Stato insulare dell’Asia sud-orientale. La denominazione geografica (comp. di indo- e del gr. νῆσος «isola»), cui talvolta viene preferita quella di Insulindia, si riferisce all’insieme di circa 14.000 isole poste a SE della massa continentale asiatica dal Golfo del Bengala al Mar degli Arafura, tra l’Oceano Indiano, il Mar Cinese Meridionale e l’Oceano Pacifico, che formano il più esteso arcipelago del mondo. La Repubblica d’I. include le Grandi Isole della Sonda (Sumatra, Giava, Celebes e Borneo), le Piccole Isole della Sonda (Bali, Flores ecc.) e le Molucche, nonché, dal 1963, il settore occidentale della Nuova Guinea (dal 1973 denominato Irian Jaya e dal 2002 Papua), che dal punto di vista fisico non appartiene all’arcipelago.
La struttura e la morfologia dell’Indonesia furono dettate dall’orogenesi himalaiana che, nel Cenozoico, piegò e sollevò i sedimenti mesozoici prevalenti. La formazione tettonica dell’I. è quindi recente, malgrado l’affioramento di materiali più antichi, e il grande arcipelago è una sorta di ‘ponte’ tra le due masse continentali asiatica e australiana, tuttora teatro di una vivace evoluzione, come testimoniano sismicità e vulcanismo. Va ricordato, tra gli episodi sismici più recenti, il violento terremoto, con epicentro a largo di Sumatra, che nel dicembre 2004 produsse un maremoto (tsunami) causando centinaia di migliaia di vittime in I. (in particolare nell’Aceh), e investendo tutte le regioni affacciate sul Mar delle Andamane e sul Golfo del Bengala. Nell’isola di Giava è attivo un centinaio di vulcani; altri sono a Sumatra (Kerinci, 3800 m), Celebes, Sumbawa, Flores e nelle isole di Banda. Borneo è priva di vulcani attivi, ma ha molti dei circa 300 apparati quiescenti del paese. L’unità morfologica dell’arcipelago, che risulta da un insieme di sistemi arco-fossa (➔ tettonica), è ben segnalata dall’allineamento che la dorsale montuosa di Sumatra forma con il festone delle Isole della Sonda. Le isole affacciano a S sulla Fossa di Giava (–7125 m), mentre il Mar di Giava raggiunge appena i –70 m; a E degli stretti di Lombok e di Makassar, il fondo marino presenta grandi sprofondamenti (Mar di Celebes, 5520 m; Mar di Banda, 7440 m), ma anche secche, scogliere, isolotti, atolli corallini.
Il clima dell’I. è di tipo equatoriale a N, con temperatura media annua di circa 26 °C, escursione termica irrilevante, precipitazioni dai 1400 ai 4000 mm annui; e subequatoriale nelle isole meridionali. Le piogge sono più abbondanti e continue a O (Padang, nell’isola di Sumatra, 3800-4000 mm annui) che a E (Kupang, nell’ isola di Timor, 1400 mm annui), e più lungo le coste che nell’interno delle isole.
Nel Borneo si trova il fiume più lungo dell’I. (Kapuas, 1150 km); altri notevoli sono a Giava (Solo, 530 km) e Sumatra (Hari, Musi). Il regime irregolare ne rende difficile l’utilizzazione, ma soprattutto a Borneo i fiumi sono spesso l’unica via di penetrazione verso l’interno. Il maggiore lago dell’I. è quello di Toba (1300 km2), nel settore settentrionale di Sumatra.
La vegetazione è in generale ricchissima e la foresta pluviale ricopre tutte le regioni basse non coltivate; lungo le coste, sono frequenti le mangrovie. Dove la piovosità è minore, la foresta è interrotta da savane. L’I. è area di contatto tra la regione faunistica indomalese e quella australiana, la cui tipica fauna prevale nelle isole orientali. Tra le scimmie compare l’orango. Nell’isola di Celebes (e nelle Piccole Isole della Sonda) si manifesta la promiscuità tra le due regioni zoogeografiche: qui si incontrano il bovide più orientale (Anoa depressicornis) e il marsupiale più occidentale, il cusco (Phalanger maculatus).
L’I. è il quarto Stato del mondo per numero di abitanti. Il valore di densità media (circa 127 ab./km2) è pochissimo significativo, in conseguenza di una distribuzione assai irregolare della popolazione: se l’isola di Giava (1000 ab./km2) è una delle aree di massimo addensamento demografico della Terra, la Nuova Guinea occidentale ha appena 6 ab./km2 e il Kalimantan (parte indonesiana di Borneo) 25. Più denso è il popolamento delle Piccole Isole della Sonda occidentali, in particolare Bali, rispetto a quelle orientali. Giava, punto d’arrivo di ogni apporto culturale esterno, poi cuore del ricchissimo impero coloniale olandese, fertile, ben accessibile, è la parte più vitale ed evoluta dell’ I. e ha attratto e continua ad attrarre popolazione dalle altre isole; ospita il 58% degli Indonesiani su appena il 7% della superficie del paese. Un altro 20% della popolazione vive nell’isola di Sumatra. L’incremento demografico dell’I. è stato notevolissimo per tutto il Novecento, oscillando tra il 2 e il 3% annuo, sostenuto dall’alto tasso di natalità; in seguito ha segnato una graduale riduzione (1,3%, 2000-05), benché la natalità superi ancora il 20‰. La mortalità infantile è ancora piuttosto elevata (34‰), ma in costante calo, e anche la speranza di vita si sta innalzando (circa 70 anni), come i tassi di alfabetizzazione (oltre il 90%) e di scolarizzazione, che poggiano su un discreto sistema di istruzione, specie negli istituti superiori e universitari.
Paese rurale, l’I. è disseminata di villaggi, denominati per lo più kampong (con lo stesso nome si indicano anche gli insediamenti informali delle periferie urbane); tanto pescherecci quanto agricoli, e comunque generalmente collocati lungo la costa o sulle rive di fiumi, i kampong costituiscono forme insediative elementari e spontanee di comunità, sostanzialmente autarchiche, anche quando si susseguono vicinissimi gli uni agli altri, come nelle aree più fertili. Nei villaggi rurali vive circa il 52% della popolazione. Pochissimo sviluppato è il fenomeno urbano, a eccezione di Giava, dove sorsero grandi città per influenza della civiltà indiana e di quella araba e, poi, in epoca coloniale, componendo una rete urbana che è assente nel resto del paese. Massimo centro industriale, commerciale, finanziario e culturale dell’I. è la capitale, Giacarta, di aspetto prevalentemente europeo, meta di massiccia e disordinata immigrazione, che ha portato la popolazione a superare gli 8,3 milioni di ab. (circa 18 nell’agglomerazione urbana). A Giava sorgono altre città milionarie: Surabaya (2,7 milioni), porto e centro dell’industria dello zucchero; Bandung, al centro di una fiorente area agricola interna (2,2 milioni); Tangerang, città industriale (1,5); Semarang (1,4); nelle altre isole pochissime città hanno raggiunto dimensioni comparabili: Medan (2 milioni) e Palembang (1,3) a Sumatra, Ujungpandang (1,1) a Celebes; in vaste aree, in realtà, non esistono affatto centri propriamente urbani.
Nella popolazione, fra gli apporti non indigeni, in generale numericamente esigui, spiccano i Cinesi, chiamati nel 19° sec. da imprese olandesi per la costruzione di ferrovie e strade e per l’estrazione dello stagno, e poi insediatisi soprattutto nelle aree urbane di Giava, dove si sono specializzati nel commercio e nel credito.
La confessione di gran lunga più seguita (da oltre l’87% della popolazione) è quella islamica, così che l’I. è lo Stato al mondo che ospita più musulmani. I cristiani sono circa il 10%, di cui un terzo cattolici; l’induismo si è conservato a Bali. La convivenza tra le varie componenti culturali non è priva di difficoltà; l’élite giavanese, che detiene il potere politico ed economico e ha il controllo delle forze armate, ha mirato a comprimere identità e culture locali nell’intento di formare una ‘nazione’ indonesiana, ma provocando così la resistenza, anche violenta, delle popolazioni di Timor Est (divenuta indipendente nel 2002), degli Accinesi nella regione settentrionale di Sumatra, nonché dei Papua del settore occidentale della Nuova Guinea. Le discriminazioni e l’ostilità popolare hanno spinto molti membri delle comunità cinesi ad abbandonare il paese. È inoltre cresciuta l’animosità tra musulmani e cristiani, induisti e buddhisti, sfociata anche in sanguinosi scontri.
Le Indie Orientali Olandesi erano divenute il più compiuto esempio di ‘paese di piantagioni’. Pertanto l’I. indipendente, nonostante l’abbondanza di risorse naturali, dovette affrontare seri problemi socio-economici, aggravati dalla crescita demografica, dallo squilibrio tra Giava e il resto dello Stato, dalla frammentazione del territorio arcipelagico. A una politica economica inizialmente volta all’autosufficienza, alla sostituzione delle importazioni e alla nazionalizzazione dei mezzi di produzione seguì un parziale ritorno delle imprese ai privati e una ripresa dei rapporti economici con molti paesi esteri, tra i quali emerse rapidamente il Giappone. Negli ultimi decenni, il progresso economico ha conosciuto fasi alterne. Il costante surplus commerciale ha consentito investimenti infrastrutturali e produttivi, ma la crescita della popolazione e, soprattutto, una squilibrata allocazione delle risorse hanno fatto sì che il reddito disponibile per abitante non crescesse in modo sufficientemente rapido: con 2142,300 dollari pro capite annui in media (2008), gran parte della popolazione indonesiana vive in condizioni di sostanziale povertà, benché ormai siano state raggiunte adeguate condizioni di sussistenza e di tutela: si stima che circa la metà degli Indonesiani si collochi al di sotto della soglia di povertà. La dipendenza dall’esportazione di materie prime e dal capitale estero, il peso del debito pubblico, i diffusi casi di corruzione, il troppo basso costo del lavoro (e quindi redditi e consumi interni eccessivamente contenuti), ma insieme anche un elevato tasso di disoccupazione, sono tra i punti di debolezza dell’economia indonesiana. Su questa struttura ancora debole si è abbattuta la ‘crisi asiatica’, generata dalla speculazione valutaria internazionale nel 1997, i cui effetti si sono fatti sentire, sul piano dell’organizzazione finanziaria e monetaria, fino ai primi anni del secolo successivo.
L’agricoltura è tuttora la base dell’economia indonesiana, occupa il 44% della popolazione attiva e realizza circa il 13% del prodotto interno lordo, sebbene sia coltivato solo circa il 10% della superficie totale (a Giava, però, oltre il 70%); da tempo sono in atto programmi governativi di colonizzazione agricola delle isole meno densamente popolate, dove sono state trasferite famiglie contadine provenienti da Giava. Con l’introduzione, in epoca coloniale, delle colture di piantagione (caffè, tabacco, canna da zucchero, tè, piante da caucciù) e con le connesse opere di trasformazione agraria, le tradizionali forme di agricoltura regredirono o scomparvero (l’agricoltura itinerante è ancora praticata, ma in mi;sura sempre minore), anche perché sui terreni migliori si impiantò l’agricoltura commerciale europea; le colture speculative hanno poi subito riduzioni, anche per la tendenza a promuovere le colture alimentari, in particolare il riso – la cui produzione è passata da circa 10 milioni di t nel 1955 a 54,4 milioni nel 2006 – che con il mais e il pesce è la base dell’alimentazione locale. Le aree irrigue di Giava e della vicina Madura, dove sono possibili due raccolti all’anno, forniscono la maggior parte del prodotto; ma il riso è diffuso in molte altre isole, anche in risaie non irrigue su pendii terrazzati, fino a 1500 m s.l.m. Altro cereale largamente coltivato, soprattutto nelle aree orientali di Giava e di Sumatra, è il mais (3,3 milioni di ha e 11,6 milioni di t). D’interesse quasi esclusivamente locale, ma notevoli per quantità, sono la manioca (19,9 milioni di t) e la patata dolce. La coltura della palma da olio, che fu uno dei pilastri dell’economia coloniale, produce ancora 3 milioni di t, mentre oltre 16 milioni di t è la produzione di frutti della palma da cocco, utilizzata anche per la copra; un certo peso hanno ancora le piante da caucciù (2 milioni di t), la soia, l’arachide, la canna da zucchero, il tè, il caffè, il tabacco, ma la crescita maggiore riguarda la frutta (banane, manghi, ananas, agrumi) e gli ortaggi. Delle spezie, per cui soprattutto le Molucche andarono famose per secoli, conservano importanza solo la cannella e il pepe. Le foreste coprono poco meno del 60% della superficie totale; il legname ricavato (98,8 milioni di m3 nel 2006) ed esportato, di grande pregio (teak, bambù, ebano, sandalo), fa dell’I. uno dei principali produttori mondiali; vivo è l’allarme per l’estrazione illegale di legname e, anche, per il ripetersi di incendi che vanno riducendo a un ritmo eccessivo la copertura forestale, in particolare a Borneo: molto consistente è la pressione internazionale sulle imprese forestali e sul governo perché sia diminuito il taglio e siano ampliate le aree a protezione naturalistica (che peraltro già è applicata a circa il 14% della superficie complessiva). L’allevamento non è molto sviluppato, malgrado una recente crescita (ovini e caprini 22 milioni di capi; bovini 11; suini 7), e l’integrazione carnea all’alimentazione, in assoluta prevalenza vegetariana, è affidata ai prodotti della pesca (5,3 milioni di t), derivanti in buona misura dallo sfruttamento di acque interne e da impianti acquicoli.
Cospicue e varie sono le risorse del sottosuolo. Il petrolio, scoperto a Sumatra, oggi viene estratto da giacimenti sumatrani, ma soprattutto dal Borneo; nella provincia di Sumatra Meridionale, il capoluogo, Palembang, vecchia città di piantagione, proprio dall’economia petrolifera ha tratto motivi di trasformazione e sviluppo. L’estrazione si attesta attorno ai 50 milioni di t, dopo essere stata assai più cospicua in passato. Negli anni 1980 il petrolio garantiva il 40% delle esportazioni, ma ormai la produzione è quasi del tutto assorbita dal consumo interno, tanto che nel 2008 l’I. è uscita dall’OPEC. Rilevante è la produzione di gas naturale, nelle valli dei fiumi Ogan e Musi (provincia di Sumatra Meridionale) e di carbone (195 milioni di t), in aumento. Tra i metalli hanno importanza l’oro (l’I. è ai primissimi posti al mondo), lo stagno (secondo produttore di minerale e di metallo fuso), il rame (una delle miniere più grandi del mondo è quella di Tampagapura, in Papua, il nichel, la bauxite. La produzione elettrica, cresciuta rapidamente negli ultimi anni, conta su una potenza installata di circa 25 milioni di kW, di cui circa il 20% idrici.
Le attività secondarie concorrono alla formazione del PIL per il 46%, pur impiegando appena più del 13% degli attivi. Gli impianti installati più di recente (raffinerie di petrolio, industrie metallurgiche, chimiche, meccaniche) restano però sostanzialmente estranei alle caratteristiche del paese, essendo dovuti a investimenti stranieri, e non hanno promosso un reale sviluppo; rilevanti sono poi le linee di montaggio di veicoli, i cantieri navali, le costruzioni aeronautiche, l’elettronica, l’elettrotecnica, la produzione di elettrodomestici, di cemento e di pneumatici, e poi ancora zuccherifici, oleifici, manifatture di tabacchi, impianti tessili (cotone).
Solo Giava dispone di una vera rete ferroviaria e stradale. La ferrovia si sviluppa per quasi 6500 km; le strade, per circa 1/3 a fondo naturale, si estendono su poco meno di 370.000 km; vi circolano 3.600.000 autoveicoli. Di grande importanza, date le caratteristiche fisiche, è la navigazione marittima; i porti principali sono quelli giavanesi di Surabaya, Tandjungperiuk (scalo marittimo della capitale) e Semarang; inoltre Padang, a Sumatra, e Ujungpandang, a Celebes. Giacarta è servita da un aeroporto internazionale. In crescita il movimento turistico (diretto a Giava e a Bali soprattutto), che ha superato la soglia dei 5 milioni di arrivi.
La bilancia commerciale dell’I. è costantemente in attivo, con aumento contenuto delle importazioni e sensibile delle esportazioni. Alle prime concorrono manufatti e prodotti alimentari; le seconde consistono soprattutto in petrolio e altre materie prime, ma incidono sensibilmente anche macchine, materiale elettrico ed elettronico, abbigliamento. Gli scambi più intensi si svolgono con il Giappone, seguito da Singapore, dagli Stati Uniti e dalla Cina.
Le popolazioni dell’I., o Sud-Est asiatico insulare, presentano una grande eterogeneità socioculturale, legata anche alla varietà ecologica della regione. Dal punto di vista economico i gruppi stanziati sulla costa hanno come attività principale il commercio, quelli dell’entroterra sono caratterizzati dalla coltivazione del riso e dall’uso dell’aratro tirato dai bufali, oppure dalla caccia e dalla raccolta (negritos), mentre gli abitanti delle montagne ricorrono per la sussistenza a un’orticoltura rotatoria alla zappa. Notevoli differenze sono riscontrabili sia sul piano dell’organizzazione sociale sia su quello delle appartenenze religiose. I gruppi maggioritari di Giava, Bali e Sumatra, dalla tecnologia assai avanzata, hanno sviluppato un sincretismo religioso e culturale con l’induismo e con l’Islam che ha prodotto tra l’altro forme raffinate di arte (teatro, danza, musica) e di letteratura. I gruppi di coltivatori quali i batak, i bontok, i dayak, gli iban, gli ifugao, gli ibaloi, i nias vivono di solito in villaggi protetti da palizzate e sono dotati di molte armi di difesa. Tra loro sono diffusi la caccia alle teste, l’uccisione rituale, il cannibalismo, il consumo del betel nonché numerose pratiche connesse ai riti di passaggio che hanno lo scopo di modificare il corpo (tatuaggi, mutilazioni, circoncisione, limatura e avulsione dei denti ecc.). La proprietà della terra è della famiglia nucleare o della famiglia estesa; benché alcune popolazioni, come per es. i dayak, alloggino in abitazioni collettive, queste non rappresentano entità politiche o economiche bensì unità che sono connesse al territorio sulla base di legami costruiti intorno all’attività rituale.
Le popolazioni dell’I. parlano lingue del ramo indonesiano della famiglia maleo-polinesiana. I negritos (semang, sakai, jakudn), popolazioni pigmoidi delle zone delle foreste interne della Malacca, utilizzano lingue che derivano in parte dalla famiglia mon-khmer e in parte dalla lingua delle Andamane.
L’occupazione giapponese delle Indie Olandesi (➔ Indie) durante la Seconda guerra mondiale diede l’impulso finale alla lotta nazionale e il 17 agosto 1945, poco dopo la resa del Giappone, A. Sukarno, leader del partito nazionalista di I., proclamò l’indipendenza delle isole di Giava, Sumatra e Madura, cui gli Olandesi opposero ripetuti tentativi di far sorgere regimi separatisti un po’ dovunque, fino al ricorso alle armi (1947). Ma la guerriglia incessante, l’atteggiamento minaccioso dei governi asiatici (soprattutto di quello indiano) e l’intervento del Consiglio di sicurezza dell’ONU indussero il governo dell’Aia ad abbandonare la partita. Dapprima unita ai Paesi Bassi come Repubblica confederale nel quadro di un’Unione olandese-indonesiana (1949) con a capo dello Stato Sukarno, l’I. si staccò del tutto dalla ex madrepatria nel 1956, costituendosi in Repubblica unitaria.
Il nuovo Stato ebbe subito vita agitata: l’estremo spezzettamento dell’arcipelago, con isole tanto ampie da creare in ciascuna il senso di una propria individualità statale, fu alla base di varie ribellioni, che sarebbero poi state un elemento costante della vita del paese; più grave fu la guerriglia promossa dal Darul Islam, un movimento musulmano di estrema destra che mirava alla formazione di uno Stato teocratico.
Nella prima Camera dei deputati nessun partito ebbe la maggioranza assoluta e fu giocoforza ricorrere a gabinetti di coalizione tra i due principali partiti, il Nazionalista di tendenze laiche e radicali e il Masjumi musulmano. I loro opposti programmi resero ben presto impossibile la collaborazione, impedendo lo svolgimento di una politica coerente e a lunghe prospettive e tenendo il paese sotto la permanente minaccia di gesti di forza. Per uscire dalla situazione di cronica crisi, nel 1957 Sukarno avviò un regime di ‘democrazia guidata’, assumendo gradualmente poteri dittatoriali e, dopo aver istituito la Repubblica presidenziale nel 1959, nel 1963 si proclamò presidente a vita appoggiandosi al forte Partito comunista indonesiano, cui aprì l’ingresso nel governo nel 1964; contemporaneamente, decise la fuoruscita dall’ONU (1965; l’I. vi rientrerà l’anno successivo) e strinse rapporti sempre più forti con la Cina.
Un fallito tentativo di colpo di Stato nel 1965 da parte dei comunisti offrì ai militari l’occasione per prendere il potere, porre fuori legge i comunisti e scatenare una sanguinosa repressione. Sukarno fu destituito e divenne capo del governo il generale Suharto, il quale dal 1968 fu più volte eletto presidente della Repubblica. Suharto diede vita a un regime relativamente dinamico dal punto di vista economico, ma autoritario e corrotto: la sua politica liberista, pur contribuendo allo sviluppo del paese, fu improntata a un aperto nepotismo, oggetto di critiche sia all’interno, dove proprio la crescita economica aveva favorito l’espansione di un vasto ceto medio attivo nelle richieste di democratizzazione del paese, sia all’estero. Nel 1998, in seguito a un’ondata di proteste popolari brutalmente represse e alle pressioni internazionali, anche per la violazione dei diritti umani, Suharto fu infine costretto a dimettersi e fu sostituito dal vicepresidente B.J. Habibie, che indisse le prime elezioni democratiche.
Il passaggio a un regime democratico fu complesso. Sanguinosi scontri interetnici e interreligiosi scoppiarono in tutto il paese provocando centinaia di vittime. Particolarmente grave fu la situazione verificatasi a Timor Est (➔), ex colonia portoghese annessa unilateralmente dall’I. nel 1976, dove i moti indipendentistici e la loro repressione costarono la vita a quasi un terzo della popolazione. Le elezioni presidenziali sancirono la vittoria del leader musulmano moderato A. Wahid, che cercò di promuovere una politica di riconciliazione nazionale. Gli scarsi successi sul piano economico e il riesplodere delle violenze etniche e religiose, particolarmente nelle Molucche tra musulmani e cristiani, e la guerriglia secessionista nella regione di Aceh nel 2001 lo costrinsero a dimettersi. Gli subentrò D.P. Megawati Setiawati Sukarnoputri (detta Megawati), figlia di Sukarno, già vicepresidente e leader del Partito democratico indonesiano di lotta, raggruppamento moderato di nazionalisti e cristiani vincitore alle elezioni legislative del 1999.
La scarsa incisività del governo e la recrudescenza degli scontri tra esercito e movimenti indipendentisti nella provincia di Aceh e nella parte occidentale della Nuova Guinea, che comunque ottenne una maggiore autonomia interna, provocarono una crescente sfiducia nei confronti di Megawati; la sua popolarità risentì inoltre dell’incerta posizione assunta nei confronti del terrorismo islamico, che nell’ottobre 2002 mise a segno nell’isola di Bali il primo di una serie di sanguinosi attentati, proseguita negli anni successivi mentre nel paese cresceva la protesta antioccidentale.
Nelle consultazioni elettorali del 2004, il partito di governo ebbe un drastico calo dei consensi e fu superato dal Golkar, il partito dell’ex dittatore Suharto. Le elezioni presidenziali furono vinte dal leader del nuovo Partito democratico S. Bambang Yudhoyono, subito chiamato a fronteggiare le conseguenze dello tsunami del dicembre 2004. Un successo della sua presidenza è stata la firma (2005) di un accordo di pace con i guerriglieri secessionisti di Aceh, che ha in seguito prodotto una demilitarizzazione della regione e consentito lo svolgimento delle prime libere elezioni locali (2006). Nel 2009, nelle consultazioni per eleggere i 560 deputati, la camera delle regioni e le assemblee regionali e distrettuali, il Partito democratico di Bambang Yudhoyono ha nuovamente conquistato la maggioranza dei voti, riportando invece una netta sconfitta nelle consultazioni svoltesi nell'aprile 2014, alle quali ha ottenuto solo il 9,6% dei consensi, mentre si è attestato come primo partito del Paese il Partito democratico indonesiano di lotta di Sukarnoputri (PDI-P), con circa il 19% dei consensi, seguito dal Golkar (14,3%) e dal Gerindra (Great Indonesia Movement Party), all’11,7%. Le elezioni presidenziali svoltesi nel luglio 2014 hanno registrato la vittoria di J. Widodo, governatore di Giacarta, che si è imposto con il 53% delle preferenze sull'avversario P. Subianto; subentrato nel mese di ottobre al presidente uscente Bambang Yudhoyono, è stato riconfermato per un secondo mandato alle presidenziali dell'aprile 2019.
In politica estera, nel dicembre 2022, dopo oltre un decennio di trattative, il Paese ha raggiunto con il Vietnam un accordo sulla delimitazione della rispettiva zona economica esclusiva (ZEE)
Nell’I. sono stati censiti oltre 700 idiomi, appartenenti per lo più al gruppo austronesiano. Vantano una solida tradizione letteraria la giavanese (➔ Giava), quindi la malese (➔ Malesia), con influenze culturali arabo-persiane e anche indiane. Il malese, modificato nella struttura e latinizzato nell’alfabeto, è stato proclamato lingua nazionale nel 1945 come lingua ufficiale con il nome di bahasa Indonesia. Era già il mezzo d’espressione della nascente moderna letteratura per opera del ‘Balai Pustaka’ (1920-33), l’editrice coloniale olandese, con numerosi romanzi di carattere sociale. Fra gli autori, tutti sumatrani, nati alla fine del 19° sec., spiccano A. Muis, Marah Rusli e Merari Siregar. Nel periodo successivo, dominato dalla rivista Pudjangga Baru («Il nuovo letterato», 1933-42), fiorisce una lirica d’influenza europea (ispirata ai poeti nederlandesi), mentre la lingua cerca di modernizzarsi nel lessico e nello stile. Il poeta di maggior prestigio è A. Hamzah, ispirato a una profonda religiosità di valore universale. Notevole nello stesso periodo il romanzo psicologico Belenggu («Catene», 1940) di A. Pane. Dopo l’indipendenza si misero in luce il prosatore Idrus e il poeta espressionista C. Anwar, le cui raccolte uscirono postume (1949) l’anno della sua morte (Deru campur debu «Chiasso misto a polvere»; Kerikil tajam. Yang terampas dan yang putus «Sassi aguzzi. Ciò che è stato saccheggiato e spezzato»). Nel folto panorama degli ultimi decenni del 20° sec. ricordiamo, tra i poeti, S. Situmorang e, soprattutto, Rendra, inviso alle autorità per la sua poderosa poesia di protesta sociale. Tra i prosatori spiccano I. Simatupang, cui va il merito di aver recepito il discorso del nouveau roman, P.A. Toer, che primeggia con i suoi grandi romanzi storici, M. Lubis; Ramadhan K.H., che in Ladang Perminus («Il campo della P.», 1990) denuncia la corruzione del mondo imprenditoriale e politico-amministrativo, la scrittrice N. Dini. E ancora il poeta e novellista U. Kayam, B. Darma, P. Wijaya. Grande risonanza ha avuto Pengakuan Pariyem («Le confessioni di P.», 1981), romanzo in prosa lirica, vero e proprio compendio di cultura giavanese, opera del poeta L. Suryadi AG. Profondamente giavanese è anche la natura di varie opere del gesuita Y.B. Mangunwijaya. Non deve essere trascurato, infine, il filone della letteratura dell’assurdo, il cui rappresentante più conosciuto è Danarto.
L’antichità del popolamento nel territorio indonesiano è attestata dai resti di Homo erectus, vissuto oltre mezzo milione di anni fa, rinvenuti a Giava (➔).
Tra le culture megalitiche dell’Asia sud-orientale si possono differenziare due principali fasi che legano il mondo indonesiano con il Neolitico e le età dei metalli dell’Indocina e della Cina meridionale. La prima (stile monumentale), iniziata probabilmente già nel tardo Neolitico (2° millennio a.C.), presenta dolmen, menhir, sculture litiche, con scarsi motivi decorativi di tipo geometrico molto semplificato, ed è rappresentata forse dai resti di antiche figure litiche di antenati di Giava e Sumatra. La seconda, che si esprime in un tipo di decorazione fitta e ricca di motivi curvilinei (stile ornamentale), è in rapporto con le culture indocinesi dell’età del Bronzo di Dong-son e in alcuni casi (Borneo centrale, Flores centrale) con la produzione metallurgica della Cina dei tardi Chou. Introdotto in I. prima degli inizi della nostra era insieme all’oreficeria, alla tessitura (ikat), a nuovi tipi di abitazione (con copertura a sella e a forma di barca), all’imbarcazione a tavole, a nuovi riti religiosi e d’inumazione (sepolture in urne, in tombe e lastre litiche), tale stile, ritrovato su oggetti rituali e di uso comune, è ancora oggi adottato dalla maggior parte delle popolazioni indonesiane di interesse etnologico (Batak di Sumatra, tribù delle isole Mentawai, di Borneo centrale, Celebes, Molucche, Flores, Sumba, Tanibar, Mindanao).
Fin dai primi secoli dopo Cristo la cultura indiana si è irradiata verso l’I., ma i primi resti monumentali che documentano questo stretto rapporto datano al 7° secolo. A partire da quest’epoca fino al sopravvento della religione islamica (15° sec.) l’arcipelago indonesiano (con esclusione di Bali), insieme alle manifestazioni artistiche d’interesse etnologico, produce un’arte profondamente indianizzata come spirito religioso, tipologia edilizia, simbolismo iconografico, ma nello stesso tempo tipicamente autonoma nella sobrietà e armonia delle proporzioni, nella ricchezza inventiva e nell’amore per le rappresentazioni naturali. Si tratta di una graduale evoluzione che può essere distinta in due periodi: quello di Giava centrale o indo-giavanese (sec. 7°-10°) e quello di Giava orientale (sec. 10°-18°), nel cui ambito si muovono sia la produzione artistica di Sumatra, sia quella di Bali.
A Bali l’arte induista, proseguita fino all’epoca odierna, permette un esame degli edifici cultuali di legno (meru), delle pitture e degli altri manufatti in materiale deperibile che sono altrove scomparsi. È la dinastia degli Śailendra (sec. 7°-9° d.C.), buddhisti, a dare un grande impulso alle costruzioni religiose nella zona di Giava centrale, anche se non mancano in quest’epoca templi induisti (altopiano di Dieng). Pianta quadrata che talvolta, per gli avancorpi alla metà dei lati, può diventare a croce greca, alzato a piani sovrapposti degradanti, archi e modellini dello stesso edificio usati con funzione decorativa contraddistinguono i santuari (candi) eretti in quest’epoca (candi Pawon, Mendut, Kalasan, Barabuḍur, Sewu) e ispirati in gran parte a quelli indiani di Mahabalipuram. Spesso gli stūpa, nella cupola a campana sovrastata da un elemento terminale slanciato e posta su un tamburo cilindrico, richiamano quelli ceylonesi. Modanature e cornici accentuano le scansioni orizzontali, l’ornamentazione scultorea ha un forte senso dell’equilibrio compositivo e del contrasto luministico. Alla decorazione fitomorfica e zoomorfica di tipo indiano (ghirlande, fogliame, kāla, makara) si aggiungono elementi derivati dalla flora e dalla fauna indonesiana. Le figure umane, pur nella morbidezza della posa tratta dagli stili indiani (di Amarāvati, Gupta, post-Gupta e poi Pāla e Sena), hanno qualcosa di idealizzato, con un vivo senso di armonia delle proporzioni (Lokeśvara di Bimgin, museo di Giacarta; statue rinvenute nel Borneo e a Sumatra; bassorilievi dal Barabuḍur).
I monumenti costruiti nella regione orientale di Giava dopo l’abbandono di quella centrale (periodo di Giava orientale) conservano lo stile precedente, pur con molte innovazioni. Prevalgono edifici cultuali induisti, spesso funerari (candi Kidal, candi Jago, candi Singhasāri); si usa il mattone cotto e si ha uno sviluppo in altezza e un minor aggetto delle scansioni orizzontali (complesso di Panataram, candi Saventar, candi Jabung a Giava; complesso di Muara Jambi, Muara Takus, di Padang Lawas a Sumatra). Le piscine sacre hanno nuovo rilievo (piscine reali di Jalatunda, di Belahan, del candi Tikus); compaiono nuovi tipi di aperture: le porte ‘tagliate’ e quelle coperte da una tettoia presenti anche nella più tarda produzione di Bali (templi di Sangsit, Bangli, Batur, Kesiman). Nelle sculture scompaiono alcuni elementi ornamentali indiani (makara) e prevalgono gli elementi locali. Compare una maggiore animazione degli atteggiamenti (Herukā danzante di Bahal II, basamento del santuario di Pulo, Sumatra), una durezza talvolta terrifica nei volti (Rākṣasa vicino all’ingresso dei templi; Bhairava del museo di Leida) ed è data maggiore preminenza al paesaggio, forse anche per influsso cinese.
L’islam, diffusosi dal 15° sec., rigidamente aniconico, fa scomparire la decorazione con figure umane, ma conserva tipi di ornamentazione ed elementi architettonici indo-buddhisti (minareto di Kudus, moschea di Sendang Duwur). Le moschee e i palazzi reali (kraton), in legno, mantengono le tipologie locali (kraton di Diokjakarta e di Surakarta) che si ritrovano nella contemporanea architettura induista di Bali. Fioriscono le arti minori: sculture e bassorilievi lignei, oggetti di metallo e armi (kris), tessuti (ikat, batik), marionette del teatro delle ombre (wayang kulit), che, insieme alle tipologie e ai motivi decorativi fitomorfi e alla stilizzazione tipicamente indigeni, mostrano la presenza di antichi motivi indo-buddhisti (fior di loto, Garuḍa) e cinesi (fenice, profili di nuvole), con una sopravvivenza delle decorazioni già in uso nella preistoria (spirali di Dong-son).
Benché fin dagli inizi del 17° sec. gli Olandesi abbiano posto le loro basi a Giava e costruito una città, Batavia (Giacarta), sul modello europeo, inizialmente gli influssi artistici europei non sono rilevanti (elementi barocchi in alcune sculture lignee di Giava, decorazione di ikat da Sumba, impugnature di kris da Madura). Nei sec. 19° e 20° assistiamo invece a un rifiorire, sotto l’influsso occidentale, dell’arte dell’I., specie della pittura, che ha saputo unire, in felice sintesi, la sensibilità locale al volume, al colore, all’armonia della composizione con l’apporto occidentale. Nel 19° sec. il pittore R. Saleh (Sjarif Bustaman), seguendo gli insegnamenti dell’olandese Payen, si ispirò al romanticismo; successivamente Abdullah e Wakidi interpretarono, in tono minore, il tipico paesaggio dell’Indonesia. Con S. Sudjojono, fondatore (1937) della prima associazione artistica indonesiana («Persagi»), si raggiunge una vera autonomia creativa. K. Affandi, Rusli, O. Affandi sono pittori noti per avere unito con originalità modi occidentali moderni all’antica tradizione locale.
Nell’architettura, in cui si sono affermate le più moderne tendenze internazionali (riassetto urbanistico di Giacarta e Bandung), si è cercato di conservare, specie negli interni, l’interesse per il particolare, per l’armonia strutturale, per la consonanza con il gusto indonesiano tradizionale.
Gli unici centri dell’I. in cui si sono sviluppate significative tradizioni musicali sono le isole di Giava e di Bali. In entrambe si individua un’armonia impostata su due scale pentatoniche: pelog (femminile) e slendro (maschile). Gli strumenti prevalentemente usati sono idiofoni (gong, metallofoni, xilofoni). Caratteristico è anche l’uso sistematico di orchestre (gamelan) con organici abbastanza numerosi e, poiché gli strumenti utilizzati hanno suono fisso, si impone l’impiego di orchestre diverse per l’esecuzione secondo le scale pelog o slendro.