoscimento popolare dopo la destituzione di Mursi, nel febbraio successivo, alla vigilia delle consultazioni presidenziali, il premier El Beblawi ha rassegnato le dimissioni, subentrandogli I. Mahlab, già ministro dell'Edilizia.
Le consultazioni presidenziali, svoltesi nel maggio 2014 in una tornata elettorale prolungata fino a tre giorni per favorire l'affluenza alle urne (che si è attestata comunque su cifre bassissime, la percentuale dei votanti non avendo superato la metà degli aventi diritto), hanno registrato la vittoria schiacciante dell'ex generale ʿAbd al-Fattāḥ al-Sīsī, già ministro della Difesa sotto il governo del presidente Mursi che egli stesso aveva successivamente contribuito a far cadere: l'uomo politico ha ottenuto oltre il 95% delle preferenze, contro il 5% circa dei consensi aggiudicatosi dal progressista H. Sabbahi. Nell'agosto 2015 sono state indette le prime elezioni politiche del governo di al-Sīsī per il rinnovo del Parlamento: svoltesi in due fasi a partire dal mese di ottobre - in assenza di qualunque opposizione, con un'affluenza alle urne ridotta al 28,3% e dopo la sanguinosa repressione del movimento dei Fratelli musulmani del deposto presidente Mursi -, le consultazioni sono state dominate dai candidati filogovernativi e nel gennaio 2016 il Parlamento, riunitosi per la prima volta dal 2012, è risultato formato quasi nella sua interezza da una coalizione fedele ad al-Sīsī. Nei mesi successivi la repressione messa in atto da al-Sīsī si è ulteriormente inasprita, estendendosi a critici del regime, giornalisti e dissidenti e comportando sparizioni di oppositori, detenzioni arbitrarie e interrogatori sotto tortura. L'interesse suscitato a livello mondiale dall'uccisione tra il gennaio e il febbraio successivi del ricercatore italiano G. Regeni, non chiarita dalle autorità egiziane, ha ulteriormente motivato le opposizioni a organizzare manifestazioni di piazza per protestare contro le sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime; ciò nonostante, l'uomo politico è stato prevedibilmente rieletto per un secondo mandato presidenziale nel marzo 2018, ottenendo oltre il 97% dei consensi, e nell'aprile dell'anno successivo è stato approvato un emendamento alla Costituzione che permetterà all'uomo politico di candidarsi per un nuovo mandato. Nell'agosto 2020, alle elezioni per la composizione del Senato, secondo ramo del parlamento reintrodotto da riforme costituzionali varate nell'aprile 2019, il partito Futuro della Patria, che detiene la maggioranza alla Camera dei rappresentanti e sostiene le politiche governative, ha ottenuto una vittoria schiacciante aggiudicandosi, su 100 seggi, 70 seggi al primo turno e 20 candidati per il ballottaggio.
In politica estera, l'Egitto - insieme ad Arabia Saudita, Argentina, Iran, Emirati Arabi ed Etiopia - è stato ammesso nel gruppo BRICS a seguito del summit svoltosi nell'agosto 2023 a Johannesburg, divenendone membro effettivo dal 1° gennaio 2024.
Le tribù in cui era diviso l’E. primitivo avevano ciascuna la propria divinità, dall’aspetto animalesco o di pianta o talvolta di semplice oggetto. Quando nel Delta e in Alto E. vennero a formarsi due vasti organismi politici, diventò prevalente il culto degli dei delle città da cui partiva il movimento centripeto, in particolare quello di un dio celeste e solare, Oro, simbolo di regalità, cui si contrappone, come antitipo, il fratello-nemico Seth. A fianco di questa coppia si ebbe una nuova disposizione delle svariate divinità locali, che in ogni centro si riunirono in triadi. Le lotte predinastiche fra l’Alto e il Basso E. lasciarono chiare tracce nel mito: Oro e Seth sono nemici e lottano accanitamente per il possesso di tutto l’E. e solo dopo alterne vittorie si considerano di pari grado. Nel Delta, intanto, si affermò una nuova divinità, verisimilmente di origine solare: Osiride, un dio uomo cui si aggregò una dea vicina, Iside, e altre divinità di città prossime, Anubi, Thoth ecc.; a Osiride furono attribuiti gli stessi nemici di Oro, sicché lo si trova rivale di Seth. Il mito assunse una nuova forma: Seth uccide il fratello re, Osiride, per occuparne il trono, ma questi è resuscitato per le arti della moglie e sorella Iside; non regnerà più su questa terra, ma nell’aldilà (che è istituito dalla sua resurrezione).
Nei testi religiosi più antichi si trovano numerose allusioni a miti cosmogonici. Nel caos primigenio prende forma un dio demiurgo, che a Eliopoli è il dio solare Atum, presto identificato con Ra nella forma composita Atum-Ra. Atum, dopo aver ordinato il mondo, crea la prima coppia di dei, Shu e Tfeni, da cui nascono Geb e Nut (rispettivamente la terra e il cielo) e da questa coppia sono generati Osiride e Iside da un lato, Seth e Nefti dall’altro. Si ha così un gruppo di 9 divinità, detto la Grande Enneade. Questa concezione teologica si contrappone ad altre (per es., l’Ogdoade ermopolita), ma diventò lo strumento teologico più tipico della speculazione egizia per l’appoggio politico che a Eliopoli venne dalla monarchia menfita.
Nello sviluppo delle concezioni religiose assunse molta importanza la rivoluzione dell’Antico Regno, in cui si radicò l’esperienza eracleopolita del I periodo intermedio. Si ebbe allora una svolta dalla vecchia concezione ritualistica a una nuova concezione morale, che pose in primo piano il concetto di Maat, verità e giustizia. Poco dopo un nuovo dio assunse, per ragioni politiche, il rango di ‘re degli dei’: Ammone, dio di Tebe, protettore della famiglia reale e perciò dell’E., la cui fortuna ebbe un solo momento di crisi alla fine della XVIII dinastia, quando Akhenaten tentò un esperimento rigidamente monoteista, offrendo all’adorazione del popolo il Sole come elemento fisico, Aton.
Nel periodo dalla XIX dinastia in poi si svilupparono culti meno canonici e cominciarono a essere abbandonati i documenti della religiosità popolare. Assunsero a turno importanza le divinità delle singole città di cui erano originarie le varie dinastie, in particolare Neith, l’antica dea di Sais. Caratteristica dell’epoca saitica fu però la zoolatria, che tanto colpì il mondo greco e romano e che rappresenta un allargamento di una tendenza già ravvisabile nel mondo antico, quando singoli individui di alcune specie animali erano stati considerati sacri, in quanto personificavano note divinità (per es., a Menfi il toro Api incarnava Ptah).
Un problema particolarmente vivo e sentito in E. fu quello dell’aldilà, con l’affrontarsi di due principali tendenze escatologiche, la solare e l’osiriaca. Secondo la prima, il defunto nell’aldilà entrava a far parte del seguito del dio del Sole, Ra, viaggiava nella barca in cui questi attraversava il cielo o, divenuto una stella, splendeva nel cielo notturno. Secondo la tendenza osiriaca il defunto andava sottoterra, dove lo attendevano meravigliose e fertilissime campagne. Con il mescolarsi delle concezioni religiose, a Eliopoli si venne a costituire un compromesso, e nel rituale funerario scolpito sulle pareti delle camere del sarcofago in piramidi della V e della VI dinastia formule solari si affiancano a formule osiriache, assicurando al re una posizione di privilegio nell’aldilà sotterraneo e un posto riservato nella barca del Sole. Alla fine del Regno menfita i rituali funerari osiriaci regi divennero a portata di tutti: dopo morti tutti potevano aspirare a divenire re nell’aldilà e a essere identificati con Osiride. La discriminazione delle anime, che prima era effettuata su basi strettamente rituali (poteva entrare nell’aldilà solo colui sul cui cadavere si erano compiuti certi riti), obbediva a un criterio morale: avrebbe avuto diritto alla seconda vita chi fosse stato giusto in questa prima vita terrena. Le varie concezioni escatologiche conferirono al rituale funerario caratteristiche speciali. Particolare fra tutte l’abitudine alla mummificazione, che doveva garantire la durata eterna del corpo: questo infatti è uno degli elementi di cui è composta la persona umana e perciò non può scomparire senza che, anche nell’aldilà, tale personalità si annulli. Le statue e le immagini del defunto che si ponevano nelle tombe servivano in qualche modo a sostituire le mummie eventualmente distrutte.
Un altro elemento importante nella religiosità egiziana era la magia, che aveva come protettori Iside e Thoth ed era essa stessa un dio. Testi magici ci sono arrivati in gran numero e da tutti i periodi della storia egiziana: maledizioni, scongiuri, formule per guarire, racconti di maghi celebri e narrazioni di miti fatte a scopo magico. Di magismo sembra pervaso gran parte del rituale nel culto giornaliero e nella procedura delle grandi feste, e certo fortissime influenze magiche sono in tutto il formulario funerario. La fiducia nella magia e la diffusione di essa sembrano, comunque, aumentare in bassa epoca, quando si fece sempre più viva la tendenza a considerare la religione come un fatto personale anziché sociale e ad abolire il sacerdote come intermediario fra l’uomo e dio.
La lingua dell’antico E. copre con le sue forme un periodo straordinariamente vasto: i testi più antichi possono essere riportati almeno all’inizio del 3° millennio a.C., mentre solo col 13° sec. l’arabo divenne l’unica lingua parlata del paese. Le forme scritte in geroglifici (o in ieratico) si sogliono indicare come antico egiziano (fino alla fine del Regno Antico), medio egiziano (fino alla XVIII dinastia), neoegiziano (dalla XVIII dinastia all’epoca tolemaica). Circa in epoca saitica alla lingua parlata fu attribuita una forma di scrittura, il demotico. I testi religiosi invece continuarono a essere scritti in geroglifici: è l’egiziano detto tolemaico. In epoca cristiana si ebbe l’ultimo sviluppo dell’egiziano, il copto, che adopera l’alfabeto greco, assume forme dialettali ed è ancora adoperato come lingua liturgica.
Caratteristico della lingua egiziana antica è il fenomeno del triconsonantismo: gran parte delle radici consta di tre consonanti che, a seconda del valore semantico, morfologico, sintattico della parola, assumono una diversa colorazione vocalica; le vocali, eccetto che nel copto, non appaiono però alla grafia e il problema della vocalizzazione dell’egiziano è perciò ancora lontano dalla soluzione. I pronomi e i sostantivi hanno due generi, maschile e femminile, e tre numeri: singolare, duale e plurale; l’aggettivo concorda col nome cui si riferisce e lo segue; lo stadio copto non conosce che pochissimi aggettivi e al loro posto usa formule perifrastiche. I verbi si dividono in due classi: forti e deboli; si individua una distinzione di coniugazioni, sul tipo semitico, e si distinguono due modi, perfetto e imperfetto. Nello stadio copto il sistema muta radicalmente e tre o quattro verbi ausiliari vengono usati come particelle premesse per caratterizzare tempo e qualità di sostantivi verbali invariati. La sintassi presenta la distinzione in frasi verbali e nominali.
Sulle origini dell’egiziano e sulle sue relazioni con altre lingue si è molto discusso. Il triconsonantismo esiste anche nelle lingue semitiche e così la desinenza del femminile, -t, vari pronomi nominali, alcune desinenze e coniugazioni verbali, la distinzione delle frasi in nominali e verbali e un notevole numero di vocaboli; altre formazioni nominali e verbali, altri usi sintattici, altri vocaboli sono d’altronde comuni alle lingue berbere e non semitiche di Etiopia. Gli uni e gli altri punti di contatto s’inquadrano in quella che comunemente si suole chiamare la famiglia linguistica camito-semitica.
Per quanto la scrittura sia invenzione assai antica in E., non abbiamo documenti diretti della primitiva letteratura. Restano iscrizioni storiche e funerarie, concise e povere, e solo con la fine della V e l’inizio della VI dinastia esse assumono forme più ampie nelle biografie dei defunti scolpite sulle pareti delle tombe. Proprio in quest’epoca, intanto, si cominciano a scrivere sulle pareti delle camere sepolcrali, nelle tombe dei re, i testi del rituale funerario, poco prima rifusi a Eliopoli in una silloge assai composita. Essi sono di origine diversissima: alcuni di recente formazione, la maggior parte di ormai secolare tradizione, e contengono preziose allusioni a condizioni politiche superate da secoli, a riti che si sono sovrapposti o sono spariti, a miti di cui appaiono affiancate redazioni diverse per origini e per significato storico; ed è fra questi testi che si trovano i primi scritti veramente letterari. In una lingua mantenuta ritualmente più arcaica di quella dell’Antico Regno, si hanno inni a varie divinità, narrazioni cosmogoniche, formule magiche. Si forma il linguaggio prezioso e costruito della lingua poetica; e in qualche singolo caso la teologia e l’utilitarismo escatologico lasciano adito anche a una vera poesia.
La fioritura letteraria è intensissima nel Medio Regno. Da ricordare prima di tutto un gruppo di opere dette Insegnamenti: raccolte di massime e di consigli. Gli autori di due di queste opere sono considerati Herdedef e Ptahhotpe. Conosciamo le tombe di personaggi con tale nome, vissuti nell’Antico Regno, e Herdedef è un famoso figlio di Cheope; ma qui siamo probabilmente davanti a una attribuzione mitica, o almeno davanti a un profondo rifacimento, anche se molti elementi della società descritta possono parere più menfiti che eracleopoliti o tebani. All’epoca eracleopolita è invece sicuramente da attribuire l’Insegnamento di Khety per il figlio Duauf, che descrive gli svantaggi di tutti i mestieri in confronto a quello dello scriba: un tono di pacato umorismo ravviva tutta l’opera. Ben altrimenti importanti e vivi due altri Insegnamenti: uno di un anonimo re eracleopolita per il figlio Merikare, che descrive la torbida situazione politica del tempo con un chiaro realismo e un profondo e nuovo senso morale; l’altro di Amenemhat I al figlio, pieno di un amaro pessimismo. Le due opere debbono essere valutate come apocrife: ma, se non personalmente dai due sovrani, furono scritte da chi era loro assai vicino, e sono le due prime opere letterarie veramente e umanamente profonde dateci dall’Egitto.
Un altro gruppo di scritti va sotto il nome di Lamentazioni: componimenti che raccolgono ancora l’eco spaventosa della rivoluzione e della guerra civile che chiudono l’epoca menfita; la sfiducia, il terrore sono i due temi psicologici di questa letteratura talvolta vagamente profetica e messianica. Il più antico di questi testi sembra il Dialogo di uno sfiduciato con la sua anima, che dibatte a lungo il problema della legittimità del suicidio, distruggendo con amara critica il sereno aldilà promesso dalla religione. Molto più prosastico è l’opuscolo detto degli Ammonimenti di Ipuwer, un saggio che descrive al re, probabilmente Pepi II, lo stato rovinoso dell’E. in rivoluzione. Il testo ha valore come documento, sia pure tendenzioso e deformante, dell’epoca che descrive. Più viva un’altra opera che racconta, sotto forma di profezie pronunciate da un savio alla corte del re Snefru, la rivoluzione e la quiete che le succederà per merito di un re in cui si riconosce Amenemhat I, all’epoca del quale l’opera deve essere stata composta.
A questa letteratura, che ha elementi lirici sospesi in una ricerca di motivi morali, si affianca una ricca letteratura più strettamente narrativa. Da anello di congiunzione può fungere la Storia del contadino eloquente, che narra come un contadino derubato dei suoi asini e del loro carico si rivolga al re per ottenere giustizia con 9 discorsi, che costituiscono un bel saggio di virtuosismo letterario. Ma l’opera classica di questa letteratura narrativa, che resterà tale per tutta la storia egiziana, è la biografia di Sinuhe, giuntaci per un’ampia tradizione manoscritta che ne prova la straordinaria diffusione. Piena invece di vivida fantasia è la storia del Naufrago: un marinaio, unico superstite di uno spaventoso naufragio, è gettato sulle sponde di un’isola beata ed è accolto benevolmente dal signore del posto, un gigantesco serpente divino, che lo tratta con ogni cortesia e lo colma di doni quando finalmente può partire; questa storia sembra estratta da una serie di racconti a catena, che non conosciamo. Conosciamo invece un altro racconto a catena di quest’epoca, assai più popolaresco come lingua e come soggetto: alla presenza del re Cheope si raccontano le meraviglie dei grandi maghi vissuti sotto i suoi predecessori; al termine della narrazione viene introdotto a corte un mago, che compie vari prodigi, profetizzando infine al faraone la nascita di tre fratelli dalla moglie di un sacerdote di Ra e dal dio Ra stesso, i quali occuperanno il trono dopo di lui; col racconto della nascita dei tre bambini, che portano il nome dei primi tre faraoni della V dinastia, si sospende il racconto che ci è giunto mutilo.
L’elenco delle opere superstiti mostra l’attività notevolissima di questo periodo, che è quello classico della letteratura egizia. Ma non si può astrarre dal vivace movimento scientifico: libri di medicina, di matematica, di veterinaria mostrano un E. vivo e curioso, e può capitare di trovare proprio in una formula magica o in una diagnosi medica elementi di letteratura minore.
La XVIII dinastia è per la letteratura, come per le arti figurative, un periodo di non grande originalità. Moltissime le epigrafi storiche, che sulle pareti dei templi o su grandi stele commemorano le imprese dei faraoni e le loro benemerenze verso gli dei: ma siamo lontani da un’originalità poetica. Anche i testi religiosi di questo periodo sono gelide elucubrazioni sacerdotali; qualche inno si salva, e soprattutto alcuni testi sepolcrali. Il punto morto si supera con la rivoluzione politico-religiosa di Akhenaten (Amenhotep IV). Di questo periodo ci resta un notevolissimo inno al nuovo dio Aton, cantato sentimentalmente come creatore provvidenziale nelle sue creature più che non come teologica causa ultima. A parte il valore poetico del testo, esso è notevole per la lingua: l’antiaccademismo di Tell al-Amarna adotta il volgare, elevandolo a dignità di lingua letteraria.
Il cambio del mezzo espressivo è causa ed effetto a un tempo di un rinnovarsi della tradizione letteraria: e la fioritura della XIX dinastia, che rifiuta l’esperienza classicista dell’età precedente, riscatta il lungo periodo di stasi che la cultura letteraria egizia ha attraversato. La poesia ufficiale è largamente rappresentata: vi è una raccolta di inni ad Ammone che ha appena trionfato sul dio rivale Aton; vi sono soprattutto i carmi che celebrano i trionfi del re. Prototipo è il poema, detto di Pentaur, dal nome dello scriba che trascrisse una copia papiracea a noi pervenuta, in cui si narra la battaglia di Qadesh e l’eroismo del giovane Ramesse II. All’ispirazione aulica si affianca una romantica ricerca d’ispirazione nella vita quotidiana e nella fantasia fiabesca. Un fiorire di lirica erotica nella XIX dinastia ha verisimilmente questa origine: sono piccole canzoni, eleganti, talvolta venate di elementi di un malizioso umorismo, e assai meno sensuali di quanto non sia in genere la poesia erotica orientale; la forma in cui questi canti ci sono giunti è certo dotta, ma l’origine popolare si riconosce soprattutto in alcuni elementi di descrizione e nelle situazioni proprie della vita quotidiana. Più schiettamente popolari alcuni racconti. Di molti non abbiamo ormai più che frammenti, ma due ci sono giunti quasi per intero: il primo narra le avventure di un principe, il secondo la storia di due fratelli, figure divine scadute a personaggi di novella, narrata con vivacità e una notevole spregiudicatezza. Accanto a queste, ci sono resti di novelle storiche, che raccontano le imprese leggendarie dei re della XVIII dinastia: la liberazione dagli Hyksos o la conquista di Giaffa per opera di un generale di Thutmosis III.
Vicino a questa letteratura fresca e spontanea, c’è tutta una ricca fioritura di letteratura più strettamente scolastica. Molto in voga sono i modelli di perfetto stile epistolare amministrativo, che si proponevano ai giovani destinati a divenire funzionari. Oltre le lettere veramente paradigmatiche, vi sono raccolte d’interesse più propriamente letterario. Così una serie di lettere a uno studente riprende il tema dell’insegnamento di Khety e sconsiglia i vari mestieri, raccomandando solo quello dello scriba. Della vita militare, che più spesso è presa di mira, si hanno gustose canzonature. E di urbana e velenosa polemica restano documento altre lettere, in cui uno scriba mette alla prova la cultura di un suo collega. Più chiaramente ispirata alla tradizione medioegizia degli Insegnamenti, anche nella forma esteriore, è l’opera di un certo Ani, che dà consigli al figlio. Sono, queste, opere dal tono cattedratico e autorevole, e certo non rappresentano la parte più viva della letteratura del Nuovo Regno, anche se hanno un’importanza di primo piano per la storia della cultura e del gusto. La serie delle opere letterarie geroglifiche giunteci si può dire conclusa con le Avventure di Wenamon, che descrive le peripezie di un viaggiatore inviato in Siria per acquistare il legname destinato a ricostruire la barca di Ammone.
La letteratura egizia classica ha una discendenza diretta nella demotica, quella cioè scritta nella lingua popolare comparsa verso il 700 a.C. Sono opere storiche e sono soprattutto novelle. Una lunga narrazione delle avventure cavalleresche del re Petubasti ci è giunta in vari esemplari. Una serie di novelle ha invece come eroe Setem Khaemwese, un figlio di Ramesse II che passa per abile mago e di cui si narrano le più strane avventure. Non manca anche, in questo ambiente, la letteratura sapienziale.
Della letteratura d’epoca greca e romana ben poco resta. La letteratura scritta in copto, infine, è già di periodo e di argomento cristiano ed esce dalla tradizione propriamente indigena (➔ Copti).
In epoca moderna, solo con la formazione dello Stato nazionale ha senso parlare, se non proprio di una letteratura egiziana dotata di tratti peculiari, di scrittori egiziani. Tuttavia almeno due autori attivi nell’Ottocento meritano citazione: al-Giabartī (m. 1825), estensore di un’opera di contenuto storico-sociale, utile per una ricognizione della situazione egiziana nel momento dell’incontro con l’Occidente (la spedizione napoleonica in E. è del 1796); e al-Kashshāb (m. 1815), testimone anch’egli di quell’atmosfera, poeta fortemente debitore dei canoni stilistici della poesia classica.
Ma è nel Novecento che emergono autori di grande rilievo a riprova della preminenza culturale dell’E. all’interno del mondo arabo. Tra essi: A. Shawqī, dallo stile impeccabile impregnato di classicismo, M. Ḥāfiẓ Ibrāhīm, noto per il suo impegno sociale e politico; K. Muṭrān, d’origine libanese, ma attivo in E.; al-Manfalūtī, pioniere della letteratura saggistica; M.H. Haikal, letterato e uomo politico; T. al-Ḥakīm, drammaturgo; Ṭaha Ḥusain, eminente rappresentante della pubblicistica moderna; i fratelli Maḥmūd e Moḥammed Taimūr, tra i fondatori della narrativa egiziana; e soprattutto N. Maḥfūẓ (➔), la cui figura carismatica ha attraversato per intero il 20° secolo. E proprio l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura nel 1988 a Maḥfūẓ (scomparso nel 2006) ha favorito una più vasta apertura da parte del mondo occidentale nei confronti della letteratura araba in generale ed egiziana in particolare. Ricordiamo qui gli scrittori Ǧ. al-Ġiṭānī, Ṣ. Ibrāhīm, M. al-Busātī, I. Arslān, B. Ṭāhir, noti come ‘la generazione degli anni 1960’, i quali, agli inizi del 21° sec., oltre a essere un costante punto di riferimento letterario in E. e all’estero, si sono fatti portavoce del malessere degli intellettuali, schiacciati fra le tendenze repressive di uno Stato ancora antidemocratico e gli attacchi violenti di un islamismo sempre più aggressivo. In quest’ottica Ṣ. Ibrāhīm (di cui si ricorda il romanzo Warda, 2002) ha respinto l’assegnazione del premio letterario attribuitogli nel 2003 dal ministero della Cultura egiziano per il romanzo Šaraf (1997).
Resti di villaggi, necropoli e testimonianze di arte rupestre attestano la presenza nella Valle del Nilo di popolazioni sedentarie nel 5° millennio a.C., e nel 4° di società protostatali, periodo quest’ultimo che si identifica come ‘predinastico’. Nel 4° millennio appare nell’Alto E. la cultura naqadiana, che si diffonde prima nel Medio E. e successivamente nel Delta orientale del Nilo; i siti principali sono Abido, Naqāda e Hieraconpolis. Alla fine di questa cultura emerse un protostato con capitale Abido (prima capitale anche dopo l’unificazione), dove sono state messe in luce le più antiche tombe reali, in mattoni crudi, costituite di vani chiusi in una muraglia a bastioni. Fra tutte, quella di Den (quinto re della I dinastia) è la più elaborata, con il pavimento della camera sepolcrale in granito rosso e nero di Assuan. Ad Abido si possono riconoscere le prime forme di culto funerario del sovrano, che daranno origine al grande complesso della piramide a gradoni di Saqqara. Tavole cerimoniali in ardesia, come la Tavolozza di Narmer, che celebra una vittoria del re, mostrano l’affermarsi di una prima forma di arte palatina. Possibili influenze mesopotamiche nel tardo periodo predinastico sono testimoniate dal coltello in selce di Gebel Arak. Contemporaneamente nel Basso E. si sviluppa il complesso culturale di Maadi-Buto, caratterizzato da una società di tipo urbano (Maadi, presso Il Cairo, e Tell el-Farain).
All’inizio delle dinastie menfite, con Djoser (III dinastia) si ha una vera rivoluzione nell’architettura. Agli edifici di legno, noti per alcuni segni pittografici geroglifici, si sostituisce, nella tomba che il re si fa costruire a Saqqara, un’architettura in pietra destinata a sfidare l’eternità. L’architetto del re, Imhotep, concepisce per il suo sovrano un monumento composto di vari tronchi di piramide sovrapposti, collocati su un complesso di camere sotterranee che costituiscono la tomba della famiglia reale, circondata da vari edifici per il culto funebre. Altissime colonne, tetti in curva, cariatidi, scale all’aperto: una fantasia fastosa e complessa che, sia pure effettuata attraverso evidenti prove successive, ha una sua inconfondibile fisionomia e che in questa forma non troverà seguito in Egitto. Una vigorosa statua del re, trovata in questo complesso, testimonia come anche la scultura dell’epoca fosse partecipe di questo clima. Sempre a Saqqara erano state già erette le tombe dei funzionari della I dinastia, dalla monumentalità prossima a quella dei re, a testimonianza della grande importanza che questa casta ricopriva all’interno di uno Stato fortemente centralizzato.
Con la IV dinastia l’architettura ha i suoi più imponenti monumenti nelle piramidi perfette (tipologia in uso fino alla XII dinastia): colossali opere di ideale purezza formale, progettate secondo tre moduli, che contrappongono alla spontaneità dell’opera di Imhotep, nata dall’esperienza sul cantiere, l’astrattezza delle loro immutabili proporzioni, traduzione in forme visibili dell’ideologia della sovranità di diritto divino. Accanto alla piramide, l’architettura funeraria adotta anche la tipologia della maṣṭaba: un basso parallelepipedo di muratura rastremato verso l’alto, con una piccola cappella sul lato orientale negli esemplari più antichi, con numerosi vani a pareti decorate negli esemplari più tardi. A Giza, a S della Sfinge, gli archeologi egiziani hanno esplorato alcune mastabe risalenti al regno di Cheope; tra queste alcune sono articolate su due livelli e sono riservate agli artigiani delle piramidi e soprattutto al ‘supervisore della costruzione delle piramidi’, titolo presente nelle iscrizioni. Nelle vicinanze di Giza è stata ritrovata la tomba di un carpentiere (designato sulle iscrizioni col nome Jntdy-sdw), databile alla fine della IV dinastia: al suo interno sono state rinvenute quattro statue che rappresentano lo stesso personaggio in età diverse. La sensibilità per le forme geometriche è la più viva caratteristica dell’architettura del periodo; anche nella scultura la figura è sentita come un’unità che si plasma nello spazio per elementi larghi e indifferenziati. Alcune opere che illustrano questo gusto sono il gruppo con il principe Rahotpe e la consorte Nofret del Cairo, le due statue di Raneferef, la statua di diorite di Chefren. Numerose statue e gruppi dell’epoca di Micerino mostrano, in confronto con l’austera ispirazione delle opere fin qui ricordate, una certa maniera e un compiaciuto adagiarsi su schemi di sapiente eleganza. Tuttavia in questo stesso ambiente nascono ancora opere di primissimo ordine, come lo scriba del Louvre e lo Sheik el-balad. Un’altra importantissima serie di monumenti dell’epoca è costituita dai rilievi decorativi delle strutture funerarie che rappresentano la vita che conduceva il defunto, le sue campagne e i suoi possessi. I soggetti divengono presto canonici – caccia, pesca, allevamento del bestiame, faccende agricole ecc. –, ma la fantasia trova sfogo in descrizioni a tutto campo, con particolari aneddotici e fisionomie caratteristiche. Anche in questo caso, tuttavia, la libertà espressiva viene sapientemente ricomposta in uno schema formale di estrema rigidità. I personaggi – posti su un unico piano, con busto frontale, testa e gambe di profilo – si differenziano tra loro per i vivaci contrasti policromi che creano nette linee di demarcazione fra l’uno e l’altro, rese più marcate da una linea di contorno in rilievo. Si viene così a trasferire sul piano l’ordinata sensibilità geometrica che nell’architettura e nella scultura trovava espressione nelle tre dimensioni.
Gli scavi della fine del 20° sec. hanno portato alla luce una necropoli dell’Antico Regno a Monshaet Ezzat, vicino a Tell el-Rabī‛a (antica Mendes), che tra gli altri reperti ha restituito alcune tavolette di pregevole fattura raffiguranti animali simbolici. Nel Deserto Occidentale, nell’Oasi di Dakhla, a Balat, è stata ritrovata da ricercatori francesi la tomba di Khentika, governatore dell’oasi sotto il regno di Pepi II.
Con la caduta del regno menfita il centro della produzione artistica che era essenzialmente di corte e si era localizzato attorno alla capitale, si sposta nelle scuole provinciali che esprimono uno stile figurativo più libero e temi iconografici nuovi. Dell’architettura provinciale del Primo periodo intermedio restano alcune necropoli nelle quali vengono seppelliti principi locali e funzionari statali, come per es., ad Assiut, a Gebelein, a Benī Ḥasan, dove le tombe vengono scavate nella roccia. Qui, accanto a temi tradizionali legati alle offerte funerarie, appaiono motivi nuovi come combattimenti o scene di lotta sportiva, espressi in un linguaggio più libero dai tradizionali schemi ‘aulici’.
Il tipo della maṣṭaba sopravvive nel Medio Regno per le tombe non regali, che invece continuano a riprendere, con forme un po’ più slanciate, la piramide menfita in pietra o mattoni crudi. Caratteristiche di queste tombe sono le pitture decorative. Al rilievo dipinto si sostituisce spesso una pittura eseguita direttamente sulla parete. Accanto ai temi tradizionali appaiono scene di guerra e di vita familiare. Nel rilievo di una tomba a Meir sono raffigurate due processioni con figure di grassi e di magri che, nella maniera grottesca della rappresentazione, rompono gli schemi canonici tradizionali. Con l’XI dinastia a Tebe tali esperienze provinciali vengono riprese e sintetizzate in un nuovo linguaggio artististico. L’architettura ha il primo monumento imponente nella tomba di Montuhotep a Deir el-Bahari, costituita da due terrazze sovrapposte, sporgenti dalla roccia a strapiombo e circondate da colonne, al di sopra delle quali si alza una piccola piramide. Di quest’epoca è anche la statua di Montuhotep in costume da cerimonia, che, tozza e squadrata, si impone per il suo realismo. Il realismo del Medio Regno trova piena realizzazione nelle teste scalpellate di Sesostri III o di Amenemhat III. Lo stesso linguaggio appartiene alle magnifiche sfingi di Tanis, usurpate in seguito dagli Hyksos che vi iscrissero i loro nomi. Non manca tuttavia una tendenza che si rifà alla serena grazia menfita, dalle proporzioni più snelle, come nelle statue di Sesostris I da Lisht. Interessanti anche gli eleganti rilievi di un piccolo chiosco di Sesostris I, che si è potuto ricostruire a Tebe, e di un tempio trovato a Madīnat Mādī, che risale ad Amenemhat III e IV. Restano da ricordare, alcune preziose oreficerie dell’epoca, di gusto delicato e di squisita fattura, che provengono da tombe regali del Fayyum e Dashur.
Del periodo relativo alla dominazione degli Hyksos, denominato Secondo periodo intermedio, piuttosto povero di emergenze artistiche, sono caratteristici gli scarabei con decorazione a spirale nella quale sono incisi i nomi di alcuni sovrani.Gli scavi della fine del 20° sec. hanno portato alla luce il sito nel quale sorgeva la capitale degli Hyksos, Avaris.
L’arte rifiorisce in E. con la XVIII dinastia, quando il paese ritrova la sua sistemazione politica nella ricostruita unità. La prima opera rilevante è il tempio funerario della regina Hatshepsut a Deir el-Bahari: a tre terrazze degradanti sullo sfondo della stessa conca in cui si levava il tempio di Montuhotep, ognuna corredata di un porticato con colonne a 16 spigoli. Le cappelle vere e proprie sono scavate nella roccia, e tutte le superfici sono coperte di rilievi che narrano le imprese della regina in uno stile arcaizzante assai vicino in molti particolari a quello dell’Antico Regno. Dei Thutmosis e del secondo Amenhotep restano numerosi notevoli monumenti, sia architettonici (per es., una parte del tempio di Karnak) sia di scultura, caratterizzata da uno stile di estrema raffinatezza e di fredda eleganza. Fra le opere più significative la statua di Thutmosis III del Cairo, e le dee Sakhmet in granito che Amenhotep III commissionò per il cortile del tempio di Mūt a Karnak. A quest’epoca risalgono anche alcuni grandiosi templi come, per es., quello di Ammone a Tebe (Luxor). Al regno di Amenhotep III risalgono anche i resti di un palazzo reale scoperti a Madīnat Ḥabū, con avanzi di pitture caratterizzate da una tecnica impressionistica che torna anche in pitture tombali dell’epoca. Sempre nella zona di Tebe una missione belga ha riportato alla luce due tombe di due alti ufficiali del regno di Amenhotep II. Di questo periodo sono anche alcune sculture a tutto tondo, come la figura di donna conservata a Firenze, o la testa del re nel museo di Cambridge, piene di una vitalità nuova, espressione della concezione artistica patrocinata da Amenhotep IV, divenuto Akhenaten, e con centro Tell al-Amarna. Nella scultura e nel rilievo si impone un linguaggio in cui predomina il gusto per il movimento (teste con menti protesi, ventri e seni pesanti), sovvertendo le tradizionali posizioni di equilibrio, e dove la luce gioca sulle superfici (pieghe, rughe). Queste tendenze sfociano in un pieno realismo (per es., le numerose maschere in gesso, fedelissimi ritratti), ma spesso anche in forme caricaturali ed eccessive.
Dell’architettura del tempo di Akhenaten non resta nulla, i templi furono tutti distrutti durante la reazione tebana, ma dalle fonti iconografiche e dagli scarsi resti si nota un appesantirsi delle forme, mentre più rigogliosa si fa la decorazione. Il problema della genesi di quest’arte è assai complesso: si può certo ipotizzare l’influsso del Vicino Oriente, più pittorico rispetto all’E., e anche tendenze provinciali e non canoniche hanno avuto la loro parte. Dopo Akhenaten l’arte di Tell al-Amarna continua a vivere, ingentilita, in statue degli immediati successori (così i ritrovamenti della tomba di Tutankhamon, o la statua di Khons, della stessa epoca, al Cairo). Con l’inizio della XIX dinastia si ha un riaffiorare di tendenze classiciste (rilievi del tempio di Sethi I ad Abido), ma già con Ramesse II si trova un equilibrio fra le due tendenze opposte. In architettura le forme gravi e un po’ barocche del periodo di Akhenaten fungono da modello per le nuove realizzazioni. Fra le opere principali si ricorda la sala ipostila del tempio di Ammone a Karnak, il Ramesseo e i due templi scavati nella roccia ad Abū Simbel, in Nubia, di un gusto spettacolare e scenografico. A Saqqara archeologi francesi hanno scoperto la tomba di Necharomes, direttore del personale di Ramesse II, e la piramide della regina Ankhsn-Pepi. Importante anche il rinvenimento, nel 1996, di una doppia statua di granito rosa che rappresenta Ramesse II come sovrano e dio.
Per le ultime dinastie, gli scavi della fine del 20° sec. delle missioni italiane sono relativi al recupero del palazzo funerario di Sheshonq della dinastia saitica (XXII dinastia) a Tebe e alla tomba di Harwa, dignitario vissuto sotto la XXV dinastia. Le testimonianze relative all’epoca tarda consistono essenzialmente in una grande quantità di statue templari, come per es., quelle trovate nella cosiddetta cachette di Karnak (oltre 1000 statue in pietra) – importanti perché consentono l’identificazione dei maggiori dignitari vissuti in epoca tarda, i quali depositarono a Karnak i loro ex-voto – o in quella di Luxor. La scultura di questo periodo (dalla XXII alla XXX dinastia) è caratterizzata da un linguaggio arcaizzante, detto appunto neomenfita, perché si rifà alla scultura dell’Antico Regno, che dimostra un immutato dominio sulla pietra, ereditato da un passato lontano, ma sempre mantenuto vivo anche durante i momenti di crisi. Opere come il falco in basalto nero del Louvre, o la testina conservata a Torino (Museo Egizio) sono di altissimo livello artistico. Della statuaria di bronzo rimangono alcuni capolavori databili alla dinastia etiopica (XXII), come le statue femminili della dama Takushit e della principessa Karomama (Parigi, Louvre). Le tombe di questo periodo trovano una nuova collocazione all’interno dei recinti templari (per es., a Tanis nel recinto del tempio di Ammone). È possibile che la ragione di questa innovazione consistesse nella volontà di rendere più stretto il rapporto con la divinità dinastica, come nel caso delle tombe dei sovrani della XXVI dinastia (distrutte) che secondo Erodoto erano collocate a Sais all’interno del recinto del tempio della dea Neith, loro divinità dinastica. Per quanto riguarda l’architettura funeraria non reale, le testimonianze materiali si limitano alle tombe di funzionari nelle necropoli di Saqqara e Tebe. A Saqqara vi sono le tombe di personaggi collegati alla corte, come la tomba ipogea del visir di Psammetico I, Bakenrenef, e quella di Pedipep, precettore di Psammetico II. La necropoli tebana presenta frequentemente tombe di grandi dimensioni, con sovrastrutture simili a un tempio vero e proprio, e sono riccamente decorate con rilievi parietali molto estesi. Come a Saqqara, si tratta di tombe di dignitari di corte e di sacerdoti. L’architettura religiosa conserva le caratteristiche del passato faraonico; tuttavia nel 4° sec. a.C., accanto ad alcune innovazioni come gli intercolumni in pietra, si afferma un nuovo tipo di tempio di dimensioni ridotte (mammissi), situato all’interno dei recinti di templi più importanti (per es., i templi di Dendera e di Edfu nell’Alto E.).
L’arrivo della dinastia tolemaica portò la costruzione di nuovi centri urbani, come Alessandria, dove fu applicato lo schema urbanistico ortogonale di tipo ippodameo, che tuttavia non sembra essere stato adottato ovunque. Per l’architettura mancò una sintesi delle due culture: vennero eretti templi dedicati alle divinità egizie secondo gli schemi tipici dell’architettura locale, mentre templi dedicati alle divinità greche furono realizzati secondo lo stile ellenistico. Anche nell’architettura civile si mantenne tale distinzione con case di tipo egizio (a più piani) e case di tipo greco, mentre nelle città furono inseriti elementi tipici dell’urbanistica greca, come l’agorà, i bagni pubblici, il ginnasio. A parte qualche variazione – con tendenza a una maggiore plasticità – del formalismo saitico, l’arte egizia, troppo impegnata nella sua tradizione, non produce opere veramente grandi. A Edfu, a Dendera, a Kom Ombo, a Tebe, a Madīnat Ḥabū si elevano imponenti templi, coperti di rilievi e di iscrizioni, che attestano, in età tolemaica, una particolare fioritura dell’architettura, secondo moduli e schemi tradizionali; qualche innovazione è apportata in alcuni elementi secondari della decorazione (capitelli a elementi vegetali multipli). Per l’architettura funeraria notevole è l’esempio della necropoli di Gabbari (in funzione dal 3° sec. a.C. al 7° d.C.), in cui è possibile osservare i tipi e i rituali di sepoltura dei primi abitanti di Alessandria. Le tombe sono scavate nel sottosuolo e costituite da un numero variabile di ambienti talvolta con peristilio. La decorazione, le iscrizioni in greco e gli oggetti ritrovati testimoniano che si tratta di una necropoli greca; molto rari sono i richiami alla religione egizia, anche se il rinvenimento di alcune mummie attesta che tra i Greci di Alessandria si diffusero gli usi funerari locali.
I Romani trovano ormai agonizzante la tradizione artistica locale, e se statue scolpite secondo l’antico stile vengono ancora prodotte, ben raramente se ne trova fra di esse qualcuna degna di essere ricordata. Fra le città di nuova fondazione, solo Antinoopolis merita di essere menzionata, con la sua planimetria di tipo ortogonale incentrata sulle due direttrici fondamentali del cardo e del decumano; la tipologia e lo stile degli edifici è di tipo classico con teatro, ippodromo, bagni pubblici, arco di trionfo, ginnasio e templi dedicati a Dioniso, Antinoo e un Cesareum. Molti complessi templari egizi furono ampliati in epoca romana: ne costituiscono importanti esempi il chiosco di Traiano a File, il mammissi e il prònaos di Dendera, il prònaos di Esna, i templi di Deir-el-Sheluit (Tebe), Shanhur, el-Qala, Assuan. Nei centri del Fayyum furono costruiti nuovi templi di medie e piccole dimensioni dedicati al culto locale del dio-coccodrillo. Le tecniche di costruzione di questi edifici sacri in pietra sono quelle tradizionali egizie, con blocchi isodomi in pietra lavorati sul cantiere, levigati solo nelle parti in vista e legati insieme da una malta. Nel Deserto Orientale è stato scavato (fine 20° sec.) presso il Mons Claudianus un sito romano in cui è stato rinvenuto il maggior numero (oltre 9000) di òstraka (cocci iscritti) ritrovati in E., così come numerosi sono quelli della necropoli romana di Qenā, nel Delta centrale. Un’altra importantissima scoperta della fine del 20° sec. è quella della necropoli greco-romana dell’Oasi Bahriyah a opera di studiosi egiziani. Nella parte sud-orientale del Delta, è oggetto di scavo dal 1984 da parte di ricercatori olandesi Tell Ibrahim Awad, un insediamento con una continuità di vita dal pre-dinastico all’età romana: vi sono stati ritrovati una necropoli, un tempio e molti oggetti votivi, tra cui modelli di santuari arcaici e un modellino di nave contenente tre babbuini. Dal periodo tolemaico continua la produzione di statuette a stampo in terracotta, che perdura fino al 4° sec. d.C. Tra i motivi iconografici nuovi compaiono Horo a cavallo, figure femminili in preghiera o danzanti; alcune sono caratterizzate da incisioni e applicazioni di elementi (capelli, occhi, gioielli) e dipinte. La statuaria privata e quella imperiale non si discosta molto dalla produzione tolemaica. L’imperatore è raffigurato come un faraone, secondo il classico canone e con abiti e insegne della regalità egizia, ma si diffonde in tutto il territorio anche il tipo del ritratto romano.
In E., dove l’inizio dell’arte moderna in senso occidentale si fa coincidere con l’apertura al Cairo della Scuola di belle arti (1908), molte scuole e molti stili si sono succeduti: dall’accademia del Cairo, punto di formazione in seguito di molti artisti del mondo arabo, uscirono pittori come Yūsuf Kamāl e Muḥammad Nāǧī e lo scultore Maḥmud Muḥtār. Tra il 1937 e il 1945 il più importante gruppo d’avanguardia egiziano, Arte e libertà, ha trovato ispirazione nella poetica surrealista e ha avuto tra i suoi più significativi esponenti Ramses Youan (1914-1966) e Fu’ād Kāmil (1919-1973). Alla tradizione folclorica egiziana s’ispirava il Gruppo di arte contemporanea fondato nel 1946, con Ḥamīd Nada e ‛Abd al-Hādī al-Ǧazzār. In una varietà di stili, in un intreccio di esperienze, consone all’arte occidentale o affondanti nell’antica arte egizia o islamica, la ricerca di una propria identità traspare nell’attività sperimentale di Muṣṭafā Ramzī al-Sayyid, nella geometria dello spazio e del colore dei dipinti di ‛Abd al-Raḫmān, nei segni tracciati sul particolare elemento materico (limo del Nilo e paglia) di ‛Abd al-Hāfiẓ Farġālī, nel caleidoscopico effetto di geometrie e cifre di Maǧdī Kanawī, nelle sculture e pitture di Ḥandī ‛Aṭiyya Aḥmad, nei ricami su dipinti o sculture e nelle installazioni di Gadha Amer.
La musica liturgica era amministrata inizialmente da sacerdoti-musici e fu probabilmente solo vocale fino al Nuovo Regno; poi entrarono nel tempio gli strumenti (il sistro, il flauto, il liuto, il doppio clarinetto, il doppio oboe, campanelle di bronzo, il trigonon greco ecc.) e al culto parteciparono anche donne musiciste. La musica era presente nella celebrazione delle feste, come testimoniano i rilievi e le pitture, e nei riti funebri. Ci sono pervenuti i nomi di alcuni strumentisti e cantori di corte, ma non è rimasta traccia di notazione musicale. Sono stati fatti alcuni tentativi di individuazione basando gli studi sulla posizione delle dita sulle corde o sul tipo di accordatura degli strumenti riprodotti nelle pitture.
La musica moderna risente della tradizione islamica, anche se ha subito contaminazioni durante il periodo della dominazione turca, tra il 16° e il 19° secolo. La prima metà del 20° sec. vide il fiorire al Cairo di compagnie d’opera, operetta e teatro comico e drammatico. Grazie a musicisti di talento, la musica egiziana trovò una sua connotazione e, sulla scia di questa rinascita, nacquero scuole e conservatori di musica orientale e classica egiziana (1925), tutelata soprattutto dall’Istituto di Musica Orientale (1929) e dal Dipartimento di musica orientale del Conservatorio del Cairo. Al repertorio classico appartengono alcune forme quali il concerto egiziano (wasla), la taqtuqa (canzone leggera per voce femminile), la tahmila, il dulab e la lunga per soli strumenti.