Stato dell’Africa australe, di forma quasi circolare, privo di sbocco al mare e compreso tra: la Zambia a N, il Mozambico a N e a E, la Repubblica Sudafricana a S, il Botswana a O.
Nell’insieme, lo Zimbabwe si presenta come una regione di altipiani relativamente omogenei e poco movimentati, con elevazioni medie sui 1000-1500 m s.l.m. Al centro del paese, con andamento SO-NE, si allineano rilievi più accentuati (Matobo, Mashava, Inyanga, Mavuradonha), che presso il confine orientale raggiungono i 2600 m; a N di questo allineamento, che funge da spartiacque, gli altipiani scendono progressivamente verso la valle del fiume Zambesi, del cui medio bacino costituiscono la sezione destra; a S, analogamente, digradano verso il Limpopo, occupando una parte della sezione sinistra del suo bacino medio. Al centro del paese, trasversalmente allo spartiacque, e con direzione all’incirca N-S, si sviluppa per circa 500 km il cosiddetto Great Dyke, un affioramento di rocce vulcaniche basiche, largo non più di 10 km, con forti concentrazioni di minerali utili. I due grandi fiumi, con i loro affluenti, caratterizzano gran parte dell’idrografia dello Zimbabwe. Un terzo fiume, il Save, ha un bacino proprio e drena la maggior parte della sezione sud-orientale del paese.
Il clima è tropicale, con accentuate differenze stagionali, temperature moderate dall’altitudine (sugli altipiani, medie annue di 16-22 °C) e forti escursioni annue e diurne, precipitazioni generalmente fra i 700 e i 900 mm, concentrate in estate (novembre-marzo) e molto più accentuate nelle regioni orientali (fin oltre 1600 mm); la sezione occidentale, prossima alla depressione del Kalahari, ha caratteri continentali e siccitosi, mentre lungo le valli fluviali temperatura e umidità superano di molto i valori medi.
Lo Zimbabwe è regione di antico e costante popolamento, come attestato da un gran numero di ritrovamenti archeologici: fra questi, imponenti edifici in pietra (detti zimbabwe, da cui il nome del paese), rarissimi in altre regioni dell’Africa nera. In epoca storica, il popolamento dovette essere assicurato dai Boscimani, oggi presenti solo nell’estremo Ovest, cui si sovrapposero vari gruppi Bantu, fra i quali gli Shona; questi ebbero un lungo periodo di fioritura e organizzarono un potente Stato (il regno di Monomotapa), noto anche agli Europei fin dal loro primo arrivo nell’area (16° sec.). Successivamente, un’immigrazione di popoli Zulu (tra cui gli Ndebele), e infine l’arrivo dei coloni britannici, completarono il quadro etnografico del paese. Nonostante l’abolizione nel 1980 del regime di apartheid instaurato dai Bianchi nel 1965, le ferite sociali sono ancora profonde e i rapporti tra comunità bianca e popolazione nera permangono difficili, tanto che negli ultimi due decenni la minoranza bianca è diminuita notevolmente per effetto di un lento ma incessante esodo, determinato da una politica ostile. Dal punto di vista demografico, la popolazione è stata in forte aumento fino alla metà degli anni 1990, per poi scendere sensibilmente nel decennio successivo. Il decremento è da mettere in relazione sia ai ricorrenti periodi di carestia che alla diffusione dell’AIDS, vera piaga sociale (140.000 morti l’anno e 1,3 milioni di sieropositivi nel 2007). Condizioni gravi, ma meno drammatiche della maggior parte dei paesi dell’area, presentano i dati relativi alla mortalità infantile (30,9‰ nel 2010) e alla speranza di vita (47 anni); il tasso di analfabetismo è piuttosto basso (9,3%), grazie a un’efficace politica di educazione. La densità demografica rimane debole in termini medi, anche se le aree di altopiano, e specialmente il Mashonaland Orientale (intorno alla capitale) presentano concentrazioni maggiori; la popolazione urbana nel complesso del paese è appena il 37% della totale. Fuori dell’area metropolitana di Harare, il centro urbano maggiore è quello di Bulawayo.
La lingua ufficiale è l’inglese, ma le lingue più diffusamente parlate sono la CiShona e l’IsiNdebele, idiomi dei due gruppi etnici maggiori. Il 40% circa della popolazione è di religione cristiana, con prevalenza dei protestanti. Una quota quasi altrettanto numerosa segue invece le credenze tradizionali.
L’assetto economico dello Zimbabwe è fortemente condizionato dalle scelte operate in epoca coloniale, a favore dello sfruttamento minerario e dell’agricoltura di piantagione, entrambi controllati dalla minoranza bianca o da imprese multinazionali. I due settori, orientati all’esportazione, hanno garantito per anni allo Zimbabwe il posto di seconda potenza economica dell’Africa australe, dopo la Repubblica Sudafricana. Dalla metà degli anni 1990, tuttavia, si è avviata una grave fase di recessione, dovuta a problemi strutturali ereditati dal periodo coloniale, a congiunture internazionali negative, a condizioni ambientali sfavorevoli, alle scelte economiche del presidente Mugabe. Fortemente penalizzante è stata inoltre la cessazione degli aiuti dopo che lo Zimbabwe è intervenuto nella guerra civile della vicina Repubblica Democratica del Congo, sostenendo il regime di L. Kabila. Pesante è stata la ricaduta sul livello di vita della popolazione, che per il 68% vive oggi al di sotto della soglia di povertà. L’inflazione cresce a ritmi galoppanti e il tasso di disoccupazione è stimato intorno al 90% della popolazione attiva (2009), il più alto al mondo.
Per quel che riguarda l’agricoltura (che occupa oltre il 65% della forza lavoro e contribuisce al PIL per il 19%), il paese gode di una buona varietà produttiva: le colture di sussistenza sono rappresentate principalmente da mais, manioca, frumento, fagioli e orzo; quelle commerciali da tabacco, cotone, canna da zucchero, soia, caffè e tè. Nel complesso tuttavia il settore mostra una preoccupante vulnerabilità alle condizioni meteorologiche, aggravata dalla mancata adozione di sistemi di coltura più efficienti. L’allevamento, soprattutto bovino, è praticato con metodi moderni e si basa su razze selezionate. Le foreste, nonostante il grave depauperamento, forniscono una buona quantità di legnami pregiati (oltre 9 milioni di m3 nel 2007).
Le risorse del sottosuolo sono la principale ricchezza dello Zimbabwe (fra le esportazioni prevalgono oro, amianto, cromo, rame, nichel, leghe ferrose). Il settore minerario alimenta un complesso di attività industriali che presenta uno sviluppo insolito per la regione, sostenuto peraltro da una buona produzione di energia idroelettrica, in gran parte fornita dall’impianto di Kariba, sul fiume Zambesi. Accanto alla metallurgia del rame, del ferro, dello stagno, sono sorte industrie meccaniche, chimiche, alimentari, tessili, della carta e del cemento. Nei pressi di Mutare è in funzione una raffineria di petrolio, collegata per mezzo di un oleodotto a Beira (Mozambico). Il settore secondario assorbe il 10% della forza lavoro e contribuisce al PIL per il 24%. Il turismo (che ha tra le sue mete principali le Cascate Vittoria, i parchi, i Monti Inyanga) costituisce una buona fonte di introiti. La bilancia commerciale, in attivo fino alla fine degli anni 1990, ha registrato in seguito nette passività. Principali partner commerciali sono la Repubblica Sudafricana, la Repubblica Democratica del Congo, il Botswana e la Cina.
Privo di sbocco al mare, lo Zimbabwe si può avvalere dei porti mozambicani (Beira e Maputo), collegati per ferrovia; altre linee raggiungono la Zambia e la Repubblica Sudafricana; la rete interna (3077 km) è imperniata su una dorsale che percorre gli altopiani unendo Bulawayo e Harare, dalle quali si dipartono le linee dirette verso l’esterno. Analoga è la struttura della rete stradale (97.267 km, di cui oltre 18.000 asfaltati).
Le più antiche tracce lasciate dall’uomo sono manufatti di tipo acheuleano, ritrovati nei depositi delle cascate dello Zambesi e a Lochard, sul fiume Bembesi. Lo sviluppo successivo è noto attraverso gli scavi fatti nelle grotte di Khami Waterworks e di Bambata: a un’industria detta Charamiano, facies locale del Sangoano, ricca di picchi e di raschiatoi, seguono il Bambatiano, caratterizzato da punte mono- e bifacciali e lame a dorso, e l’Umguziano, che comprende molti segmenti. A partire dal 13.000 a.C. circa si trovano varie industrie microlitiche, che perdurano presso gruppi isolati anche quando, all’inizio della nostra era, penetrano in Zimbabwe, provenendo forse dal Mozambico o dal bacino del Congo, le prime popolazioni che conoscono il ferro, l’agricoltura e l’allevamento del bestiame. Queste hanno lasciato cospicue tracce di abitati, in cui la ceramica detta di Bambata compare a partire dal 1° sec. a.C.: caratteristica dell’antica età del Ferro, mostra in seguito aspetti locali (facies di Zhizo, 9°-10° sec.; facies di Mambo, dal 12° sec.).
Dopo il 10° sec. il commercio dell’oro, stimolato dalle richieste dei mercanti arabi, portò allo sviluppo di uno Stato autocratico, il regno di Monomotapa, che ha lasciato imponenti rovine di edifici di pietra. Monomotapa era il titolo («signore della montagna» o «delle miniere») del re-sacerdote, posto a capo d’una confederazione di tribù bantu di ceppo shona.
Alla popolazione bantu si sovrapposero, nel corso del 17° sec., i BaRoswi, provenienti da Nord, che affermarono la propria supremazia nelle province centrali e sudoccidentali del Monomotapa; da Sud vennero invece (metà 19° sec.) i Matabele o Ndebele, stanziatisi nella regione meridionale (Matabeleland). Nel 1888 gli Inglesi stipularono accordi con il re dei Ndebele tramite C.J. Rhodes (➔), la cui British South Africa Chartered company (BSAC) ottenne nel 1889 il diritto di espansione commerciale e sfruttamento minerario per 25 anni. Nel 1891 una convenzione anglo-portoghese fissò i confini delle rispettive sfere d’influenza; l’occupazione britannica del Matabeleland richiese alcuni anni, anche per lo scoppio, nel 1896, di una grande rivolta repressa con durezza.
Assunto nel 1895 il nome di Rhodesia Meridionale, il territorio fu dotato nel 1898 di un Consiglio legislativo, riservato ai bianchi, e nel 1923 la Rhodesia Meridionale fu proclamata colonia britannica. Agli Africani non furono concessi diritti politici e in seguito vennero messi al bando i partiti nazionalisti formatisi a partire dalla fine degli anni 1950. Nel 1953 la Rhodesia Meridionale entrò a far parte, con Rhodesia Settentrionale e Nyasaland, della Federazione dell’Africa Centrale, sciolta nel 1963. Nel 1965 il governo rhodesiano (guidato da I.D. Smith, leader del Rhodesian front, di estrema destra) proclamò unilateralmente l’indipendenza, cui fece seguito il ritiro dal Commonwealth.
Il nuovo regime razzista si dimostrò più forte delle sanzioni decretate dall’ONU e poté contare sull’appoggio dichiarato di Portogallo e Repubblica Sudafricana, nell’ambito del cosiddetto ‘blocco bianco’ dell’Africa Australe. I partiti nazionalisti ricorsero allora alla lotta armata. Nel 1976 la Zimbabwe African People’s Union (ZAPU, guidata da J.a Nkomo) e la Zimbabwe African National Union (ZANU, fondata nel 1963 dal reverendo Ndabaningi Sithole e poi guidata da R.G. Mugabe) diedero vita a un’organizzazione unica (Patriotic Front, PF). Smith nel 1978 concordò con i nazionalisti moderati una Costituzione che riconosceva finalmente il suffragio universale.
Le elezioni del 1979, boicottate da ZAPU e ZANU e disconosciute da OUA e ONU, portarono alla nascita di un governo presieduto dal vescovo nero Abel Muzorewa. Pressioni britanniche e del Commonwealth indussero il governo e rappresentanti del PF a nuovi negoziati e nel 1980 le elezioni videro il successo della ZANU e della ZAPU. Il 18 aprile 1980 fu proclamata l’indipendenza e il paese assunse la denominazione attuale. Mugabe, dal decennio precedente avvicinatosi al marxismo, formò un governo di unità nazionale, che adottò una politica pragmatica onde evitare l’esodo massiccio dei bianchi e una caduta della produzione. Rafforzato dalle elezioni del 1985, nel 1987 riformò la Costituzione: furono aboliti i seggi riservati ai Bianchi e venne introdotta la carica di presidente esecutivo, assunta dallo stesso Mugabe. Confermato nel 1990, il presidente intraprese la strada della liberalizzazione economica e delle privatizzazioni, mentre sempre più rari si facevano i riferimenti al marxismo. Dopo la sua rielezione (1996), Mugabe cercò di rilanciare la riforma agraria mettendo in atto un programma di espropri e ridistribuzioni dei latifondi dei bianchi. Contemporaneamente, di fronte al crescere del malcontento popolare il governo accentuò il suo profilo illiberale. Un ulteriore problema fu rappresentato dalla decisione di inviare truppe in appoggio del governo Kabila, in Congo, a dispetto dell’atteggiamento critico della Repubblica Sudafricana di N. Mandela.
Gli elementi di crisi si resero evidenti nel febbraio 2000 quando, respinta in un referendum la proposta di attribuire al presidente nuovi poteri, Mugabe si trovò di fronte una forte opposizione, rappresentata dal Movement for Democratic Change (MDC), fondato nel 1999 e guidato dal M. Tsvangirai. In un clima di crescente tensione, i veterani della guerra di liberazione, con l’appoggio del governo, occuparono numerose fattorie di proprietà dei bianchi, innescando una spirale di violenze. Nel 2002 Mugabe fu rieletto in contestate elezioni, svoltesi fra intimidazioni verso gli elettori e aggressioni nei confronti degli oppositori. Le numerose irregolarità elettorali determinarono la sospensione dello Zimbabwe dal Commonwealth, cui Mugabe rispose arrestando diversi avversari politici, tra cui lo stesso Tsvangirai. Il governo giustificò lo stato di crescente miseria della popolazione con le condizioni climatiche e l’ostracismo internazionale; le voci critiche del regime sottolinearono invece i guasti prodotti dalla guerra civile scatenata nelle campagne e da espropri che avevano peggiorato il livello della produzione agricola.
Nelle elezioni del 2008 Mugabe non riconobbe la vittoria proclamata dal rivale Tsvangirai; la commissione elettorale gli diede ragione e fissò un turno di ballottaggio, cui Tsvangirai decise di non presentarsi. Dopo lunghe trattative nel 2009 si è giunti a un governo di unità nazionale, con Mugabe presidente e Tsvangirai primo ministro. Attraverso un referendum, nel marzo 2013 sono state approvate alcune modifiche alla Costituzione per consentire lo svolgimento di nuove elezioni; tenutesi nel mese di agosto, le consultazioni presidenziali, legislative e amministrative hanno sancito la rielezione di Mugabe per il settimo mandato consecutivo, conferendo inoltre un potere assoluto al suo partito, che ha ottenuto i due terzi dei seggi in Parlamento, sebbene l'opposizione guidata dal primo ministro M. Tsvangirai abbia denunciato brogli. Arrestato nel novembre 2017 a seguito di un colpo di Stato organizzato dall'esercito e dall'ex vicepresidente E. Mnangagwa, che Mugabe aveva destituito pochi giorni prima, l'uomo politico ha rassegnato le sue dimissioni, subentrandogli ad interim nella carica lo stesso Mnangagwa, riconfermato con una larga maggioranza alle consultazioni generali svoltesi nel luglio 2018, alle quali il partito ZANU di cui è il leader ha ottenuto una maggioranza di 109 seggi, sufficienti a garantirgli il controllo del Parlamento. Nell'agosto 2023 Mnangagwa è stato riconfermato nella carica presidenziale con il 52,6% delle preferenze.
Tipiche dell’architettura tradizionale sono le fattorie, caratterizzate da capanne circolari in fango e bastoni, con tetti conici in paglia, raggruppate tra loro; ciascuna capanna corrisponde a un ambiente specifico (cucina, zona notte) con, al centro, uno spazio aperto; semplici disegni geometrici, con significati simbolici, ne denotano la decorazione. Dalla fine del 20° sec., lo stile tradizionale fu sostituito dall’impiego del ferro ondulato e da tetti trattati con colori brillanti; vennero introdotte finestre e porte di tipo occidentale. Gli edifici religiosi (seconda metà 20° sec.) variano per stile e materiali impiegati: semplici piante rettangolari, talvolta con torri, finestre a tutto sesto o a sesto acuto, con frequente uso di mattoni; decorazioni ad affresco o bassorilievi lignei. Gli edifici pubblici hanno risentito dell’architettura del periodo coloniale, mentre effetti moderni si devono ad architetti come H. Montgomerie e P. Oldfield in edifici quali la National Gallery (1957) o il Memorial per gli Eroi Nazionali (1981) a Harare. Edifici di stile internazionale caratterizzano il moderno centro di Harare (per es. Sam Nujoma Street).
La scultura, il mezzo espressivo più autentico dell’arte dello Zimbabwe, fu riscoperta dopo la Seconda guerra mondiale. Personalità importante è quella di J. Mariga, attivo a Nyanga, volto dalla fine degli anni 1950 al rinnovamento della cultura shona. Sostenitore del recupero delle radici della cultura shona fu F. McEwen, direttore della National Gallery di Salisbury (1956-73), formatosi a Parigi con H. Focillon e in contatto con gli esponenti dell’avanguardia francese e inglese. McEwen ha inoltre incentivato un laboratorio informale di pittura, nel quale è emerso T. Mukarobgwa, autore di dipinti che egli definì «espressionismo afrotedesco». McEwen organizzò importanti mostre che diffusero la conoscenza della cultura shona (1968, Museum of modern art di New York; 1971, Musée Rodin di Parigi; 1972, Institute of contemporary art di Londra). Importanti nel sostegno alla potenzialità creativa delle popolazioni locali sono state anche le figure di T. Blomefield e di R. Guthrie, creatore (dal 1970) del Chapungu sculpture park, che accoglie testimonianze di scultori dello Zimbabwe, da Mariga e Mukarobgwa a H. Munyardzi, A. Supuni, J. Manzi, N. Mukomberanwa, J. Muzondo, G. Nyanhongo.