In generale, l’ingresso e l’insediamento, in un paese o in una regione, di persone provenienti da altri paesi o regioni. Insieme con la corrispondente emigrazione rientra nel fenomeno più ampio delle migrazioni internazionali e interne (➔ migrazione).
A partire dagli anni 1970 in molti paesi industrializzati, in cui la popolazione non cresce più o addirittura diminuisce, si è verificata una massiccia i. da paesi sottosviluppati in molti dei quali, al contrario, l’incremento demografico prosegue con ritmo veloce. Tale fenomeno ha interessato gli Stati Uniti e diversi paesi dell’Europa occidentale, in particolare la Germania (il paese di maggiore i. dell’UE), la Spagna, l’Italia, la Francia e la Gran Bretagna; in totale, nel gennaio 2020 gli individui nati al di fuori dell'UE ammontavano a 37 milioni, pari all'8,3% della sua popolazione (dati Commissione europea).
L’Italia si è trasformata rapidamente, a partire dagli ultimi decenni del 20° sec., da tradizionale paese di emigrazione verso l’America e l’Europa settentrionale in meta di flussi provenienti dall’Europa orientale, dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina. Quando ancora il paese alimentava un notevole flusso emigratorio, già rappresentava comunque una meta ambita da cittadini di aree arretrate, perché vi si andavano consolidando un’economia industriale e una società del benessere, ma soprattutto per una politica di i. che fino a tempi recentissimi è stata assai meno restrittiva di quelle adottate dalla maggior parte degli altri Stati dell’Europa occidentale. Ulteriore elemento favorevole nei confronti del fenomeno immigratorio sarebbe poi la diffusione in Italia dell’economia sommersa, che alimenta un mercato del lavoro svincolato da qualunque regola. Successivamente è però apparsa sempre più evidente l’attrazione esercitata da tutta una serie di segmenti dell’economia italiana che incontrano difficoltà nel reclutare manodopera locale, specie quando si tratta di svolgere mansioni a bassa qualificazione e di scarso prestigio sociale; al tempo stesso, gli elevati livelli di benessere diffusi nella società italiana, conosciuti attraverso la televisione, hanno stimolato le aspirazioni di mobilità sociale di molti potenziali migranti dai paesi della riva sud del Mediterraneo e dell’Europa orientale.
Se si eccettuano casi particolari (come quello dei Cinesi presenti a Milano fin dall’inizio del Novecento), i primi arrivi di lavoratori da paesi a forte pressione migratoria risalgono alla fine degli anni 1960, mentre un certo consolidamento dei flussi si è avuto nel corso dei due decenni successivi. Si trattava di manodopera destinata a occupare specifiche nicchie del mercato del lavoro, come le attività ittiche in Sicilia (il primo flusso consistente di immigrati extraeuropei è stato quello dei Tunisini affluiti nel 1968 in Sicilia per colmare i vuoti creati dall’esodo rurale verificatosi nella valle del Belice dopo il terremoto), il lavoro domestico nelle grandi città, la vendita ambulante nelle località balneari. Successivamente l’i. si è ampliata e diversificata, interessando molti Stati africani (oltre alla Tunisia, Marocco, Egitto, Senegal, Capo Verde, Etiopia, Somalia, Madagascar) e anche asiatici (Filippine, Srī Laṅka, India) e latino-americani. Dagli ultimi anni 1980, al flusso di extraeuropei si è aggiunto, crescendo a ritmo elevato, quello proveniente dai paesi dell’Europa orientale, aumentato del 14% dal 2000 al 2006. La Romania si colloca al primo posto con oltre 600.000 presenze. Limitandosi a considerare i paesi a forte pressione migratoria, la graduatoria delle provenienze più numerose comprende, nell’ordine: Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina, Filippine, Moldavia, Tunisia, India, Polonia.
Benché il numero di stranieri residenti in Italia sia ancora notevolmente inferiore, in termini sia assoluti sia percentuali sulla popolazione autoctona, a quello registrato nei maggiori paesi europei (➔ migrazione), esso è costantemente in crescita e al gennaio 2021 ha raggiunto la cifra di 5.013.215 cittadini stranieri immigrati (dati Istat); d’altro canto l’Italia si colloca, insieme alla Spagna e dopo la Germania, ai primi posti quanto a incremento annuo di immigrati.
Benché il lavoro resti la motivazione prevalente dell’i., i dati di flusso documentano l’aumento degli arrivi per ragioni di ricongiungimento familiare, conformemente agli orientamenti europei e internazionali. Col passare del tempo si è anche manifestata una tendenza al riequilibrio nella composizione per genere della popolazione immigrata (le donne rappresentano circa il 50% degli stranieri presenti) e un deciso incremento del peso percentuale delle classi d’età più giovani – in particolare quella da 0 a 18 anni –, collegato alla stabilizzazione della presenza. I minori costituiscono più del 20% della popolazione straniera, di cui oltre la metà è nata in Italia.
L’i. interessa tutta Italia, raggiungendo la massima concentrazione nel Nord (2/3); negli agglomerati metropolitani prevale la presenza di immigrati a Roma e Milano, seguite da alcune città portuali (Genova, Bari). L’inclusione degli immigrati nel sistema produttivo rispecchia gli squilibri territoriali nei livelli di sviluppo del paese, le specificità produttive locali e la scarsa propensione della manodopera italiana, ancorché disoccupata, a svolgere attività considerate scarsamente remunerative e qualificanti. Gli immigrati sono talora arrivati, e spesso rimasti, in condizioni di clandestinità e svolgono lavori umili e aleatori, al di fuori di ogni controllo. Una discreta aliquota è formata da donne. Per converso, l’occupazione regolare degli stranieri è andata crescendo nel tempo, grazie anche a interventi di regolarizzazione, e risulta concentrata soprattutto in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Lazio.
La forza lavoro straniera è impiegata per il 40% nell’industria e il 55% nel terziario, il restante nell’agricoltura. I lavoratori immigrati trovano collocazione prevalentemente nel lavoro domestico e di assistenza domiciliare, nell’edilizia, nelle pulizie industriali e nelle altre mansioni di servizio a bassa qualificazione (specie nel comparto turistico-alberghiero), nei rami metalmeccanico e siderurgico, oltre che in alcune attività del settore primario (raccolta di frutta e verdura, allevamento bovino), anche con rapporti di tipo stagionale. Solo una sparuta minoranza di immigrati raggiunge posizioni di elevata qualificazione, nonostante la diffusione dei livelli di studio medio-alti. Decisamente in crescita è invece il lavoro autonomo tra gli immigrati. Secondo le indagini previsionali, in corrispondenza di determinati mestieri e settori (in particolare l’edilizia e i servizi di pulizia) le assunzioni di stranieri coprono una percentuale altissima del totale dei nuovi avviamenti, dove gli andamenti demografici fanno apparire l’afflusso di manodopera d’importazione praticamente indispensabile per la sostituzione delle maestranze che raggiungono l’età del pensionamento. L’i. tende pertanto ad apparire funzionale agli interessi del sistema produttivo, anche se ciò non trova riscontro in misure adeguate per favorire l’integrazione: un’altissima quota di immigrati vive in condizioni disagiate, soprattutto dal punto di vista abitativo, mentre le indagini campionarie registrano una netta involuzione dell’atteggiamento degli Italiani nei confronti degli stranieri, determinata in buona parte dalla tendenza a vedere nella loro presenza la principale causa dell’aumento della microcriminalità e dell’insicurezza urbana.
La l. 39/1990 (nota come legge Martelli), ha rappresentato, nel quadro di una situazione di emergenza, il primo tentativo in Italia di una organica risoluzione dei problemi connessi all’i., ma la complessiva e rapida evoluzione del fenomeno migratorio e il ritardo nel processo di integrazione degli immigrati hanno presto imposto una più ampia e articolata regolamentazione della materia, che è stata dettata dalla l. 40/1998. In seguito, in attuazione della delega prevista da tale legge, le diverse disposizioni vigenti in materia di stranieri sono state riunite e coordinate tra loro nel testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’i. e norme sulla condizione dello straniero, approvato con il d. legisl. 286/1998. È stata così realizzata una disciplina di carattere generale dell’i. e della condizione dello straniero (a eccezione del diritto di asilo costituente oggetto di un separato disegno di legge), disciplina che è stata integrata da un articolato regolamento di attuazione emanato con d.p.r. 394/1999. Tale disciplina ha anzitutto mirato a disciplinare l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel paese (nel rispetto degli impegni assunti con la partecipazione dell’Italia all’accordo di Schengen sulla libera circolazione e sull’abolizione delle frontiere nazionali), subordinando il primo al possesso di mezzi sufficienti per la durata del soggiorno (a eccezione del soggiorno per lavoro), e consentendo il secondo ai titolari di permesso di soggiorno, da richiedersi al questore entro 8 giorni dall’ingresso, o della carta di soggiorno che, rilasciata a chi vive in Italia da almeno 5 anni – e rifiutata in caso di rinvio a giudizio o di condanna anche non definitiva a pene della durata da 3 a 5 anni – permette allo straniero l’ingresso o il reingresso nel paese in esenzione dalle norme sul visto, e offre la possibilità di svolgere attività consentite e di accedere ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione. La normativa delineata dalla l. 40/1998 ha anche indicato alcuni principi volti alla programmazione di una politica di ingressi legali, stabilendo annualmente, con un decreto, le quote di ingresso degli stranieri iscritti in liste di prenotazione redatte nei paesi di origine secondo il criterio dell’anzianità di iscrizione, con priorità riservata a coloro che provengono da Stati legati da accordi specifici con l’Italia, oppure mediante chiamata nominativa da parte dei datori di lavoro o anche, in base alla possibilità riconosciuta a un cittadino italiano o straniero regolarmente residente, come pure a enti e ad associazioni di volontariato operanti da almeno 3 anni, di farsi garante dell’ingresso di uno straniero per consentirgli l’inserimento nel mercato del lavoro, facendosi carico dell’alloggio, del sostentamento e dell’assistenza sanitaria. Inoltre, per contrastare il fenomeno dell’i. clandestina, la l. 40/1998 (l’art. 12 del d. legisl. 286/1998) ha previsto la reclusione fino a 3 anni, con multa fino a 30 milioni di lire) per chiunque svolga attività dirette a favorire l’ingresso di stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni contenute nella medesima legge, escludendo d’altra parte che, pur nel rispetto della disciplina dello «stato di necessità» (art. 54 c.p.), costituiscano reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato.
A riforma di tale normativa il legislatore è nuovamente intervenuto con la l. 189/2002 (nota come legge Bossi-Fini), che ha vincolato il permesso di soggiorno all’esistenza di un contratto di lavoro (con l’obbligo di lasciare il paese sei mesi dopo il mancato rinnovo del contratto) e ha introdotto l’espulsione immediata degli stranieri privi del permesso di soggiorno, nonché l’arresto per i clandestini fermati dopo due intimazioni. Oltre a prevedere la possibilità di regolarizzare la posizione delle collaboratrici domestiche (una per famiglia) e delle cosiddette badanti, immigrati (per lo più donne) che assistono a domicilio malati e anziani, la l. 189/2002 ha introdotto il reato di favoreggiamento e sfruttamento dell’i. clandestina, ampliando l’ambito di applicazione della fattispecie con la previsione di condotte concernenti l’ingresso illegale in territorio di altro Stato, e precisando la descrizione delle condotte punibili. In particolare, a seguito delle intervenute modifiche, l’art. 12 del d. legisl. 286/1998, ha previsto due autonome ipotesi di reato: a) il reato di favoreggiamento all’i. clandestina, destinato a colpire coloro che compiano atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato di uno straniero, ovvero diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente; b) il reato di sfruttamento dell’i. clandestina, destinato a colpire coloro che, al fine di trarre profitto, anche indiretto, compiano atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato di uno straniero, ovvero diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente. La relativa sanzione consiste nella reclusione da 4 a 15 anni e nella multa di 15.000 euro per ogni persona (art. 12, co. 3, d. legisl. 286/1998).
Fino al 2009 la presenza dello straniero nel territorio italiano integrava una violazione punibile ai sensi della normativa amministrativa, mentre costituiva reato il favoreggiamento all’immigrazione. Nel disegno di legge sulla sicurezza proposto nel 2009 l’i. clandestina costituisce reato punibile con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, secondo la stesura iniziale del testo, e con la multa da 5.000 a 10.000 euro, secondo la versione definitiva della proposta di legge. È prevista, inoltre, l’applicazione della pena accessoria dell’espulsione, la cui valutazione è rimessa alla competenza del giudice di pace, sia congiuntamente alla pena dell’ammenda sopra indicata, sia nell’ipotesi del mancato pagamento di questa.
Il diritto allo studio dei cittadini stranieri è regolato dal Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’i. e norme sulla condizione dello straniero (d. legisl. 286/98). Ai minori stranieri presenti sul territorio si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica e sono soggetti all’obbligo scolastico. L’effettività del diritto allo studio è garantita dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali anche mediante l’attivazione di appositi corsi e iniziative per l’apprendimento della lingua italiana. A questo proposito le istituzioni scolastiche, nel quadro di una programmazione territoriale degli interventi, anche sulla base di convenzioni con le Regioni e gli enti locali, promuovono: a) l’accoglienza degli stranieri adulti regolarmente soggiornanti mediante l’attivazione di corsi di alfabetizzazione nelle scuole elementari e medie; b) la realizzazione di un’offerta culturale valida per gli stranieri adulti regolarmente soggiornanti che intendano conseguire il titolo di studio della scuola dell’obbligo; c) la predisposizione di percorsi integrativi degli studi sostenuti nel paese di provenienza al fine del conseguimento del titolo dell’obbligo o del diploma di scuola secondaria superiore; d) la realizzazione ed attuazione di corsi di lingua italiana; e) la realizzazione di corsi di formazione anche nel quadro di accordi di collaborazione internazionale in vigore per l’Italia.
Le Regioni, anche attraverso altri enti locali, promuovono invece programmi culturali per i diversi gruppi nazionali, anche mediante corsi effettuati presso le scuole superiori o gli istituti universitari.
Vedi anche: emigrazione, immigrazione e libera circolazione