Impasto o preparato, destinato a vari usi.
Impasto di farina e acqua, rimestato sino a renderlo sodo e compatto: sia quello, lievitato, con cui si fa il pane, sia quello, che può essere di farina di frumento o di semolino, non fermentato, che, lavorato in forme diverse ed essiccato, costituisce i vari tipi di p. alimentare.
La p. alimentare può essere fabbricata in appositi stabilimenti (pastifici) o può essere di confezione casalinga (p. fatta in casa). A seconda della preparazione, si può distinguere in: p. comune, prodotta industrialmente a macchina nei pastifici; e p. speciali, di composizione variabile per l’aggiunta di ingredienti vari (per es., la p. all’uovo, preparata con sfarinati a cui si aggiungono uova, e la p. alla verdura o p. verde, ottenuta aggiungendo all’impasto uova e verdure tritate con procedimenti speciali) e per la presenza di ripieni, composti principalmente di carne tritata, ricotta, verdure ecc. (come i tortellini, i ravioli, gli agnolotti). Si ha inoltre la p. integrale, fabbricata utilizzando semolini integrali provenienti da speciali moliture; e la p. glutinata, ottenuta aggiungendo all’impasto un’alta percentuale di glutine. Con riguardo alla forma, si distinguono p. lunghe, p. corte, p. rigate fantasia, p. cilindriche ecc., ognuna con una propria denominazione; con riguardo al grado di essiccazione si hanno p. fresche o p. secche.
Nata secondo alcuni in Cina, benché Marco Polo non ne faccia menzione, o forse già nota ai Romani, la p. doveva comunque esistere nell’Italia del 14° sec., essendo i «maccheroni» citati da Boccaccio nella terza novella del Decameron. A lungo rimasta un prodotto casalingo, iniziò a essere fabbricata industrialmente intorno al 1800, quando a Napoli entrarono in funzione i primi macchinari atti allo scopo e si perfezionarono i sistemi di essiccazione. Nel 1870 comparvero i torchi idraulici e le prime impastatrici meccaniche; nel 1875 si iniziò la costruzione di impianti per l’essiccazione artificiale, che subirono diverse trasformazioni fino a quello ad aria calda costruito nel 1889 da F. De Cecco nel proprio pastificio di Fara San Martino (Chieti).
Benché caratteristica della dieta italiana, la p. è sempre più entrata nelle abitudini alimentari di altri paesi ed è ormai diffusa in tutto il mondo, anche perché le moderne tendenze nutrizionali, valorizzando in genere la cosiddetta ‘dieta mediterranea’, riconoscono alla p. una notevole importanza come alimento di base.
Nonostante la p. non abbia avuto origine in Italia, le tecnologie di produzione trovano un preciso riferimento nell’industria italiana. L’Italia è infatti il maggior produttore, e anche il maggior consumatore (ca. 27 kg pro capite all’anno), di pasta. La lavorazione industriale della p. ha subito notevoli innovazioni e tutte le operazioni avvengono in impianti completamente automatizzati.
Gli sfarinati che arrivano al pastificio sono per prima cosa setacciati allo scopo di eliminare le impurità; successivamente sono portati, nelle proporzioni stabilite, alle impastatrici costruite in modo da ridurre l’aerazione al minimo. L’impasto è fatto con acqua fredda (15-25 °C) o calda (40-50 °C): in questo secondo caso la semola assorbe più rapidamente l’acqua fornendo un impasto omogeneo in un tempo inferiore. La fase di impastamento (che comprende la miscelazione e la gramolatura) ha una durata di 15-30 minuti a seconda della tipologia di impasto e del tipo di pasta che si vuole ottenere. L’impasto così ottenuto passa quindi alla pressa per la fase di formatura. I formati delle p. sono numerosissimi (ca. 600), ma generalmente solo un certo numero è di normale produzione ed è diviso in due categorie: p. lunghe e p. tagliate, con forme variabilissime (v. fig.). Il formato influisce anche sul sapore, sia per la diversa capacità di ricevere il condimento sia per il diverso grado di cottura in relazione allo spessore. La formatura si ottiene facendo passare il pastone attraverso una trafila, forata opportunamente secondo il formato di p. che si vuole ottenere. All’uscita dalla trafila la p. deve essere essiccata rapidamente per evitare che inacidisca o ammuffisca; tale operazione va condotta con speciali cautele poiché da essa principalmente dipende la bontà del prodotto.
L’antico metodo di essiccazione naturale è diviso in tre fasi: incartamento, cioè l’essiccazione superficiale della p. appena fuori dalla trafila, compiuta all’aria aperta o, meglio, al sole; rinvenimento, consistente in un periodo di riposo (ca. 12 ore) in un ambiente umido e più freddo di quello precedente, durante il quale emerge in superficie l’umidità interna della p.; essiccazione definitiva, che si ottiene lasciando la p. per un lungo periodo (8-20 giorni) in riposo in ambienti chiusi e asciutti. Durante queste operazioni la p. lunga è disposta su lunghe canne, che si collocano l’una accanto all’altra, e la p. tagliata su telai.
I moderni procedimenti di essiccazione artificiale tendono a riprodurre le fasi precedenti cercando nello stesso tempo di accelerare l’operazione, e ciò si ottiene in genere con essiccatoi a galleria, che permettono di agire contemporaneamente sulla velocità dell’aria immessa, sulla temperatura e sull’umidità. La p. così è pronta, e viene inviata alle operazioni di controllo, confezione e spedizione.
Il valore nutritivo della p. (fatta eccezione per le p. speciali) dipende dal valore nutritivo degli sfarinati di partenza. La composizione media di una p. di semola è: acqua 12,4%; proteine 10,8%; lipidi 0,3%; glicidi disponibili 82,8% (di cui 72,2% amido). Durante la cottura la p. va incontro ad alcune modificazioni: si ha un notevole aumento di peso (può addirittura triplicare); si verificano poi perdite che, per alcuni componenti, sono molto limitate (amido e proteine), per altri discretamente elevate (fosforo), per altri ancora molto elevate (sino al 50% per la tiamina). Se per la cottura vengono utilizzate acque molto dure, parte del calcio può passare nella p. in quantità anche elevata (10-20 mg per 100 g di pasta).
Il nome p. si dà anche a vari impasti per dolci, torte e simili (composti in genere di farina o fecola di patate o mandorle con zucchero, uova, burro ecc.), non solo nella fase di preparazione ma anche, e più spesso, dopo la cottura. In particolare, p. frolla, usata come base di molti dolci, e composta di fior di farina (ca. 45%), burro (ca. 32%), zucchero (ca. 23%) e tuorli d’uovo (ca. 3 per ogni kg degli altri ingredienti); al burro possono essere, in tutto o in parte, sostituiti altri grassi commestibili; p. sfoglia, composta di sola farina e burro, nelle proporzioni di circa 1:1, è lavorata ripiegandola molte volte su sé stessa in modo che nella cottura si divida in tanti fogli sottili gonfi, friabili e leggermente aderenti; si usa come p. di fondo in moltissimi dolci.
La p. reale è un impasto di mandorle pestate e zucchero (o miele), legate con bianco d’uovo montato e poca farina; si usa, specialmente in Sicilia e nella Campania, variamente colorata per fare imitazioni di frutta e dolci simili. In alcune regioni si dà lo stesso nome a una p. dolce molto soffice, formata da tuorli d’uovo, chiare sbattute e zucchero, con pochissima farina.
P. reale è anche il nome delle pallottoline di p. all’uovo leggerissime (non dolci) che si mangiano nel brodo senza farle prima cuocere.
Preparazione per uso cutaneo o dermatologico, di consistenza semisolida, che contiene una o più sostanze medicamentose (ossido di zinco, antistaminici ecc.) mescolate in eccipiente anidro, talvolta con aggiunta di tensioattivi o di grassi, oppure incorporate in acqua e glicerina. Differisce dalla pomata per il suo alto contenuto in principi attivi solidi e perciò ha una notevole consistenza e non è untuosa.
Un tempo si utilizzava la p. per uso interno, in cui la sostanza attiva era incorporata in una preparazione contenente zucchero e gomma mescolati ad acqua o a una soluzione medicamentosa: veniva confezionata in pezzi di varia forma e grandezza, che si conservavano ricoperti di zucchero o di lattosio.
Negli accumulatori elettrici, impasto a base di ossidi di piombo che si dispone sulla superficie delle placche a costituire il materiale attivo.
L’impasto impiegato nella preparazione di qualunque prodotto ceramico (dai laterizi alle stoviglie, dalle porcellane ai grès ecc.): le p. ceramiche sono costituite, a seconda dei casi, da argille, da caolini più o meno puri, mescolati a fondenti (feldspati), a smagranti (argilla refrattaria), impastate con acqua in modo da assumere uno stato pastoso così da essere modellate in manufatti di forma diversa, che sono poi essiccati e cotti.