caffè Specie del genere Coffea, dai cui semi, torrefatti e macinati in polvere, si ricava per infuso l’omonima bevanda.
Delle 40 specie di Coffea (famiglia Rubiacee), la più pregiata è Coffea arabica (v. fig.); in minor misura si coltivano Coffea robusta e altre: alberetto di 5-6 m (2-3 m nelle piante coltivate), sempreverde, con foglie opposte, ovali, acute, lucide. I fiori sono odorosi, in dense infiorescenze all’ascella delle foglie, hanno corolla bianca, ovario infero a due logge, dal quale si forma una drupa subsferica od oblunga, prima verde, poi rossa, infine bruna; questa contiene due noccioli di consistenza pergamenacea, detti pergamini, ciascuno dei quali avvolge un seme (grano o chicco di c.) convesso su una faccia, piatto e solcato sull’altra, avvolto da tegumento sottile, argenteo.
Il c. cresce bene nei luoghi con temperature medie annue fra 15 e 25 °C e la cui minima non discenda sotto i 5 °C e la massima non superi i 30 °C. Preferisce terreno ricco di humus, permeabile, e piogge abbondanti, alternate con periodi di siccità. Si moltiplica per semi, che vanno seminati appena raccolti; le piantine in vivaio si tengono all’ombra e dopo un anno si mettono a dimora. La produzione comincia verso i 4 anni e può raggiungere 2300-3400 kg/ha. La fioritura e la maturazione dei frutti si prolungano per mesi. In commercio esistono vari tipi di c., indicati per lo più con il nome della località da cui originariamente provenivano (Moca, a grano piccolo tondeggiante, Martinica, a grano grande, tozzo, piatto, con solco largo, Portorico, Colombia, Giava ecc.).
La composizione quantitativa varia alquanto nelle diverse qualità; in media è: acqua 11-12%; sostanze azotate 12%; grassi 12%; zuccheri e destrina 10%; ceneri 4%; cellulosa 24%; altre sostanze estrattive non azotate 18%; acido caffetannico 8%; caffeina 0,7-1,3%; oli essenziali 0,1%. A seguito di torrefazione la composizione chimica subisce notevoli modificazioni.
2. Lavorazione
Nei luoghi di produzione il c. subisce un complesso di operazioni detto beneficiamento. Esso ha inizio con la preparazione del c., un insieme di trattamenti per liberare i semi dai tegumenti molli del frutto, compiuti per via umida o per via secca. Nel primo caso la fase iniziale è la dilavatura (macerazione), che ha lo scopo di separare il c. maturo da quello verde e dalle impurità (pietruzze ecc.) e si prolunga per circa 24 ore; i semi umidi passano alle spolpatrici che eliminano buccia e polpa e separano i chicchi; segue l’ essiccazione, infine le scorticatrici liberano i semi dai noccioli. Nel trattamento per via secca, all’essiccazione segue la pulitura con staccio ventilatore; i semi, dopo altri opportuni trattamenti, ne escono scorticati, lucidi e puliti. Nei porti di destinazione viene compiuta un’operazione di ulteriore pulitura del caffè greggio ( ribeneficiamento).
La torrefazione del c. è l’operazione con la quale i chicchi del c. vengono riscaldati lentamente fino a raggiungere una temperatura di circa 200-220°C. Va fatta in recipienti aperti rimestando continuamente, o in forni speciali con pale agitatrici, e deve essere arrestata quando sta per iniziare la decomposizione delle sostanze proteiche e incomincia lo sviluppo degli oli aromatici. Una torrefazione eccessiva danneggia irrimediabilmente il prodotto, sicché si adottano speciali dispositivi per apprezzare l’esatta durata dell’operazione: alcuni sono basati sul calo di massa del c. che deve essere del 16-18%, altri sull’analisi dei fumi, bianchi e di odore caratteristico, che si sprigionano dai semi arrostiti. Alla torrefazione deve seguire un raffreddamento rapido, senza ventilazione.
La pianta del c. per la prima volta fu esattamente descritta da P. Alpino nel De plantis Aegypti (1592). La bevanda, preparata quasi esclusivamente sotto forma di infuso, secondo tradizioni arabe sarebbe stata introdotta nello Yemen verso la fine del 14° sec. da un santo di Moca, e utilizzata per prolungare le veglie di preghiera dei sūfī. L’uso si diffuse rapidamente, per tutto l’Oriente. Nel 16° e 17° sec. i Veneziani introdussero in Occidente la bevanda, che allora si prendeva, come in Oriente, senza zucchero. La sua diffusione fece sì che si impiantassero coltivazioni dovunque il clima lo permettesse: gli Olandesi portarono il c. a Giava (1699) e nella Guiana (1714), nel 1727 fu portato nel Brasile, destinato a divenire il maggior produttore del mondo.
Di locali adibiti alla consumazione del c. si ha notizia nei paesi dell’Oriente islamico sin dal 15° e 16° sec., ma solo alla metà del successivo se ne aprirono nei paesi europei (a Venezia, il primo, nel 1640), dove ebbero rapida e generale voga, poiché nel Settecento il c. divenne un ritrovo frequentatissimo e un ambiente caratteristico dell’epoca, non solo per l’intima e raffinata decorazione delle sale, di modeste dimensioni, che lo costituivano, ma anche come centro di vita culturale, artistica, politica.
La produzione mondiale di c. è in aumento costante, con alcune oscillazioni dovute ad annate particolarmente sfavorevoli. I principali paesi produttori sono anche i primi esportatori; tra questi, leader del settore è il Brasile, seguito da Vietnam, Indonesia e Colombia. Principali acquirenti sono gli Stati Uniti, il Giappone e molti paesi europei, soprattutto la Germania, l’Italia e la Francia. Per sostenere il prezzo del c. i paesi produttori hanno varato, nel settembre 2000, un piano di contenimento dell’offerta, riducendo di circa il 20% la quantità di prodotto da immettere sui mercati internazionali.
Il c. esplica un’azione farmacologica dovuta soprattutto al suo contenuto in caffeina, ma anche ad altri principi attivi, come l’acido clorogenico, capace di eccitare la peristalsi gastrica, la colina, alcune basi piridiniche e pirimidiniche ecc. L’uso del c. è controindicato nelle malattie infiammatorie gastriche e intestinali (specialmente con ipercloridria), nei soggetti con ipereccitabilità psichica o muscolare, nelle diverse forme d’ipertiroidismo ecc. Tutto ciò ha portato alla diffusione del c. privato della caffeina ( c. decaffeinato), accanto al quale è presente sul mercato il c. decerato, cioè privato delle sostanze cerose localizzate nello strato esterno del chicco che contengono derivati della serotonina, considerati responsabili di disturbi a carico dello stomaco, della cistifellea e anche del fegato.
L’intossicazione, acuta o cronica, da c. ( caffeismo) si manifesta con irrequietezza psichica e motoria, dilatazione delle pupille, affanno, cardiopalmo, tremore, vertigini, ronzii, insonnia ecc. Gli stessi aspetti possono avere i sintomi d’intolleranza verso il c., che possono manifestarsi anche con turbe gastroenteriche.