Sostanza costituita in prevalenza da carbonio, formatasi naturalmente od ottenuta artificialmente da materiali di origine animale e vegetale.
Classificazioni. - Il c. fossile è una roccia sedimentaria organogena, combustibile solido, costituita da resti vegetali che hanno subito un arricchimento in carbonio in seguito a un processo di fossilizzazione e di diagenesi (carbonizzazione; fig. 1). È composto di sostanza carboniosa, chimicamente costituita di carbonio e, in quantità subordinata, di sostanze organiche azotate, residui dei tessuti vegetali non del tutto trasformati, cui si associano, con incidenze generalmente minime, minerali diversi, legati all’ambiente di sedimentazione (minerali argillosi, carbonati secondari, solfuri di ferro, solfati vari ecc.). I c. fossili sono riportabili a due grandi tipi: i c. di cutina, poveri di tessuti legnosi e abbondanti per contro di detriti organici cutinizzati, e i c. lignocellulosici, essenzialmente formati di tessuti di origine lignea, trattenuti da una pasta compatta che deriva da sostanze cellulosiche. La classificazione più nota è quella fondata sul maggiore o minore contenuto in carbonio (e quindi in relazione al diverso potere calorifico). Secondo questa i c. fossili si suddividono in torbe (50-60% in C); ligniti (60-70% in C), nelle due varietà, picee e xiloidi; litantraci (70-93% in C), e infine antraciti (93-95% in C). Questa suddivisione rispecchia grossolanamente un andamento cronologico: le torbe sono generalmente recenti o, comunque, quaternarie, le ligniti terziarie o mesozoiche, le litantraci e le antraciti paleozoiche; si può tuttavia osservare che non sempre a un più avanzato stato di carbonizzazione corrisponde un’età più antica.
Assai complesso è lo studio della natura chimica dei c.; utilizzando metodi di diffrazione di raggi X, di spettroscopia NMR ecc., è stato possibile appurare che i c. sono costituiti prevalentemente da nuclei aromatici ad alto grado di condensazione dotati di numerosi gruppi funzionali (chetonici, ossidrili fenolici ecc.), da ciò risulta una struttura assimilabile a quella di un polimero amorfo costituito da parti tenute insieme da legami relativamente deboli. Dal punto di vista dell’utilizzazione, le classificazioni si fondano soprattutto sul rapporto tra carbonio fisso e sostanze volatili o sulla percentuale di queste. Del primo tipo è la classificazione di Dowling, secondo la quale dal valore del rapporto tra le percentuali in peso, si distinguono: antracite, semiantracite, litantrace magro, litantrace, litantrace grasso, cannelcoal, lignite grassa, lignite xiloide. Del secondo tipo è la classificazione di Régnault-Gruner, basata sulla percentuale delle materie volatili: c. secco a lunga fiamma (45-40%), c. grasso da gas (40–32%), c. grasso da forgia (32–26%), c. grasso da coke (26-18%), c. magro (18-10%), antraciti (10-8%).
Estrazione. - A seconda della natura del giacimento il c. può essere estratto a cielo aperto oppure mediante pozzi e gallerie. Il primo caso si applica quando lo strato di terreno che ricopre il giacimento e che deve essere asportato per scoprire il c. non è troppo alto in rapporto allo spessore e all’estensione del giacimento. L’asportazione dello strato superficiale di copertura si compie di solito con draghe mobili e il c. si recupera con mezzi meccanici. Il sistema a cielo aperto, quando è possibile, consente sensibili economie ed elevate produttività. Si applica largamente in diverse località (Repubblica Sudafricana, USA, Germania, Australia, Siberia ecc.). Se il giacimento è profondo, esso viene raggiunto mediante pozzi e la coltivazione dello strato si esegue con tagliatrici e trasporti meccanici seguendo sistemi a fronte corto o preferenzialmente a fronte lungo, in quanto quest’ultimo consente produttività elevate e riduce i costi; richiede però forti investimenti di capitale.
Produzione.- Noto fin da tempi remoti, il c. fossile fu usato in Cina per usi metallurgici. In Europa, la Gran Bretagna è il paese nel quale l’estrazione e l’uso di esso si svilupparono per primi, e dove nel 17° sec. l’esportazione era già notevole. Fu però l’invenzione della macchina a vapore che, creando una enorme richiesta di combustibile, diede impulso all’industria carbonifera. Il ritmo della produzione mondiale crebbe da circa 20 milioni di tonnellate annue (comprese le ligniti, ragguagliate in ragione del loro potere calorifico) nel 1800, a 100 milioni nel 1850, a 700 milioni nel 1900, per giungere a un massimo di 1260 milioni nel 1913 e, dopo la parentesi della Prima guerra mondiale, di 1400 milioni nel 1929. Dopo di allora, però, sia i perfezionamenti introdotti nei generatori di vapore e nei forni metallurgici per abbassare il consumo specifico, sia la diffusione della elettrificazione e della trazione ferroviaria con motori a combustione interna provocarono una diminuzione del consumo con una flessione massima fino a 960 milioni di tonnellate nel 1932. Da quell’anno la produzione tornò lentamente a salire, riportandosi a 1330 milioni di tonnellate nel 1938, mentre dal 1939 si ebbe una nuova diminuzione per l’inizio della Seconda guerra mondiale.
L’importanza del c., rispetto alle altre fonti energetiche, è andata progressivamente diminuendo dalla metà del 20° secolo. L’impiego del c., largamente sostituito dagli idrocarburi e da altre fonti energetiche, è diminuito anche in ragione dell’accresciuta sensibilità nei confronti delle questioni ambientali, nel tentativo soprattutto di ridurre le emissioni inquinanti derivanti dalla combustione del carbone. L’impiego del c. come fonte energetica presenta, però, anche alcuni importanti vantaggi legati, per esempio, alla competitività dei suoi prezzi e alla mancanza di tensioni capaci di ingenerare pressioni destabilizzanti sul mercato. Fondamentale è anche la maggiore equità della ripartizione delle riserve e la loro abbondanza rispetto ad altre fonti energetiche: considerando gli attuali livelli di produzione e l’entità delle riserve mondiali (valutate in oltre 900 miliardi di t), si stima che la produzione potrebbe continuare per ben oltre due secoli, un periodo di tempo più che triplo rispetto a quello stimato per la produzione di petrolio. Benché i giacimenti abbiano una larga diffusione, il 60% delle riserve accertate è ubicato in tre aree: Stati Uniti, Cina e paesi ex sovietici; altri quattro Stati (Australia, India, Germania, Repubblica Sudafricana) assommano il 29%. La distribuzione geografica della produzione ricalca solo in parte quella delle riserve (fig. 2 e 3). Anche per queste ragioni, il c. continua a rappresentare, soprattutto in riferimento alla produzione di energia elettrica, una scelta privilegiata per molti Stati e anche per il futuro non è possibile ipotizzare scenari in netta contrapposizione con il quadro attuale. Una decisiva influenza nella salvaguardia del ruolo del c. è anche esercitata dal progressivo aumento che si registra nel consumo di energia nei paesi in via di sviluppo, in particolar modo quelli asiatici. In Cina, il c. resta la principale risorsa energetica, per le abbondanti riserve a disposizione e per la scarsa disponibilità di petrolio e gas naturale. Esso è anche ampiamente utilizzato nel settore industriale, a differenza di quanto avviene nella maggior parte del resto del mondo. Nell’India, invece, resta prioritario l’impiego nel settore dell’energia elettrica e secondo le stime ufficiali si prevede che il c. utilizzato a questo scopo aumenterà fino al 2020 del 3,1% all’anno. Molto diversa è, invece, la tendenza relativa ai consumi di c. nei paesi dell’Europa occidentale, nei quali la diminuzione registrata è in larga parte connessa con l’andamento della produzione europea: dopo la chiusura delle ultime miniere di c. in Belgio (1992) e in Portogallo (1994), soltanto quattro membri dell’Unione Europea (Gran Bretagna, Germania, Francia e Spagna) continuano a estrarre c., anche se tutti, dopo il 1989, hanno visto diminuire la loro produzione. Anche nei paesi dell’Europa orientale e in quelli dell’ex Unione Sovietica si è registrata una diminuzione dei consumi e della produzione. Diversa è invece la tendenza che si registra in America Settentrionale. Si stima, per es., che negli Stati Uniti e in Canada il c. contribuirà in misura crescente alla produzione di energia elettrica; i più alti consumi in Canada saranno dovuti, in larga misura, alla necessità di utilizzare fonti energetiche diverse da quella nucleare prodotta in impianti che entro il 2020 dovranno essere chiusi perché usurati. Le stime riguardanti l’Africa indicano egualmente un aumento dei consumi, calcolati in 29 milioni di tonnellate tra il 1997 e il 2020. La tendenza è la stessa per quanto riguarda la produzione, ma va sottolineata, in questo ambito, la posizione di quasi monopolio della Repubblica Sudafricana. Nel complesso, la produzione mondiale del c. oggi ammonta a circa 6 miliardi di tonnellate annue, con un aumento pressoché costante del 7% negli ultimi 4 anni, pari a oltre il doppio di quanto registrato per gas e petrolio.
I maggiori importatori di c. sono il Giappone e la Corea del Sud. Tra i paesi esportatori, il primato spetta dagli anni 1980 all’Australia: nel 1980 la percentuale di c. australiano esportato era pari al 17% e si prevede che nel 2020 arriverà al 41%. Tradizionali esportatori sono anche gli Stati Uniti, sebbene recentemente superati da Cina, Russia e Indonesia.
Impiego. - La principale prospettiva di impiego del c. è come combustibile nelle centrali termoelettriche. Al riguardo l’utilizzo del c. al posto dell’olio combustibile presenta alcuni svantaggi: necessità di disporre di adeguate infrastrutture per lo scarico e lo stoccaggio del c. nei terminali costieri; rischio di inquinamento ambientale in relazione sia al maggior contenuto di ossido di carbonio, di composti solforati e di particelle solide nelle emissioni gassose delle centrali sia alle enormi quantità di residui solidi della combustione (ceneri) da smaltire. Alcuni degli inconvenienti legati all’impiego del c. possono essere superati adottando tecniche in fase di prima applicazione: utilizzazione delle ceneri come materiali di riempimento nella realizzazione delle opere di potenziamento portuale indispensabili per assicurare una adeguata capacità di ricezione del c.; impiego dei carbodotti, impianti di trasporto del c. che, per la loro stessa conformazione, costituiscono il mezzo più efficace al fine di evitare o limitare il trasporto del c. per via marittima; impiego di filtri e di precipitatori elettrostatici per il trattamento dei fumi. Anche per quanto riguarda la combustione del c. sono allo studio sistemi capaci di consentire una migliore utilizzazione del prodotto evitando di provocare inquinamenti ambientali. Le ricerche di maggior interesse vertono sulla realizzazione di sistemi di combustione in letto fluidizzato che, dando luogo a temperature relativamente basse in camera di combustione, risultano favorevoli all’eliminazione delle ceneri (che non arrivano a fusione), consentono di ridurre le corrosioni per la minore volatilizzazione dei sali dei metalli alcalini, provocano una minore formazione di ossidi di azoto. Inoltre, nel sistema a letto fluidizzato si può immettere nella camera di combustione calcare che fissa gran parte dell’anidride solforosa: ciò contribuisce a dare una combustione meno inquinante. Infine, in relazione sempre alla crisi di approvvigionamento delle materie prime di origine petrolifera, si va manifestando un rinnovato interesse per la carbochimica (➔), cioè per quella parte della chimica industriale che si occupa della conversione del c. in composti chimici.
C. adsorbente (o attivo) Prodotto con elevato potere adsorbente e decolorante, ottenuto per distillazione di sostanze ricche di carbonio (legno, lignite, lignina ecc.). I c. attivi si possono preparare distillando le sostanze sopraddette e attivando il prodotto ottenuto (con vapore o con anidride carbonica a circa 800 °C). I c. attivi con bassa densità sono usati per decolorare e depurare soluzioni (raffinazione dello zucchero, decolorazione di oli commestibili, di bevande, di prodotti farmaceutici, deodorazione di acque potabili, trattamento terziario di acque di rifiuto ecc.), mentre quelli con densità più elevata, più compatti, si usano per l’adsorbimento di gas e di vapori (ricupero di solventi, riempimento di maschere antigas, ricupero di idrocarburi dai gas naturali ecc.).
C. animale Si ottiene nella distillazione secca di residui animali, per lo più ossa sgrassate. L’osseina in queste presente lascia un residuo carbonioso frammisto ai sali minerali presenti (fosfato e carbonato di calcio), molto poroso, che possiede buone proprietà decoloranti, deodoranti e adsorbenti di sostanze gassose. Si usa come decolorante, negli zuccherifici; in terapia, per le sue proprietà antidotiche (contro veleni e tossine).
C. di legna (o c. vegetale) Prodotto solido della carbonizzazione del legno, nero lucente, molto poroso e fragile. La densità di circa 1,5 kg/dm3, potere calorifico inferiore attorno ai 30.000 kJ/kg. Si ottiene dalla combustione, con difetto di aria, della legna nelle carbonaie e, più razionalmente, dalla carbonizzazione in ambiente chiuso. Trova qualche applicazione nella preparazione di alcuni tipi di polveri piriche.
C. di storta Residuo carbonioso che si forma nella parte alta delle storte in cui si fa avvenire la distillazione dei c. fossili. Le particelle carboniose trascinate durante la distillazione si depositano sulle pareti formando strati, a volte dello spessore anche di qualche centimetro. Questa varietà di c., molto compatta, dura, pesante, dall’aspetto lucente metallico, brucia difficilmente e ha elevata conducibilità elettrica, per cui viene usata per farne elettrodi, per alcuni tipi di pile a secco, per lampade ad arco, per suole conduttrici di forni elettrici ecc.
Approfondimento:
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