Nome comune del genere Triticum (famiglia Poacee) e delle sue cariossidi, la cui coltivazione risale a epoca preistorica.
Al genere Triticum appartengono piante annue con radici ‘embrionali’, che si sviluppano direttamente dall’embrione durante la germinazione, e radici avventizie più forti e numerose, che vengono emesse più tardi dai primi nodi dello stelo presso la superficie del suolo. Da questi nodi sono emesse anche ramificazioni (culmi secondari), in numero maggiore o minore a seconda della varietà e delle condizioni ambientali (concimazione, spazio ecc.); questo fenomeno prende il nome di accestimento. Gli internodi del culmo sono internamente vuoti. L’infiorescenza, terminale, è una spiga composta, costituita da un asse o rachide a nodi ravvicinati, su ciascuno dei quali s’inserisce una spighetta pluriflora portante alla base due glume; ciascun fiore è protetto da due glumette, di cui l’esterna, più consistente, può essere munita di resta apicale. Le spighe possono essere mutiche, aristate e semiaristate a seconda che le reste siano mancanti, presenti, o presenti solo nella metà superiore della spiga. Il fiore ha un pistillo a stilo bifido con stigmi piumosi e 3 stami. Data la disposizione degli organi protettivi, la fecondazione è di norma autogama (fig. 1), anche se può avvenire quella incrociata. Il frutto è una cariosside di forma ovoidale, che contiene un piccolo embrione, posto verso una delle estremità, e abbondante albume farinoso.
Del genere Triticum sono state proposte diverse classificazioni; secondo una delle più seguite (Flaksberger), esso comprende 15 specie, che si raggruppano in 3 sezioni distinte in base al numero dei cromosomi delle cellule vegetative (o somatiche). Queste sono: Monococca (fig. 2B) con 14 cromosomi (g. diploidi), Dicoccoidea (fig. 2C) con 28 cromosomi (g. tetraploidi), Speltoidea (fig. 2A) con 42 cromosomi (g. esaploidi). La sezione dei Monococca ha il centro d’origine, secondo N.I. Vavilov, nell’Asia Minore e nella penisola balcanica. Deriva dal selvatico Triticum boeoticum e comprende una sola specie coltivata, Triticum monococcum, con rachide fragile e cariossidi avvolte dalle glumette anche dopo la trebbiatura (grani vestiti), e due specie selvatiche (Triticum aegilopoides e Triticum thaoudar), con rachide della spiga che si disarticola a maturità e cariossidi vestite. La sezione dei Dicoccoidea, originari dell’Etiopia, comprende una sola specie selvatica, Triticum dicoccoides (rachide che si disarticola a maturità in cariossidi vestite) e, come specie coltivate, Triticum dicoccum (farro), con rachide fragile e cariossidi vestite, e un gruppo (Triticum durum, Triticum turgidum, Triticum polonicum, Triticum persicum, Triticum pyramidale, Triticum orientale) con rachide tenace e cariossidi libere dalle glumette dopo trebbiatura (grani nudi). La sezione degli Speltoidea, il cui centro d’origine è nell’Asia montana sud-occidentale (Afghānistān, Panjāb ecc.), comprende solo specie coltivate, di cui una (Triticum spelta) ha spighe con rachide fragile e cariossidi vestite e le altre (Triticum vulgare, Triticum compactum, Triticum sphaerococcum) hanno spighe con rachide tenace e cariossidi nude.
Secondo alcuni, Triticum aegilopoides è costituito in realtà da due specie: il monococco spontaneo europeo (Triticum boeoticum), scoperto in Grecia, e il monococco spontaneo asiatico (Triticum thaoudar), scoperto in Asia Minore. Vi è poi un frumento tetraploide con caratteristiche particolari (Triticum timopheevi) che, insieme con Triticum dicoccoides, è notevolmente refrattario agli incroci. Di Triticum monococcum, Triticum dicoccum, Triticum vulgare e Triticum compactum è stata dimostrata la presenza nell’Europa centrale già dal Paleolitico; Triticum spelta è l’unica specie spontanea endemica dell’Europa centrale, i Romani lo conobbero appena dopo le loro invasioni in Germania.
Dei g. vestiti ha qualche importanza solo Triticum dicoccum (Russia); dei nudi il più coltivato è Triticum vulgare (o sativum o aestivum), poi Triticum compactum (America, Etiopia), Triticum turgidum (paesi caldo-aridi della regione Mediterranea in senso lato) e Triticum durum (in generale nelle regioni caldo-aride).
Tutti i g. vestiti furono oggetto di coltivazione nei tempi antichi; oggi hanno quasi completamente perduto importanza anche come piante da foraggio: Triticum polonicum, forse originario della Spagna, caratterizzato dalla lunghezza rilevante delle glume, è diffuso solo nell’Africa settentrionale e i suoi granelli hanno caratteristiche simili a quelle dei g. duri.
I g. duri (anche detti g. forti), resistenti alla siccità, si adattano bene alle regioni calde e asciutte; essi hanno cariossidi allungate, lucide, a frattura vitrea, ricche di glutine, che forniscono una farina (semola) particolarmente adatta per la fabbricazione di pasta. I g. teneri occupano il primo posto nella produzione frumentaria mondiale, e sono adatti alle regioni temperate; hanno granelli opachi, a struttura farinosa, ricchi di amido e adatti alla panificazione. I g. turgidi hanno cariossidi tozze e gibbose, a struttura prevalentemente farinosa, hanno scarsa diffusione, limitata per lo più ai paesi caldi.
Nei g. si distinguono varietà autunnali o invernali e varietà primaverili; le prime non si adattano alla semina ritardata in primavera come le seconde, le quali sono perciò coltivate nelle località a inverno molto freddo. Grandissimo è il numero di varietà e ibridi esistenti (ordine di migliaia), che rende possibile l’adattamento di questa pianta alle più disparate condizioni di ambiente. La diffusione delle varietà migliorate o elette è uno dei fattori principali dell’incremento produttivo; in Italia la loro creazione è stata molto vasta e riuscita grazie a istituti e studiosi (soprattutto F. Todaro e N. Strampelli).
Si può dire che per ogni clima esistano varietà appropriate; in generale il g. preferisce i climi settentrionali e teme l’eccesso di umidità invernale, le gelate primaverili e autunnali, le nebbie che favoriscono le malattie, e i rapidi innalzamenti di temperatura durante la maturazione che determinano la stretta. Meno esigente è nei confronti del terreno, che deve però essere sano e permeabile.
Il g. è una coltura sfruttante, che nell’avvicendamento deve seguire e precedere piante miglioratrici. Per conseguire alte produzioni sono necessarie concimazioni abbondanti, ma equilibrate; i concimi azotati minerali si danno alla semina e in copertura, e in quest’ultimo caso è più conveniente spargerli in inverno, perché i fenomeni di assorbimento radicale non si sospendono in tale stagione. La pratica delle nitritazioni invernali abbondanti e ripetute permette alla pianta di accumulare cospicue riserve di azoto e d’iniziare in condizioni molto favorevoli la ripresa primaverile senza incorrere negli inconvenienti di un accrescimento troppo ritardato e di un prolungamento del ciclo vegetativo, che si avrebbero invece con le nitritazioni di primavera.
La semina meccanizzata viene eseguita a righe distanti in genere 15-20 cm. Compiuta la fase della germinazione con la fuoriuscita dal terreno, inizia l’accestimento, che subisce un arresto in inverno e riprende in primavera; esso è molto importante perché aumenta il numero dei culmi e quindi delle spighe, ma non deve essere molto prolungato, poiché gli ultimi culmi formati danno una produzione inconsistente o nulla. Le cure colturali si riducono, in genere, ai trattamenti. Con lo sviluppo dei culmi in altezza s’inizia la fase della levata e con la fioritura s’inizia quella della maturazione.
La raccolta si esegue in anticipo rispetto alla maturazione fisiologica; in generale si miete quando la cariosside si può ancora incidere con l’unghia, durante il periodo della cosiddetta maturazione gialla. In tal modo si evita la perdita di granelli per caduta a seguito dell’azione dei dispositivi delle macchine per la raccolta. Se l’umidità dei chicchi è elevata (>15% su base umida) è necessaria l’essiccazione artificiale del prodotto.
Dei danni provocati dalle avversità, i più importanti sono l’allettamento e la stretta; delle numerose malattie crittogamiche, le più importanti sono il carbone, la carie, il mal del piede e soprattutto le ruggini. I parassiti animali, pure numerosi, possono portare i loro attacchi sia sulla pianta, sia sulla granella in magazzino; questi ultimi (Tinea granella, Sitotroga cerealella, Calandra granaria) si possono combattere con l’impiego di una vasta gamma di insetticidi.
La pianta è coltivata per le cariossidi, destinate all’alimentazione umana, mentre la paglia è utilizzata nell’alimentazione del bestiame, come lettiera del bestiame, per estrarre cellulosa, per preparare carta e talvolta combustibile. Da nessun altro cereale si può ottenere un pane paragonabile a quello di g. per valore alimentare e appetibilità, e ciò per le caratteristiche del suo glutine, al quale si avvicina molto soltanto quello di segale. La quantità di glutine non è strettamente determinante nel definire l’attitudine di una farina alla panificazione ed è invece in stretto rapporto con la plasticità e l’elasticità dell’impasto, e quindi con la struttura molecolare delle proteine del glutine.
La produzione mondiale di g. è andata rapidamente aumentando dal secondo dopoguerra (quando si aggirava intorno ai 170 milioni di t annue) alla fine degli anni 1960 (330 milioni di t); nel corso degli anni 1970, poi, essa è stata ancora caratterizzata da un ritmo di crescita intenso (con un ulteriore incremento del 35%) nonostante alcune flessioni annuali dovute in parte a cattive stagioni per i g. primaverili, in parte a cali nei rendimenti unitari. L’aumento è proseguito negli anni 1980, sia pure con ritmo meno intenso (+27%) e ancora con sensibili oscillazioni nella seconda metà del decennio. Negli ultimi anni del 20° sec. la produzione è stata pressoché costante, con una punta minima di circa 543 milioni di t nel 1995. Il progresso complessivo è comunque legato all’aumento della produttività più che all’espansione delle aree coltivate. I rendimenti medi hanno raggiunto, in Europa, i 48 q per ha, con le punte massime di Irlanda e Paesi Bassi (80 e 74 q per ha, rispettivamente) e con molti altri Stati al di sopra dei 50 q per ha. L’America Settentrionale, dopo la notevole intensificazione colturale dei primi anni Ottanta (24 q per ha), si è assestata sui 23 q, mentre l’Asia è salita a 24 q per ha, con un massimo di 54 q in Arabia Saudita. Anche nell’Africa settentrionale (Egitto) e meridionale (Botswana, Zambia e Zimbabwe, pur se in aree molto limitate) si superano i 40-50 q per ha. In Sudamerica, il Cile raggiunge i 34 q per ha, mentre il paese maggior produttore, l’Argentina, non supera i 21 q. Cina, Unione Indiana e USA sono i maggiori produttori mondiali.
Il commercio del g. – regolato da accordi internazionali che necessitano di continui aggiornamenti, data l’importanza del prodotto – riguarda circa il 20% della produzione. Le esportazioni di Stati Uniti e Canada rappresentano da sole più di un terzo del totale, mentre il resto del prodotto è offerto da Australia, Francia, Argentina e da pochi altri paesi. Le importazioni sono in gran parte assorbite da paesi emergenti che necessitano di aumenti cospicui dei consumi alimentari.
La serie di punti luminosi o di punti oscuri che si vedono talvolta al principio e alla fine di un’eclisse totale di Sole tra il disco del Sole e quello della Luna. Il fenomeno, osservato per la prima volta da F. Baily (1836), è dovuto all’effetto combinato dell’irradiazione e delle ineguaglianze (montagne e depressioni) del bordo lunare.
Unità di misura di massa, teoricamente corrispondente alla massa media di un chicco di frumento, molto in uso soprattutto nei paesi anglosassoni (grain). Il valore del g. varia a seconda dell’uso per cui viene adoperato: per l’oro e in farmacia equivale a 0,0648 g.
In numismatica, moneta napoletana e siciliana (pl. le grana). Era una frazione dell’oncia d’oro, che si divideva idealmente in 600 g.; il g. a sua volta si divideva in 12 cavalli a Napoli e in 12 denari in Sicilia. Come moneta effettiva fu emessa a cominciare dal regno di Ferdinando I d’Aragona e ne fu continuata la coniazione in argento, ma più spesso in rame, sotto i successori. Il g. del valore di 1/10 di carlino fu anche coniato dai gran maestri dell’Ordine di Malta.
In metallografia, ciascuno dei singoli individui cristallini che compongono un aggregato policristallino (per es., un metallo allo stato di getto), resi visibili al microscopio generalmente mediante opportuno attacco operato su una sezione pulimentata e lucida, così da renderla speculare.