Uno dei continenti, congiunto con l’Eurasia mediante l’istmo di Suez fino all’anno 1869, quando l’istmo fu tagliato per la costruzione del canale omonimo.
Originariamente detta Libye (lat. Libya), l’A. cominciò a essere considerata un continente a parte solo a partire dal 4° sec. a.C. Più tardi, per influenza romana, prevalse il nome Africa, usato dai Romani per designare la parte nord-occidentale, con la quale erano in rapporti più frequenti. L’origine del nome è incerta. Secondo il grammatico latino Servio deriverebbe dal greco ᾿Αϕρίκη («senza freddo»); secondo lo storico greco Suida, sarebbe stato il nome proprio di Cartagine, che in lingua punica significherebbe «colonia», dalla radice semitica faraqa «dividere, separare»..
L’A. è separata nettamente dall’Asia, a S dell’istmo di Suez, dalla fossa tettonica occupata dal Mar Rosso, dal quale si accede all’Oceano Indiano; mentre le coste occidentali sono lambite dall’Oceano Atlantico. L’A. è quindi decisamente isolata da ogni altra terra emersa, pur non costituendo un’unità naturale a sé stante. Essa ha evidenti legami geografico-fisici con l’Europa e l’Asia: le catene dell’Atlante, per es., non sono altro che la prosecuzione, oltre lo Stretto di Gibilterra, della Cordigliera Betica, a sua volta apparentata con i rilievi terziari eurasiatici; sempre dal punto di vista della struttura e della morfologia, e inoltre da quello bioclimatico, l’A. non termina al Mar Rosso, ma continua con la Penisola Arabica. Elemento di congiunzione non meno efficace con l’Eurasia è il Mediterraneo, che determina condizioni climatiche comuni a gran parte delle fasce costiere affacciate su di esso e a lembi più o meno profondi del suo retroterra.
I punti estremi dell’A. sono segnati a N dal Capo Bianco (37°21′ lat. N) nel Mediterraneo, a O dal Capo Verde (17°33′ long. O Gr.) nell’Atlantico, a S dal Capo Agulhas (34°52′ lat. S) presso il Capo di Buona Speranza, a E dal Capo Xaafuun (51°23′ long. E Gr.) nel Corno d’Africa. Fra questi punti l’A. si stende per circa 8100 km in lunghezza e 7400 in larghezza; nel suo insieme misura 30.309.495 km2 (un quinto delle terre emerse), con le isole che la circondano: gli arcipelaghi di Madera, delle Canarie, del Capo Verde, del Golfo di Guinea, Ascensione, Sant’Elena e Tristan da Cunha nell’Atlantico; Madagascar, di gran lunga la più vasta, e gli arcipelaghi delle Mascarene, delle Comore, delle Seychelles, di Socotra, Zanzibar, Pemba e Mafia nell’Oceano Indiano; l’arcipelago delle Dahlak nel Mar Rosso. Per circa due terzi la sua superficie è situata nell’emisfero boreale e solo per un terzo in quello australe. La posizione simmetrica rispetto all’equatore fa sì che l’A. si estenda in zone tropicali e temperate calde: circa il 75% dell’area totale è compresa fra i due tropici e quindi nella zona torrida; circa il 17% rientra nella zona temperata settentrionale e soltanto l’8% in quella temperata meridionale.
L’A. è povera di articolazioni, in singolare contrasto con le altre parti del Mondo Antico: isole e penisole formano appena il 2% della superficie complessiva (Europa: 35%). Le rientranze più notevoli sono il Golfo di Guinea e le due Sirti. Le coste hanno uno sviluppo di 27.630 km (Mediterraneo 5250, Oceano Atlantico 10.840, Oceano Indiano 8580, Mar Rosso 2960) e sono generalmente compatte, unite, poco adatte all’insediamento umano, ora perché alte, scoscese e importuose, ora perché basse, paludose e malsane, chiuse da formazioni di mangrovie, ora perché desertiche o fronteggiate da scogliere coralline. La piattaforma continentale è solitamente assai stretta: l’isobata di 1000 m corre molto vicina alla costa, tanto che si può ben dire che l’A. s’innalza bruscamente dalle profondità abissali.
Secondo quanto riferisce Erodoto, fin dal 6° sec. a.C. i Fenici conoscevano parte delle coste africane dell’Atlantico, del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano. Dati più copiosi rimangono del viaggio del cartaginese Annone (5° sec. a.C.) lungo le coste occidentali dell’A. fino al Golfo di Guinea. Nonostante la colonizzazione greca della Cirenaica, la conquista macedone dell’Egitto e l’occupazione romana della Mauritania, le conoscenze degli antichi erano limitate, e vaghe e confuse erano le notizie intorno alla regione sorgentizia del Nilo. Ma già con la conquista araba, a partire dalla metà del 7° sec. d.C., sia per l’intensificarsi dei traffici sia per i viaggi compiuti nell’interno da alcuni viaggiatori (il più importante fu Ibn Baṭṭūṭa), le cognizioni si accrebbero, come si può anche desumere dalle descrizioni di Leone Africano, che percorse diversi itinerari in zone desertiche. Sulle orme degli Arabi si spinsero mercanti europei come, nel 15° sec., il genovese A. Malfante (che giunse fino all’oasi di Tuat) e il fiorentino B. Dei (che sarebbe arrivato, primo europeo, a Timbuctù).
Sul finire del 12° sec. cominciarono le prime navigazioni lungo le coste atlantiche. Spedizioni genovesi riscoprirono alla fine del 13° sec. le Canarie (Isole Fortunate degli antichi) e più tardi Madera e le Azzorre. In seguito i Portoghesi, per impulso di Enrico il Navigatore, sorpassarono il temuto Capo Bojador (1434) e raggiunsero il Capo Bianco (1441) e la foce del Senegal (1445). A questi viaggi parteciparono il veneziano A. Da Mosto e il genovese A. Usodimare, che nel 1460 scoprì le isole del Capo Verde. Riconosciuta da D. Cão la foce del Congo (1484), nel 1487 B. Dias giunse al Capo delle Tempeste, ribattezzato Capo di Buona Speranza, e nel 1497 V. da Gama costeggiò l’A. orientale fino a Melinda: il profilo dell’A. era così ormai completamente conosciuto. Più difficile fu l’esplorazione dell’interno (fig. 2), per la struttura tabulare del rilievo, per la scarsa navigabilità dei fiumi, per il clima malsano, per gli ostacoli opposti dalle foreste pluviali e dal deserto, per l’ostilità degli abitanti. Uniche regioni abbastanza note alla fine del 15° sec. erano l’Egitto e l’Etiopia, dove si insediarono i Portoghesi (fino al 1632). Invece nel Congo e nell’Angola settentrionale si recarono nel 17° sec. numerosi missionari italiani, tra i quali emerge G.A. Gavazzi. Nel 1769 lo scozzese J. Bruce guidò una spedizione in Etiopia e Sudan alla ricerca delle sorgenti del Nilo. Alla fine del 18° sec., l’Associazione africana di Londra (fondata nel 1788) promosse i viaggi dello scozzese M. Park lungo il Niger (1795-97 e 1805), e del tedesco F. Hornemann, che dall’Egitto raggiunse il Niger passando per il Fezzan e il Bornu (1798-1801). Nel terzo decennio del 19° sec. il corso del Niger era noto nelle sue grandi linee, ma non l’alto bacino del Nilo. Nel 1857, R. Burton e J. Speke si spinsero dalla costa di fronte a Zanzibar verso O e scoprirono il Lago Tanganica. Speke si diresse poi a N e arrivò per primo al Lago Vittoria (1858), di cui, due anni dopo, scoprì l’emissario; nel 1864 S. Baker giunse al Lago Alberto, accertando che vi si immette l’emissario del Vittoria. Vanno poi ricordati i viaggi del tedesco H. Barth – il quale tra il 1850 e il 1855 esplorò il Ciad, il Baghirmi e il Bornu –, di G.A. Schweinfurth (1869-71), che visitò il Paese degli Zande, di C. Piaggia (1862-82), che percorse vaste regioni del Sudan orientale e dell’Etiopia nord-occidentale, e di G. Miani che, risalendo il Nilo (1859-60, 1867-72), giunse a un centinaio di chilometri dal Lago Alberto.
Più note le esplorazioni in A. australe del missionario inglese D. Livingstone (1840-73), che percorse il Kalahari e il Griqualand, rilevò il corso dello Zambesi (facendo conoscere le cascate Vittoria), scoprì i laghi Niassa, Bangueolo e Moero e raggiunse il Tanganica. L’esplorazione del bacino del Congo si deve soprattutto a H.M. Stanley, che compì tre viaggi (1871-73, 1874-77 e 1887-89); nel primo riuscì a rintracciare Livingstone e nel secondo discese il Congo fino alla foce. Esplorarono l’A. australe i portoghesi S. Porto (1852-54), che attraversò il continente da Benguela al Rovuma, e A.A. Serpa Pinto (1877-79), che andò da Benguela allo Zambesi. Le esplorazioni del 20° sec. hanno completato le conoscenze per il Sahara, la Dancalia e alcune regioni dell’Etiopia (l’alto bacino dell’Uebi Scebeli fu esplorato dal duca degli Abruzzi).
Geomorfologia. Le complesse vicende geologiche spiegano l’attuale fisionomia plastica dell’A., terra classica dei tavolati, ove il rilievo si mostra sotto forma di bordi rialzati, o di terrazzi e gradini, o di edifici vulcanici: un rilievo complessivamente incerto, in cui predominano appunto le forme tabulari, risultato di ripetuti cicli completi di erosione che hanno finito per ridurre, verso la fine del Terziario, quasi tutto il continente a un vasto penepiano, spesso così livellato da disorganizzare il drenaggio delle acque superficiali e sotterranee. Unica regione di corrugamento recente è quella dell’Atlante, le cui montagne, come si è detto, si continuano attraverso lo Stretto di Gibilterra, nei sistemi dell’Europa meridionale e poi in quelli dell’Asia; corrugamenti antichissimi sono, invece, quelli dell’estremità meridionale. L’altitudine media risulta di 750 m s.l.m. (Europa 340; Asia 960).
Nel continente africano si possono individuare sei grandi regioni naturali, diverse tra loro per condizioni morfologiche, climatiche, idrografiche e fitogeografiche: l’Atlante, il Sahara, il Sudan, l’A. equatoriale, l’A. orientale, l’A. australe. Un grande individuo morfologico caratterizza la prima regione: la catena dell’Atlante, originatasi nell’era terziaria. La sezione occidentale o marocchina, dalla forma di un gigantesco arco, è la più imponente per complessità di rilievi e arditezza di cime: qui, nell’Alto Atlante, si raggiunge la massima elevazione dell’intero insieme (Toubkal, 4165 m). L’Atlante algerino e tunisino è costituito dai due assi montani del Grande Atlante (o Atlante Sahariano) e del Piccolo Atlante (o Tell), con decorso nel senso dei paralleli e con interposto un vasto altopiano, arido e steppico. Tracce di glacialismo quaternario si incontrano in tutto il sistema, così come quelle di un vulcanismo attivo fino a epoca recente. Frequenti tuttora sono i fenomeni sismici, con effetti talvolta catastrofici.
Dal piede dell’Atlante e dal Mediterraneo a N, dalle rive dell’Oceano Atlantico a O e fino a quelle del Mar Rosso verso E si stende, interrotto soltanto dalla valle del Nilo, il Sahara, il deserto per antonomasia, vasto ben 9.000.000 km2, quasi un terzo della superficie complessiva africana. Verso S i suoi limiti sono meno netti, perché esso trapassa insensibilmente in regioni con climi tropicali sempre meno aridi: di solito si sceglie come limite la linea di piovosità media di 250 mm all’anno, che corre all’incirca sul parallelo di 15° N. Al mare, che con i suoi avanzamenti e ritiri ha qui depositato una spessa coltre sedimentaria, ma soprattutto all’azione degli agenti endogeni ed esogeni (specialmente il vento), il Sahara deve la molteplicità dei suoi aspetti. Ora affiorano rocce nude (hammada), ora è una congerie di sassi e di ciottoli (serir), ora sono sabbie (erg o edeien) a perdita d’occhio, modellate in dune, allineate in serie lunghissime e parallele. Non mancano rilievi, talvolta elevati e imponenti, come quelli dell’Hoggar e del Tibesti, di origine vulcanica. All’estrema penuria di precipitazioni (ma anche alla permeabilità del terreno e alla forte evaporazione) si deve la quasi totale mancanza di acque superficiali, presenti invece nelle oasi.
Il Sudan si estende senza confini ben definiti, dall’Atlantico al Nilo, tra il margine meridionale del Sahara e l’A. equatoriale (bacino del Congo): è un complesso di altopiani ondulati e di conche (quella del Lago Ciad è la maggiore), interrotto qua e là da qualche massiccio montuoso (Fouta Djalon, importante nodo idrografico, i monti Loma e Nimba e gli apparati vulcanici del Camerun, ove si raggiungono i 4100 m). Ben diversa è qui la morfologia: per le mutate condizioni climatiche, che spiegano lo sviluppo di reti idrografiche formate da fiumi perenni, prevalgono forme dovute all’erosione e all’accumulo fluviale.
L’A. equatoriale corrisponde grosso modo al bacino del Congo: un’amplissima conca depressa fra le alture granitiche del Gabon (incombenti sul Golfo di Guinea) a O e i bordi rialzati degli altopiani orientali a E, la soglia bassa e piatta che separa le acque fluenti al Congo da quelle dirette al Niger, al Ciad e al Nilo a N, mentre sono i rilievi Lunda e Katanga a delimitarla a S.
L’A. orientale, occupa la superficie compresa tra lo Zambesi, i bacini congolese e nilotico, il bassopiano del Sudan orientale, il Mar Rosso meridionale e l’Oceano Indiano. È la parte più elevata e più tormentata del continente, sia per la struttura sia per il rilievo. Proprie della regione sono le tipiche fosse tettoniche in senso meridiano (causate da grandiosi fenomeni di dislocazione) cui debbono la loro genesi gli immani corridoi, con pareti talvolta a picco, nel cui fondo stagnano le acque o si sono formati dei veri laghi dalla forma stretta e allungata. Due sono le fosse: centroafricana, che va dal Golfo di Sofala al Nilo Bianco, ed estafricana, che comincia a O del Kilimangiaro e termina nella valle del Giordano, ospitando, fra l’altro, il Mar Rosso. Alle esplosioni vulcaniche che accompagnarono tali dislocazioni si deve la copiosa effusione di magma generatrice dei vasti espandimenti lavici e degli imponenti edifici vulcanici che caratterizzano la plastica di questa regione africana. Si possono qui distinguere due sistemi di alteterre: quello etiopico-somalo, a N, e quello dei grandi laghi equatoriali, a S. Il primo è diviso a sua volta dalla fossa estafricana nell’altopiano, o acrocoro, etiopico, un vasto tavolato profondamente inciso dai corsi d’acqua, che hanno isolato rilievi tabulari tipici, detti ambe, elevati fino a 4620 m (Ras Dascian); e nell’altopiano somalo, anch’esso di aspetto tabulare, che individua la penisola omonima e digrada dolcemente verso SE. Fra l’una e l’altra fossa si estendono altopiani di oltre 1000 m d’altezza che ospitano il Lago Vittoria, il maggiore dell’A. e il terzo della Terra. Ai bordi di questa subregione si ergono le cime più elevate di tutto il continente: fra esse il Kilimangiaro (m 5895), il Kenya (m 5199), l’Elgon (m 4321), possenti coni vulcanici, e il gigantesco massiccio del Ruwenzori (m 5109).
Posta, pressappoco, a S di una linea che unisce la foce del Cuanza con quella dello Zambesi, l’A. australe continua le caratteristiche forme d’altopiano, con una generale inclinazione verso il centro, nella siccitosa conca del Kalahari, occupata da alcuni stagni salati. L’orlo di tali altopiani, generalmente rialzato, scende con ripide scarpate su di una bassa cimosa costiera; in alcuni tratti, come nelle sezioni meridionale e sud-orientale, gli orli sono tanto rialzati da assumere la fisionomia di vere catene (Monti dei Draghi). Si affiancano poi al margine dell’altopiano, nella cuspide estrema, i rilievi a pieghe del Paleozoico (Monti del Capo), che determinano terrazzamenti tipici, fra cui il Piccolo e il Grande Karrù, attraverso i quali si accede all’interno. Caratteri tabulari simili a quelli dell’A. australe possiede la grande isola di Madagascar.
2.2 Geologia. L’A. è parte di un antico continente, il Gondwana, che iniziò a smembrarsi a partire dal Giurassico, dando luogo progressivamente alla formazione degli oceani Atlantico e Indiano. È costituita da un basamento di rocce prepaleozoiche (Archeano) cristalline e metamorfiche (graniti, dioriti, porfidi, diabasi, gneiss ecc.), che affiorano per circa un terzo dell’intera superficie, costituendo zone particolarmente estese nell’A. orientale (Sinai, Etbai, Eritrea, Welega, Somalia, Madagascar, regione tra il Lago Turkana e lo Zambesi) e in tutta l’A. occidentale (Congo, Camerun, Togo e Liberia), e massicci isolati tra lembi delle coperture sedimentarie più recenti nella regione sahariana. Su queste antiche formazioni si andarono poi accumulando i depositi delle età successive: arenarie desertiche del Paleozoico, sviluppate soprattutto nell’A. settentrionale (Marocco, Guinea, Sahara ecc.); sedimenti del Mesozoico, diversamente rappresentati nelle varie regioni, e propriamente masse variegate gessifere con dolomie nell’Atlante e in Tripolitania, calcari nell’Hararino e nella Dancalia, arenarie nubiane continentali e calcari marini nel Sahara, Tripolitania, Somalia ecc.; le formazioni del Cenozoico, prevalentemente costituite da calcari nummulitici, in Algeria, Tunisia, Madagascar e Libia.
Tra la fine del Paleozoico e l’inizio del Mesozoico si depositarono terreni (formazioni permo-triassiche) con due facies distinte: la nordica, costituita da terra rossa e depositi salini, e la karroo, molto più sviluppata della prima, specie nella regione del Capo di Buona Speranza, rappresentata prevalentemente da arenarie, scisti e calcari. Al Cenozoico sono anche da ascrivere i depositi gessoso-salini della fossa eritrea. Nel Cenozoico, e in particolar modo fra Miocene e Pliocene, si manifestò, interessando specialmente l’A. orientale, il più vasto sistema di fratture mai conosciuto (Rift Valley) con formazione di grandi fosse tettoniche e di bacini chiusi, talora al di sotto del livello del mare, ai quali appartengono la valle del Giordano, il Mar Rosso, il Golfo di Aden, i laghi Tanganica, Malawi e altri. Così si completò l’isolamento dell’A., che si separò definitivamente dal Madagascar, un frammento di crosta continentale africana circondato da crosta oceanica.
Collegate con queste dislocazioni, si ebbero manifestazioni di vulcanismo che, iniziatesi fra la fine del Mesozoico e i primordi del Cenozoico con i vasti espandimenti lavici dello Yemen, dell’altopiano etiopico e del Deccan, raggiunsero il massimo d’intensità verso la fine del Cenozoico e l’inizio dell’era quaternaria per continuare in tempi storici. Dal punto di vista strutturale si nota la presenza di una larga zona ad andamento anticlinale estesa dal Golfo di Guinea al Golfo di Aden, caratterizzata da formazioni cristalline e metamorfiche anteriori al Paleozoico con lembi di terreni primari, secondari e terziari, su cui poggiano i depositi suborizzontali del Sahara e i depositi quaternari del Ciad e dell’alto Nilo. Altri due assi anticlinali si estendono parallelamente alle coste oceaniche: il primo dall’Abissinia al Transvaal, che prolunga verso S le formazioni cristalline e metamorfiche del Mar Rosso, e il secondo, di analoga costituzione, dal Golfo di Guinea al Namaland. Nel loro insieme, questi due assi cristallini e la fascia di depressione Congo-Karrù delineano un allungamento da N a S, in armonia con la forma generale della parte meridionale del continente africano; mentre, nella parte settentrionale l’asse cristallino Guinea-Etiopia, la regione tabulare sahariana e la regione corrugata mediterranea si orientano da O a E, secondo la disposizione propria di questa parte dell’Africa.
Climatologia. L’A. può essere considerata il continente intertropicale per eccellenza, perché i quattro quinti della sua superficie sono compresi fra i tropici. Ne consegue che nella maggior parte di essa il sole passa allo zenit due volte all’anno, con particolari ripercussioni sull’andamento termico, e che anche nel rimanente arco dell’anno i raggi solari vi giungono con modesta inclinazione e quindi con elevato potere calorico. In linea di massima, le temperature si mantengono, perciò, elevate tutto l’anno quasi dappertutto, con modeste escursioni stagionali (addirittura irrilevanti nella fascia equatoriale), fatta eccezione per la costa mediterranea a N e per la regione del Capo a S. Nella realtà il comportamento termico è assai più vario e complicato, perché entrano in gioco altri numerosi fattori: l’altimetria, la vicinanza alla costa, e le correnti marine.
Assai differenziato è il quadro delle precipitazioni, condizionate nella loro distribuzione e quantità dal rapporto tra pressione atmosferica e venti. Alla zona equatoriale, di permanente bassa pressione, corrispondono piogge abbondanti distribuite in tutto l’anno, ma con due massimi equinoziali seguiti da due minimi. Si succedono, tanto a N quanto a S, due zone in cui le piogge diminuiscono, concentrandosi in un solo periodo, con il quale si alterna uno secco che va allungandosi man mano che ci si allontana dall’equatore, fino a far scomparire la stagione umida. Nelle zone delle alte pressioni tropicali e subtropicali s’incontrano perciò le grandiose distese aride del Sahara e di alcune aree dell’A. australe. Alle due estremità (bordo mediterraneo e regione del Capo) le precipitazioni tornano ad aumentare, cadendo in prevalenza durante l’inverno. Nell’A. orientale, accanto alla siccitosa Somalia, sta l’acrocoro etiopico con piogge anche abbondanti dovute essenzialmente al fattore rilievo. Le precipitazioni nivali sono rare e per lo più limitate all’Atlante e ai tre colossi Kilimangiaro, Kenya e Ruwenzori, che sulle sommità conservano pure nevi perenni e piccoli ghiacciai, in fase di regresso e in procinto di scomparire a causa del fenomeno del riscaldamento globale. Caratteristica dell’A. è la ripetizione simmetrica di tipi climatici nelle due parti a N e a S dell’equatore.
Seguendo la classificazione di W. Köppen, si distinguono in A. sette tipi di clima. Quello equatoriale, caratterizzato da una generale uniformità termica e da una piovosità abbondante e ben distribuita in tutti i mesi dell’anno, interessa il bacino del Congo e una parte della fascia costiera del Golfo di Guinea; l’opposto litorale della Somalia si trova, invece, in condizioni semidesertiche, pur conservando temperature elevate. Le temperature medie mensili si mantengono sui 25÷26 °C; l’escursione diurna è un po’ più accentuata di quella annua (che non supera i 2 °C). La pressione atmosferica rimane costantemente bassa, per cui i venti sono rari e deboli (fatta eccezione per la brezze di mare). Mediamente nelle regioni equatoriali interne i quantitativi di pioggia variano tra 1500 e 2500 mm all’anno, ma in prossimità delle coste, influenzate da brezze di mare regolari e dominate da alte montagne, i valori sono più alti (fino a ca. 10.000 mm in alcune località del Camerun).
Il clima monsonico ripete, per l’abbondanza delle precipitazioni e le condizioni termiche, quello equatoriale, mentre richiama il clima tropicale per la distribuzione stagionale delle piogge, dovute, quando il sole si avvicina allo zenit, allo spirare di venti marittimi lungo le coste tropicali. In A. risente di questo clima la parte occidentale del litorale del Golfo di Guinea, dominata da rilievi interni.
Il clima tropicale si distingue per la minore quantità annua di piogge (si va dai 225 mm di Timbuctù, nel Mali, ai 2100 di Abidjan, nella Costa d’Avorio), concentrate in un’unica stagione. La temperatura media rimane elevata in ogni mese, con due massimi distinti, il principale dei quali precede di poco o coincide con la stagione piovosa. L’escursione diurna è piuttosto marcata. Dominate da questo clima sono due fasce: una a N dell’equatore, estesa nelle regioni interne tra la Guinea e il Sudan; l’altra a S, tra l’Angola e il Mozambico. La foresta pluviale è qui sostituita dalla savana.
I climi aridi sono quelli nei quali l’evapotraspirazione prevale sulle precipitazioni. Si distinguono due tipi: il clima arido-caldo (o desertico) e il clima semiarido (o della steppa). Il clima arido-caldo è proprio dei deserti tropicali e subtropicali, situati in genere fra i 15° e i 25° di latitudine (eccezionalmente fino a 30°), e rappresentati in A. dal Sahara e dal Kalahari. In essi il totale annuo delle piogge rimane ovunque al di sotto dei 250 mm, anzi nella maggior parte del Sahara non supera i 100 mm, e in qualche caso scende a valori pressoché insignificanti: valgano come esempio i 25 mm in media del Cairo, e addirittura la mancanza di precipitazioni, anche per diversi anni successivi. L’escursione termica annua tocca valori già notevoli, ma è superata da quella giornaliera per il fatto che le temperature massime diurne, nei mesi più caldi, raggiungono punte eccezionalmente alte. Caso a sé fanno i deserti costieri (posti sempre a latitudini tropicali), di cui è topico esempio il Namib, nell’A. australe atlantica: soggetti come sono all’influenza delle correnti marine fredde, non presentano temperature eccessivamente elevate durante l’anno, così come l’escursione annua e quella diurna risultano assai attenuate.
Tipicamente di transizione tra il deserto e i climi umidi è il clima semiarido caldo o della steppa, proprio dell’A. settentrionale e distribuito in due fasce: una a N del Sahara, che raggiunge le coste mediterranee, con precipitazioni scarse, concentrate tutte da dicembre a febbraio, e una a S, a contatto con le regioni della savana, con piogge più copiose che cadono da luglio a settembre, cui corrispondono per analoga posizione le regioni semiaride dell’A. sud-occidentale.
Il clima subtropicale con estate asciutta (mediterraneo) è caratterizzato essenzialmente da inverni miti, estati calde e secche, precipitazioni variabili come quantità assoluta, distribuite nei mesi più freddi. Rientrano in questo tipo di clima la fascia litoranea, ristrettissima a E e più ampia a O, dell’A. settentrionale e la sezione sud-occidentale della regione del Capo. La neve è rara in pianura e lungo le coste, ma abbondante nelle montagne (Atlante).
I climi di montagna della zona intertropicale (montagne e altipiani), nonostante la diminuzione della temperatura e l’aumento dell’umidità con il crescere dell’altezza, non presentano condizioni uniformi dappertutto: in comune hanno però una ben definita escursione termica diurna, che va accentuandosi dall’equatore ai tropici. Notevole peso assume, in queste montagne, il fattore esposizione.
Dal punto di vista pluviometrico, mentre i rilievi equatoriali ricevono piogge quasi continue (con totali annui che variano anche di molto con l’altezza), quelli subequatoriali e tropicali sono irrorati quasi esclusivamente nei mesi estivi del rispettivo emisfero. Sono soggette a questi climi le alteterre dell’A. orientale, dall’acrocoro etiopico alle montagne del Transvaal e dell’Orange.
2.4 Idrografia. I caratteri dell’idrografia, profondamente diversi nelle varie parti dell’A., dipendono in larga misura dalle condizioni climatiche, dalla conformazione del rilievo e anche dalle vicende geologiche. Così, alla notevole diffusione dei climi aridi e alla presenza di ampie conche tettoniche separate da ondulazioni e da rilievi tabulari si deve l’esistenza di regioni assai estese senza regolare deflusso al mare, distinte in zone areiche e zone endoreiche. Le prime mancano di un reticolo idrografico attivo e hanno l’esempio più evidente nel Sahara, dove sussistono orme di fiumi fossili (uidian), oltre che nella Namibia, parzialmente nel Kalahari, nella Somalia e nell’Eritrea costiera (Dancalia). Le seconde, con corsi d’acqua che si esauriscono in laghi o in paludi, nei quali le acque si disperdono per evaporazione o per infiltrazione, sono rappresentate dalle depressioni dell’A. settentrionale (il cui fondo è occupato da acquitrini salmastri, chott o sebche), dal bacino chiuso del Ciad, dai bacini del Lago Ngami e delle paludi di Makarikari, nel Botswana, e da alcune conche della fossa estafricana. Nel loro insieme, le zone endoreiche e areiche coprono circa metà dell’intera superficie continentale.
Altra caratteristica riguarda il profilo dei fiumi: nei lunghi tratti pianeggianti essi scorrono lenti, ampi e con un carico di detriti relativamente scarso, a testimonianza della loro maturità e dell’alimentazione in prevalenza equatoriale; tuttavia, a causa della struttura tabulare del rilievo, prima di giungere al mare devono scendere l’orlo rialzato degli altopiani mediante rapide, cascate, cateratte, per cui non si prestano alla navigazione nel corso inferiore, come per es. avviene per il Congo. Per quanto concerne il regime, soltanto i fiumi che attraversano regioni con precipitazioni abbondanti e continue hanno portate regolari, senza marcate differenze da una stagione all’altra. Al contrario, vi sono fiumi che alternano piene e magre nell’arco dell’anno, dipendenti dal susseguirsi di periodi piovosi e asciutti, o convogliano acqua solo dopo brevissimi ma violenti temporali, come accade nelle regioni desertiche.
Le zone esoreiche tributano al Mare Mediterraneo, all’Oceano Atlantico e all’Oceano Indiano e hanno i loro nodi oro-idrografici soprattutto nell’A. orientale e meridionale. Del primo versante il Nilo (6700 km ca., il più lungo fiume della Terra) è decisamente il più importante: esso nasce da regioni equatoriali dove le piogge sono costanti, attraversa regioni tropicali dove piove in un determinato periodo e da queste regioni riceve l’apporto di numerosi affluenti; nel lungo tratto inferiore scorre in una regione perfettamente desertica. Nel versante atlantico, al quale vanno la maggior parte delle acque africane, il Niger (4200 km) presenta alcuni caratteri in comune con il Nilo: ha due piene causate dalle piogge zenitali estive che cadono contemporaneamente nel bacino superiore e in quello inferiore. Il Congo (4200 km, il secondo fiume del mondo per portata media dopo il Rio delle Amazzoni) ha anch’esso due periodi di piena alternati, perché il suo bacino cade parte nell’emisfero boreale, parte in quello australe. Senegal, Volta e Orange completano il quadro dei grandi corsi d’acqua che sfociano nell’Atlantico. All’Oceano Indiano defluiscono fra gli altri il Limpopo, lo Zambesi (2700 km), il Giuba e l’Uebi Scebeli.
L’A. ospita numerosi laghi che si possono suddividere in tre grandi categorie: laghi terminali, propri delle zone depresse e siccitose, a fondo piatto, poco profondi e dal contorno variabile, distribuiti nel Sahara, nella conca del Ciad, con il lago omonimo, e nel Kalahari; laghi di fossa tettonica, in genere assai profondi, che occupano, con la loro caratteristica forma stretta e allungata, il fondo delle fosse dell’A. orientale (laghi Edoardo e Mobutu – appartenenti al sistema idrografico del Nilo –, Tanganica, Kivu, Mwere e Bangweuli – appartenenti a quello del Congo –, Malawi, attraverso lo Shire, appartenente a quello dello Zambesi). Quasi indipendente dalle grandi fratture il Lago Vittoria (dagli indigeni chiamato Nyanza, 68.000 km2), il più esteso fra quelli africani e il terzo della Terra, si riallaccia piuttosto alle conche primitive del tavolato; il Lago Tana, anch’esso di forma pressoché circolare, deve invece la sua origine a uno sbarramento vulcanico recente e ha come emissario il Nilo Azzurro.
I laghi artificiali, costruiti per l’utilizzazione delle risorse idriche africane, rientrano nella terza categoria: i maggiori sono il Lago Volta (8482 km2), nel Ghana, ottenuto sbarrando ad Akosombo il fiume Volta; il Lago Kariba (5200 km2), sullo Zambesi, al confine tra Zambia e Zimbabwe; il Lago Nasser (circa 5000 km2 comprendendo oltre la parte egiziana anche quella sudanese, denominata Lago Nubia), sul Nilo, ad Assuan; inoltre, quelli realizzati con la costruzione di dighe sul Nilo Azzurro (Roseires), sull’Orange (Verwoerd), sul basso Niger (Kainji).
Dal punto di vista biogeografico, il continente africano è compreso quasi per intero nella regione afrotropicale, con l’eccezione della fascia settentrionale, che è invece parte della regione paleartica, con Europa e gran parte dell’Asia continentale. La regione afrotropicale è ricchissima di fauna e flora, con un alto numero di endemismi a livello di famiglie e persino di ordini. Sono presenti elementi gondwaniani, testimonianza dell’antica Terra di Gondwana, che univa i continenti meridionali. La zonazione vegetazionale africana è netta e quasi simmetrica rispetto all’equatore, che taglia il continente circa a metà strada fra gli estremi settentrionale e meridionale. Nell’A. mediterranea prevale la macchia, o il bosco di querce sempreverdi, quali leccio (Quercus ilex) e sughera (Quercus suber). Più a S, dal Marocco al Mar Rosso, si estende il vero e proprio deserto, con essenze xerofile dagli adattamenti tipici dei climi aridi: foglie piccole o spiniformi, apparato radicale estesissimo, ciclo vegetativo rapido. Diverso è però il caso di aree a clima desertico con falda acquifera affiorante, che hanno vegetazione rigogliosa e per lo più coltivata, in cui domina la palma da dattero (Phoenix dactylifera). Più a S il deserto lascia il posto alla savana, più o meno aperta a seconda della piovosità. Dominano comunque le erbe (Graminacee) e tra gli alberi le acacie e i baobab (genere Adansonia). La fascia equatoriale, in cui le piogge superano i 1500 mm annui, è occupata dalla foresta pluviale, che si estende verso N lungo le sponde dei grandi fiumi (foresta a galleria), e verso S lungo le coste marine dell’Oceano Indiano (mangrovie), grazie alla corrente calda del Mozambico che giunge fino alla regione del Capo. Oggi la foresta è molto ridotta rispetto al passato, ma ne restano ancora parti inesplorate nelle regioni centro-occidentali. Nell’A. australe si ripete la successione di ambienti, con i deserti del Namib e del Kalahari, quasi all’estremo Sud del continente. Il Sudafrica in particolare si distingue per l’altro numero di endemismi tra le piante (in particolare Ericacee) e per una formazione vegetale assai simile alla macchia mediterranea. Le grandi montagne dell’A. orientale e meridionale ospitano una flora del tutto particolare, di tipo alpino, che sfugge alla zonazione latitudinale. Questi ambienti hanno infatti costituito un rifugio per una flora di diverse origini.
L’A. annovera un enorme numero di famiglie di Vertebrati, molte delle quali endemiche. La fauna attuale dell’A. mediterranea è simile a quella europea, mentre quella della fascia intertropicale è assai più ricca. Tra i Mammiferi si distinguono i grandi Felidi, quali il leone (Panthera leo), il leopardo (Panthera pardus) e il ghepardo (Acynonix jubatus), un tempo diffusi anche in Asia e nell’Europa meridionale; i Canidi sono rappresentati tra gli altri dagli sciacalli e dal licaone (Lycaon pictus); presenti anche Ienidi, Icneumonidi e Viverridi; assenti gli Ursidi. Tra gli Artiodattili dominano bufali, antilopi e gazzelle, ma anche giraffe e Ippopotamidi. Sono inoltre presenti due specie di elefante, e tra i Perissodattili due specie di rinoceronte, zebre e asini selvatici. Tra i Primati vanno ricordati il gorilla (Gorilla gorilla), con due sottospecie, lo scimpanzé (Pan troglodytes) e il bonobo (Pan paniscus); numerosi sono i Cercopitecidi e i Colobidi, e i Lemuridi, endemici del Madagascar. Ordini solo africani sono i Tubulidentati (oritteropo) e gli Iracoidei (procavie). Sulle coste vivono il dugongo e il lamantino (ordine dei Sireni). Numerosissimi anche i Roditori. Tra gli Uccelli sono molti i gruppi esclusivi del continente africano. È presente lo struzzo (Struthio camelus), relitto gondwaniano, ma anche alcune specie di pinguino; endemici i Coliiformi (uccelli-topo). Tra i Rettili sono presenti i coccodrilli, con due specie e, nel Madagascar, circa 100 specie di camaleonti. Tra gli Anfibi, sono numerosi gli Anuri, mentre mancano gli Urodeli.
La densità demografica media dell’intero continente (31,8 ab./km2) è sensibilmente inferiore alla media mondiale (42 ab./km2). La densità è minima nelle vaste regioni naturalmente repulsive, come i deserti del Sahara, del Kalahari e del Namib, e le aree più impenetrabili della foresta equatoriale (bacino del Congo). Di contro, densità notevoli hanno la regione dell’Atlante costiero, o A. Minore (50-100 ab./km2), dove il popolamento e l’utilizzazione del suolo, che risalgono a remota antichità, si sono associati con la vivace attività marinara; la media e bassa valle e il delta del Nilo, dove l’agricoltura irrigua, diffusa dai tempi faraonici, ha dato luogo a densità paragonabili a quelle dei delta monsonici dell’Asia meridionale e sud-orientale; la cuspide meridionale, popolata da bianchi immigrati, per l’elevato livello di sviluppo economico raggiunto dal territorio; alcune zone degli altopiani orientali, per le favorevoli condizioni climatiche e pedologiche; e infine tutta la regione che si affaccia sul Golfo di Guinea, particolarmente la Nigeria, lo Stato più popoloso dell’intera A., con circa 138 milioni di abitanti nei primi anni del 21° sec.
Secondo alcune stime, l’A. avrebbe ospitato nel 1750 ca. 95 milioni di persone (il 13,1%, all’epoca, della popolazione del globo), valore che si è mantenuto pressoché statico nei cento anni successivi, per salire a non più di 120 milioni nel 1900: un incremento, dunque, lentissimo, dovuto a fattori diversi: storici in alcuni casi, ambientali in altri, culturali propri delle comunità africane in altri ancora. Tra questi ha assunto particolare rilevanza la tratta degli schiavi, che si protrasse dalla seconda metà del 15° sec. alla seconda metà del 19°, privando il continente di milioni di individui; come anche ha avuto rilevanti effetti l’altissima mortalità, dovuta alla presenza di numerose malattie endemiche, in buona parte collegate con caratteristiche climatiche (tra queste, particolarmente diffuse la malattia del sonno, la malaria, la febbre gialla, la schistosomiasi, la dissenteria amebica).
La dinamica demografica ha ricevuto forte impulso a seguito dell’arrivo dei colonizzatori europei, e, più ancora, del processo di decolonizzazione avviato dopo la Seconda guerra mondiale. All’inizio del 21° sec. in buona parte degli Stati musulmani dell’A. settentrionale e in quasi tutti i paesi a S del Sahara era ancora in corso una vera e propria esplosione demografica, destinata a durare, secondo le previsioni dei demografi, fin verso il 2025. A quella data il continente dovrebbe avere una popolazione tripla rispetto a quella dell’Europa, benché alla metà del 20° sec. ne avesse meno di un terzo. Il confronto con le altre parti del mondo, e in particolare con le altre due aree del sottosviluppo (Asia meridionale e sud-orientale, America Latina), pone in evidenza come il continente africano occupi il primo posto sia per il tasso di natalità, sia per il tasso di mortalità, sia per l’eccedenza naturale (2,2% nel quinquennio 2000-05). Benché la natalità media resti prossima al 38‰, emerge una lenta, ma diffusa tendenza verso il suo contenimento. In alcuni paesi, come la Tunisia, l’Algeria e la Repubblica Sudafricana, il livello delle nascite è sceso sotto il 20‰, il che equivale a una fecondità di 2-2,5 figli per donna. Persistono, comunque, tassi di natalità molto elevati in vaste regioni del continente, con valori spesso di oltre i 40‰ e con punte prossime al 50‰ in Mauritania, Niger, Burkina Faso a O, e Somalia, Uganda e Malawi nel versante orientale.
I valori di mortalità (mediamente intorno al 15‰), sono scesi anche parecchio sotto il 10-11‰ là dove migliori sono i contesti igienico-sanitari (coste mediterranee), ma vi sono ancora casi assai frequenti in cui essi restano altissimi o attraversano addirittura una fase di risalita. Queste circostanze ricorrono in particolare nei paesi toccati dagli eventi bellici di maggiore intensità, come in certe regioni dell’A. occidentale o in Etiopia, oppure nei territori dell’A. australe tormentati dal flagello dell’AIDS, che ha portato la mortalità dell’Angola oltre la soglia del 25‰ e quella del Botswana oltre il 26, mentre persino il florido Sudafrica fa segnare un valore medio prossimo al 17‰ (con intensità ben più alte nella componente nera). Un contrasto analogo si disegna con chiarezza anche sul fronte della mortalità infantile, che risulta abbondantemente inferiore al 40‰ nell’area maghrebina e in Egitto, mentre altrove è per lo più compresa tra l’80 e il 120‰, con picchi intorno a 150 in Sierra Leone e in Angola; anche in questo caso ampi distretti dell’A. a S del Sahara presentano un peggioramento per via dei neonati che hanno contratto l’AIDS nel seno materno.
La mobilità della popolazione africana è in espansione lungo una pluralità di direttrici. La prima continua a riversarsi dalle ancor vaste campagne verso le grandi città, dove ci sono spesso precarie occasioni di lavoro e ancor più precarie condizioni di alloggio: sono all’incirca 25 ormai le aree urbane nelle quali si raggruppa più di un milione di abitanti, e tra queste la più popolosa è Lagos, prototipo di questa crescita, dato che il suo centro conta appena 1,5 milioni di residenti, mentre gli smisurati e miseri suburbi compresi nella sua sterminata agglomerazione ne adunano altri 12 milioni. Il livello di urbanizzazione, pur tendendo quasi ovunque ad aumentare, resta ancora prossimo al 10% in Ruanda e in Burundi e di poco superiore in Uganda e in Etiopia, mentre il limite opposto è fatto segnare da Gabon e Libia, dove oltre l’80% degli abitanti si concentra in città. Un altro consistente flusso di persone si sposta oltre le proprie frontiere alla ricerca di lavoro, specie nelle terre confinanti con il magnete economico sudafricano. Masse cospicue vengono poi costrette a esodi improvvisi dalle loro regioni devastate per episodi conflittuali, aggregandosi in estese tendopoli condotte sotto l’egida delle organizzazioni caritative internazionali. Fuori del continente cercano rimedio alle ristrettezze economiche e alle persecuzioni schiere numerose che muovono lungo rotte segnate da abusi, rischi e disagi: le compongono per lo più abitanti dell’A. saheliana (➔ Sahel), che attraversano il deserto e si uniscono a elementi maghrebini negli scali marocchini, libici e tunisini per imbarcarsi verso Spagna e Italia, destinazioni ultime o terre di passaggio verso il miraggio lavorativo rappresentato dall’Europa centro-occidentale.
Generalità. All’inizio del 21° sec., in una fase di cambiamento epocale determinato dalla globalizzazione economica e finanziaria, gli Stati africani si trovano esposti al rischio di esclusione e di emarginazione, penalizzati da un contesto geoeconomico mondiale che riproduce gli schemi della dipendenza: le economie esportatrici di materie prime agricole e minerarie e di fonti energetiche non riescono a svincolarsi dal meccanismo che le ha assoggettate ai mercati dei paesi consumatori del Nord del mondo. Per di più l’A. conta poco nell’economia mondiale, avendo perduto, con la fine della ‘guerra fredda’, la rendita geopolitica di cui beneficiava, e attraversa un periodo tormentato, nel quale spesso allo sfruttamento europeo è subentrata l’oppressione di dittatori autoctoni, ed è assai diffusa la piaga delle guerre di frontiera e dei conflitti interni che hanno assunto a volte le dimensioni di genocidi. Inoltre, a partire dalla metà del 20° sec. tutti i paesi africani hanno dovuto misurarsi con l’ondata di fondo di una crescita demografica senza precedenti. Il raddoppio della massa della popolazione nell’arco di tempo di una generazione rappresenta una sfida enorme. La condizione di generale sottosviluppo dell’A. trova conferma nei dati statistici relativi al prodotto interno lordo, che nei primi anni del 21° sec. è cresciuto mediamente nei singoli Stati del 2-4% all’anno, un tasso in molti casi inferiore al corrispondente tasso di accrescimento annuo della popolazione. Una crescita, comunque, ben lontana da quel 7% annuo che sarebbe occorso, secondo il Summit on social development del 1995, per dimezzare i livelli di povertà nel continente: sicché oltre il 45% della popolazione africana vive sotto la soglia della miseria estrema. Se si considera che i due terzi circa delle forze di lavoro sono ancora dediti all’agricoltura, per lo più di sussistenza, e che il settore terziario (commercio al dettaglio, amministrazione) si è andato gonfiando in maniera patologica e in assenza di una corrispondente crescita industriale, si comprende come l’A. rimanga ben lontana da una struttura economica equilibrata, che le possa consentire l’autosufficienza.
L’andamento degli scambi internazionali che vedono protagoniste le merci africane induce a considerazioni pessimistiche: vi sono beni (come i minerali di ferro e di rame o le arachidi) le cui esportazioni registrano periodi di pesante flessione, altri (come il cacao, il tè o il tabacco) per i quali invece, pur avendo la domanda segnato significative fasi di espansione, quasi sempre le ragioni di scambio si sono rivelate pesantemente sfavorevoli. Soltanto i flussi di petrolio in uscita si mostrano confortanti, anche in virtù dell’impennata dei prezzi dei primi anni del 21° sec.; ma questa risorsa riguarda ben pochi paesi, che presentano per lo più economie poco differenziate. Nel complesso, le bilance dei rapporti con l’esterno sono fortemente deficitarie e riversano tali scompensi su debiti esteri di proporzioni colossali: il solo pagamento degli interessi assorbe quote imponenti dei prodotti interni lordi annuali. Unicamente il cospicuo e continuo apporto di aiuti internazionali, calcolati nel 2004 in oltre 400 miliardi di dollari per la sola A. a S del Sahara, consente a parecchi paesi del continente di restare in vita; sempre più spesso tali aiuti vengono condizionati dall’adozione, da parte degli Stati interessati, di programmi economici mirati alla ristrutturazione interna in senso liberista, oltre che al risanamento finanziario degli apparati pubblici. Il generale stato di dissesto ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica dei paesi avanzati, suscitando anche campagne di movimenti di massa favorevoli alla cancellazione dei debiti.
L’agricoltura ha in A. per lo più una funzione di sussistenza o semi-sussistenza, ed è prevalentemente indirizzata alla coltivazione di piante alimentari per il consumo: un’attività che fornisce scarsi rendimenti unitari e totali. Ovviamente sono escluse alcune sacche isolate ove le aziende impiantate e gestite dagli Europei o quelle trasferite in seguito alla decolonizzazione nelle mani di indigeni si dedicano a colture di piantagione (cacao, caffè, agave ecc.), i cui prodotti, dopo la prima lavorazione, vengono esportati e non alimentano, salvo pochi casi, un’industria locale. L’agricoltura tradizionale, cui si associa talvolta l’allevamento, viene normalmente praticata con sistemi arcaici e spesso, inoltre, secondo il metodo della cosiddetta ‘coltura itinerante’: quasi dappertutto, infatti, è impossibile imporre ai terreni, facili al degrado e pertanto bisognosi di un periodo di riposo per rigenerarsi, il peso di una coltivazione permanente.
L’agricoltura commerciale rappresenta la base economica di molti paesi africani: l’introduzione di colture industriali, pur migliorando redditi e condizioni di vita, ha spesso incrinato antichi equilibri ecologici che, nel quadro precoloniale, erano in grado di preservare rapporti più razionali tra sfruttamento e conservazione delle risorse. Tra le piante alimentari destinate alla sussistenza della popolazione occupano un posto di rilievo i cereali (soprattutto mais, seguito a distanza da grano, riso, miglio, sorgo), la cui incidenza sulla produzione mondiale è solo del 4%, la manioca (45% della produzione mondiale), la patata, la patata dolce, l’igname. Le colture di mercato, oltre che dalle banane (13% del totale mondiale) e dalle arachidi (21%), sono rappresentate dal sesamo (23%), dalla palma oleifera (che fornisce il 10% ca. di tutto l’olio prodotto annualmente sulla Terra), dall’ananas e, soprattutto dal cacao, che rappresenta oltre il 50% della produzione mondiale (Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria e Camerun); dal caffè (21% del totale mondiale), coltivato principalmente nella Costa d’Avorio, in Etiopia, Uganda e Camerun, dal tè (Kenya, Malawi, Mozambico e Tanzania) e dalla canna da zucchero, per ricordare le più importanti. Alla categoria delle piante industriali appartengono il cotone, che vede l’Egitto e il Sudan dominare la scena africana; il tabacco, presente dal Mediterraneo alla cuspide meridionale; e infine le piante da gomma, tra cui la hevea. Dalle foreste equatoriali, specialmente nella fascia costiera del Golfo di Guinea, nel bacino del Congo, a Zanzibar e nel Madagascar, si ricavano legnami pregiati (mogano, palissandro ecc.), spesso depredando una risorsa naturale che ha tempi di ricostituzione molto lunghi.
Allevamento e pesca. Grandi possibilità ha l’allevamento, di origine antichissima e pilastro dell’economia di moltissimi popoli africani: ma esso è avversato dalle condizioni ambientali, dalla presenza nelle zone umide intertropicali di glossine (conosciute più comunemente col nome di mosche tse-tse), dal carattere di pratica spontanea o addirittura nomade. Favorevoli, per ragioni climatiche e pascolive, sono le regioni mediterranee e delle savane, quelle australi e gli altopiani orientali. Il patrimonio zootecnico è costituito da ovini e caprini, allevati tanto a N quanto a S del Sahara, in aree siccitose, quale unica fonte di reddito o a complemento di altre attività; da bovini, diffusi soprattutto nelle savane delle alteterre orientali e meridionali; da equini; da cammelli (tre quarti del totale mondiale). Salvo poche eccezioni, si tratta di allevamenti tradizionali di sussistenza: forniscono carne, latte, lana, pelli destinati in parte anche all’esportazione. La pesca è praticata dalle popolazioni rivierasche sui laghi e sui fiumi, ma principalmente lungo le fronti marittime e oceaniche, in alcuni tratti particolarmente ricche di fauna ittica (coste atlantiche nord- e sud-occidentali) e divenute zone di attrazione anche di flottiglie extrafricane. Il pescato, catturato in genere con tecniche primitive, integra nella maggioranza dei casi le scarse diete alimentari degli indigeni; tuttavia non mancano esempi di cattura su scala industriale, cui sono connesse le attività di conservazione o di trasformazione (Repubblica Sudafricana, Namibia).
Risorse minerarie. Il futuro dell’economia africana sembra legato soprattutto alle risorse minerarie, presenti in una gamma forse più completa e per alcune di esse in più larga misura che in altre parti della Terra. L’A. produce oltre l’80% dei diamanti del mondo, il 70% del cobalto, il 50% dell’oro, il 40% del cromo, il 30% del platino e del manganese, il 28% dei fosfati, il 15-20% dell’antimonio, del rame e della bauxite, il 10% del petrolio, l’8,5% del ferro, e ancora piombo, stagno, zinco, uranio, carbone, gas naturale e altri minerali. Tale ricchezza è da porsi in relazione con l’antica struttura geologica dell’Africa. L’ubicazione delle risorse riguarda l’intero continente, comprese le regioni più repulsive di esso, che si stanno rivelando dei veri e propri forzieri, come il Sahara e il deserto del Namib. Lo sfruttamento minerario, intrapreso dalle potenze colonizzatrici per rifornirsi delle materie prime necessarie alla loro industrializzazione, è spesso occasione di forti contese locali, alimentate da una vasta rete di interessi internazionali. Così esplodono lotte per il controllo del petrolio in Nigeria e lungo tutto l’arco del Golfo di Guinea, mentre i diamanti della Sierra Leone e delle zone interne della Repubblica Democratica del Congo servono a finanziare acquisti di armi delle opposte fazioni. Il petrolio (di cui nel 2005 l’A. deteneva l’8% delle riserve mondiali) rappresenta una risorsa strategica per il continente, grazie all’interesse delle compagnie occidentali, alle quali si sono aggiunte quelle cinesi. Nel 2004 sono state rimosse le sanzioni che contingentavano le esportazioni della Libia, mentre il Ciad ha cominciato a esportare greggio attraverso il Camerun: quest’ultimo progetto, che ha richiesto un investimento di 3,7 miliardi di dollari, è uno dei maggiori mai portati a termine nel continente.
Attività industriali. Le attività manifatturiere sono rappresentate per lo più da opifici impiantati a suo tempo dalle potenze coloniali, per valorizzare prodotti grezzi impiegando manodopera poco costosa (oleifici, sgranatoi di cotone, lavorazione di cacao ecc.), o da industrie nazionali impiantate in economie sottosviluppate per rifornire il mercato regionale (tessili e dell’abbigliamento, chimiche, alimentari, della birra, del cemento, del tabacco, del legno e della carta, conciarie, calzaturiere ecc.). Si sono affermati distretti metallurgici e siderurgici di un certo impegno, ereditati in parte dal periodo coloniale e via via potenziati nell’ottica di approvvigionare i paesi avanzati non solo di materie prime da elaborare, ma anche di prodotti che abbiano subito una prima e una seconda lavorazione. Valga per tutti il poderoso complesso cuprifero che interessa Repubblica Democratica del Congo e Zambia, che assoggettano la quasi totalità della produzione di miniera alla trasformazione in rame nero e in rame raffinato (in questo campo i due Stati si collocano ai primi posti nella graduatoria mondiale).
Sempre più spesso compaiono sul suolo africano attività di trattamento intermedio delle risorse, specie in comparti che desterebbero forti preoccupazioni d’inquinamento nei territori a economia avanzata. Esempio ne è la gigantesca fonderia di alluminio aperta presso Maputo, nel Mozambico, con l’impiego di capitali australiani, giapponesi e sudafricani, per lavorare la bauxite australiana sfruttando l’energia elettrica attinta alla diga di Cabora Bassa, sullo Zambesi: un impianto con oltre 1000 addetti che vale da solo il 5% in più del prodotto lordo del Mozambico, ma pone seri interrogativi ambientali. L’industria meccanica, presente soltanto in un numero ristretto di paesi, è rivolta essenzialmente al montaggio di autoveicoli.
L’A. ha ereditato nel campo delle comunicazioni tutti i difetti e le contraddizioni del periodo coloniale; manca una visione d’insieme del sistema relazionale, come si può riscontrare in altre parti evolute del mondo. Le cause di queste deficienze e anomalie sono molteplici: di ordine naturale, storico, politico, demografico ed economico. Il sistema viario, tanto stradale quanto ferroviario, mantiene tuttora la caratteristica del frazionamento e della scarsa integrazione fra Stati e regioni contigue. Ciò risulta evidente dalle caratteristiche della rete ferroviaria: innanzitutto, data la vastità del continente, la lunghezza della rete appare troppo modesta (in tutto 90.000 km, a scartamenti molto diversi tra loro), frantumata in una miriade di tronchi non interconnessi e che nella maggior parte dei casi hanno la funzione di linee di penetrazione dalla costa verso l’interno, quando si eccettuino alcune regioni ben individuate (Maghrib, sistema austro-equatoriale). La scarsità, o addirittura la mancanza, di linee ferroviarie viene controbilanciata dalla presenza di poderose arterie fluviali, quali il Nilo (media e alta valle), il bacino del Niger e la rete idrografica dello Zaire; a esse si affiancano le conche lacustri equatoriali, in particolare i laghi Vittoria e Tanganica, serviti da regolari vie di navigazione.
Anche per le strade l’A. denuncia una marcata arretratezza, che si riscontra sia nella lunghezza, sia nella struttura della rete. Al suo potenziamento sono stati però destinati investimenti cospicui da parte dei singoli paesi, sovente in piani ambiziosi che non sempre hanno centrato gli obiettivi. Al contrario, le strade di grande comunicazione che compaiono sulle carte si rivelano non raramente strette piste, appena percorribili dal traffico leggero durante la stagione secca, impraticabili durante e dopo la stagione delle piogge.
L’aviazione civile, invece, permette di collegare fra loro tutti i centri principali del continente e le maggiori città con l’Europa, l’America e il resto del mondo. L’A., infine, è dotata di numerosi porti, molti dei quali devono il loro volume di traffico al petrolio e ai suoi derivati: così parecchi terminali mediterranei, in particolare quelli libici e algerini.
Il problema della scarsità di infrastrutture di comunicazione riguarda anche le reti delle linee elettriche e dei cavi per la telefonia fissa, che, ancora all’inizio del 21° sec., rappresentavano un miraggio per molte parti del continente. Il 70% degli utenti telefonici africani è connesso con apparecchi cellulari, servizio disponibile anche in molte regioni che non hanno mai avuto accesso alla telefonia fissa.
L’inefficacia dei criteri razziali sommata alla estrema complessità delle differenziazioni culturali rende alquanto improbabile avanzare una chiara e definita classificazione dei tipi umani e delle forme di umanità che abitano l’Africa. Una prima visione sommaria delinea una situazione in cui l’A. a N del Sahara è in gran parte abitata da popolazioni ‘bianche’, mentre l’A. sub-sahariana è principalmente abitata da popolazioni di pelle scura. Di particolare rilevanza è la presenza nelle zone aride dell’A. sud-occidentale di popolazioni comunemente note come Khoi o Khoi-san (più conosciuto è il termine con cui sono stati denominati dagli Europei: Boscimani [➔]): essi presentano mediamente una statura inferiore ai gruppi neri, la loro pelle è bruno-giallastra e conducono vita semi-nomade dedicandosi principalmente alla caccia e alla raccolta. Un’analoga economia acquisitiva è praticata da un numero considerevole e variegato di individui denominati generalmente e genericamente Pigmei (➔). I gruppi pigmei conducono una vita nomade alternando periodi nei pressi dei villaggi dei neri e periodi in foresta. Essi possono essere rintracciati in ampie aree dell’A. Equatoriale (Gabon, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica del Congo, Ruanda, Uganda, Burundi). I gruppi pigmei, al pari dei gruppi Khoisan, hanno subito nel corso del tempo una forte pressione delle popolazioni di agricoltori e di allevatori, andando sempre più a occupare zone inospitali e povere di risorse.
L’idea di un’A. suddivisa in aree distinte occupate da gruppi etnici altrettanto distinti e contrapposti non è più avvalorata dagli studiosi, i quali prediligono mettere in evidenza la complessa rete di contatti commerciali e sociali fra popolazioni di una stessa regione o anche fra gruppi insediati in territori molto lontani, spesso coinvolti in notevoli flussi migratori che hanno attraversato e continuano ad attraversare l’A. determinandone il popolamento. Il quadro del popolamento può essere colto attraverso lo studio della distribuzione delle lingue nel continente. Questi dati, congiuntamente a informazioni di carattere storico, antropologico e archeologico permettono di focalizzare una serie importante di flussi migratori partiti dalla zona dell’Adamawa (Camerun-Nigeria) ed estesisi in gran parte dell’A. sub-sahariana. Le popolazioni riconducibili a questa importante migrazione parlano lingue appartenenti alla comune famiglia linguistica niger-congo-kordofaniana al cui interno si impongono le lingue denominate bantu. L’espansione verso Sud dei popoli bantu, iniziata presumibilmente intorno al 1000 a.C., ha determinato la diffusione delle pratiche agricole, mentre le popolazioni che nella fascia orientale dell’A. si sono spinte verso gli altopiani dell’A. orientale e le colline dell’A. dei Grandi Laghi sono state principalmente composte da allevatori di bovini. Molte di queste popolazioni parlano lingue riconducibili alla famiglia linguistica nilo-sahariana. Un discorso a parte merita il Madagascar, dove le popolazioni bantu si sono mescolate a popolazioni di lingue indonesiane che hanno colonizzato l’isola fra il 300 e l’800 d.C. influenzandone la cultura e in modo particolare la lingua.
La scarsa densità di popolazione dell’A. e la dispersione delle zone abitate hanno probabilmente favorito un’eccezionale frammentazione linguistica: secondo un computo approssimativo le lingue africane superano di molto il migliaio. Fin dalla metà del 19°sec., con la nascita degli studi scientifici di africanistica, gli studiosi si sono adoperati per dare una classificazione genetica delle lingue africane paragonabile a quella ormai accettata per le lingue indo-europee. Oggi prevale la classificazione di J. Greenberg (1963), che suddivide tutte le lingue del continente africano in quattro macrofamiglie, individuate per lo più da confini geografici (fiumi, deserti ecc.). La prima famiglia è la nigero-congo-kordofaniana, con due sottogruppi: a) niger-congo, suddiviso in sei rami: atlantico occidentale (costa atlantica dal Senegal alla Liberia); mande (dal Senegal al Mali); gur o voltaico (Burkina Faso e Ghana); kwa (kru in Liberia e Costa d’Avorio; occidentale in Costa d’Avorio e Ghana; yoruba, nupe, edo, idoma, igbo, ijo in Nigeria); benue-congo, il più numeroso (759 lingue), suddiviso in 5 rami (degli altipiani, jukonoide, cross, bantuide e bantu in senso stretto); adamawa e orientale (Nigeria, Camerun, Ciad e Sudan); b) kordofaniano, comprendente 5 gruppi, per 31 lingue complessive (Kordofan, Sudan).
La famiglia nilo-sahariana è la meno nota e raccoglie il maggior numero di lingue prima considerate isolate: songhai (Niger, Mali, Benin), sahariano (Niger, Nigeria, Ciad: kanuri, teda), maba (Ciad), fur (Sudan), sciari-nilo (suddiviso in 4 gruppi: sudanese orientale, sudanese centrale in Ciad, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, berta in Etiopia, cunama in Eritrea), coma (Etiopia): è stato proposto di considerare questa famiglia e la nigero-congo-kordofaniana come un’unica famiglia, chiamata congo-sahariana.
La famiglia afroasiatica presenta cinque rami. Il primo, l’egiziano, è estinto. Del semitico sono parlate varietà di arabo in A. settentrionale e amarico, tigré, tigray e altre in Etiopia. I rimanenti rami sono: cuscitico, con 5 gruppi in Etiopia, Somalia, Eritrea, il berbero (area sahariana, Rif e Cabilia) e infine il ciadico con 9 gruppi (haussa).
La famiglia Khoisan (un tempo denominato ottentotto-boscimano), ha 3 rami (centrale, settentrionale e meridionale), tutti in A. meridionale, tranne hatsa e sandawe in Tanzania. A queste lingue si devono aggiungere quelle venute dall’esterno: il malgascio del Madagascar, che è del gruppo maleopolinesiano, e tutte le lingue europee nelle loro varie forme.
Al tempo della prima penetrazione europea la frammentazione era certo paragonabile a quella odierna, in termini di lingue primarie; in ampie zone avevano però diffusione, come lingue seconde, lingue mande (in Stati come gli imperi del Ghana e del Mali), il songhai, lo swahili (lingua della famiglia bantu diffusa lungo l’Oceano Indiano), lo haussa (lingua dei Sette Stati haussa) e altre. L’influenza degli Europei, anche se esercitata da un numero minimo di persone, fu sufficiente a far nascere una quantità di pidgin (➔) costieri, soprattutto lungo il Golfo di Guinea. Con la penetrazione coloniale le varie lingue europee si sovrapposero alle africane, almeno nelle città, in una gamma di varietà, da quelle metropolitane standard dell’amministrazione a quelle variamente pidginizzate usate anche tra Africani come lingua franca. La necessità di ricorrere a una seconda lingua più largamente conosciuta ha favorito la diffusione di varie lingue: oltre a haussa e swahili, ciascuna con oltre 20 milioni di parlanti, sono numerose le lingue con più di 2 milioni (wolof, bambara, ewe, nupe, igbo, lingala, luganda, sango, fulbe ecc.).
Il dominio coloniale ha avuto atteggiamenti diversi nei riguardi delle lingue africane, a seconda del paese colonizzatore. L’amministrazione britannica ha incoraggiato lo studio e la diffusione delle lingue locali, accettandone anche un certo uso ufficiale accanto all’inglese; non così le altre. Dopo l’indipendenza, i paesi già sottoposti al dominio inglese si sono trovati quindi più preparati ad adottare una lingua nazionale africana. Dove non c’era una lingua nazionale unica o comunque fortemente maggioritaria, si è preferito in genere conservare la lingua dei colonizzatori. Così oggi le lingue ufficiali dei paesi africani sono prevalentemente europee (francese, portoghese, inglese), con poche eccezioni: Etiopia (amarico), Somalia (somalo, dal 1972), Tanzania (swahili, dal 1963), Kenya (swahili, dal 1974), Repubblica Centrafricana (sango); i paesi arabi dell’A. settentrionale hanno tutti l’arabo come lingua ufficiale e alcuni (Algeria, Libia) stanno rapidamente eliminando l’uso della lingua europea come seconda lingua.
La fissazione ortografica in alfabeti a base latina è un fenomeno relativamente recente (i primi casi risalgono alla metà del 19°sec., anche se esistono alfabeti indigeni fin dal 1830 ed è stato usato in una certa misura l’alfabeto arabo per i popoli islamizzati). Nel processo di standardizzazione si pone il problema della variante da scegliere come base, della fissazione univoca delle forme ortografiche e infine dell’arricchimento del lessico su argomenti sconosciuti alle lingue tradizionali, come la politica internazionale, le tecniche ecc. Poiché il metodo più rapido e facile per arricchire il lessico sarebbe quello di adottare in massa termini europei più o meno adattati, i paesi più sensibili a questo problema controllano l’immissione dei neologismi nella lingua standard attraverso il lavoro di commissioni e accademie della lingua.
In alcune regioni dell’A. (Maghrib, parte del Sahara, valle del Nilo, Sudafrica) la sequenza delle culture preistoriche è stata ricostruita nelle sue linee generali, an;che se le ricerche non possono considerarsi concluse; diverso il quadro nell’A. centro-occidentale, dove il clima caldo umido e l’acidità del suolo hanno impedito la buona fossilizzazione di materiale organico e ostacolato l’esplorazione delle industrie litiche. In linea generale, le industrie del Paleolitico (o delle Early Stone Age, Middle Stone Age e Late Stone Age, più o meno contemporanee al Paleolitico inferiore, medio e superiore delle province europee) sono quelle meglio conosciute. Per i periodi più antichi il ritrovamento di diversi giacimenti stratificati ha facilitato la collocazione cronologica dei reperti e la conseguente ricostruzione dello sviluppo culturale. Per il Neolitico e l’Età dei Metalli, invece, spesso non si dispone che di materiale di superficie, per il quale non ci si può avvalere dell’aiuto della cronologia relativa offerto dall’evidenza di scavo né di datazioni assolute.
L’A. ha dato i resti dei più antichi Ominidi e della loro cultura materiale. A partire dal 1924 con il primo ritrovamento a Taung, in Sudafrica, dei resti fossili attribuiti da R. Dart ad Australopitecus africanus (datati tra 2 e 3 milioni di anni fa), sono stati identificati molti siti paleoantropologici in A. sia meridionale sia orientale: i reperti sono stati attribuiti a più generi che comprovano la parziale contemporaneità di più forme di Ominidi in un arco compreso tra circa 6 milioni e 100.000 anni fa, quando compare e si afferma in A. Homo sapiens, che poi colonizzerà anche gli altri continenti. Sono di circa 6 milioni di anni fa i resti (un femore) di Orrorin tugenensis, scoperti nel 2000 (Millenium Man), che testimoniano la prima sperimentazione evolutiva verso il bipedismo. A 4,4 milioni di anni fa risalgono i resti rinvenuti ad Aramis (depressione di Afar, Etiopia) e identificati da T.D. White come Ardipithecus ramidus. Il genere Australopithecus (tra 2 e 3 milioni di anni fa) è presente in A. meridionale (Makapansgat, Sterkfontein: A. africanus) e orientale (Kanapoi e Allia Bay, Kenya: A. anamensis; Hadar, Etiopia e Laetoli, Tanzania: A. afarensis). Il genere Paranthropus (1,5-1,9 milioni di anni fa), dall’apparato masticatorio molto più robusto di quello dell’Australopiteco, è presente in A. meridionale (Kromdraai, Swartkrans, Drimolen: P. robustus) e orientale (gola di Olduvai, Tanzania e sponde del Lago Turkana, Kenya: P. boisei; Shungura, Etiopia: P. aethiopicus). Nella gola di Olduvai, nel 1959, nello stesso strato (I) del P. boisei è stato rinvenuto il primo rappresentante del genere Homo, classificato da L. Leakey H. habilis, insieme a ciottoli intenzionalmente lavorati (choppers e chopping-tools), in un primo tempo attribuiti all’attività di P. boisei. Testimonianze di questa industria detta olduvaiana sono state descritte anche in siti nordafricani. Resti di H. habilis sono stati rinvenuti anche sulle sponde del Lago Turkana, a Koobi Fora (B. Wood ritiene che i resti siano piuttosto da attribuire a H. rudolfensis, data la grande variabilità morfologica dei reperti). Sulle sponde occidentali dello stesso lago, a Nariokotome, nel 1985 A. Walker ha rinvenuto gran parte di uno scheletro frammentato la cui ricostruzione gli ha permesso di identificare la specie H. ergaster (1,9 milioni di anni fa). A H. ergaster è associata un’industria litica di tipo più evoluto, l’Acheuleano, diffusa in molti altri siti africani e che ha perdurato fino a circa 100.000 anni fa. Tra 400.00 e 200.000 anni fa si afferma in A. H. rhodesiensis (siti di Bodo, Elandsfontein, Kabwe, nuova denominazione di Broken Hill). L’industria è caratterizzata da bifacciali e hachereaux (tipo di accette) e da strumenti di piccole dimensioni (raschiatoi, sferoidi poliedrici, ecc.). Forme evolute si ritrovano in Kenya (Olorgesailie, Kariandusi), Tanzania (Isimila, Kalambo Falls), vari siti dell’A. meridionale, Nubia (Khor Abu Anga), Marocco (Sidi ‘Abd-er-Rahman), Tunisia (Sidi Zin), Sahara (Erg Tihodaine).
L’assenza di specializzazioni regionali e la notevole standardizzazione degli strumenti indicano che H. ergaster e i suoi discendenti potevano adattarsi a una larga scala di condizioni ecologiche, pur mantenendo ovunque lo stesso livello di efficienza. Fra 70.000 e 50.000 anni fa si verificò un abbassamento di temperatura su scala mondiale, preludio all’ultima glaciazione: il clima, in molte regioni africane, divenne più secco e più freddo. Nel Nordafrica, tra la Cirenaica e il Marocco, l’Acheuleano fu sostituito da industrie su scheggia di tipo levalloisiano-musteriano, affini a quelle del Vicino Oriente (siti di Haua Fteah, El Guettar, Djebel Irhoud ecc.). In Etiopia, nel sito di Herto, nel 2003 White ha rinvenuto resti cranici datati 155.000 anni da lui attribuiti a H. sapiens sottospecie idaltu, la forma che ha preceduto H. sapiens anatomicamente moderno, rinvenuto in Etiopia nel sito di Omo Kibish e in A. meridionale (Border Cave, Klasies River), cosiddetto perché ancora accompagnato dall’industria Middle Stone Age. La tradizione acheuleana si mantenne solo in alcune regioni meridionali e orientali, in cui, probabilmente, le condizioni ecologiche erano rimaste invariate. Nelle zone centrali a foreste si sviluppò invece uno strumentario leggero, costituito da piccoli oggetti per raschiare e tagliare e da strumenti apparentemente più rozzi: picchi e ‘pialle’, più adatti alle foreste e a una lavorazione intensiva del legno (complesso Sangoano). L’industria di tipo musteriano scomparve abbastanza precocemente dal Nordafrica, sostituita nel Maghrib e nel Sahara dall’Ateriano (caratterizzato dall’uso di punte e schegge peduncolate) e in Cirenaica dal Dabbano (la più antica industria africana di tipo paleolitico superiore, 38.000-31.00038.000-31.000 a.C. ca.). Nell’A. subsahariana, al contrario, le tradizioni di tipo acheuleano sopravvissero molto più a lungo nelle culture della Middle Stone Age, che pure presentano ulteriori specializzazioni.
La fine del Pleistocene (verso l’8000 a.C.) fu preceduta da un periodo di clima più arido, della durata di circa due millenni, durante il quale si verificarono due probabili episodi immigratori nel Nordafrica: il primo a opera di gruppi cromagnonoidi, portatori della cultura iberomaurusiana (o oraniana) in Cirenaica e nel Maghrib; il secondo a opera di gruppi portatori della cultura capsiana del Maghrib, forse da associare ad analoghe tradizioni nella valle del Nilo e in Kenya e in Somalia. La fase umida che seguì la fine del Pleistocene favorì probabilmente i contatti e gli scambi culturali fra le popolazioni del Sahara, già avviate verso la neolitizzazione, e gli autori delle culture dell’ultima fase della Late Stone Age dell’A. subsahariana. La grande specializzazione adattativa di questo periodo si manifesta nella molteplicità delle varianti industriali regionali, che mostrano una spiccata tendenza verso il microlitismo e lo sfruttamento specializzato e intensivo delle risorse naturali.
Le prime tracce sicure della presenza di coltivazione proven;gono da insediamenti nella valle del Nilo (al-Fayyum, Merimde) degli inizi del 5° millennio a.C.; tuttavia l’allevamento è presente nel Sahara fin dal 6° millennio a.C. e alcune culture del cosiddetto Neolitico di tradizione sudanese, semisedentarie e in possesso di ceramica, erano orientate verso forme di protocoltivazione (sorgo, miglio) già nel 7° millennio a.C. Le culture a economia produttiva ebbero una rapida diffusione nella fascia sudanese. Elementi materiali della cultura neolitica quali ceramica e asce levigate comparvero abbastanza precocemente anche in diverse zone dell’A. subsahariana, dove si sviluppò la vegetocoltura. In Nigeria, nel sito di Nok, alla confluenza tra i fiumi Niger e Benué, sono testimoniate dell’Età del Ferro, tra 500 e 300 a.C., ma l’espansione bantu a S della foresta equatoriale, attraverso il plateau nigero-camerunese lungo i margini occidentali, ebbe inizio intorno al 1000 a.C. (Camerun, Congo, Gabon), raggiungendo la regione orientale (Kenya) in un secondo tempo; qui e in Etiopia, in seguito alla desertizzazione del Sahara iniziatasi nel 4° millennio a.C., si erano insediati gruppi di pastori. Non esistono tracce di una Età del Rame o del Bronzo, tranne che nella valle del Nilo e nel Maghrib; solo agli inizi dell’era cristiana si verificarono in molte parti del continente notevoli cambiamenti nell’economia, dovuti all’espansione meridionale di coltivatori parlanti lingue bantu, a conoscenza della lavorazione del ferro.
5000 a.C. ca. Origini del processo che condurrà al sorgere della civiltà egizia sulle sponde del fiume Nilo.
3500-3000 a.C. Prima maturazione della civiltà egizia e definitivo inaridimento del deserto del Sahara, che costituirà un ostacolo rilevante nei rapporti tra la parte mediterranea del continente e quella tropicale-equatoriale. La desertificazione determina grandi processi di migrazione e la nascita di usi – come l’impiego del dromedario – che diventeranno caratteristici nei secoli.
3000-1000 a.C. L’Egitto è un centro di irradiazione di conoscenze e stabilisce una fitta serie di relazioni con altre regioni dell’A., in particolare la Nubia e l’Etiopia. Dal 1° millennio si intensificano i rapporti col mondo ellenico, che poi si salderanno in seguito alla conquista macedone.
1200-1000 a.C. I Fenici fondano sulle coste mediterranee diverse basi marittime e mercantili (Utica, Adrumeto, Ippona, Leptis ecc.). Alla nascita di queste colonie non corrispondono lo spostamento di nuclei ingenti di popolazione né una reale propagazione di civiltà tra le popolazioni berbere.
814 a.C. I Fenici fondano la città di Cartagine (nell’od. Tunisia), che si scontrerà con Roma per l’egemonia nel Mediterraneo centrale.
633 a.C. L’Egitto viene sottomesso dagli Assiri.
525 a.C. I Persiani acquisiscono il controllo dell’Egitto.
4° sec. a.C. Nasce il regno abissino di Aksum.
Alessandro Magno conquista l’Egitto (332 a.C.).
146 a.C. Distruzione di Cartagine a opera dei Romani. Sarà ricostruita circa un secolo dopo per volere di Giulio Cesare. Nel giro di alcuni decenni l’intera A. settentrionale cade sotto il controllo romano; tuttavia non si realizza un processo di vera e propria romanizzazione delle popolazioni locali. I Romani costituiscono la provincia di Africa, cui viene poi aggiunta la Numidia (A. Nova). L’intera provincia è detta, nell’ordinamento augusteo, A. proconsularis, ma i territori hanno nei secoli diversi ordinamenti amministrativi. L’A. romana è assai ricca dal punto di vista agricolo e densamente popolata, come testimoniano le numerose città e le frequentatissime ville e fattorie. Le città, ricche di edifici monumentali, mostrano l’alto livello raggiunto dalla vita municipale. Intensa la vita culturale: l’A. è per Roma una fucina di letterati, giuristi, magistrati, imperatori; una sorta di riserva della latinità nella lotta di Roma contro l’Oriente. 30 a.C. L’Egitto cade sotto il dominio di Roma.
2° sec. Primi martiri cristiani noti, quelli di Scilli (180). Nella storia del cristianesimo antico, l’A. ha un posto di alta importanza. È notevole che dal 2° sec. i cristiani d’A. parlino latino, mentre a Roma la Chiesa è ancora di lingua greca. Nel 3° sec. Cipriano di Cartagine rappresenta bene lo spirito di autonomia della Chiesa africana nei confronti di Roma. Il lungo scisma donatista presenta anche un carattere economico-sociale, come rivolta dell’elemento indigeno-berbero e punico, soprattutto delle campagne.
4° sec. Si forma il regno del Ghana, che tra 8° e 9° sec. giungerà a controllare una vasta regione compresa tra i fiumi Senegal e Niger. Declinerà nel 12° sec. in seguito alla penetrazione araba a S del Sahara.
Il regno di Aksum si converte al cristianesimo (350 ca.), aderendo in seguito alla Chiesa copta.
Agostino diviene vescovo di Ippona (395).
429 L’occupazione dei Vandali segna la fine politica dell’A. romana.
6° sec. Regni nubiani cristiani di Makuria, Nobatia, che presto si fonderà con il primo, e Alodia. Dureranno fino al 14° sec., quando saranno assoggettati dagli Arabi.
534: Riconquista bizantina da parte di Belisario dei territori dell’A. romana.
640-708 Gli Arabi conquistano e consolidano il controllo della fascia a N del Sahara, dove sorgono nuovi e potenti Stati berbero-arabi. Inizia il rapido processo di islamizzazione di questo ampio territorio, dal quale gli Arabi condurranno in A. uno sforzo di espansione militare e religiosa in direzione del mondo subsahariano. Un’altra direttrice della diffusione dell’Islam in A. è il Mar Rosso, dove i marinai arabi stabiliscono una serie di scali, avviando un processo di irradiazione commerciale e culturale-religiosa che giungerà a Zanzibar e al Madagascar e determinerà importanti scambi con i Boscimani e i Bantu. Al centro dei commerci vi sono l’oro, l’avorio e gli schiavi.
8°-10° sec. Declino del regno di Aksum in seguito al controllo arabo della fascia litoranea ai suoi confini.
9°-10° sec. Fioritura della civiltà mercantile degli Zeng lungo le coste che si affacciano sull’Oceano Indiano; le loro operose città-stato, frutto dell’influenza araba e persiana, arrivano a intrattenere rapporti commerciali con l’India e la Cina.
11° sec. Inizia l’espansione, che si svilupperà fino al 18° sec. in diverse fasi, dei Bantu in molteplici direzioni, a partire dalle zone meridionali del bacino del Congo. Nel Maghrib irrompono a decine di migliaia tribù di beduini provenienti dall’Arabia.
12° sec. Creazione del regno Yoruba nelle foreste equatoriali a N del Golfo di Guinea, come forma di risposta indigena alla penetrazione arabo-islamica. Nei secoli seguenti in maniera analoga sorgeranno i regni Ashanti, del Benin e dei Nupe.
13° sec. Nasce l’impero malinke del Mali. È una delle più potenti entità territoriali che precedono la colonizzazione europea e alimenta la propria forza con il commercio dell’oro, del sale e degli schiavi; durerà fino al 15° secolo.
Fondazione di uno Stato cristiano etiopico sulle ceneri del regno di Aksum.
Civiltà agricole e metallurgiche dell’A. centro-meridionale: impero Bantu del Monomotapa, regni dei Kuba e dei Lunda, regno del Manikongo. Perdureranno fino al 19° sec. A O del Lago Good fiorisce il regno musulmano del Kanem-Bornu (in forme diverse durerà fino al 19° sec.).
14° sec. Eptarchia degli Hausa a occidente del Lago Ciad.
1487 Bartolomeu Dias doppia il Capo di Buona Speranza, che diverrà un punto strategico nel controllo della via marittima verso le Indie.
16° sec. Impero Songhai di Gao, ultima potenza carovaniera nell’A. nord-occidentale.
Regno schiavista musulmano del Darfur (durerà fino al 19° sec.).
Conquista turca dell’A. mediterranea. Gli Stati Barbareschi diventano province autonome dell’impero e praticano la guerra di corsa nel Mediterraneo.
16°-17° sec. In seguito alla circumnavigazione dell’A. di Vasco da Gama (1497-99), gli Europei si stabiliscono sulle coste occidentali e orientali dell’Africa. In una prima fase i paesi europei si limitano a un controllo sulle zone costiere da cui condurre i traffici con le popolazioni indigene. I Portoghesi si insediano in Angola, Mozambico e Guinea; gli Inglesi nella Costa d’Oro; i Francesi in Senegal; gli Olandesi nell’estremità meridionale battezzata Colonia del Capo. La presenza europea costituisce un fattore disgregante per i regni dell’interno.
I mercanti europei sviluppano la tratta degli schiavi neri, che per due secoli diventa uno dei principali capitoli dei loro commerci; analogo commercio di uomini è condotto dai mercanti arabi nella parte settentrionale e orientale del continente (v. tab.).
18° sec. 1788: nasce a Londra l’African association. Inizia l’epoca delle grandi esplorazioni delle zone interne dell’A., preludio della spartizione coloniale del continente.
1798: campagna d’Egitto di Napoleone Bonaparte per contrastare l’accesso in India degli Inglesi attraverso il Mediterraneo.
19° sec. 1806: gli Inglesi acquisiscono il controllo della Colonia del Capo spodestando i coloni di origine olandese (Boeri), che in seguito inizieranno una migrazione verso le zone interne, dove si scontreranno con la popolazione Zulu e fonderanno lo Stato libero d’Orange e la Repubblica del Transvaal.
1807: la Gran Bretagna proclama l’abolizione della tratta degli schiavi e si impegna nella repressione del fenomeno a livello internazionale; l’A. diventa interessante come fonte di materie prime e possibile mercato di sbocco dei prodotti industriali. Si creano quindi le basi per la penetrazione europea verso l’interno e per la spartizione territoriale del continente. Tuttavia trascorre ancora oltre mezzo secolo prima che il contrabbando di schiavi sia stroncato: prosegue in direzione del Medio Oriente, gestito dai mercanti arabi che sfruttano le divisioni fra le tribù locali.
1822: fondazione della Liberia a opera di ex schiavi provenienti dagli Stati Uniti.
1830: la Francia stabilisce il proprio controllo sull’Algeria.
1839-47: rivolta antifrancese in Algeria guidata da ῾Abd el-Kader.
1847: la Liberia proclama l’indipendenza.
1855: in Etiopia la restaurazione imperiale di Teodoro III rafforza il potere centrale e pone le basi per la vittoriosa resistenza contro la penetrazione europea.
1869: apertura del canale di Suez; ne risultano rivoluzionate le strategie navali e commerciali delle potenze.
1871-72: rivolta cabila in Algeria (60.000 caduti).
1873: gli Inglesi intervengono a Zanzibar contro il commercio degli schiavi.
1876: fondazione a Bruxelles dell’Associazione internazionale africana, il cui scopo è esplorare le zone ignote tra il bacino dello Zambesi e il Sudan e creare «stazioni ospedaliere, scientifiche o pacifiche».
1881: la Francia acquisisce il controllo della Tunisia. Inizio della rivolta del Mahdī in Sudan.
1882: protettorato inglese sull’Egitto. Sollevazione antibritannica in Sudan.
1884: il governo tedesco si impegna ufficialmente a sostegno di una politica coloniale in Africa. Vengono stabiliti possedimenti in Togo, Camerun e A. del Sud-ovest. Segue la costituzione dell’A. Orientale Tedesca (1885-91).
1885: la Conferenza internazionale di Berlino sancisce la spartizione dell’A. tra i diversi paesi europei. In tale sede il Congo viene riconosciuto come possesso personale del re del Belgio Leopoldo II, che vi stabilisce uno dei sistemi più disumani di sfruttamento coloniale. Protettorato francese sul Madagascar. In Sudan, sconfitta inglese a Khartoum e proclamazione dello Stato teocratico mahdista.
1888: accordo franco-inglese sui rispettivi possedimenti in Somalia.
1889: convenzione franco-inglese sui rispettivi possedimenti in A. occidentale.
1890: nuovo accordo coloniale franco-inglese; tra i suoi punti, la reciproca legittimazione del possesso del Madagascar e di Zanzibar. Costituzione da parte dell’Italia della Colonia eritrea.
1892: C. Rhodes annuncia il programma per il dominio britannico «da Città del Capo al Cairo». I Francesi stabiliscono il protettorato sul Dahomey (Benin).
1894: protettorato inglese sull’Uganda.
1895: formazione dell’A. Occidentale Francese. Campagna francese del Madagascar.
1896: nella battaglia di Adua le truppe abissine sconfiggono il corpo di spedizione italiano. L’Etiopia è l’unico Stato dell’A. che sfugge alla dominazione europea. Il trattato di Addis Abeba fra Italia ed Etiopia riconosce la giurisdizione italiana sull’Eritrea.
1898: incidente anglo-francese di Fascioda, che minaccia di scatenare un conflitto tra le due potenze. Gli Inglesi sconfiggono le forze mahdiste e sottomettono il Sudan, che diviene un ‘condominio’ anglo-egiziano.
1899-1902 Guerra anglo-boera: gli Inglesi stabiliscono il loro controllo sugli Stati fondati dai Boeri.
1900-1910 1900: insurrezione Ashanti in Costa d’Oro, repressa dagli Inglesi. Intesa franco-spagnola sul Marocco meridionale e sulla Mauritania.
1904-08: rivolta ottentotta nell’A. tedesca del Sud-ovest (guerra degli Herero e dei Khai-Khoin).
1905: la Somalia diventa colonia italiana.
1905-06: insurrezione Magi nel Tanganica e sua repressione.
1909-10: il Sudafrica, frutto della fusione della Colonia del Capo con gli Stati fondati dai Boeri nell’interno, viene costituito in dominion.
1910: formazione dell’A. Equatoriale Francese.
1911-1920 1912: Tripolitania e Cirenaica vengono annesse all’Italia. Protettorato francese sul Marocco.
1914-16: truppe coloniali africane partecipano alla Prima guerra mondiale: ciò favorisce una prima maturazione delle istanze nazionaliste contro il colonialismo europeo; in A. si combatte nei possedimenti tedeschi stretti dal blocco navale alleato. In Libia la rivolta senussita costringe le forze italiane a retrocedere sulla costa.
1917: la Liberia dichiara guerra alla Germania.
1919: si svolge a Parigi il I Congresso panafricano; in Egitto nasce il movimento wafdista per l’indipendenza nazionale.
1920: sorgono nuove organizzazioni contro il dominio coloniale: il Congresso nazionale dell’A. occidentale (Costa d’Oro); l’Associazione centrale dei Kikuyu (Kenya); il movimento Giovane Algeria. Sudafrica e Liberia sono ammesse nella Società delle Nazioni (seguirà nel 1923 l’Etiopia).
1921-1930 1921-26: rivolta marocchina guidata da ῾Abd el-Krīm (guerra del Rif).
1922: la Gran Bretagna riconosce l’indipendenza dell’Egitto; in Libia si riaccende la rivolta senussita che sarà duramente domata solo al principio degli anni 1930.
1926-27: si infiamma la rivolta nel Congo belga (nuovi moti nel 1931-32).
1931-1939 Prima crisi del panafricanismo e, per contro, ulteriore sviluppo dei movimenti nazionalisti locali. 1935-36: guerra d’Etiopia; i territori dell’impero entrano a far parte dell’Africa Orientale Italiana con l’Eritrea e la Somalia. Sorgono in A. e nel resto del mondo movimenti di solidarietà verso la causa etiopica.
1940-1945 La Seconda guerra mondiale coinvolge l’A. a livello di operazioni militari e di assetti politico-territoriali. Riconquista etiopica dell’indipendenza (1941) e sconfitta delle forze dell’Asse in Nordafrica (1943). Si intensifica il movimento per la decolonizzazione. Le potenze coloniali iniziano a prefigurare nuove forme di associazione e autonomia per i possedimenti africani (Conferenza di Brazzaville, promossa nel 1944 da Ch. De Gaulle).
1945-1959 1945: l’Egitto prende parte alla conferenza di San Francisco e all’atto fondativo dell’ONU. Rivolta antifrancese e repressione in Algeria.
1946: nasce l’Unione francese, che si propone di legare in una nuova forma associativa la Francia con i dipartimenti d’oltremare e alcuni territori coloniali (tra cui Marocco e Tunisia). Riaffermato l’ideale assimilazionista della Francia.
1947: rivolta nel Madagascar e repressione.
1948: istituzionalizzazione della politica dell’apartheid in Sudafrica.
1950: l’Eritrea è inclusa nell’Impero etiopico.
1951: indipendenza della Libia sotto il regno di Idrīs el-Senussi.
1952: colpo di Stato in Egitto del Comitato dei liberi ufficiali guidato da Neghib e Nasser (proclamazione della Repubblica nel 1953). Tra le misure iniziali vi è la riforma agraria, la prima nella storia del continente. In Kenya si estende il movimento indipendentista armato dei Mau Mau (stato di emergenza fino al 1960).
1954: inizio della guerra d’Algeria, che si concluderà dopo 8 anni con l’indipendenza.
1955: sei paesi africani (Libia, Sudan, Egitto, Etiopia, Liberia, Costa d’Oro) partecipano alla conferenza di Bandung (Indonesia), che affronta le questioni politiche della decolonizzazione e da cui prenderà le mosse il movimento dei non allineati.
1956: conseguono l’indipendenza Sudan, Marocco, Tunisia. Crisi di Suez: Nasser nazionalizza il canale; reazione di Francia e Gran Bretagna, che con Israele attaccano l’Egitto, ma sono costrette al ritiro per le pressioni degli Stati Uniti e della comunità internazionale.
1957: indipendenza del Ghana (ex Costa d’Oro) nell’ambito del Commonwealth britannico; Togo e Camerun acquisiscono lo status di paesi autonomi nell’ambito della Comunità francese. Ha luogo in Egitto la I Conferenza di solidarietà fra i popoli afroasiatici.
1958: indipendenza della Guinea ex francese; è la prima colonia che declina ogni forma di associazione con la Francia. Si svolgono ad Accra due Conferenze interafricane su impulso del ghanese Nkrumah che riaffermano i principi della Carta dell’ONU e della Conferenza di Bandung, e ne sostengono l’applicazione integrale al continente africano.
1960-1969 1960: anno cruciale nel processo di decolonizzazione; acquisiscono l’indipendenza 17 paesi: Camerun, Togo, Mali, Madagascar, Somalia, Congo belga, Dahomey (Benin), Niger, Alto Volta (Burkina Faso), Costa d’Avorio, Ciad, Repubblica Centroafricana, Congo francese, Gabon, Senegal, Nigeria, Mauritania. In Congo belga, favorita dagli interessi occidentali, ha luogo la secessione del Katanga; a Léopoldville si svolge una storica conferenza dei paesi africani indipendenti. Si tiene a Conakry (Guinea) la II Conferenza di solidarietà fra i popoli afroasiatici.
1961: indipendenza di Sierra Leone e Tanganica. Assassinio del leader congolese Patrice Lumumba. Inizia in Angola la lunga guerra contro i colonizzatori portoghesi. Uscita dell’Unione Sudafricana dal Commonwealth e proclamazione della Repubblica, in modo da preservare la politica razzista dell’apartheid.
1962: indipendenza di Burundi, Ruanda, Algeria, Uganda.
1963: indipendenza del Kenya. Costituzione dell’Organizzazione dell’unità africana (OUA), in cui entrano a far parte 30 paesi. Il nuovo organismo nasce con lo scopo di perseguire l’unità e la solidarietà degli Stati africani, intensificare e coordinare i loro sforzi volti al miglioramento delle condizioni di vita in A., difendere la loro indipendenza, sovranità e integrità territoriale, sradicare ogni forma di colonialismo dall’A., promuovere la cooperazione internazionale. Tali compiti saranno svolti solo in misura insufficiente: l’OUA riuscirà a esprimere posizioni relativamente unitarie nei confronti delle residue situazioni coloniali o di aperta discriminazione razziale, trovando però frequenti e gravi motivi di dissenso interno sia nei rapporti con gli ex paesi coloniali e con il mondo occidentale sia nelle divergenze e nelle tensioni fra i diversi Stati africani, sia in alcune crisi locali. Convenzione di Yaoundé fra la CEE e un gruppo di Stati africani (un secondo accordo seguirà nel 1969).
1964: nascita della Tanzania (unione fra Tanganica e Zanzibar) e del Malawi. Costituzione della Repubblica popolare del Congo e della Zambia. Inizio della guerra di liberazione in Mozambico. 1965: indipendenza di Gambia e Rhodesia (quest’ultima guidata da un regime razzista bianco). I colpi di Stato in Algeria e in Congo testimoniano le enormi difficoltà sul cammino dei nuovi Stati africani. Viaggio del premier cinese Zhou Enlai attraverso il continente: diversi paesi africani si orientano verso un sistema a partito unico ed economia di piano.
1966: indipendenza di Botswana e Lesotho. Nel Ghana un colpo di Stato rovescia il governo di Nkrumah. Programma di nazionalizzazione in Algeria orientato verso il modello socialista.
1967: guerra di secessione del Biafra (fino al 1970). Nonostante le speranze del panafricanismo e della prima fase di decolonizzazione, si accendono conflitti tra i nuovi paesi e guerre intestine, che hanno alle spalle interessi neocoloniali e il traffico internazionale di armi. L’intervento dei militari nelle lotte politiche diviene una regola: l’esercito rappresenta, infatti, nei nuovi Stati africani, quasi la sola forza saldamente organizzata e l’affermazione di regimi militari appare in molti casi come unica alternativa al malgoverno, all’ingerenza straniera e alla disgregazione dell’unità nazionale.
1968: indipendenza di Maurizio, Guinea Equatoriale, Swaziland.
1969: in Uganda ha luogo la I Conferenza episcopale africana, con la presenza di Paolo VI. In Libia, caduta della monarchia e proclamazione della Repubblica.
1970-1979 Permangono le difficoltà per molti Stati africani a liberarsi dal neocolonialismo. Oltre a quelle coloniali, operano nel continente le potenze della guerra fredda, che cercano di affermare in A. i propri modelli politici ed economici. La crisi economica internazionale colpisce l’A. in quanto anello debole della catena, che non riuscirà a beneficiare dei connessi processi di ristrutturazione tecnologica e produttiva.
1974: indipendenza di Guinea Bissau. Caduta della monarchia in Etiopia, dove si insedia una giunta militare. Il Corno d’Africa diviene una zona di conflitto inserita nel più vasto scontro della guerra fredda. Dopo quello etiopico si registra una lunga serie di colpi di Stato militari, che rivelano la fragilità e le contraddizioni dei nuovi paesi africani.
1975: indipendenza di Angola e Mozambico. Unione Sovietica e Cuba intervengono in Angola, che sarà teatro di un lungo conflitto regionale e interno. Convenzione di Lomé che amplia la precedente Convenzione di Yaoundé. Questi accordi vedranno periodici aggiornamenti; a essi sono legate forti speranze di una maggiore integrazione dei paesi africani negli scambi commerciali internazionali.
1977: intervento sovietico e cubano nel Corno d’Africa a sostegno dell’Etiopia, dove Menghistu impone una dittatura marxista-leninista. Proclamazione della Repubblica di Gibuti.
1980-1989 Prosegue la lunga serie di conflitti interni e tra Stati, di crisi regionali, di colpi di Stato e di crisi economiche. Nel giro di circa venti anni è cambiato radicalmente il clima rispetto alle speranze della decolonizzazione. Per i nuovi paesi africani si è rivelata ardua ai limiti dell’impercorribile sia la strada socialista, sia quella dell’inserimento nel mercato internazionale. Alla fine del decennio si assiste a una preoccupante crescita dell’integralismo islamico, specie nel Maghrib.
1980: in Rhodesia è abbattuto il regime razzista e viene proclamata la Repubblica dello Zimbabwe.
1981: assassinio del presidente egiziano Sada´t per opera di estremisti islamici attivi all’interno delle forze armate.
1981-82: nel Ciad dilaniato dalla guerra civile interviene una forza interafricana di pace sotto l’egida dell’OUA. La spedizione fallisce, rivelando i contrasti in seno all’organizzazione. Più grave ancora la spaccatura che si determina nell’OUA in seguito alla crisi del Sahara Occidentale.
1983-84: carestia nel Sahel. Gravissima siccità in Etiopia.
1984: colpo di Stato militare in Nigeria, paese al centro di grandi interessi petroliferi.
1985: colpo di Stato in Sudan, dove la divisione tra il Nord musulmano e il Sud cristiano o animista condurrà a una sanguinosa guerra civile. Sanzioni economiche degli Stati Uniti e della CEE contro il Sudafrica.
1986: crisi della Sirte: attacco statunitense contro la Libia, accusata di appoggiare il terrorismo internazionale. In Tunisia destituzione di H. Burghiba.
1988: accordi di Ginevra tra Angola, Sudafrica e Cuba per la cessazione delle ostilità (fine della guerra fredda nel continente africano).
1989: nasce l’Unione del Maghrib arabo (UMA), comunità economica di cui fanno parte Libia, Tunisia, Algeria, Marocco e Mauritania. L’Algeria introduce il pluralismo delle forze politiche.
1990-1999 La scomparsa delle figure carismatiche di prima generazione, il fallimento dei processi di sviluppo, la persistenza di forme di identità estranee alla concezione moderna dello Stato e della conflittualità interna evidenziano la difficoltà del tentativo di esportare in A. (in particolare nell’A. nera) il modello dello Stato-nazione. In molti casi il confine territoriale appare travolto da dinamiche politiche articolate secondo un modello tipico della lealtà etnica e tribale. Poteri sempre più autonomi dallo Stato territoriale cercano di garantirsi un accesso al mercato mondiale, spesso sostenuti in questo tentativo da interessi esterni al continente. Una serie di eventi tragici esplicita la crisi, con cambiamenti, spesso cruenti, dei governi, guerre, secessioni, scontri di fazioni, lotte tribali che travagliano gran parte dell’A. subsahariana; l’integralismo islamico trae ulteriore alimento dalle mancate promesse dello sviluppo. Dilaga l’epidemia da virus HIV: l’AIDS costituisce la prima causa di mortalità nel continente.
1990: fine del regime segregazionista in Sudafrica; indipendenza della Namibia.
1991: scoppio del conflitto intestino in Somalia.
1992: inizio della guerra civile in Algeria.
1993: indipendenza dell’Eritrea dall’Etiopia.
1994: il conflitto che oppone le etnie hutu e tutsi nel Ruanda e nel Burundi varca la soglia del genocidio.
1996: conflitti nella regione dei Grandi Laghi legati al controllo delle risorse minerarie, che coinvolgono molti Stati africani.
1999: guerra Etiopia-Eritrea.
2000 Torna la carestia nelle regioni nel Corno d’Africa.
2001: desta speranza l’entrata in vigore dell’atto istitutivo dell’Unione africana. Modellato istituzionalmente sull’Unione Europea (ma con poteri ridotti), il nuovo organismo, che comprende tutti gli Stati africani eccetto il Marocco, mira a rafforzare il ruolo già svolto dall’OUA.
2003: ripresa della guerra nel Darfur, che vede contrapposti maggioranza nera e minoranza araba.
2006: l’Etiopia invia truppe in Somalia per sostenere il governo nella lotta contro le milizie islamiche.
La tradizione letteraria orale africana, detta anche oratura, si differenzia da quella scritta perché assomma in sé parola, musica e teatro (mimo, danza e recitazione) e svolge funzioni sociali multiple. L’arte dell’oralità si basa su un corpus tramandato attraverso la memoria degli esecutori e del pubblico, cioè della comunità culturale; su una costellazione di stereotipi (intrecci e modi compositivi e ritmici) in base a cui l’esecutore, l’artista, organizza la propria versione espressiva; su un rapporto d’interazione anche antifonica tra artista e pubblico. L’esecuzione è insieme momento creativo e momento sociale dell’arte, interpretazione del canone e variazione inventiva di esso.
Alle aree con presenza ancora viva della tradizione si affiancano aree, soprattutto quelle urbanizzate, ove essa è ormai un ricordo o tutt’al più una comparsa sporadica. Un rifluire dei modi dell’oralità nella letteratura scritta è peraltro visibile nel racconto e nel romanzo, nella poesia e nel teatro; d’altra parte forme tradizionali orali, come in Sudafrica il panegirico zulu izibongo e la melopea funebre, rivivono in contesti contemporanei. La tradizione letteraria orale ha inoltre trovato il suo maggiore sbocco nella musica, tradizionale e non: la ricchezza della produzione musicale africana è appunto il risultato anche di tale confluenza.
A eccezione delle zone islamizzate dell’A. occidentale e delle coste orientali – dove ben prima dell’Ottocento la popolazione si istruiva alla recitazione del Corano e all’apprendimento dell’arabo, fattore di coesione religiosa e culturale – l’alfabetizzazione in A. fu iniziata in modo sistematico alla fine del 19° sec. e si attuò a partire dal 20° in stretta relazione con il processo di evangelizzazione, pertanto articolandosi in modi e tempi diversi. I missionari appresero le lingue autoctone, esclusivamente orali, e le trascrissero nell’alfabeto latino, traducendo le sacre scritture a uso dei neofiti; fu un’azione intensa nelle zone di evangelizzazione protestante (dove il rapporto con il testo sacro appariva indispensabile), mentre ebbe minore rilevanza in quelle di evangelizzazione cattolica. L’alfabetizzazione, comunque, avveniva per lo più nelle lingue coloniali: sempre in area francofona, meno sistematicanente in area anglofona, dove in vaste zone si permise (Nigeria) o addirittura si favorì (Sudafrica) l’uso delle lingue africane. La produzione africana in inglese, francese e portoghese iniziò nel primo Novecento in A. australe a opera degli intellettuali neri sulla spinta di una presa coscienza della propria condizione coloniale.
Le aree anglofone ebbero complessivamente un’alfabetizzazione più diffusa e capillare, che precedette quella del resto dell’A.; il governo coloniale inglese creò università africane e ciò da un lato consentì il formarsi di scrittori educati nel loro paese, e dall’altro creò un pubblico di lettori africani. In area francofona, invece, la politica di assimilazione educava i giovani neri più brillanti nelle università di Francia, e la scolarizzazione era più elitaria e ridotta, conforme ai modelli metropolitani.
Per le letterature dei paesi dell’A. settentrionale ➔ Arabi, Egitto e Maghrib. Per le letterature nazionali, si vedano le voci dei singoli paesi.
Per arte africana genericamente s’intende la produzione artistica delle popolazioni autoctone delle regioni dell’A. a S del Sahara; non sono pertanto qui considerate le civiltà egiziana (➔ Egitto), etiopica (➔ Etiopia), arabo-islamica (➔ islam), romana (➔ le voci dedicate ai singoli centri romani in A.). Per l’arte e l’architettura del periodo coloniale e contemporaneo si rimanda ai vari Stati.
Le capacità artistiche degli abitanti preistorici dell’A. trovarono una notevole varietà di espressioni. Si sono conservate però solo le opere meno deperibili: statuine litiche e fittili, ceramiche e recipienti decorati e soprattutto un imponente complesso di graffiti e pitture rupestri che hanno suscitato in modo particolare l’interesse degli studiosi, non solo per i notevoli valori formali a essi riconosciuti, ma soprattutto per la loro funzione insostituibile nella documentazione di usanze tribali, credenze magico-religiose, pratiche economiche, che non potrebbero essere altrimenti ricostruite, se non in modo estremamente incerto. Le maggiori concentrazioni di arte rupestre si ritrovano nella parte meridionale dell’Alto Atlante e a S di Orano, nel Sahara, in A. orientale e in Sudafrica, zone che, a eccezione della provincia sudafricana che costituisce un complesso a sé stante, godettero di climi nettamente più favorevoli di quelli attuali fino al 4° millennio a.C., quando ebbe inizio il lento e graduale inaridimento delle aree a N del 20° parallelo N.
Poiché la maggior parte delle pitture e dei graffiti è stata eseguita su pareti rocciose all’aperto, non collegabili a giacimenti stratificati, è difficile correlare i vari cicli di arte rupestre con i complessi industriali succedutisi nella zona, eventualmente associati a forme di arte mobiliare: per stabilire una cronologia delle opere ci si è basati eminentemente sull’esame della tematica delle raffigurazioni (in particolare per quanto riguarda la fauna rappresentata, le cui variazioni possono essere messe in relazione a cambiamenti climatici o economici), integrate da osservazioni concernenti la patina, lo stile, le eventuali sovrapposizioni.
Prodotti dell’arte africana erano conosciuti e collezionati in Europa a partire dal 16° sec.; gli artisti della fine del 19° e dell’inizio del 20° sec. vi trovarono elementi comuni alla propria ricerca, ma lo studio per individuare le linee di una storia dell’arte africana si è avviato soltanto nel Novecento avanzato, grazie anche a sempre più accurate campagne archeologiche. Lo stesso dibattito sulla sua definizione, come arte primitiva, tribale o tradizionale, mostra la difficoltà di un approccio che non può usare gli stessi parametri estetici della cultura occidentale. L’arte a. è essenzialmente espressione e rivelazione della religione animistica e magica diffusa in tutte le regioni a S del Sahara. In quest’area le arti figurative, compresa gran parte della stessa ornamentazione, hanno carattere prevalentemente rituale. Statue di ogni dimensione raffigurano divinità, spiriti, antenati, eroi e animali mitici. Vi è poi il filone degli oggetti rituali, in primo luogo le maschere, e poi armi sacre, scettri, troni, vasellami, strumenti musicali e così via. Prima conseguenza di questa funzione rituale dell’opera d’arte è un intenso simbolismo, che a sua volta determina uno stile rigorosamente astratto accanto al quale tuttavia è dato ritrovare raffinate figurazioni natu;ralistiche. Oggetto primario di indagini etnologiche, i manufatti difficilmente si prestano a un’analisi diacronica dal punto di vista formale o stilistico per la deperibilità dei materiali, nella gran maggioranza in legno (ma molti sono gli oggetti in pietra, terracotta e metalli pervenuti).
La più antica tradizione scultorea africana sembra essere fiorita in Nigeria: la cultura di Nok, che si estende in un’area più vasta del villaggio da cui prende il nome e che si protrae per un periodo compreso tra il 4° sec a.C. e il 2° sec. d.C., ha prodotto sculture in terracotta che per la tecnica sembrano presupporre una tradizione scultorea in legno. Teste e frammenti di figure che possono raggiungere oltre il metro di altezza mostrano forme stilizzate nei soggetti umani (la testa è generalmente cilindrica, sferica o conica, i lineamenti resi da nette incisioni), più naturalistiche in quelli animali. Un lungo intervallo separa questa cultura da quella denominata di Ife, caratterizzata da naturalismo idealizzato fuso con elementi di estrema stilizzazione, il cui apogeo viene situato nei sec. 13°-14° con opere di straordinaria bellezza in pietra, terracotta e bronzo. È probabile che la tecnica della fusione in bronzo da Ife si sia diffusa a Benin: l’alto livello raggiunto dall’arte di Benin (➔) nei sec. 15°-16° (bassorilievi e teste di bronzo ottenuti col procedimento a cera perduta) presuppone certamente fasi di sviluppo precedente di non breve durata; il primo naturalismo vicino all’arte di Ife si fa sempre più schematico. I bellissimi avori del 16° sec. già chiamati ‘afro-portoghesi’ (coppe, forchette ecc.) e considerati produzione di Benin su commissione portoghese, in realtà provengono dalla Sierra Leone e dall’isola di Sherbro e hanno una totale autonomia rispetto all’arte europea.
Altri importanti centri artistici sono nella zona del Lago Ciad connessi con l’antico popolo Sao: scavi presso santuari, tombe, cinte murarie hanno permesso di individuare un arco cronologico che dal 10° sec. giunge al 18° sec. Oltre ai grandi orci funerari, decorati con motivi geometrici, le piccole ma monumentali statue degli antenati sono le migliori produzioni dei Sao, che conobbero anche l’arte della fusione (oggetti ornamentali finemente decorati). Molto più lacunosa è la ricerca delle culture nell’A. centrale e meridionale: scavi nella zona di Sanga, sulla riva occidentale del Lago Kilase hanno rilevato l’esistenza della cosiddetta cultura kilasiana (8°-9° sec.), con reperti fittili decorati con figure antropomorfe, oggetti in rame e ferro che non mostrano somiglianze con altre culture contemporanee o attuali.
Numerosi sono i musei che conservano preziose testimonianze dell’arte africana nei centri delle locali culture, nelle capitali degli Stati africani, in Europa, soprattutto nelle nazioni che hanno avuto un ruolo nel passato coloniale dell’A., e negli Stati Uniti.
Per musica africana s’intende generalmente quella dell’A. a S del Sahara. L’arte musicale delle regioni dell’A. settentrionale concerne la civiltà araba islamica (➔ Arabi). Autonoma trattazione ha la musica dell’Etiopia (➔) e quella dell’Egitto (➔).
La musica dell’A. subsahariana, pur presentando tratti distintivi che la differenziano da altre grandi tradizioni, come quelle europee o asiatiche, è un insieme poliedrico di tradizioni musicali distinte: quella dei Boscimani e degli Ottentotti, delle regioni orientali, della costa occidentale, delle regioni centrali, dei gruppi pigmei. È nel 20° sec. che gli studi etnomusicologici sono diventati scientificamente più mirati attraverso le inchieste promosse da alcuni governi coloniali, come quella belga del 1934 sulla musica del Congo, e la partecipazione di alcuni musicologi (A. Schaeffner, G. Herzog, P. Kirbi) alle spedizioni etnologiche degli anni 1930 e 1940. Nel 1954 è stata fondata a Johannesburg l’International library of African music, che con H. Tracey ha avviato la registrazione di musiche tradizionali di vaste zone del continente e la pubblicazione della rivista African music.
La musica è una componente fondamentale nella vita delle collettività africane e prevede un’intensa partecipazione dei suoi componenti, interrelandosi con diversi aspetti della cultura, da quelli sociali ed economici a quelli magico-religiosi. Il canto è un veicolo privilegiato per la conservazione della memoria storica e ogni tradizione dispone di un proprio repertorio, quasi sempre solistico, che può comprendere racconti, concatenazioni di proverbi e modi di dire, canti di lode nei confronti di personaggi famosi, genealogie cantate, narrazioni di imprese storiche ecc. Generalmente è accompagnato da strumenti a corde, quali l’arpa-liuto kora, diffusa in A. occidentale e già usata nel regno del Ghana dai griots, cantastorie, poeti-musicisti itineranti che nella cultura mandingo costituivano una vera e propria classe sociale; l’arpa arcuata, rinvenibile particolarmente in Gabon, dove è impiegata nei rituali terapeutici di possessione; vari tipi di cetra, dall’idiocorde mvet del Camerun alla tubolare valiha del Madagascar, all’inanga del Burundi; le lire, che sopravvivono in una consistente fascia dell’A. orientale; i liuti ad arco, quasi sempre monocordi, diffusi sia nella zona orientale sia in quella occidentale. Anche la sanza (o mbira), costituita da una serie di lamelle di metallo o bambù fissate su una cassa di risonanza, ha un rilevante ruolo epico ed è simbolo dell’identità nera della musica fiorita nelle lotte per l’indipendenza. Nell’ultimo ventennio del Novecento molti di questi strumenti si sono diffusi anche in Occidente.
Pur con consistenti differenze, l’accompagnamento con strumenti ‘epici’ è organizzato, in genere, in ostinati variati; la voce segue normalmente un andamento sillabico ricco di pathos, mentre gli interludi strumentali scandiscono la narrazione, creando attesa negli ascoltatori. La forma più utilizzata nella musica corale è quella antifonale, in cui un leader si alterna agli interventi di un coro. L’insieme corale può essere unisono o a più parti: i repertori più ricchi sul piano polifonico sono quelli dei Pigmei della foresta e dei Boscimani del Kalahari.
Se i cordofoni hanno il ruolo di raccontare e sono riservati a esecuzioni solistiche, i tamburi sono strumenti da orchestra e hanno un più netto ruolo rituale. La simbologia extramusicale del tamburo è fortemente significativa: nella zona interlacustre ha una connotazione politica in quanto solo il possesso di questi strumenti garantiva la legittimità dell’assunzione del potere; in altri casi essi sono legati al culto e alla memoria degli antenati. I tamburi a membrana presentano dimensioni estremamente varie e possono avere la cassa cilindrica, a tronco di cono, a calice, a clessidra, a scodella. Altri strumenti a percussione frequenti negli ensemble sono i tamburi a fessura, utilizzati anche per comunicare i messaggi, e gli xilofoni, diffusi dall’Uganda al Mozambico. Spesso sono proprio le strutture linguistiche, caratterizzate melodicamente grazie alla presenza dei toni in molte lingue africane, a generare le formule ritmiche: nelle batterie usate durante le danze nell’A. occidentale e centro-orientale molto spesso uno dei tamburi o degli xilofoni ha il compito di ‘parlare’ agli astanti e ai ballerini, descrivendo le situazioni o i significati della danza stessa.
I gruppi strumentali sono organizzati generalmente in maniera non solo polifonica ma anche poliritmica: il gruppo fa riferimento a una pulsazione di base isocrona, generalmente derivata da schemi coreutici e ben radicata nella coscienza motoria della comunità; la costruzione formale dell’insieme è ciclica, e non sempre le parti dell’insieme hanno cicli di uguale durata.
Anche le orchestre di aerofoni rivestono un particolare interesse, soprattutto in A. centrale, dove gruppi di trombe o di fischietti sono suonati con una procedura a hochetus, in cui ogni strumento produce una breve formula inserita in un ciclo generale molto complesso.
La progressiva accelerazione dei contatti tra l’A. e l’Occidente ha portato a un forte potenziamento dei fenomeni di contaminazione musicale. Per alcuni musicisti occidentali, rappresentanti sia della popular music come P. Gabriel sia della cosiddetta musica colta come S. Reich, G. Ligeti, L. Berio, timbri e tecniche costruttive della musica africana sono stati tra le fonti dell’invenzione creativa. Ma la novità più consistente è l’autonoma capacità di protagonismo dell’A. subsahariana e dei suoi musicisti sulla scena mondiale. Tra le tendenze musicali maggiormente diffuse in Occidente sono quelle riconducibili alla popular music, come l’highlife del Ghana, la rumba e il soukous zairo-congolese, lo mbaqanga del Sudafrica, lo mbalax senegalese, il fuji nigeriano, il tarab di Zanzibar e dell’A. orientale. Call
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